lunedì 16 giugno 2008

Domenica 15 giugno 2008 Vittorio Veneto apertura delle manifestazioni per il 90° della Vittoria.


I primi brividi li offrono i bersaglieri




Al via le celebrazioni per i 90 anni della vittoria della Grande Guerra: saranno duecento
Il raduno nazionale dell'Assoarma ha aperto ieri in forma ufficialmente più ampia le manifestazioni celebrative del 90. anniversario della fine della Grande Guerra conclusa con la vittoria di Vittorio Veneto. Sul palco oltre alla giunta quasi al completo, il procuratore Antonio Fojadelli, il presidente della provincia Leonardo Muraro, l'on. Maurizio Castro, il comandante del primo FOD gen. Mario Marioli, il consigliere nazionale dell'Associazione Bersaglieri Vezio Vicini che ha avuto il compito di tenere il discorso celebrativo, numerosi sindaci e altre autorità. Centro cittadino bardato a festa, tricolori quasi ovunque e una partecipazione discretamente numerosa: nel momento clou in piazza del Popolo e dintorni c'erano circa 5 mila presenti mentre le partecipazione dei vittoriesi è sembrata tiepida, ma siamo solo alle battute inziali di questo Novantesimo, che avrà l'appuntamento più importante ai primi di novembre con la presenza del Capo dello Stato. Il via con il lancio coreografico da 1500 metri di sei paracadusti, a seguire il passaggio a bassa quota di aerei d'epoca quindi le sfilate di artiglieri, alpini, bersaglieri e paracadutisti in gran parte provenienti dalle sezioni della Marca, in una cornice davvero splendida di gagliardetti, labari e striscioni tricolori dei gruppi schierati ai bordi della piazza. Intanto con consumata cadenza il cerimoniere pievigino Nicola Stefani scandiva i momenti più significativi del glorioso 1918, quindi i discorsi di protocollo del sindaco Scottà, del generale Marioli comandante del 1°. FOD, del presidente della Provincia Muraro e dell'on. Castro. Il generale bersagliere Vicini ha ricordato anche le figure delle medaglie d'oro vittoriesi Alessandro Tandura e Giacomo Camillo De Carlo. In chiusura applausi scroscianti, commozione e brividi per il concerto della fanfara dei bersaglieri dell'11. Reggimento di stanza a Orceano. Per il Novantesimo sono previste duecento manifestazioni, circa un quarto a Vittorio Veneto.




Giorgio Marenco





Il Gazzettino – cronaca di Treviso – 16.6.2008







COMANDO 8^ ARMATA
UFFICIO INFORMAZIONI






Ha fatto oggi ritorno dalla conquistata regione di Vittorio, ove si trovava in missione speciale da circa tre mesi, e si è presentato a questo Ufficio il Tenente TANDURA ALESSANDRO delle truppe d'assalto.

Ubbidendo ad uno spontaneo e generoso, slancio dell'animo, spinto unicamente da un sentimento di amor patrio, assalito da un magnanimo desiderio di compiere opera utile alla Patria, sia pure coll'olocausto di sè medesimo, in sui primi del decorso mese di agosto il Tenente TANDURA accettava di sua libera elezione di esperimentare un nuovo sistema di discesa dall'alto, e a mezzo di paracadute si faceva lanciare da un apparecchio in volo nella zona di Vittorio, ove atterrava mettendosi ali' opera alacremente per raccogliere dati e notizie sui movimenti, le dislocazioni, le intenzioni del nemico e per entrare in contatto coi vari nuclei di soldati ed Ufficiali nostri sottrattisi con la fuga alla prigionia e in massima dispersi e sbandati nelle terre invase durante il ripiegamento dell' Ottobre 1917.

Non l' arrestò, nell'audace divisamento, il pensiero delle enormi difficoltà da superare, dei pericoli estremi da vincere; chè anzi di questi ebbe ragione con indomita costanza ed intrepida fede, quelli affrontò con serena baldanza ed ammirevole slancio sfuggendo a ricerche, insidie ed inseguimenti.

Tratto in arresto per ben due volte, si pose in salvo, riacquistò la libertà e perseverando la sua opera riuscì non solo a creare al di là delle linee nemiche un importante centro d' informazioni per le truppe operanti ed inviare a mezzo piccioni viaggiatori notizie pre­cise e preziose sul nemico, ma a porsi in pari tempo, con pronta ed inesauribile arditezza a contatto coi vari nuclei di Ufficiali e soldati nostri dispersi per la regione, a riunirli, a riaccendere la fede e 9' entusiasmo, portando loro la parola di solidarietà della Patria vi­gile ed amorosa, riorganizzare le file e preparare gli animi ai supremi cimenti.
È da ascrivere in modo particolare a suo merito se l'Armata potè entrare in azione con la piena conoscenza delle Unitá che aveva di fronte e della loro dislocazione.
Tale feconda ed avveduta opera di preparazione egli seppe integrare mercè la più ardita ed oculata delle azioni, unendosi, allor­quando il movimento di ritirata delle truppe nemiche si fu delineato ed apparve in vista l'Esercito liberatore, alla testa delle schiere di ,ribelli, con essi insorgendo ed assalendo il nemico per poi offrire, in fine, i suoi servigi ai vari Comandi, fornire tutte le informazioni preziose che possedeva, agevolare ed assecondare le loro azioni.
Le vicende del Tenente TANDURA svoltesi in condizioni di estreme difficoltà, attraverso una lunga serie di sofferenze, di priva­zioni, di disagi, affrontati serenamente, con virile forza d'animo, senza iattanza, nel tripudio spirituale, che deriva a colui che ha la conoscenza di offrire tutto sè stesso al Paese, ben a ragione pos­sono paragonarsi ad una epopea, in cui la figura dell'eroico Ufficiale trasfigurata dalle stigmate degli stenti patiti, rifulge di vivida luce.
Ritiene pertanto lo scrivente abbia il Tenente TANDURA ben meritato dalla Patria. Questa, impersonata nel più puro dei suoi sim­boli, l' Esercito, in niun' altra più degna guisa potrebbe onorarlo, che tributandogli la massima, la più ambita delle onorificenze la medaglia d'oro, colla seguente motivazione

« Animato dal più ardente amor di patria, si offriva per compiere una missione estremamente rischiosa: da un aeroplano in volo, si faceva lanciare con un paracadute al di là delle linee nemiche nel Veneto invaso, dove, con alacre intelligenza ed indomito sprezzo di ogni pericolo, raccoglieva nuclei di Ufficiali e soldati nostri dispersi, e, animandoli con il proprio coraggio e con la propria fede, costituiva con essi un servizio d'informazioni che riuscì di preziosis­simo ausilio alle operazioni. Due volte arrestato e due volte sfuggito, dopo tre mesi di audacie leggendarie, integrava l'avveduta e feconda opera sua, ponendosi arditamente alla testa delle sue schiere di ribelli e con esse insorgendo nel movimento in cui si delineava la ritirata nemica, ed agevolando così l'avanzata vittoriosa delle nostre truppe. Fulgido esempio di abnegazione, di cosciente coraggio e di generosa intera dedizione di tutto sé stesso alla Patria ».

PIAVE ‑ VITTORIO VENETO, Agosto ‑ Ottobre 1918.

Propone inoltre che l' altissima ricompensa gli venga conferita per concessione immediata sul campo.

IL TENENTE COLONNELLO DI S. M.

CAPO DELL'UFFICIO INFORMAZIONI


F.to DUPONT

MEDAGLIA D'ARGENTO AL V. M.

AD EMMA PETTERLE DA VITTORIO VENETO
(Treviso)

« Con elevatissimo sentimento patriottico, rafforzatosi durante l'occupazione nemica, sfidando il pericolo gravis­simo d'essere scoperta e quindi esposta a gravi sanzioni, collaborava con un suo congiunto, Ufficiale del R. Esercito, calatosi nottetempo con paracadute, oltre le linee nemiche, per audace impresa di guerra, fornendogli assistenza ed aiuto con fede mai doma, fino al ritorno nella sua terra redenta delle truppe liberatrici.

VITTORIO VENETO, Novembre 1918

MEDAGLIA D'ARGENTO AL V. M.

AD EMMA TANDURA DA VITTORIO VENETO
(Treviso)

« Con elevatissimo sentimento patriottico, rafforzatosi durante l' occupazione nemica, sfidando il pericolo gravis­simo di essere scoperta e quindi esposta a gravi sanzioni, collaborava con un suo congiunto, Ufficiale del R. Esercito, calatosi nottetempo con paracadute, oltre le linee nemiche, per audace impresa di guerra, fornendogli assistenza ed aiuto con fede mai doma, fino al ritorno nella sua terra redenta delle truppe liberatrici.

VITTORIO VENETO, Novembre 1918
Le donne dei soldati: Eroiche protagoniste in guerra .







È morta l'eroica Lina, ultima portatrice carnica

TRIESTE. Alla presenza di parenti e amici, Trieste, città dove viveva dal 1939, ha salutato oggi (5 novembre 2005) l'ultima "portatrice carnica" della prima guerra mondiale, Lina Della Pietra, morta all'età di 104 anni. Nel corso della messa, è stato ricordato il «lungo cammino» compiuto da Lina, cavaliere di Vittorio Veneto e medaglia d'oro, che giovanissima saliva per chilometri sulle montagne del Friuli con la tipica gerla sulle spalle, per portare viveri e medicinali ai soldati in trincea. «Ora ‑ ha detto il parroco don Elio Toffoluti Lina è comparsa davanti a Dio con quella gerla, carica di tutto il bene che ha compiuto in vita, secondo la dinamica propria dei carnici».





