venerdì 5 settembre 2008

L'Esercito festeggia i 110 anni del Bersagliere Delfino Borroni

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L’ESERCITO FESTEGGIA I 110 ANNI


DEL BERSAGLIERE DELFINO BORRONI



Castano. Primo, Delfino Borroni, bersagliere, l’ultimo dei Cavalieri di Vittorio Veneto, l’ultimo dei veterani della Prima guerra Mondiale, testimonial del calendario dell’Esercito 2008, lo scorso 23 agosto ha spento 110 candeline con in mano una lettera di auguri da parte – di tutti gli uomini e donne in armi - inviatagli dal Capo di Stato Maggiore dell’Esercito. Il 7 settembre, a Castano Primo, dalle ore 14.00 dovrà spegnerne altre 110 in presenza però del Sindaco e di numerose autorità civili e militari, tra le quali Generale di divisione Franco Cravarezza, Comandante della Regione Militare Nord e il Generale di Brigata Camillo de Milato, Comandante Militare dell’Esercito Lombardia. Dal Palazzo Comunale di Castano, partirà un corteo con le Autorità presenti e i rappresentanti di tutte le Associazioni Combattentistiche e d’Arma, gli amici e semplici cittadini, che, percorrendo le vie del centro, arriverà presso la casa di riposo San Giuseppe dove vive Delfino Borroni. Per l’occasione presso Villa Rusconi, sede del Comune, sono state allestite due mostre: una di filatelia e cartoline risalenti alla Prima Guerra Mondiale e l’altra di documenti storici inediti dal titolo “Frammenti della Grande Guerra”, realizzata dal Centro Documentale di Milano in collaborazione con l’Archivio di Stato E quest’ anno si celebrano i 90 anni dalla battaglia di Vittorio Veneto, che poneva fine, con vittorioso epilogo, al primo Conflitto Mondiale: quale migliore occasione di festa per il bersagliere Delfino Borroni che vi ha partecipato.


Il bersagliere più anziano d’Italia, Delfino Borroni, è nato il 23 agosto 1898 a Turago Bordone (PV) ed oggi, a 107 anni, vive in una casa di riposo nella provincia di Milano: ha combattuto nella Grande Guerra e ha ancora tanta voglia di raccontare le sue avventure di soldato, che può ricostruire grazie ai suoi lucidi ricordi.


