mercoledì 16 luglio 2008

Alpini Paracadutisti

ALPINI PARACADUTISTI


Quarantuno anni fa, gli alpini del Btg,Monte Cervino che erano riusciti a ritornare vivi dall'Albania e dalla Russia, eressero la chiesetta in memoria dei tanti loro compagni caduti sul Trebescines, nella steppa della Ukraina e nei lager sovietici. Qui a Cervinia c'è uno dei fondatori , Antonio Maquignaz. A lui va la gratitudine dei superstiti e delle famiglie dei caduti, per aver creato in questa cornice maestosa, il segno tangibile, concreto, cui rivolgere la memoria e la preghiera per quelli che non hanno potuto rivedere la Patria.Il btg. Alpini sciatori " Monte Cervino " è stato uno dei più formidabili battaglioni alpini e si è coperto di fama, di leggenda e di gloria ovunque sia stato impiegato. Non era costituito da superuomini, ma da gente preparata professionalmente alla guerra di montagna in tutte le stagioni, gente audace, infaticabile, alla quale si poteve chiedere ed ottenere, se non tutto, quasi tutto, perchè animata dal più profondo senso del dovere e da un fortissimo legame di gruppo. Il loro compito avrebbe dovuto essere l'esplorazione, il pattugliamento, i colpi di mano, le azioni di "commando". Quelli del Monte Cervino dovevano essere i "marines" del corpo degli alpini. Purtroppo è stato quasi sempre impiegato per tamponare affannosamente situazioni disperate. Il Monte Cervino in Albania era forte di 300 uomini, quasi tutti valdostani, guide e maestri di sci. Ebbene essi non calzarono gli sci nemmeno un giorno, costretti per quattro mesi a difendere con i denti un costone roccioso che, se ceduto, avrebbe spalancato ai greci la via del mare. Dopo cinque mesi, solo una quarantina di loro tornò ad Aosta con le proprie gambe. Gli altri sono caduti o sono stati sgomberati in barella.Il Monte Cervino fu ricostituito e mandato in Russia nel gennaio del 1942, unico reparto alpino in seno allo CSIR, operò con le divisioni Torino e Pasubio nel bacino del Donez. Sciolta la neve, incominciò la sua destinazione di tappabuchi, con l'accorrere in aiuto ai tedeschi alla sacca di Isium dove, alla conquista di Klinovj, un villaggio in cima ad una collina, subì una durissima salassata. In agosto fu mandato di corsa sul fronte della divisione Sforzesca che aveva ceduto ai russi un lungo tratto di fronte. Fu in quella occasione che un battaglione sciatori si trovò a dover combattere, in piena arida steppa, una guerra di trincea di tipo carsico con attacchi e contrattacchi giornalieri.A metà dicembre il Monte Cervino venne mandato di corsa a proteggere il fianco del Corpo d'Armata Alpino, lasciato scoperto dallo sfondamento russo in corrispondenza delle divisioni Cosseria e Ravenna. Furono le settimane infernali di Seleny Jar dove, prima da solo e poi con i battaglioni della Julia, riuscì a fermare i russi che attaccavano con testardaggine, ma con altrettanta testardaggine furono respinti.Teatro operativo ancora la steppa , questa volta innevata, ma senza trincee, bunker o ripari, vivendo e combattendo giorno e notte su un telo tenda steso sulla neve e, come tetto, il cielo grigio o le notti stellate dei meno 30.Infine,quando il 15 gennaio 1943, i carri armati russi arrivarono a Rossosc, sede del comando del C.A. Alpino gli alpini del Monte Cervino rimasero soli a difendere la città e si improvvisarono cacciatori di carri supplendo con iniziativa ed ardimento alla mancanza di armi adeguate. Una decina di carri furono immobilizzati da temerari che avevano a disposizione solo mine, molotov e bombe a mano.Solo il giorno dopo, una brigata corazzata i cui carri erano coperti di truppe d'assalto, riuscì a scacciare da Rossosc i resti di quello che restava del Monte Cervino. La loro breve ritirata finì alle porte di Nikolajevka il 19 gennaio. La Tridentina vi sarebbe arrivata solo il 26.Anche in Russia il battaglione si è conquistato la fama di reparto eccezionale, una fama dal costo salatissimo, in termini di vite umane, di mutilazioni, di sacrifici. Il Monte Cervino di Russia aveva poco più di 500 uomini: 105 sono caduti, 230 feriti sono stati sgomberati prima della ritirata, 120 quelli fatti prigionieri, di loro solo 16 sono sopravvissuti agli orrori dei lager. Nella tradotta che a fine inverno riportava in Italia i resti dell'ARMIR, quelli del Monte Cervino occupavano solo un carro, erano meno di 50.Il battaglione è decorato di medaglia d'oro al V.M. per le operazioni sul fronte russo e di medaglia d'argento al V.M. per le operazioni in Albania. Ai suoi componenti sono state conferite 3 medaglie d'oro, 42 d'argento, 68 di bronzo, 81 croci di guerra. Moltissime alla memoria, molte sul campo.Ogni anno viene celebrata una Santa Messa in occasione del Raduno dei Reduci ( Prima domenica di Luglio )Dal discorso del Gen. Vicentini alla festa Reduci il 23 luglio '99
STORIA
Nell'inverno 1915 si forma il Battaglione Alpini "Monte Cervino" che terminato il primo conflitto mondiale è soppresso.
Ricostituito nel dicembre 1940 come Battaglione Sciatori "Monte Cervino" si scioglie al termine delle operazioni sul fronte greco-albanese per tornare in vita nell'ottobre1941.Partecipa alla campagna di Russia meritando la massima ricompensa al valor militare quindi viene nuovamente soppresso nel settembre 1943.
Il 1° aprile 1964 si costituisce la Compagnia Alpini Paracadutisti, con il personale dei disciolti plotoni alpini paracadutisti delle cinque Brigate alpine, e dal 1° gennaio 1990 prende il nome di Compagnia Alpini Paracadutisti "Monte Cervino" divenendo erede delle tradizioni acquisite dal battaglione omonimo.Il 14 luglio 1996 la compagnia è inserita nel Battaglione Alpini Paracadutisti "Monte Cervino" di nuova formazione al quale con decreto 28 novembre 1996 viene concessa la Bandiera di guerra.