Operaie: occupate in fabbriche di armi

Portatrici: di viveri, munizioni, portaferiti (le più note sono le "Portatrici Carniche"), ma erano eroicamente presenti ed attive su tutti i fronti.
Treviso: costruzione di campi trincerati




I 90 ANNI DELLA FINE DELLA GRANDE GUERRA



Sono passati ormai novant’anni da quel famoso 4 novembre in cui fu sancita la fine della Prima Guerra Mondiale, un evento che ha visto il suo epilogo cruento e glorioso proprio nelle nostre terre. Martedì la Provincia di Treviso ha presentato il calendario di eventi che si svolgeranno in tutto il territorio per celebrare la ricorrenza. In questa occasione, inoltre, è stata inaugurata la sezione visitabile della Galleria Vittorio Emanuele: la più grande fortificazione in quota del primo conflitto mondiale (oltre 5 km la galleria completa).
“Tra il 1917 e il 1918 la Marca trevigiana fu teatro di uno dei fronti più importanti della Grande Guerra: lungo il corso del Piave si scontrarono per la battaglia decisiva gli eserciti di Italia ed Austria-Ungheria e dei loro alleati. Numerose sono ancora oggi le tracce sul territorio trevigiano di quei tragici eventi, come mette in evidenzia anche il percorso provinciale “I Luoghi della Grande Guerra”. Un itinerario eco-museale che, oltre ai grandi mausolei, percorre i siti del Grappa, del Montello (luoghi scenario della “Battaglia d’Arresto”) e il corso del fiume Piave, segnalando testimonianze architettoniche come l’Abbazia di Follina o il Castello di San Salvatore a Susegana. La Provincia è da 10 anni che si sta impegnando sul tema della Grande Guerra. Abbiamo censito i circa 600 siti collegati al Primo Conflitto Mondiale: fortificazioni, trincee, sacrari, monumenti, epigrafi e altro. Stiamo portando avanti un progetto importante con il Calvados, proprio per valorizzare i luoghi della memoria bellica europea. E oggi in occasione del 90°, inauguriamo l’opera di pulizia e allestimento del tratto attualmente visitabile (800 m) della galleria Vittorio Emanuele, realizzata in collaborazione con l’Associazione Nazionale Alpini. L’anno scorso il senatore Stiffoni, che ringrazio, ha fatto approvare un emendamento che ha stanziato dei fondi dedicati eventi relativi alla Prima Guerra Mondiale, 9 milioni in 10 anni.” Queste le parole del Presidente della Provincia di Treviso, Leonardo Muraro.“Per entrare nel merito, il palinsesto degli eventi organizzati dal territorio per celebrare i 90 anni della fine della Grande Guerra è nutrito e interessante. Si tratta di oltre 160 iniziative, tra manifestazioni celebrative, rievocazioni, mostre di materiale fotografico e documentario e occasioni d’incontro e di approfondimento, ma anche pubblicazioni a tema, e non solo. Promuovere il pellegrinaggio nei luoghi della Grande Guerra, significa anche rafforzare i valori di una Comunità.” Ha detto il vice presidente della Provincia di Treviso, Floriano Zambon.L’Assessore provinciale ai Beni Culturali, Marzio Favero nel suo intervento incentrato sull’importanza del recupero dei siti d’interesse storico, in questo caso legati alla Grande Guerra, come ad esempio la Galleria di Vittorio Emanuele ha aggiunto che “il Grappa è un luogo sacro. Nella Galleria abbiamo cercato di dare un po’ di decoro. Accompagnano il percorso delle sagome di soldati in policarbonato trasparente. Aperta attualmente è solo una sezione di 800 m che comprende due batterie di 75/13 (da 4 cannoni ciascuna). La parte più alta della Galleria è una parte dell’ossario ipogeo che era stato realizzato, con una zona di loculi con resti dei caduti austriaci”.Il sindaco di Crespano del Grappa, Nico Cunial ha commentato che “Non c’è modo migliore per festeggiare l’imminente adunata nazionale degli Alpini, come inaugurare la Galleria Vittorio Emanuele. E per questo ringrazio la Provincia di Treviso”. Ai saluti si è aggiunto il luogotenente Diego D’Agostino, direttore del Sacrario Militare di Cima Grappa che ha ricordato che “i lavori effettuati in Galleria sono di notevole impatto visivo.” Inoltre il direttore dei lavori e referente A.N.A. del Consiglio Nazionale, Sebastiano Favero ha rammentato che numerosi Alpini hanno lavorato come volontari per preparare al meglio la galleria.Tra gli eventi in calendario spicca in particolare la mostra realizzata alla Gipsoteca di Antonio Canova a Possagno “La Bellezza violata. I danni della Grande Guerra sulle opere del Canova”; lo spettacolo di teatro-canzone regia di M. Artuso, “Il Piave Mormorava. 24 maggio 1918: novant’anni fa, sul Piave. Il sangue. La Grande Guerra”; la mostra fotografica “Il Trevigiano nella Grande Guerra” organizzata dal F.A.S.T. Foto Archivio Storico Trevigiano; la mostra documentaria realizzata dal Comune di Vittorio Veneto e dal Museo della Battaglia “La Vittorio della Vittoria 1917-1918”; “La Linea del Piave”- Concerti della Banda scozzese del London Scottish Regiment “The Pipes and Drums of the London Scottish”; il 90° Anniversario della Battaglia del Solstizio “In Memoria” a Nervesa; il monologo teatrale “Mato de Guera” di Mazzocato con Gigi Mardegan; la rievocazione e simulazione storica a Borgo Malanotte, il concerto della Filarmonia Veneta nell’ambito delle commemorazioni della Parrocchia di Cusignana; “La linea della memoria” a Treviso. Nell’ambito delle iniziative per le celebrazioni della Grande Guerra, la Provincia di Treviso ha realizzato poi, con l’Associazione Nazionale Alpini e l’Onor Caduti, un importante intervento di pulizia e allestimento di una sezione della galleria ‘Vittorio Emanuele’, con pulizia e sistemazione anche dei tratti di trincea a ridosso della stessa e con un restyling dei pezzi di artiglieria presenti.



Pubblicato da piave in data Giovedì, 08 maggio 2008




Da Rivista Aeronautica n° 6-2002

L’aviazione italiana nella battaglia dell’Ortigara

Estate 1917: il pensiero di chi conosce anche solo sommariamente le vicende di quella che per tutti è ancora la Grande Guerra corre alle rive dell'Isonzo ed alle pietraie del Carso, che proprio in quella lontana sta­gione videro il massimo sforzo mai prodotto dall'Esercito italiano, la cosiddetta battaglia della Bainsizza o 11^ batta­glia dell'Isonzo, ingaggiata e vinta nel mese di agosto. Ma quell'estate è anche l'estate dell'Ortigara, la montagna brulla, arida, inospitale assunta a simbolo del sacrificio della 6° Armata. Questo fu infatti il punto focale di una lotta di propor­zioni gigantesche, che nel mese di giugno vide impegnate centinaia di migliaia di uomini su posizioni che si sviluppavano a quote prossime ai 2.000 metri.
Il progetto di far precedere la prevista pode­rosa offensiva sull'Isonzo da un attacco spinto a fondo nella regione dell'Altopiano dei Sette Comuni era stato da tempo preso in considera­zione dal Comando Supremo italiano. Nel novembre 1916, la formazione di una nuova Armata, la 6^, costituita sulla preesistente strut­tura del Comando Truppe Altopiano, era stata decisa con l'intenzione non solo di sottolineare la specificità e l'importanza strategica di quel settore del fronte, ma anche di creare lo stru­mento con cui portare a compimento l'azione controffensiva parzialmente fallita tra il giugno e il luglio 1916, e impedita poi in autunno dal­l'inclemenza della stagione. Con la riconquista del bastione naturale rappresentato dalla dorsa­le di Cima Portule sarebbe stata allontanata una volta per tutte la minaccia incombente sulla pianura veneta, ripristinando in sostanza la situazione preesistente alla Strafexpedition, la "spedizione punitiva", che nel maggio 1916 aveva fatto correre all'Italia un gravissimo pericolo.
La zona interessata dalle operazioni, limitata a nord dal ciglio settentrionale dell'Altopiano dei Sette Comuni, a ovest e a sud‑ovest dal costone di Portule e dal basso corso dell'Assa, è una regione impervia, povera di acqua, con una vegetazione sempre più rada man mano che si procede verso nord, percorsa all'epoca da poche e malagevoli mulattiere ed ancora oggi lontana dalle grandi vie di comunicazione. Dalla catena di aspre cime strapiombanti sulla Val Sugana si staccano in successione, andando da oriente verso occiden­te, quattro massicci contrafforti che degradano lentamente verso sud in direzione di Asiago. Sul secondo di questi, identificabile con l'allineamento monte Ortigara‑monte Zebio, correva la prima linea austriaca le cui tracce sono ancora ben evidenti. Si trattava di una serie di robuste trin­cee scavate nella roccia e scaglionate in profondità, protet­te da profonde fasce di reticolato e munite di numerosi appostamenti in caverna per mitragliatrice.
Con queste premesse l’”azione difensiva uno", come fu convenzionalmente indicata l'operazione affidata alla 6^ Armata del generale Mambretti, richiese innanzitutto uno sforzo logistico notevolissimo, con la creazione dal nulla di strade, teleferiche, acquedotti, baraccamenti e depositi. Fu poi necessario il concentramento nella regione di trup­pe ed artiglierie in misura tanto maggiore quanto più il pre­visto fronte d'attacco si andava estendendo verso sud, arrivando da ultimo ad includere anche il settore di monte Zebio. Nella sua formulazione finale il piano di operazioni prevedeva: ‑ un'azione principale lungo il fronte di quasi 14 chilome­tri tenuto dal XX e dal XXII Corpo d'Armata tra il corso dell'Assa e Cima Caldiera, con due distinte zone d'irruzio­ne delle fanterie in corrispondenza di monte Zebio a sud e di monte Ortigara a nord;
- un'azione concorrente affidata all'ala destra del XXVI Corpo d'Armata, diretta principalmente verso l'altura di monte Rasta; ‑ un'azione sussidiaria in Val Sugana, con cui il XVIII Corpo d'Armata avrebbe dovuto richiamare l'attenzione dell'avversario e fiancheggiare l'avanzata del XX schierato alla sua sinistra.
Con otto divisioni in prima schiera e tre di riserva la 6a Armata poteva contare su 164 battaglioni e 1.072 pezzi d'artiglieria, ai quali si aggiungevano 569 bombarde e le bocche da fuoco a tiro curvo ed a corta gittata utilizzate per distruggere i reticolati e battere le prime linee. Dal momento che il III Corpo d'Armata austro‑ungarico disponeva in totale di 51 battaglioni e di circa 400 cannoni veniva dunque a concretizzarsi una superiorità di tre a uno. Considerata l'estensione del fronte d'attacco, si aveva una densità teorica di una bocca da fuoco ogni nove metri, la massima mai realizzata sul fronte italiano che alla prova dei fatti si rivelò, però, addirittura inadeguata a risolvere il problema posto dal terreno roccioso e dalla conseguente solidità delle fortificazioni campali.