Faceva il meccanico quando veniva chiamato alla visita militare nel gennaio 1917, destinato al 6° Bersaglieri a Bologna; la chiamata alle armi sopraggiungeva a marzo e a maggio partiva per il fronte. Raggiunto in treno Castelfranco Veneto, Bassano e Marostica, alla fine dello stesso mese arrivava “zaino in spalla” sull’Altopiano di Asiago dove rimaneva solo alcuni giorni, poi all’inizio di giugno veniva trasferito sul Pasubio, dove incontrava la vera guerra. Sul Monte Maio, Delfino ricorda che: “Gli austriaci stavano su una cima undici metri più alta della nostra” e lì i bersaglieri respingevano diversi attacchi nemici, in una guerra di posizione tra sassi e rocce in cui: “Non si andava né avanti né indietro”; a settembre arrivava in Valsugana, a Cismon, da dove come racconta: “Un giorno ci caricarono in treno e ci spedirono a Caporetto”. Il 22 ottobre Delfino e gli altri bersaglieri giungevano a Cividale del Friuli, facendo rifornimento di munizioni e viveri. Iniziava così la marcia verso i monti in direzione di Caporetto: la mattina del 23 “pioveva ed era molto freddo, ma l’ordine era di andare avanti” e quindi di raggiungere il fronte minacciato dall’imminente attacco nemico.
Delfino era nel 14° reggimento della IV Brigata Bersaglieri [1], in una compagnia agli ordini del sergente Mosconi. Nella notte tra il 23 e il 24 i bersaglieri giungevano sulla posizione da difendere, la sella di Luico, che dall’alto domina l’Isonzo: “in basso vedevamo il paese di Caporetto, mentre di fronte si ergeva il Monte Nero”. All’improvviso un grido ad alta voce: “Innestate le baionette, avanti ragazzi!”. Al buio i bersaglieri andavano all’assalto, riuscendo a fare molti prigionieri tra cui, ricorda Delfino: “Un ragazzino di soli diciassette anni, classe 1900, che si arrese a me”, e precisa che: “A Caporetto gli austriaci combattevano con due classi in più di noi italiani”, in quanto proprio la sua classe, la 1898, era stata l’ultima chiamata.
La storia racconta che alle ore 2 del 24 ottobre 1917, mentre su tutta la zona gravava un fitta nebbia, l’artiglieria nemica apriva il fuoco su tutto il settore fra il Rombon e l’alta Bainsizza, più violento tra Plezzo e Tolmino, anche con l’impiego di gas asfissianti, precedendo di poche ore l’attacco delle fanterie austro-tedesche. La mattina del 24 i bersaglieri venivano mandati a fare resistenza nella valle che portava giù a Caporetto; verso mezzogiorno il sergente Mosconi ordinava a Delfino, che era il più giovane, di andare fuori dalle trincee per vedere la situazione, mentre lui gli rispondeva: “Mosconi, mandi a morire proprio me?! Almeno gli altri anno vissuto vent’anni in più!”. Comunque, il bersagliere usciva di pattuglia ritrovandosi in mezzo al tiro incrociato delle mitragliatrici nemiche, che lo costringevano a cercare riparo dove capitava, anche dietro a due soldati tedeschi caduti. Intorno le truppe nemiche in movimento erano ovunque e Delfino non riusciva ad avvertire i compagni, poi ad un certo punto tentando la fuga veniva colpito da una pallottola al tallone: dopo essersi finto morto, iniziava a strisciare e rotolare a terra, fino a raggiungere il reparto dove ormai lo credevano caduto. Il maresciallo vedendolo gli disse: “Nessuno sarebbe riuscito a salvarsi, ho ragione quando dico che sei tutto sale e pepe, proprio come uno scoiattolo!”.
I ricordi di Delfino scorrono limpidi e continuando racconta che: “Non avevamo più munizioni nè rinforzi, da dietro non ci arrivava più nulla. In compenso, un intero battaglione di tedeschi era scatenato all'attacco e minacciava di accerchiarci. Avevamo centinaia di prigionieri con noi, catturati il giorno prima. Il pomeriggio del 25 ottobre siamo dovuti fuggire a gambe levate da Caporetto…”. I bersaglieri erano così costretti a ritirarsi facendosi strada in qualche modo, nel caos più totale, fino a Cividale, fermandosi di tanto in tanto ad opporre resistenza; non lontano da lì venivano presi, dopo che il capitano e l'attendente erano stati colpiti durante un combattimento. Gli austriaci li guardavano cattivi e dicevano: “Ma bravi, prima ci sparate poi ci dite Gut Kamerad?”. Iniziava così per Delfino la prigionia, prima a Cividale, poi in Austria e alla mente gli torna il ricordo della fame patita e che affliggeva gli stessi austriaci; in seguito veniva rimandato in Veneto per scavare trincee lungo il Piave. Negli ultimi giorni di guerra Delfino tentava più volte la fuga, prima da Vittorio Veneto poi da Conegliano, subito dietro le linee nemiche, riuscendo a raggiungere il Friuli; Delfino si ricorda in particolare di una donna a Spilimbergo che gli aveva dato un bel pezzo di polenta e alla quale disse: “Giuro che con questa ci campo quindici giorni!”.
L’avventura del bersagliere finalmente giungeva alla fine con l’arrivo delle truppe italiane che vittoriose entravano a Trieste.
NOTE
[1] La IV Brigata Bersaglieri, costituita dai reggimenti 14° e 20° (il 14° era appunto quello di Delfino), faceva parte della 62° Divisione insieme alla Brigata Salerno e all’alba del 24 ottobre 1917, quando iniziò l’offensiva austro-tedesca di Caporetto, era schierata con il VII Corpo d’Armata in seconda linea, nel settore di Luico-Monte Kuk, sulla dorsale montuosa del Kolovrat alla destra dell’Isonzo. La brigata, che si trovava in Valsugana, era partita il 22 ottobre da Bassano per Cividale con autocarri e treni. Da qui i bersaglieri proseguirono a piedi per Savogna, impiegando tutta la giornata per raggiungere a notte avanzata la sella di Luico, che dall’alto domina l’Isonzo. All’alba del 24, quando la “12° Battaglia dell’Isonzo” era già iniziata, la brigata stava ancora schierandosi in un settore che non aveva mai visto prima, quasi privo di trincee, reticolati e altre opere di difesa adeguate. Alle ore 12 del 24, dopo che il nemico aveva sfondato le prime linee italiane sull’Isonzo, a nord nella conca di Plezzo e a sud presso la testa di ponte di Tolmino, la 62° Divisione ricevette l’ordine di schierarsi a difesa della linea Monte Matajur-Monte Kuk, con la Brigata Salerno sul Monte Matajur e la IV Brigata Bersaglieri al Passo di Luico, mentre alla sua destra la Brigata Arno della 3° Divisione si posizionava sul Monte Kuk-Passo Zagradan.
Nella notte sul 25 ottobre i bersaglieri passavano al contrattacco e respingevano più volte i tedeschi dalle posizioni di Golobi, lungo la linea che scendeva verso Caporetto, ma al mattino verso le 10, privi dell’appoggio dell’artiglieria, dovettero ritirarsi definitivamente. Alle 15 i tedeschi entrarono a Caporetto. Il tentativo di interrompere la risalita del nemico sulla destra dell’Isonzo era così fallito, e quando la IV bersaglieri, che difendeva la sella di Luico, cedette di fronte alle forze soverchianti della 12° Divisione slesiana e dell’Alpenkorps bavarese, anche il destino della brigata Salerno sul Matajur fu segnato: tutta la 62° Divisione venne travolta, costretta alla ritirata e in gran parte catturata. La conquista del Matajur, difeso anche da alcuni reparti di bersaglieri, è passata alla storia come una “brillante operazione” del battaglione Wurttemberg del Tenente Rommel, il quale era riuscito anche a bloccare la strada che da Luico scendeva verso Savogna, facendo un gran numero di prigionieri tra i bersaglieri che ripiegavano. Il cedimento improvviso su tutto il fronte del VII corpo (3° e 62° Divisione), schierato alla destra dell’Isonzo, con la disfatta delle brigate Arno e Salerno, è stato considerato un episodio decisivo dello sfondamento di Caporetto: il 27 i tedeschi arrivarono a Cividale, il 28 a Udine e l’esercito italiano dovette così ripiegare prima sul Tagliamento e poi definitivamente dietro il Piave.

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