CAMPAGNE DI GUERRA: 1915-18 (Prima Mondiale) / 1940-43 (Seconda Mondiale)RICOMPENSE E ONORIFICENZE: 1 Cav. O.M.I. - 1 M.O.V.M. - 2 M.A.V.M. -RICONOSCIMENTI: Encomio Solenne del Capo di SME (Mozambico 1994)


OGGI
Punta di diamante del Corpo Alpino, il Battaglione Alpini Paracadutisti "Monte Cervino" rappresenta l'elemento più mobile delle unità alpine, in doveroso omaggio alla teoria moderna che privilegia la rapidità di movimento alla massa delle truppe impiegate.Il connubio fra alpini e paracadute ha inizio negli anni cinquanta con l' assegnazione di un plotone paracadutisti a ogni brigata; la riunione di queste minori unità in una compagnia ha luogo nel 1964. Strutturato come un battaglione in miniatura, il reparto è posto alle dirette dipendenze del 4° Corpo D'Armata Alpino come unità di riserva, in grado di intervenire da sola o in rinforzo di altre unità maggiori nel minor tempo possibile e in qualsiasi zona.
LA STRUTTURA
La compagnia è articolata su tre plotoni fucilieri, un plotone armi a tiro teso, con compiti controcarro, un plotone mortai medi, un plotone comando e servizi e, infine, un plotone infrastutture.Tutto il personale della compagnia è volontario, dal personale di carriera ai giovani di leva. Questi ultimi fanno domanda di arruolamento nell'unità durante il mese di permanenza al battaglione addestrativo. Dopo un'accurata selezione le reclute sono inviate a Pisa presso il Centro Addestramento Paracadutisti, dove vengono abilitate al lancio al termine di un corso di circa un mese.Sono quindi inviate all'unità, che ha sede a Bolzano, dove vengono inserite nella vita di reparto, affinando le loro capacità nelle varie discipline.La base dell'attività della compagnia è senza dubbio l'efficienza fisica, che permette a tutti gli uomini di affrontare gli sforzi richiesti limitando i rischi e fornendo le massime prestazioni. Ai lanci con il paracadute si si alternano incessantemente marce, ascensioni in roccia, attività sciistica e sci-alpinistica, oltre al normale addestramento operativo che viene curato in modo particolare per ciò che riguarda il combattimento individuale e l'uso dell' armamento. L'esaltazione dell'uomo trova riscontro nel tipo di azione che è possibile ipotizzare per questa unità: pattugliamento, interdizione d'area, aggiramento dall'alto delle forze nemiche, tutte situazioni che lasciano prevedere l'impiego degli uomini divisi in nuclei di poche unità.Non viene peraltro trascurato il normale addestramento di reparto, che permette al battaglione di affrontare il suo compito di unità di riserva. Se l'alpino è un soldato scelto, l'alpino paracadutista rappresenta il meglio del corpo, essendo in grado di lanciarsi con il paracadute, di sciare, di scalare una parete, di scendere in corda doppia da un elicottero, in pratica di essere dappertutto e il più rapidamente possibile, pronto a combattere.Se è comprensibile che un professionista possa raggiungere questo livello addestrativo, pensare che ragazzi di leva, che prestano servizio per soli dieci mesi possano fare altrettanto ha quasi dell'incredibile.Per l' attività di aviolancio il Battaglione Alpini Paracadutisti si avvale del degli elicotteri di ALTAIR e, quando necessario, degli elicotteri pesanti CH-47 oltre che dei velivoli della 46° Aerobrigata Trasporti.Oltre alle particolari caratteristiche richieste all'alpino per combattere in alta montagna, caratteristiche che fanno degli Alpini un corpo speciale, in tempo di pace gli uomini del Corpo Alpino assolvono due compiti anch'essi speciali: il soccorso in montagna, e la prevenzione e il controllo delle valanghe.Nell'ambito del "Concorso in Pubbliche Calamità", che rientra fra i compiti istituzionali dell'Esercito e in cui tutte le unità della Forza Armata si sono distinte durante i vari disastri che hanno colpito l'Italia negli ultimi anni, gli alpini collaborano regolarmente con il Corpo Nazionale del Soccorso Alpino, istituito dal CAI nel 1954 e incaricato di organizzare e addestrare il personale di varia estrazione impegnato nel soccorso degli infortunati in montagna. L'aumento del turismo della montagna, in particolare nei mesi estivi, ha portato a un crescente numero di incidenti e, quindi, a un maggiore impegno dei servizi di soccorso cui il Corpo Alpino collabora sia con gli uomini sia con gli elicotteri del 4° ALTAIR, che effettuano centinaia di ore di volo all'anno per la ricerca e il soccorso di dispersi e feriti in montagna.Per migliorare l'intervento degli alpini sono in corso un potenziamento e una riorganizzazione che dovrebbero portare ogni battaglione e ogni brigata ad avere, nel proprio organico, una squadra dotata di materiali speciali e di personale particolarmente addestrato e specializzato nelle attività di soccorso.