La preparazione dell'aviazione italiana

Il potenziamento della 6^ Armata incluse un consistente rafforzamento della sua componente aerea. Questa era costituita dal VII Gruppo Aeroplani agli ordini del maggiore Costanzi che, dopo la riorganizzazione dell'aviazione italiana attuata in maggio, comprendeva la 79^ Squadriglia da caccia su Nieuport e la 32^ e 49^ Squadriglia da ricognizione e osservazione, cosiddette di corpo d'armata, montate su Farman e Caudron G.3. A queste se ne sarebbe dovuta affiancare una terza, la G - 3, che però stava ancora effettuando la transizione sui nuovi Savoia‑Pomilio S.P.3. Delle due squadriglie di corpo d'armata, specialità tuttofare i cui compiti di ricognizione tattica, direzione del tiro e collegamento con la fanteria erano vitali nella guerra di trincea, la sola 49a, che pure doveva affrontare una difficile situazione per la bassa efficienza dei velivoli Caudron, dava ampie garanzie in termini di preparazione e di esperienza, mentre l'altra aveva solo da poco iniziato l'addestramento specifico. Per portare i mezzi aerei della 6^ Armata ad un livello qualitativo e quantitativo adeguato vennero perciò assegnate al VII Gruppo squadriglie e sezioni esperte del servizio di corpo d'armata e soprattutto già addestrate a operare in favore dell'artiglieria, temporaneamente sottratte alla 1^ ed alla 4^ Armata o richiamate dal fronte dell'Isonzo. Fu poi necessario provvedere al completamento delle reti telefoniche per l'aviazione, canale vitale di comunicazione tra i campi delle squadriglie, le stazioni radiotelegrafiche, i comandi delle grandi unità e dei reparti d'artiglieria, il che poté essere fatto rapidamente grazie all'intelaiatura già esistente. Il 5 giugno il comando della 6^ Armata, mentre si stava completando l'afflusso delle unità di rinforzo, ripartiva così le squadriglie di corpo d'armata tra le grandi unità dipendenti:

‑ 49^ Squadriglia (Nove di Bassano), su tre sezioni, due di G.3 e una di Farman Colombo, rinforzata da una sezione di bimotori Caudron G.4 della 44^, al XX Corpo d'Armata;

‑ 32a Squadriglia (Nove di Bassano), su tre sezioni Farman Colombo al XXII Corpo d'Armata;
‑ 50^ Squadriglia (Trissino), su due sezioni Farman Colombo, al XXVI Corpo d'Armata;
‑ 2^ Sezione della 48^, su G.4, e la Sezione della 113^, su SAML (Feltre), al XVIII Corpo d'Armata;‑ 24^ Squadriglia (Casoni), su tre sezioni S.P.2, a disposizione del Comando d'Armata per ricognizioni in profondità, o d'armata, secondo la terminologia dell'epoca.
Per quanto riguarda le altre specialità alle dirette dipendenze del Comando d'Aeronautica d'Armata, per il servizio di crociera e di caccia, erano poste le squadriglie del X Gruppo e in particolare la 78^ e la 91^ che si trasferivano il 6 giugno a Istrana col comando di gruppo, unendosi alla 79^ già presente su quel campo, mentre agli ordini del Comando Supremo rimanevano i trimotori Caproni dei Gruppi da bombardamento IV ed XI, il che fissava in 145 il totale dei velivoli pronti ad intervenire.
A disposizione della 6^ Armata era infine il VI Gruppo Sezioni Aerostatiche Autocampali del maggiore Barbariti, costituito il 9 maggio con le Sezioni la, 5^ e 6^, equipaggia­te ciascuna con un pallone da 1.200 m3 e dislocate rispetti­vamente a Granezza, a monte Lisser e a monte Faraoro. Agli aerostieri, altra specialità caratteristica della guerra di posizione, era affidato il compito di dirigere l'azione del­l'artiglieria, integrando quella dei velivoli e degli osserva­tori a terra, sorvegliare lo sviluppo dei lavori di fortifica­zione, segnalare movimenti di truppe in prossimità della prima linea.
Il 7 giugno il comandante dell'aeronautica dell'armata, maggiore De Masellis, provvide a diramare disposizioni dettagliate per l'impiego dei mezzi aerei assegnati ai corpi d'armata. L'accento veniva anzitutto posto sulla necessità di eseguire preventi­vamente, nei giorni che ancora mancavano all'inizio della batta­glia, tiri di inquadramento sui ber­sagli non visibili dai palloni o dagli osservatori a terra, ciò anche allo scopo di facilitare l'affiatamento con le batterie, puntando ad elimi­nare gli inconvenienti inevitabili nella cooperazione tra reparti di diversa provenienza. Durante il bombardamento preparatorio d'arti­glieria i velivoli avrebbero dovuto seguire l'andamento generale del tiro sugli obiettivi assegnati ai diversi raggruppamenti di batterie, documentandone fotograficamente i risultati nelle pause e all'atto dell'allungamento del tiro, rientrando quindi subito ai loro campi per dar modo di sviluppare le lastre e trasmettere in tempo utile le copie stampate ai comandi interessati. Dopo lo scatto delle fanterie, compito primario diventava, invece, localizzare le batterie nemiche in azione e regolare su di esse il tiro di controbatteria. Per ottimizzare l'impiego dei mezzi di osservazione e non logorare inutilmente i velivoli, sulle carte utilizzate dalle squadriglie dovevano essere chiaramente indicate le zone visibili solo dall'alto e su que­ste doveva concentrarsi l'attenzione. Tutti gli aeroplani incaricati dell'osservazione e della direzione del tiro ave­vano poi l'ordine di segnalare tempestivamente, via radio, ogni movimento o concentramento di truppe nemiche.
Per coordinare l' azione dell'artiglieria con quella della fanteria e per aggiornare i comandi sullo sviluppo dell'at­tacco, De Masellis giudicava della massima importanza rilevare fotograficamente la linea raggiunta dalla fanteria. A tal scopo, ai reparti attaccanti erano state distribuite banderuole a triangoli bianchi e rossi da esporre per segnalare le posizioni successivamente occupate. Ai velivoli del VII Gruppo era infine richiesto di concorrere alla soluzione del problema del collegamento tra unità adiacenti, già manife­statosi con chiarezza nelle offensive carsiche e reso più dif­ficile dalle caratteristiche dell'ambiente alpino. Da ciò il compito di informare i reparti avanzanti della situazione ai loro fianchi con il lancio di messaggi.
Le comunicazioni radiotelegrafiche dei velivoli dovevano essere raccolte dalle stazioni riceventi di Cima di Fonte per il XXVI Corpo d'Armata, di Stenfle per il XXII, di monte Levre per il XVIII, mentre alla ricezione delle trasmissioni degli aeroplani della 49° Squadriglia, sul fronte del XX, erano destinate le tre stazioni di monte Fiara, Spitz Cheserle e Malga Fossetta.
Per facilitare lo smistamento delle comunicazioni, il 4 giu­gno furono creati due posti di accentramento e raccolta notizie, operanti l'uno per il XX Corpo d'Armata, l'altro per il XXII ed il XXVI. Erano situati a Passo Stretto, pres­so l' 11° Raggruppamento d'Artiglieria d'Assedio ed a monte Naso, presso il 4°, in considerazione delle comuni­cazioni telefoniche già esistenti e dell'organizzazione pre­disposta per il tiro di controbatteria, e affidati a ufficiali osservatori distaccati dalle squadriglie. Ai due centri dove­vano affluire sia le segnalazioni dei velivoli sia le notizie di altra fonte (osservatori a terra e palloni) per permettere la costruzione di un quadro generale della situazione in base al quale i comandi potessero orientare le loro decisio­ni. Ai fini dello sviluppo dell'azione di controbatteria e di quella di interdizione, particolare importanza aveva la tem­pestiva segnalazione ai raggruppamenti delle batterie nemi­che attive e dei movimenti di truppe.
Un ordine di operazioni del Comando d'Aeronautica d'Armata (n. 69 del 9 giugno) dettava anche le linee guida per la 24^ Squadriglia, cui veniva richiesto di "conoscere i movimenti che si compiono nelle immediate retrovie del fronte di attacco (Caldiera‑monte Colombara‑monte Rasta)" tenendo sotto controllo "le vie che da Val d'Assa conducono ad esso". Il giorno prima, con l'ordine di opera­zioni n. 62, De Masellis aveva invece diramato le direttive per un'azione di bombardamento da compiersi a cura delle squadriglie Caproni con il concorso dei velivoli dei reparti da ricognizione e da caccia. Veniva previsto l'intervento di tre diverse formazioni in una data indicata come "giorno X"*e ad orari non ancora precisati. Della prima avrebbero dovuto far parte i trimotori Caproni Ca.450 dell'8a, IOa, 13a e 14a Squadriglia, cinque Farman della 32aa e tre SAML
della 1134; della seconda i Caproni della 5a e 9a Squadriglia del III Gruppo e tre Farman della 50a; della terza i Caproni della la, 2a, 4a e 15a Squadriglia, sei velivoli della 241 e cin­que della 49°. Gli obiettivi indicati erano la sella di monte Rovere, importante nodo stradale e centro di raccolta e smistamento per uomini e materiali, le stazioni ferroviarie ed i depositi di Levico e di Caldonazzo, le strade di Val Galmarara e Val Portule, le batterie di monte Erio e Cam­polongo. Si intendeva così proseguire sulla strada aperta dagli attacchi sulle immediate retrovie e sulle artiglierie del nemico eseguiti in maggio sull'Isonzo. E' da sottolineare in proposito che se questa forma di intervento nelle opera­zioni terrestri poteva ancora essere considerata innovativa sul fronte italiano, così non era nel più vasto quadro del conflitto, dal momento che era stata inaugurata dai britan­nici sulla Somme già nel luglio 1916.
La giornata del IQ giugno
In accordo alle direttive, nei primi giorni di giugno furo­no eseguiti tiri di inquadramento con il concorso dell'aero‑
plano, in particolare nel settore
della 49a Squadriglia, ma il mal­tempo, che imperversò sull'Alto­piano al punto da impedire del tutto l'attività di volo il 5 e il 9 giugno, non permise ai Farman ed ai Caudron di dare lo sviluppo desiderato alla loro azione. Non meno penalizzate furono le altre squadriglie di corpo d'armata, impegnate in ricognizioni foto­grafiche e a vista, e le sezioni aerostatiche, impossibilitate a far alzare i palloni. Sarà questa una caratteristica dominante delle operazioni che i diari storici delle unità registrano con puntualità, raccontando quasi quotidiana­mente di sortite infruttuose per l'impossibilità di raggiungere il settore assegnato o per la difficoltà di individuare obiettivi
nascosti dalla nebbia e dalle nuvole.
Dopo un rinvio di 24 ore imposto dalle pessime condi­zioni atmosferiche, alle ore 5.15 del 10 giugno il simulta­neo tuonare delle artiglierie schierate in un immenso arco dal monte Cengio alla Val Sugana dava inizio alla batta­glia. La visibilità, discreta al mattino, andò progressiva­mente peggiorando, fino a diventare quasi nulla nel pome­riggio. La pioggia ed un violento temporale scatenatosi verso mezzogiorno, rendendo difficile l'osservazione del tiro, ostacolarono l'azione dell'artiglieria, che fu quindi prolungata fino alle 15.00, quando le truppe mossero all'at­tacco su tutto il fronte, inerpicandosi con decisione sulle ripide pendici dei monti, urtando quasi ovunque invano contro le ancor salde difese austro‑ungariche. 1 risultati del (in apertura) Il Ca.3, biplano trimotore con il quale vennero formate le più famose squadriglie da bombardamento. (nella pag. a fianco) «Per non dimenticare, così recita la colonna eretta a quota 2.105 m di monte Ortigara. (sotto) Un Farman F.5b da ricognizione armato di mitragliatrice brandeggiabile posta sulla prua della carlinga manovra­ta dall'osservatore. Fu usato anche in azioni da bombardamento. (in basso) Un Caudron G.3, accuratamente restaurato, vola con i colori dell'aviazione francese.

bombardamento erano stati infatti di gran lunga inferiori al previsto: in molti punti i reticolati erano rimasti intatti o quasi e pochi danni avevano subito le trincee scavate nella roccia. L'avversario, a conoscenza del piano e del giorno dell'azione, non tardò ad iniziare un violento tiro di sbarra­mento che contribuì ad arrestare l'attacco, impedendo l'af­flusso dei rincalzi e ricacciando gli attaccanti sulle linee di partenza. Nel complesso la giornata si chiuse con un mode­sto vantaggio all'estrema destra del XX Corpo d'Armata, dove gli alpini della 52a Divisione erano riusciti a caro prezzo a prendere e a mantenere le importanti posizioni del Passo dell'Agnella, di quota 2.003 e 2.101 metri. Quel giorno sul fronte degli altopiani entrarono in azione 141 velivoli: 32 Caproni, 53 ricognitori, 56 caccia.
Per quanto riguarda le squadriglie di corpo d'armata, la 49a, nell'intento di garantire con continuità il servizio di osservazione e sorveglianza, si era preparata per lanciare i propri velivoli ad intervalli regolari di due ore, ma questo fu possibile solo per i primi tre in quanto alle ore 11.00 l'attività di volo dovette essere sospesa. Più a sud, non diverse furono le vicende della 32a e della 50° Squadriglia. Quest'ultima, operante nel settore monte Erio‑monte Spit­Monte Rasta, riuscì a seguire l'andamento generale del tiro, con particolare attenzione per la sua efficacia in corrispon­denza dei punti stabiliti per l'apertura dei varchi. Sceso a qualche centinaio di metri sulle posizioni avversarie, uno dei suoi velivoli riuscì anche a
richiedere via radio un nuovo concentramento di fuoco su trincee e camminamenti ancora intatti nel tratto di linea pre­scelto per 1' attacco su monte Rasta. Una lodevole eccezione, dal momento che altri osserva­tori, invece che affidarsi alla radiotelegrafia, preferirono rientrare e comunicare le loro informazioni per telefono, con i ritardi che questa scelta inevi­tabilmente comportava.
Come previsto, aeroplani della 6a Armata, fiancheggiati da quelli dei gruppi da bombar­damento e da velivoli del III e IX Gruppo, e protetti dai cac­ciatori del X e delle Squadri­glie 71 ° e 75", attaccarono ripe­tutamente le retrovie avversa­rie. Furono lanciate oltre quat­tro tonnellate di esplosivo, nonostante gli abituali problemi
di efficienza dei motori e che neb­bia, nubi e pioggia avessero obbligato ben 20 Caproni a rientrare prima di aver raggiunto l'obiettivo. Fu comunque impossibile ottenere l'auspicata concentrazione degli attac­chi e gli effetti non furono perciò pari alle attese. Alle 9.15, 1'X1 Gruppo lanciò da Aviano dodici Caproni, ai quali si unirono sei SAML della 73° Squadriglia del IX Gruppo,
con obiettivo la stazione ferroviaria di Caldonazzo ed il nodo stradale di monte Rovere. Due trimotori dovettero subito rientrare per il cattivo funzionamento dei motori ed altri due li seguirono ben presto, non essendo riusciti ad individuare alcun bersaglio nella fitta coltre di nuvole che copriva l'Altopiano. I restanti, operando isolatamente, riu­scirono a sganciare il loro carico di 12 granate‑torpedini da
(in basso) La prua di un biplano Ca.36. L'arrivo di questi velivoli al fronte, nella primavera del 1917, consentì di effettuare numerose mis­sioni di grande impatto bellico. (.sotto) Primo piano di un Ca.3 modifi­cato, noto anche come Ca.450. (nella pag. a fianco) Rara immagine di un Ca.300 in volo. Gli abitacoli completamente scoperti rendevano necessaria un'accurata protezione degli equipaggi con pesanti indu­menti di lana e tute di volo in pelle.

260 o 162 mm ciascuno, sia sugli obiettivi previsti, sia soprattutto su bersagli di opportunità a Caldonazzo, Luser­na e Vigolo Vattaro, individuati di sfuggita negli squarci tra le nuvole, senza poter verificare gli effetti dei loro attacchi. Nella tarda mattinata, approfittando di un momentaneo miglioramento della situazione meteorologica, fu la volta delle squadriglie Caproni 5a e 9, che, rispettivamente con due e tre velivoli, scortati da tre Nieu­port della 711 e tre della 751, bombardarono l'una le testate della Val Galmarara e della Val Portule, l'altra le postazioni d'artiglieria ed i baraccamenti di monte Erio e monte Campolon­go. Ad esse si accompagnarono sette S.P. della 31a Squadriglia, pure del III Gruppo, che lancia­rono nella zona Galmarara‑Por­tule 28 bombe da 90 mm, sei SAML della 112° e sei Nieuport della 71 1 che incrociarono sulle linee, portandosi a mitragliare colonne di truppe e carreggio in movimento sulle strade della Val d'Assa e della Val Galmara­ra. Più sfortunata l'azione dei Caproni del IV Gruppo, decollati dai campi di La Comina e Campoformido a partire dalle 15.40. I 15 velivoli furono sorpresi da una violenta pioggia non appena raggiunto il Piave e si videro quindi la strada sbarrata da una parete compatta di dense e nere formazioni temporalesche alta non meno di 5.000 metri, trovandosi così costretti a inverti­re la rotta prima ancora di raggiungere la zona degli obiet­tivi. Delle squadriglie di corpo d'armata del VII Gruppo solo la 50a, oltre a svolgere i propri specifici compiti, fu in grado di concorrere con qualche efficacia all'azione offen­siva: nel primo pomeriggio tre dei suoi Farman, armati ognuno con tre granate torpedini da 130 mm, bombardaro­no i baraccamenti alla confluenza tra la Val Galmarara e la Val d'Assa. A1 rientro, nell'atterrare fuori campo per un guasto al motore, uno dei velivoli rompeva il carrello. A un atterraggio di fortuna presso Arsiero fu costretto, peraltro senza gravi conseguenze, anche un Ca.450 della 2aa Squa­driglia, mentre non si ebbero più notizie di un Caproni della 51 (equipaggio ten. osservatore Federico Caneva, pilo­ti s.ten. Max Arici e s.ten. Emilio Lodesani, mitragliere caporale Romeo Betteghella), la cui sorte non poté essere chiarita neppure a seguito dei messaggi di richiesta che il giorno 15, secondo una prassi diffusa tra gli aviatori, furo­no lanciati sui campi d'aviazione austro‑ungarici di Gardo­lo e di Pergine da un aeroplano della 31a Squadriglia. E' probabile che la sua missione si sia conclusa tragicamente per un incidente di volo, forse dovuto al maltempo, dal momento che l'aviazione avversaria fu pressocchè assente, e i rapporti riferiscono di un tiro antiaereo scarso e male aggiustato.