lunedì 14 luglio 2008

Da Libero Martedì 8 luglio2008 FASCISMO Perchè il Duce non divenne mai razzista



FASCISMO
Perché il Duce non divenne mai razzista
MARCELLO VENEZIANI

Non insista, professor Gentile, il fascismo non fu un regime tota­litario. Aveva ragione Hannah Arendt, che lei maltratta con de­plorevole sufficienza. È uscito da Carocci, riveduto e ampliato, il saggio di Emilio Gentile,
"La via italiana al totalitarismo" (...)
REGIME
Il fascismo, una dittatura né totalitaria né razzista
Lo storico Gentile avvicina il Ventennio a nazismo e comunismo. Tesi smentita dai fatti: il potere del Duce non fu mai assoluto e l'Italia non conobbe il Terrore
MARCELLO VENEZIANI
(...) (pp. 421, euro 26,5). Allievo di Prezzolini e di De Felice, Gentile si discosta dalla lezione dei suoi maestri e sostiene che il fascismo sia stato un totalitarismo vero, Polemizzando con la Arendt a cui si deve il saggio più importante sul totalitarismo. Lasciamo la parte i confronti tra gli studi del totalitarismo, proviamo a tuffarci nella storia. Il fascismo la un destino paradossale: fu il primo regime a rivendicare la definizione di totalitario, tramite Gentile, nel senso di Giovanni, e lo stesso Mussolini. Ma per essere totalitario non basta il partito unico, la soppressione della libertà e la mobilitazione di massa. Occorrono altri tre decisivi requisiti il monopolio assoluto del potere, la pratica del terrore, la tabula rasa del passato nel nome della rivoluzione. Ora, nel primo caso, il fascismo lasciò vivere e prosperare larghe zone franche, irriducibili al suo potere: la Chiesa, che ebbe anzi un esplicito riconoscimento con i Patti Latera­lensi, la Monarchia, che caso unico per una dittatura, conti­nuò a regnare, e il Capitale, che non fu distrutto o piegato. Per non dire di ampi poteri dello Stato che restarono negli assetti e nella mentalità largamente im­muni dal fascismo, dalla magi­stratura alle prefetture, alle forze armate. In secondo luogo, nes­suno storico di buon senso può parlare di un regime fascista fondato sul tenore. Non ci furono deportazioni o stermini di massa, gli antifascisti uccisi durante i vent' anni di regime non superarono le venti unità, furono uccisi giù antifascisti italiani nell'Unione sovietica di Stalin, con il bene­placito di Togliatti, che nell'Italia fascista. Infine il fascismo non fece tabula rasa, ma la sua fu una evoluzione conservatrice: la sto­la, la famiglia, la tradizione, pur reinterpretate, restarono salde. Imparagonabili con i regimi comunisti, che furono compiutamente totalitari, e con il nazismo che pure non riuscì a pervadere tutta la società tedesca. Il totali­arismo in Italia non fu solo temperato dall'inefficienza e dal genetico mammismo degli italiani ma fu un totalitarismo geneticamente incompiuto e imperfetto; fu un regime autoritario di mas­sa, una dittatura nazional-popu­lista con tratti totalitari. Rispetto