Si tenta ancora
Le pessime condizioni atmosferiche impedirono qualun­que attività aerea nei due giorni successivi, e anche a terra, esauritosi il giorno 11 un nuovo tentativo del XX Corpo d'Armata, l'azione venne temporaneamente sospesa. Ripre­se le operazioni, la giornata più intensa per le ali tricolori fu quella del 14 giugno, anche per l'insolita attività dell'a­viazione austro‑ungarica, ormai da tempo costretta alla
difensiva su tutto il fronte dal rapido potenziamento di quella italiana. Per i cacciatori del X Gruppo si interruppe così la monotonia del servizio di sbarramento. Le pattuglie in crociera tra Borgo e Tresch, sostennero sette combatti­menti aerei, riuscendo a intercettare e a ricacciare la quasi totalità dei velivoli crociati di nero che tentarono di passare le linee. Due di questi furono abbattuti dal sergente Nardini della 78a nella regione di Portule ed in prossimità della dorsale dell'Armentera, un terzo visto scendere in picchiata dietro il monte Verena, fu considerato una probabile vitto­ria del caporale Nicelli della 79°. Altri due vennero dan­neggiati in misura tale da essere costretti a precipitosi atterraggi entro le loro linee. Così protetti, i reparti del VII Gruppo portarono a termine nove sortite di ricognizione in campo tattico e cinque in campo strategico, queste ultime a opera degli S.P. della 24a Squadriglia. Un SAML della 113x, pilotato dall'aspirante Filippo Rossi con osservatore il tenente Ugo Negri, fu abbattuto dal tiro antiaereo sul fronte del XXVI Corpo d'Armata. Era questo il terzo veli­volo caduto oltre le linee durante la battaglia dell'Ortigara: prima del Caproni della 5a Squadriglia non rientrato dall'a­zione del 10, era andato perduto il SAML n. 2436 (osser­vatore s.ten. Vitale Blasi, pilota serg. magg. Carlo Balbo), costretto ad atterrare in territorio nemico il 5 giugno duran­te una ricognizione su Levico e Caldonazzo.
Superate le incertezze iniziali, il servizio di osservazione aerea venne svolto dalle squadriglie di corpo d'armata con largo impiego della radiotelegrafia, concorrendo efficace­mente alla preparazione della seconda fase della battaglia, che ebbe inizio alle ore 8.00 del 18 giugno. Questa volta il bombardamento dura 25 ore ed è il preludio che consente alla 521 Divisione di impadronirsi di slancio della sommità dell'Ortigara (quota 2.105 m). Sul resto del fronte l'attacco fu, però, ancora una volta inesorabilmente bloccato, ed anche il tentativo di allargare la breccia aperta dalla 521 Divisione venne frustrato dall'esistenza di una seconda, altrettanto munita, linea di trincee sul rovescio dell'Ortiga­ra, dal peggiorare del tempo, che impedì all'artiglieria di sostenere un'ulteriore avanzata e dalla stanchezza delle truppe. Gli aerei delle squadriglie di corpo d'armata, e soprattutto quelli della 4T', parteciparono
alla battaglia sorvegliando le linee di comuni­cazione e prov­vedendo, nei limiti del possi­bile, all'osser­vazione del tiro. Prima dell'ine­vitabile e con­sueto peggiora­mento pomeri­diano, quasi tutta 1' aeronautica del Trentino è comunque in volo per accompagnare l'attacco degli alpini e della fanteria.
E' stato possibile rintracciare un quadro riassuntivo del­l'attività aerea del 19 giugno, che con lo scarno ma effica­ce linguaggio dei numeri è di per sé sufficiente a eviden­ziare l'entità dello sforzo compiuto. Le relazioni dei gruppi e delle squadriglie permettono poi di aggiungere qualche significativo dettaglio e di correggere alcuni errori della tabella. All'azione presero parte in tempi successivi 30
Caproni, 54 velivoli da ricognizione e 61 da caccia, rove­sciando sulle retrovie avversarie più di cinque tonnellate di esplosivo: 315 granate‑torpedini da 162 mm e 85 da 130 e 90 mm, le prime da parte dei Caproni, le seconde a opera delle squadriglie d'armata e di corpo d'armata. Nella prima mattinata il lII Gruppo inviò cinque Caproni (due della 5a, uno dei quali subito rientrato per un guasto a un motore, e tre della 9a Squadriglia), scortati da otto Nieuport della 71a e della 75a Squadriglia, sei SY.3 della 31 a e tre Farman della 50a, a bombardare la zona Portule‑Galmarara‑Gherte­le, dove furono lanciate 48 bombe‑torpedini da 162 mm, 20
da 90 mm e nove da 130 mm. Contemporaneamente sei SAML della 112a si portarono a bassa quota sulla strada della Val d'Assa per mitragliarvi colonne in marcia.
1 13 Ca.450, lanciati dal IV Gruppo alle 9.20, attaccarono la zona logistica di Campo Gallina, pur parzialmente nascosta da nubi basse e vaganti, sganciando un totale di 156 granate‑torpedini sui suoi baraccamenti e su altri ber­sagli similari in Val Portule ed in Val Sugana. La formazio­ne dell'XI Gruppo, composta da dodici Caproni, decollata alle 10.45, persi subito due velivoli costretti a ritornare alla base per noie ai motori, attaccò con nove macchine la loca­lità Albergo del Ghertele in Val d'Assa, sede di comandi e depositi, e baraccamenti presso Casare Larici, lanciando 99 granate‑torpedini, mentre un decimo trimotore, non riu­scendo a trovare l'obiettivo, sganciò i suoi dodici ordigni su monte Rovere. All'azione dei Caproni parteciparono sette SAML della 73a Squadriglia, uno dei quali, n. 2447, pilotato dal ten. Giorelli con l'allievo osservatore ten. Udine, al rientro dalla missione fu costretto ad atterrare presso Forte Procolo, a Verona, per un improvviso arresto del motore, sfasciandosi nella manovra ma senza danni per l'equipaggio. Le condizioni atmosferiche e la visibilità, ancora una volta poco favorevoli per la presenza di foschia e nubi, non permisero ai Caproni di portarsi in formazione compatta sugli obiettivi, ma i risultati furono comunque giudicati soddisfacenti dagli equipaggi che riferirono di aver potuto vedere numerose bombe colpire i bersagli. Buono il servizio di scorta fornito dal X Gruppo, con tredi­ci apparecchi alla prima formazione e dieci alla seconda, poco intenso ma ben aggiustato il tiro controaereo, che danneggiò leggermente quattro Caproni del IV e tre dell'XI Gruppo.
A1 termine della giornata, che aveva visto impegnati in azioni di bombardamento anche altri 15 velivoli delle squadriglie del VII Gruppo, erano stati sostenuti in tutto 16 combattimenti aerei, e la 24a Squadriglia poteva dichiarare un probabile abbattimento. Di contro, un Savoia‑Pomilio della 31 d, intervenuto a sostegno di un SAML della 112x, attaccato da un caccia avversario, fu danneggiato tanto gra­vemente da dover poi essere dichiarato fuori uso. Sempre in combattimento aereo, il Farman della 50d Squadriglia pilotato dall'aspirante Amedeo Mecozzi, con osservatore il sottotenente Mazzocchini, impegnato con altri due velivoli del reparto nel bombardamento della strada della Val d'As­sa, viene attaccato presso Ghertele da due caccia nemici. Disimpegnatosi a fatica, con l'aeroplano colpito da 19 proiettili di mitragliatrice, l'equipaggio riesce a ripassare le linee, ma a causa dell'arresto improvviso del motore è costretto a un rovinoso atterraggio fuori campo a Santorso, presso Schio.
Nei giorni seguenti, mentre sul terreno si tenta di conso­lidare l'occupazione dell'Ortigara, l'attività aerea diminui­sce d'intensità. Sospese le azioni di bombardamento, conti­nuano le crociere di protezione dei cacciatori e si susseguo­no regolari le sortite dei velivoli delle squadriglie di corpo d'armata. In questo scenario di calma apparente, il 24 giugno è un Farman della 32V Squadriglia a vivere una brutta avventura. Men­tre l'osservatore, tenente Ugo Cal­dart, è sul punto di iniziare la ripresa fotografica della zona monte Zingarella‑Bocchetta Portu­le, l'aereo è investito in pieno dal­l'esplosione di un proiettile a shra­pnels. Colpito il timone destro, asportata una pala dell'elica, rotto l'alettone superiore destro e con la pedaliera resa inservibile, il pilota, caporale Antonio Caudullo, riesce a mantenere il controllo della mac­china e a dirigersi in qualche modo verso Asiago, effettuando un atterraggio di fortuna in loca­lità Capitello Pennar. E' il secondo velivolo perso dalla squadriglia al rientro da una missione di rico­gnizione e direzione tiro, un altro Farman, vittima questa volta di un guasto al motore, aveva dovuto atterrare in emergenza presso Bertigo, sfasciandosi sul terreno acciden­tato.
Conclusioni e bilanci
La conquista dell'Ortigara avrebbe potuto consegnare alla 61 Armata il grimaldello con cui scardinare l'intera organizzazione della difesa e sul momento i comandi austro‑ungarici temettero davvero di aver perso la partita e di dover sgombrare l'Altopiano per ripiegare sulle posizio­ni da dove aveva preso le mosse la Strafexpedition. Da parte italiana vennero però a mancare lo slancio e l'inizia­tiva necessari, forse anche per la stanchezza ed il naturale esaurimento causati dai reiterati sforzi dei giorni preceden­ti. Falliti, per la forte resistenza incontrata, i tentativi di spingersi in profondità, le truppe della 52a Divisione ebbe­ro l'ordine di rafforzarsi sulle posizioni raggiunte, una nuda pietraia battuta dai tiri concentrici dell'artiglieria avversaria. Vi sarebbero rimaste per cinque giorni finché, nelle prime ore del 25 giugno, un improvviso attacco, abil­mente condotto da truppe scelte e preceduto da un breve ma violentissimo bombardamento, permise al nemico di impadronirsi di nuovo della quota contesa. A nulla valsero i ripetuti contrattacchi effettuati con una tenacia ed uno spirito di sacrificio divenuti leggendari da reparti già dura­mente provati. L'Ortigara era perduta ed il giorno 29, quando era stata presa la decisione di sospendere definiti­vamente l'azione, dovettero essere abbandonati anche gli ultimi appigli tattici di quota 2.003 e Passo dell'Agnella, ripiegando ovunque sulle posizioni di partenza.
Le perdite italiane nell'arco della battaglia ammontarono a più di 25.000 uomini, dei quali oltre la metà tra i ranghi della 52a Divisione, a riprova della durezza della lotta e di un senso del dovere spinto agli estremi limiti. Il 111 Corpo d'Armata austro‑ungarico doveva dal canto suo lamentare la perdita di circa 9.000 uomini, per la maggior parte appartenenti alla 6a Divisione impegnata sull'Ortigara.
La battaglia si concluse dunque con un sanguinoso insuc­cesso le cui ragioni, al di là dell'impossibilità o dell'inca­pacità di sfruttare il momento favorevole presentatosi il 19 giugno, possono essere ricercate nelle sfavorevoli condizio­ni atmosferiche, che influirono in modo negativo sull'effi­cacia del tiro delle artiglierie ed ostacolarono l'orientamen­to ed il collegamento dei reparti attaccanti, nelle difficoltà frapposte dal terreno, sfruttate con 1' abituale maestria dal­l'avversario, ed in una preparazione d'artiglieria che, per quanto massiccia, non fu sufficiente. Le formidabili posi­zioni dell'Ortigara avrebbero infatti richiesto un bombarda­mento più prolungato e soprattutto più preciso, come prova il parziale successo dell'attacco del giorno 19, per il quale la preparazione ebbe una durata più che doppia rispetto al 10 giugno. L"`azione difensiva uno" venne così ad essere altro momento di quella tragica e terribile guerra di logora­mento che, facendo del conflitto una sorta di gigantesco assedio, costellato di episodi tanto sanguinosi quanto privi di risultati sostanziali, avrebbe comunque finito col deter­minare il crollo degli Imperi Centrali.
Per quanto riguarda le operazioni aeree, la battaglia del­1'Ortigara confermò la superiorità dell'aviazione italiana, la cui attività fu ostacolata più dal maltempo che dall'avver­sario. Non si può però dimenticare che ciò fu possibile anche grazie all'impegno delle squadriglie da caccia, soprattutto di quelle del X Gruppo che, oltre a scortare le formazioni dei bombardieri e ad assicurare il servizio di allarme, effettuarono con regolarità crociere di protezione e
sbarramento sul fronte dell'armata, riuscendo a dare sicu­rezza ai velivoli da ricognizione e ad impedire il passo a quelli avversari. Questo compito, certo non amato dai piloti per i rigidi vincoli che poneva alla loro iniziativa, fu svolto da pattuglie di due apparecchi ciascuna che si alternavano ad orari prestabiliti, affidando agli Spad della 913 i settori più delicati. In 17 giorni, tra il 6 ed il 24 giugno, il X Grup­po effettuò 395 sortite, per circa 700 ore di volo, e sostenne senza perdite 32 combattimenti aerei, con almeno due vitto­rie aeree accertate. Com'è lecito attendersi, l'attività delle squadriglie di corpo d'armata, ed in particolare della 49a, della 321 e della 50aa, si concretizzò soprattutto in ricogni­zioni fotografiche ed a vista mirate a fornire alle batterie in azione indicazioni sulla precisione e sugli effetti del tiro ed a segnalare nuovi bersagli da colpire. Dalla documentazio­ne disponibile risulta ad esempio che, tra il 4 e il 27 giu­gno, la sola 49,1 effettuò un totale di 144 ore di volo, por­tando a termine 39 ricognizioni, quattro missioni di direzio­ne del tiro e due bombardamenti, mentre ben 31 sortite furono vanificate dalle condizioni atmosferiche. L'organiz­zazione dei collegamenti rimosse le difficoltà iniziali, si dimostrò razionale ed efficiente, in grado di permettere la pronta ricezione delle segnalazioni dei velivoli e la loro tra­smissione ai comandi interessati lungo linee telefoniche dedicate. Nel complesso il servizio d'artiglieria venne svol­to da tutti i reparti in modo soddisfacente anche se con un'inevitabile mancanza di continuità. A causa del mancato sviluppo in profondità dell'azione, nessuna delle squadri­glie fu chiamata a svolgere un servizio di collegamento con la fanteria e non poté quindi essere sperimentata la validità delle direttive in merito. Il vivace tiro controaereo avversa­rio danneggiò in varia misura due velivoli della 49a, cinque della 32a, uno della 50a ed uno della 48a, mentre poche furo­no le occasioni in cui i ricognitori si trovarono a fronteggia­re aeroplani nemici. Le relazioni delle squadriglie di corpo d'armata del VII Gruppo, oltre al combattimento aereo che ebbe come protagonista il Farman dell'aspirante Mecozzi, segnalano solo altri due incontri: il 17 giugno un velivolo della 32a sostenne un breve ed inconcludente scontro nella zona di monte Zebio e lo stesso giorno un G.4 della 48a attaccò e mise in fuga un ricognitore avversario nel cielo dell'Ortigara.
Per quanto riguarda le azioni offensive, sia il 10 che il 19 giugno, nonostante il numero di velivoli impiegati, l'inter­vento dell'aviazione non potè avere le caratteristiche di azione concentrata ed a massa proprie degli attacchi di maggio sul Carso, riuscendo sensibilmente meno efficace. Le squadriglie avevano però acquisito un'ulteriore, preziosa esperienza che non avrebbero tardato a mettere a frutto.
Qualche parola infine sull'operato degli aerostieri, per i quali tra il 4 ed il 24 giugno vi furono solo dieci giorni con condizioni atmosferiche tali da permettere di far alzare i palloni, con gravi difficoltà ad operare proprio nelle crucia­li giornate del 10, del 18 e del 19 giugno. Il concorso delle sezioni aerostatiche, ritenuto nonostante tutto soddisfacente dai comandi, si riassume in 10 direzioni tiro su obiettivi non visibili da terra, 19 segnalazioni di postazioni d'arti­glieria, 60 avvistamenti di bersagli di altro tipo, quali movi­menti di truppe o lavori campali. Di particolare rilievo l'at­tività della la Sezione di Granezza che, in collaborazione con gli aeroplani in servizio d'artiglieria, nel pomeriggio del 15 diresse validamente il tiro di una batteria da 305 mm prima su Casare Larici, poi su Ghertele, mentre scarso fu il rendimento del pallone di monte Lisser, situato in posizione infelice e troppo distante dal fronte.