ai vecchi regimi autoritari, il fa­scismo mobilita il popolo, non lo chiude in casa; sogna una rivolu­zione e non instaura solo l'ordi­ne. Lo stesso Togliatti quando lo definisce regime reazionario di massa, riconosce quei tratti e il consenso popolare. E Gramsci dal carcere non critica il fascismo perché totalitario ma perché non lo è abbastanza, in quanto subal­terno alla borghesia, alla Chiesa e al capitale, le mitiche "forze oscure della reazione".
La questione delle leggi razziali
Avviene la svolta totalitaria con le leggi razziali del luglio '38, si chiede Gentile sulla scia della Arendt? Non credo. Le leggi raz­ziali servono a potenziare la sua aggressiva aspirazione rivoluzionaria, protesa non a perse­guitare la razza ebraica ma a ri­fondare la stirpe, come allora si diceva, nel sogno velleitario di generare l'italiano nuovo.
Condivido l'analisi che ne fa l'ebrea Arendt a tale proposito:
a) «L'Italia era uno dei pochi Paesi d'Europa dove ogni misu­ra antisemita era decisamente impopolare». Infatti, aggiunge, «l'assimilazione degli ebrei in Italia era una realtà». La condot­ta italiana «fu il prodotto della generale spontanea umanità di un popolo di antica civiltà». Un popolo che dai tempi dei romani conviveva con gli ebrei, e conti­nuò a convivere anche all'ombra della Chiesa cattolica: il cattoli­cesimo trasmise agli italiani il germe di una antica e diffusa dif­fidenza verso gli ebrei, conside­rati popolo deicida; ma trasmise agli italiani anche comprensio­ne e umanità rispetto ai paesi di estrazione protestante, più deci­samente antigiudaici.
b) «La grande maggioranza degli ebrei italiani - scrive la Arendt - furono esentati dalle leggi razziali», concepite da Mussolini «cedendo alle pres­sioni tedesche». Perché gran parte degli ebrei erano iscritti al Partito fascista o erano stati combattenti, nota la Arendt, e i pochi ebrei veramente antifasci­sti non erano più in Italia. Persi­no il più razzista dei gerarchi fa­scisti Farinacci, notava la Aren­dt, aveva collaboratori ebrei, e non era un'eccezione.
c) A guerra intrapresa, scrive addirittura l'Arendt «gli italiani col pretesto di salvaguardare la propria sovranità si rifiutarono di abbandonare questo settore della loro popolazione ebraica; li internarono invece in campi, la­ sciandoli vivere tranquillamente finché i tedeschi non invasero il Paese». E quando i tedeschi arri­varono a Roma per rastrellare gli ottomila ebrei presenti «non po­terono fare affidamento sulla polizia italiana. Gli ebrei furono avvertiti in tempo, spesso da vecchi fascisti, e settemila riusci­rono a fuggire». Molti, va aggiun­to, con l'aiuto del Vaticano. I na­zisti, per la Arendt, «sapevano bene che il loro movimento ave­va più cose in comune con il comunismo di tipo staliniano che col fascismo italiano e Mussoli­ni, dal canto suo, non aveva né molta fiducia nella Germania né molta ammirazione per Hitler».