Nel comples­so, per l'avia­zione italiana, la battaglia dell' Ortigara rappresentò un ulteriore banco di prova che consentì di consolidare, in un ambiente tutt'altro che favorevole, procedure e modalità d'im­piego delle diverse com­ponenti. Il fatto che anche in quest'occa­sione il rendimento delle squadriglie fosse stato soddisfacente e le predisposizioni a terra delle reti di collegamento con l'artiglieria avessero ben funzionato, era un indice della maturità e del livello di sviluppo raggiunto dal dispositivo aeronautico.
Forti di queste certezze, e con la consapevolezza di una sicura superiorità quantitativa e qualitativa sull'avversario, gli aviatori italiani si prepararono ad affrontare una nuova prova.
Mentre con la fine delle operazioni sull'Altopiano dei Sette Comuni la 62 Armata assumeva un atteggiamento strettamente difensivo, per molte squadriglie era infatti arri­vato il momento di tornare sul fronte dell'Isonzo. Le atten­devano il Carso e la Bainsizza per l'ultima offensiva del
1917. o


CONTINUA...





Archivio e Foto di Fiammetta Zanenga





Archivio e Foto di Tino Gianbattista colombo

martedì 10 giugno 2008

L'ILLUSTRAZIONE ITALIANA n° 49 7 Dicembre 1941


Testo in didascalia)
Sulla scorta delle precise notizie date dai bollettini italiani e tedeschi si può dire che la situazione sul fronte della Marmarica definita « oltremodo confusa » dai giornali inglesi (abili nelle ritirate strategiche quanto I loro eserciti) si va chiarendo ogni giorno più. Altri generali catturati, il taglio del corridoio di Tobruk probabile causa di « con­seguenze spiacevoli », intere brigate corazzate distrutte, sono elementi che concorronoa mettere in maggiore evidenza il fallimento dell'offensiva inglese. Prende natural­mente risalto in questa situazione chiarita il magnifico valore dei soldati italiani e germanici, valore riconosciuto dagli osservatori e dalla stampa di tutti i paesi compresa quell'America che va piantando basi su tutti i continenti per portare aiuti (?) all'Inghilterra. - Qui: fanti della Divisione « Bologna » vanno all'attacco.
Testo in didascalia)
La Finlandia festeggia in questi giorni l'ottantesimo compleanno di Pehz Evind Svin­bufvud, già presidente della Repubblica e degno di esser chiamato « Padre della Patria » per l'opera di ricostruzione nazionale alla quale ha dedicato tutta la sua vita.
COMPLICITÀ ANGLOSASSONI
L'AMERICA IN AFRICA?
L’abusato motivo della politica internazionalista della Casa Banca a fini di politica interna ,il motivo , cioè della difesa dell’emisfero occidentale dellei possibili « aggressioni » dell'Asse, sembra oramai messo in sordina. Si è indotti, talvolta, a sospettare che gli organi ufficiali d'oltre Atlantico ritengano definitivamente superata e annullata la virtù persuasiva di tale motivo. Oggi, a quanto pare, si preferisce far parlare i fatti. E questi non sembra che abbiano valore puramente difensivo neppure agli occhi del più ingenuo e cre­dulo suddito nordamericano.
Gli ultimi fatti di cronaca della politica sempre più bellicista condotta da Roosevelt, sono due e racchiudono entrambi un significato ed una portata che non potrebbero essere né dissimulati né sottovalutati.
Il primo fatto di cronaca cui accenniamo è la confessata installazione di una base navale a Londonderry, la cittadina industriosa dell'estremo nord irlandese. Il secondo è la annunciata creazione di basi aeree sulle coste occidentali del­l'Africa, donde l'aviazione nordamericana dovrebbe spiccare voli, diciamo così, di ricognizione, su un itinerario, che, per ammissione degli esperti anglosassoni, dovrebbe spingersi, attraverso il continente africano, fino al Nilo e di qui fino al Caspio.
Simili enunciazioni non hanno bisogno di diffusi commenti, in quanto pro­positi di tal genere rivelano chiaramente come l'egemonico imperialismo norda­mericano tenda ad allargare sempre più le sue propaggini e i suoi tentacoli come le due branche di una morsa formidabile, che dal nord come dal sud, dovrebbe stringere i fianchi del continente europeo.
Che si dovesse giungere a questo lo si poteva già comprendere. Le plutocrazie anglosassoni incominciarono con lo stendere la mano sulle coste della Groen­landia e dell'Islanda. Nel maggio del 1940 il Parlamento islandese decideva di rompere l'unione personale fra l'Islanda e la Danimarca, adducendo che il Go­verno danese non era più in grado di provvedere alla difesa dell'isola. Nessun dubbio che i rappresentanti parlamentari dell'Islanda avevano ceduto -lie pres­sioni, facilmente individuabili, di Londra e di Washington. E nel gennaio dei 1941 truppe americane sbarcavano sulle coste islandesi a tutela di una grande base navale degli Stati Uniti.
Non diversamente gli Stati Uniti si regolarono nei confronti della Groenlandia. Questa volta, la procedura fu ancor più sbrigativa. Il Governo di Washington trovò un rappresentante danese, già accreditato presso la casa Bianca, che nel­l'aprile scorso si ritenne giuridicamente autorizzato a sottoscrivere una conven­zione, mercé la quale agli Stati Uniti veniva affidata la difesa del territorio groenlandese. Copenaghen protestò immediatamente, ma della protesta gli Stati Uniti non tennero alcun conto. Anzi finirono col mettere te Groenlandia a dispo­sizione degli altri paesi americani.
Dall'Islanda all'Irlanda doveva essere facile il passo. Ma le due manomissioni per quanto logicamente collegate l'una all'altra, si diversificano a vicenda in una misura moralmente e spiritualmente incalcolabile. Insediandosi in Irlanda, le forze navali americane si avvicinano straordinariamente all'Europa e per com­piere tale avvicinamento, hanno scelto uno dei punti più sensibili e più dolenti del mondo oltre Manica. Hanno scelto Londonderry. Ma Londonderry è uno dei luoghi più insigni del territorio irlandese. La città fervida d'industrie e di traf­fici, anche se non ragguardevole per densità demografica, sorge su quell'angolo della terra irlandese, che fu in antico consacrato dalle fondazioni monastiche di uno dei più venerati rappresentanti della santità celtica sulla terra di San Pa­trizio: San Colomba.
La città è vicinissima al confine, molto arbitrario, che divide il territorio dello Stato libero, governato da De Valera, dall'Ulster. E l'Ulster, corre si sa, è quella regione dell'Irlanda, che l'Inghilterra, contro ogni legge di giustizia e di storia, ha voluto mantenere asservita a sé, per avere ancora nell'Isola dei Santi una « base » che le consenta, quando che sia, di annullare un'autonomia a malincuore concessa nel 1921.
Dal giorno della costituzione dello Stato libero d'Irlanda, De Valera, e il suo Governo, riusciti con ammirevole tenacia a portare a parziale compimento il pro­gramma dei Sinn Fein, che, come dice il nome, aspirava a mettere il paese in condizione di governarsi da sé, non hanno mai cessato di rivendicare l'integrale unione dell'isola, necessaria alla sua piena autarchia economica, politica e morale.
Ora vien fatto di pensare che la creazione di una base navale americana nel­l'Isola dei Santi indurrà gli irlandesi di tutto il mondo a ritenere che , Wa­shington si sia costituito complice di Londra nel proposito, mai dimesso, di as­servire la libera Repubblica irlandese alle plutocrazie anglosassoni attraverso il dominio dell'Ulster. C'è da scommettere che fra i marinai che saranno man­dati da Washington ad occupare la base navale dell'Irlanda del Nord non ve ne saranno molti di origine irlandese, perché in tal caso né Londra né Washington avrebbero ragione di fare troppo affidamento sulla fedeltà di una simile guar­nigione. Dovunque c'è un irlandese al mondo, c'è cattolicesimo, fedeltà alla patria, odio inestinguibile per la vecchia Inghilterra persecutrice.
E lassù, sulle rive della Boyne, che al tramonto del secolo XVII si combatté quella battaglia fra i soldati di Guglielmo III di Orange e quelli di Giacomo II, che decise del destino dell'Irlanda per un secolo e impose all'Isola dei Santi il predominio anglicano. Anche oggi, ogni anno, il 12 luglio, le chiassose dimo­strazioni protestanti, da Drogheda a Belfast e a Londonderry, celebrano villa­namente quella battaglia, perché il ritardo sia minaccia e intimidazione alla mi­noranza cattolica dei nord-est dell'Irlanda. Ma al di là dell'arbitrario confine che separa l'Ulster dalla regione più cattolica d'Irlanda. il Donegal, l'anima cattolica dell'isola risponde alla provocazione con La sua aspettativa incrollabile. Domani nell'Ulster i cattolici irlandesi non vedranno soltanto i soldati di Sua Maestà Britannica, ma anche i marinai nordamericani, venuti a prestar man forte al­l'arbitraria manomissione, che Londra ha voluto pervicacemente mantenere al di là del Canale di San Giorgio. Il gesto è indubbiamente rischioso e non sarà senza profonde ripercussioni sui milioni di irlandesi residenti negli Stati Uniti.
Più audace ancora, se possibile, il piano degli Stati Uniti attraverso il conti­nente africano. L'ha rivelato un esperto diplomatico in un fascicolo recente del settimanale londinese « Picture Post ».
Già eravamo stati informati della progettata creazione di basi navali e aeree americane nella colonia britannica della Sierra Leone e nella Repubblica dei liberi negri di Liberia. Un giornale ufficioso di Washington era giunto ad am­mettere che una base aerea nello Stato della Liberia avrebbe potuto magnifica­mente rappresentare la stazione di partenza di; una linea aerea, che, traversando il continente africano, arrivasse « fino al Cairo »! Ed ecco che ora, secondo le in­discrezioni del giornalista britannico, sappiamo qualcosa di più. Sappiamo, cioè, che la plutocrazia anglosassone mirerebbe senz'altro a costituire un immenso fronte strategico, che dalle coste occidentali dell'Africa, da Dakar, Freetown e la capitale della Liberia, dovrebbe spingersi, attraverso Alessandria e Cipro, fino al Caspio.
Un sogno di questo genere presuppone la piena vittoria anglo-americana sul­l'Asse (cosa non facile), ma involge anche un fattore nuovo e, cioè, la possibilità di una guerra con Vichy per quanto riguarda Dakar.
E Vichy infatti, come riconosce Lo stesso Times in una corrispondenza da Washington, si trova in questo momento al centro delle preoccupazioni ameri­cane. Ce lo mostrano, fra l'altro, il recente passo dell'ambasciatore Leahy presso it governo del Maresciallo Pétain e l'analogo colloquio del Sottosegretario di Stato Summer Welles col rappresentante diplomatico francese negli Stati Uniti.
A quanto si sa, i due collaboratori di Roosevelt avrebbero dichiarato che la Casa Bianca ha deciso di riprendere in esame il problema dei rapporti franco-americani, come pure quello dei rifornimenti da inviarsi nei territori francesi dell'Africa settentrionale. Essi non avrebbero nascosto il malumore di Roosevelt e loro personale per quello che la Reuter ha definito il « il nuovo atteggiamento del governo di Vichy ». Pretesto del rinfocolarsi di questo malumore sarebbero i mutamenti nei comandi francesi nell'Africa settentrionale.
Non è chi non veda come si tratti di un pretesto fittizio. La verità è che gli anglo-americani non desistono dall'impicciarsi delle vicende interne della Fran­cia e nulla tralasciano per consumare la totale rovina del paese che fu loro al­leato. Ogni occasione è buona a tale scopo. Ora cercano di mettere gli uni contro gli altri, gli uomini che hanno l'ingrata responsabilità del potere; ora colano a picco navi da guerra e intercettano i convogli francesi; ora s'impadroniscono di territori coloniali; ora ricattano il governo minacciando la rottura delle relazioni diplomatiche e la totale sospensione dei rifornimenti. Sopra ogni altra, scandalosa la recentissima decisione di Roosevelt di estendere la legge « affitti e prestiti » alle forze di De Gaulle, giudicando « la difesa del territorio francese controllato dalle forze volontarie francesi di importanza vitale per la difesa degli Stati Uniti ».
I loro scopi sono fin troppo chiari. Da una parte mirano a garantirsi l'assoluto dominio dei mari per rafforzare il blocco, senza alcun riguardo ai neutrali; dal­l'altra, a mantenere in vita, insieme coi russi, un fronte nel Caucaso, stabilen­done un altro che dal Mar Nero, passando per Cipro ed Alessandria d'Egitto, si estenda fino a Dakar senza soluzione di continuità. Non è tutto, perché al di­sopra delle immediate finalità strategico-militari, gli anglosassoni sognano di stringere la vecchia Europa, dalla Manica al Sahara, in una morsa, che costi­tuisce una delle più mostruose minacce che sia stata mai levata contro la sua millenaria autonomia morale e spirituale.
Si dirà che si tratta di disegni accademici e personali, dato che prescindono dalla potenza bellica dell'Asse. Vero. Comunque sia, è opportuno rilevare il fatto, eccezionalmente significativo, che il piano di un'azione armata contro la Francia di Vichy viene oramai apertamente dibattuto sulla stampa anglosassone, così di Londra come degli Stati Uniti.
Ecco, così, apertamente confermato che la Gran Bretagna, d'accordo con l'Ame­rica e la Russia sovietica, vuol condurre la guerra non soltanto contro la Ger­mania e l'Italia, ma contro l'intero continente senza alcun riguardo per i paesi ex alleati. E quasi a simboleggiarne i caratteri più profondi di tale disegno, stanno due tipiche circostanze. Da una parte, sta il fatto che la marina americana si prepara ad ancorare i suoi vascelli in quel porto di Londonderry, che è rimasto nelle mani dell'Inghilterra come una delle ultime ed estreme trincee del predo­minio protestante e orangista sul territorio venerando della vecchia Isola di San Patrizio, che conosce da secoli il martirio della fede; dall'altra, il fatto che come stazione di partenza dell'aviazione anglosassone attraverso il continente africano verso il Nilo e il Caspio, Washington è andata a scegliere quella Repub­blica di Liberia, che fu costituita con un nucleo di negri espulsi dal territorio nordamericano come indesiderabili e che mantiene laggiù, sotto la Sierra Leone britannica, tutte le iniquità del regime « democratico » degli Stati Uniti. Quasi che il mondo ignorasse che il predominio anglosassone implica sempre la vio­lenza contro le libe9 tà cattoliche e l'utilizzazione dei negri.
SPECTATOR