Boicottaggio antinazista
d) L'Italia fascista adottò nei confronti dei nazisti antisemiti un sistematico "boicottaggio". Nota la Arendt: «Il sabotaggio italiano della soluzione finale aveva assunto proporzioni serie, soprattutto perché Mussolini esercitava una certa influenza su altri governi fascisti, quello di Pétain in Francia, quello di Horty in Ungheria, quello di Antonescu in Romania, quello di Franco in Spagna. Finché l'Italia seguitava a non massacrare i suoi ebrei, anche gli altri satelliti della Ger­mania potevano cercare di fare altrettanto…il sabotaggio era tanto più irritante in quanto era attuato pubblicamente, in maniera quasi beffarda», il caso di Giorgio Perlasca ,ilFascista che salvò la vita a 5mila ebrei, non fu isolato e autarchico.
e) Quando il fascismo, allo stremo della sua sovranità politi­ca, cedette alle pressioni tede­sche, creò un commissariato per gli affari ebraici, che arrestò 22 mila ebrei, ma in gran parte con­sentì loro di salvarsi dai nazisti, di rifugiarsi, come scrive la stu­diosa ebrea. Nota la Arendt, ec­cedendo in indulgenza, che «un migliaio di ebrei delle classi più povere vivevano ora nei migliori alberghi dell'Isère e della Sa­voia». Risultato fu che «gli ebrei che scomparvero non furono nemmeno il dieci per cento di tutti quelli che vivevano allora in Italia». Le citazioni sono tratte dal libro "La banalità del bene" (Feltrinelli). È permesso aggiun­gere che morirono più italiani nelle foibe comuniste che ebrei italiani nei campi di sterminio?
f) Le origini culturali dell'anti­semitismo sono ricondotte dalla Arendt in larga parte a sinistra; ne "Le origini del totalitarismo" ricorda che fino all'affare Dre­yfus in Francia, «le sinistre ave­vano mostrato chiaramente la loro antipatia per gli ebrei. Esse avevano semplicemente seguito la tradizione dell'illuminismo del XVIII... l'atteggiamento an­tiebraico era parte integrante dell'anticlericalismo». In Ger­mania, ricorda la Arendt, i primi partiti antisemiti furono i liberali di sinistra, guidati da Schonerer e i socialcristiani di Lueger.

Il prestigio di Mussolini
Nonostante avesse promul­gato due mesi prima le leggi raz­ziali, Mussolini a Monaco rag­giunge l'apice del prestigio tra le democrazie occidentali.
Insomma, il fascismo non fu totalitario e tantomeno fu il male assoluto, che forse non esiste in terra ma a cui semmai si avvici­narono Hitler e Stalin, Mao e Pol Pot. Gli uomini non sono angeli né demoni, anche se prendono lezioni da ambedue. Magari più consigli dai primi e più esempi dai secondi.

FIGLI DELLA LUPA, AUTO DA CORSA E PROPAGANDA
Al centro, bambini negli anni '40 che indossano l'ab­bigliamento obbligatorio dei "figli della lupa". Nella pagina accanto, Benito Mussolini a bordo di un'automobile da corsa negli anni '30. Nuella foto a fianco un esempio di propaganda fascista. La facciata di palazzo Baraschi a Roma coperta da un grande manifesto con il viso di Mussolini (1934)

mercoledì 2 luglio 2008

2 Luglio

Quel 2 luglio 1997 alle 18.30


Due paracadutisti e un amico di Rapallo GE commentavano quanto la stampa stava vomitando contro la Folgore e la missione in Somalia; presi dal dolore e disgusto decisero di trovare un prete e una chiesa per far dire almeno una Messa.
Chi ci viene? Intanto noi tre, poi avvisiamo gli amici. Uno milanese emigrato in Liguria si preoccupa di quelli di Milano che a luglio sono in riviera: l'Aldo dell'Azzurro, Luigi (Istruttore di paracadutismo che ci ha lasciati qualche tempo dopo), Yves dell'Azzurro di Alessandria /Savona (anche lui ci ha lasciato in un lancio di manifestazione avvolto dal tricolore che portava con se), e qualche altro.
Don Nozziglia della Pieve di San Michele di Pagana risponde immediatamente all'appello: alle 18.30 fa venire i Cavalieri di Malta, per quell'occasione la solita messa settimanale non sarà nella loro cappella ma in San Michele Arcangelo di Pagana.
La cosa si estende a macchia d'olio. Da Pisa vengono gli amici dell'AeC con il Labaro dell'ANPd'I: la M.O.V.M. Stefano Paolicchi Caduto a Mogadiscio, era un Socio indimenticabile per la sua disponibilità verso il prossimo. Viene anche il padre dell'unica medaglia Medaglia D'Oro Pisana, Marco Betti comandante del G-222 abbattuto con tutto l'equipaggio a Sarajevo. Più tardi i nostri ragazzi del 9° Col Moschin distruggeranno e recupereranno una pala dell'elica donata al padre: formava un incivile totem posto dai Croati che li abbatterono con a bordo 5 tonnellate di coperte e nemmeno un temperino come arma.
Dovevano essere in tre, e sono già qualche decina; per competenza ed educazione bisogna avvisare L'ANPd'I di Genova, che risponde in massa rinunciando a quanto stava organizzando al Cimitero di Staglieno, cosi scoprono che non erano i soli. Per telefono i milanesi rispondono che si sono già organizzati in Piazza del Duomo così, d'accordo con Dario, decidiamo per un gemellaggio ideale fissando la cerimonie per la stessa ora.
Ma il "FOLGORE!" era stato lanciato su tutta la penisola , la risposta è stata unanime: tutte le generazioni di Folgorini d'Italia si sono unite e alle 18.30 hanno risposto insieme all'appello.
Ovunque era arrivato il "Folgore!" ,anche fuori dai confini - Sidney, N.Y., Madrid, Buenos Ajres, e nei Caraibi - ha ottenuto la medesima risposta: ricordiamo i nostri ragazzi! I paracadutisti rispondono all'infamia con l'unico modo che conoscono "racchiusi in quadrato fermissimo", con umiltà e stile di vita propri del Paracadutista.
Quel "FOLGORE!" senza alcuna paternità, mosso dal dolore e dallo sdegno, ha unito le generazioni di folgorini che quel giorno si sono strette nel difendere il ricordo dei nostri caduti e hanno recitato la Preghiera del paracadutista, come forse succedeva ai nostri leoni del deserto che cercavano la mano, lo sguardo o la parola amica nelle sabbie che segnarono il loro sacrificio ed eroismo.
Da allora il 2 luglio alle 18.30 non è cambiato nulla a San Michele Arcangelo di Pagana: c'è la messa, e il 29 settembre festa del patrono, la statua dell' Arcangelo è scortata dai Paracadutisti.
Oggi i Paracadutisti d'Italia recitano la loro preghiera, declamando a voce alta "in quell'angolo di cielo riservato a Santi, Martiri ed Eroi..."
Folgore!
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Serve a tutti noi, alle nuove generazioni ricordare quanto alto possa essere il prezzo pagato della PACE , un prezzo spesso pagato con il sacrificio di vite umane in silenzio, ancor più spesso obliato dalla memoria, soprattutto da coloro che trascendono alla violenza nelle piazze mascherandosi il viso, tradendo le loro intenzioni di dichiarati “pacifisti”, in tutto simili per credo e azioni a coloro che con animo assassino hanno procurato queste e altre simili carneficine.

Questi soggetti e i loro mandanti ancor più vigliacchi agiscono contro chi, per i propri ideali e disponibilità soprattutto al di la di ogni risibile potere, si e schierato dalla parte della Pace, di quanti sono nello stato del bisogno con umanità e intenti.
Gianbattista Colombo

argonauta@rainbownet.it

348 2284969








La sezione Paracadutismo, CSE Centro Sportivo Esercito, al completo di atleti e personale, riunita presso l'Aula didattica di Ae.C. Pisa dedicata al socio M.O.V.M. Stefano Paolicchi, ed ha ricordato i Caduti nello scontro a fuoco al Chek Point Pasta in Mogadiscio Somalia 2 luglio 1993


Capannoli, Aviosuperfice Valdera li 2 Luglio 2008