Testo in didascalia)
LA «CONTRAEREA» F A BUONA GUARDIA
Fieri d'essere in prima linea sul fronte interno e sul fronte africano, gli artiglieri in camicia nera danno giorno e notte, all'aspra guerra che le Potenz. dell'Asse combat­tono per la liberazione dell'Europa, un largo contributo di sacrificio e di sangue, proteggendo — fedeli alla consegna del Duce — la vita e il lavoro delle popolazioni .civili, difendendo dalle incursioni dell'aviazione nemica i gangli ner 'osi della Nazione.
distrutti i quali ogni possibilità di resistenza è finita. Centinaia di caduti e di feriti, numerose ricompense al valore attestano con quale eroismo i Militi dell'Artelieria contraerea assolvano il grave compito loro affidato e quanto essi meritino d'esser segnalati alla riconoscenza della Nazione. - Qui sopra: postazione della Milizia Con­traerea. E stato dato l'allarme, ognuno è accorso senza indugio al suo posto, e tutto è pronto per aprire il fuoco contro il nemico. - In alto, le batterie sono entrate in azione.



Testo in didascalia)

Aspre giornate di battaglia nella Marmarica. Urto tremendo di unità corazzate, duelli di artiglierie, bombardamenti dal cielo e in questo clima di titanica lotta il rifulgere dell'eroismo individuale in ogni attacco e contrattacco. La sobria prosa dei bollettini ripete « la battaglia continua » ed è nelle tre parole già il primo cauto accenno alle fallite imprese del nemico che ha trovato nelle truppe italiane e tedesche un formidabile baluardo che non si supera se non a prezzo di un sì duro sacrificio di uomini e di mezzi da annullare ogni parziale e temporaneo successo. Già alcune divisioni corazzate inglesi sono state distrutte e alcuni generali comandanti sono prigionieri. Qui: esplosione di nebbiogeni per mascherare un nostro contrattacco e un lanciafiamme che annienta le ultime resistenze dei difensori di una posizione nemica. (R. G. Luce).



LA BATTAGLIA DELLA MARMARICA
E LE OPERAZIONI NEGLI ALTRI SCACCHIERI
ALL'UNDICESIMO giorno della grande offen­siva britannica contro le nostre linee della Marmarica, l'aspra battaglia ha segnato, se­condo il nostro Comunicato ufficiale del gorno 30 novembre e quello del 1° dicembre, una sensibile diminuzione di intensità, senza che l'avversario fosse riuscita a conseguire alcun successo positivo. E già il comunicato precedente, senza far nomi di località, si era limitato a dire che le perdite toccate dal nemico erano state molto più gravi delle nostre; ciò che suole sempre avvenire nelle offen­sive mal riuscite. Le vicende della lotta, dunque hanno costretto e costringono il Comando inglese ad intaccare e ridurre sempre più il dispositivo d'off­esa, col quale esso riteneva di aver raggiunto quell'assoluta superiorità di uomini e di mezzi, che doveva assicurargli la vittoria.
Benché sia troppo presto così per trarre bilanci come per avventare previsioni circa l'esito finale [ella grande battaglia e s'imponga, anzi, in proposito il massimo doveroso riserbo, tuttavia una constatazione è lecito fare, e cioè che dopo più di undici ,i orni di lotta il nemico è ancora ben lungi dal raggiungere quel clamoroso successo, che Churchill si riprometteva di poter annunciare dopo poche ore e a stampa britannica, al massimo, in capo a qualche ;forno...
Già al quinto giorno della battaglia, questa aveva rivelato la sua chiara fisionomia: pressione frontale ungo la linea di frontiera e tentativo di forzamento nel settore centrale, in direzione di Tobruch, con lo scopo evidente di tentare lo sbloccamento della piazza assediata e di proseguire quindi la marcia, .on forze riunite, verso est.
Ma nel primo settore, sulle posizioni di Sollum-ri­dotta Capuzzo e più a sud, le forze nostre e germa­niche opponevano una fierissima resistenza: la 4" Brigata corazzata britannica rimaneva quasi comple­amente distrutta, ed il comandante di essa, gene­ale Sperling, preso prigioniero: tentativi nemici di puntare su Porto Bardia venivano stroncati; l'im­portante posizione di Sidi Omar era riconquistata la unità corazzate italiane e tedesche e su tutto il resto del fronte gli attacchi avversari si infrangevano contro una saldissima difesa.
Nel settore centrale, una fortissima formazione corazzata britannica si era spinta fin nella zona di Bir el Gobi, a sud di Tobruch; contro di essa move­rano la divisione « Ariete » da Bir el Gobi ed unità corazzate tedesche da nord-est: tra Bir el Gobi e Sidi Rezegh, quindi le unità avversarie venivano prese nella morsa delle forze dell'Asse ed in gran parte distrutte.
Pressoché annientata rimaneva la 221 brigata corazzata inglese, ed il coman­dante di essa, generale Armstrong, cadeva prigioniero insieme con circa 5000 gregari.
Nei giorni successivi la lotta diventava sempre più accanita, in entrambi i set­tori, senza però che né nell'uno né nell'altro l'avversario riuscisse a raggiungere lo sperato successo. Sul fronte avanzato, si svolgeva una dura vicenda di at­tacchi e contrattacchi, ma al nemico non era dato di fare progressi notevoli; la divisione « Savona », nel settore di Sollum, benché attaccata di fronte e sul fianco da truppe sudafricane e indiane appartenenti a tre diverse divisioni, si Irrigidiva in una magnifica resistenza, ricacciando l'avversario; più ad occiden­te la divisione « Ariete » sosteneva forti scontri con reparti nemici motorizzati e di fanteria, infliggendo loro forti perdite; il numero dei prigionieri nemici si accresceva considerevolmente.
Nel settore centrale, mentre nuovi tentativi nemici di rompere il cerchio che rinserra Tobruch si infrangevano contro la salda resistenza della divisione « Bo­logna », un'altra brigata inglese, di fanteria, motorizzata, veniva duramente im­pegnata da forze tedesche ed italiane, ed annientata; oltre mille uomini, tra i quali il comandante stesso della brigata, generale Karges, cadevano prigionieri, più di cinquanta carri armati nemici venivano distrutti e sul « serir » desertico giacevano numerosi altri mezzi motorizzati e da trasporto, incendiati o inuti­lizzati.
Magnifiche sempre per ardimento ed intrepidezza, l'aviazione italiana e tede­sca contendevano efficacemente il cielo della battaglia alle squadriglie avversa­rie, vigilando assiduamente le mosse delle truppe nemiche; bombardando con efficacia strade, posizioni, basi di rifornimento, colonne in marcia; dando im­placabilmente la caccia agli apparecchi avversari. Una squadriglia italiana, com­posta di 10 apparecchi da caccia di nuovo tipo, non esitava ad impegnare com­battimento con ben trenta « Curtiss » avversari, abbattendone in fiamme ben set­te, sbaragliando gli altri e rientrando, senza alcuna perdita, alle proprie basi.
All'undicesimo giorno della battaglia, altro successo non aveva potuto il nemi­co registrare a proprio vantaggio che la conquista della piccola oasi di Gialo, nelle profondità meridionali del deserto. Il piccolo presidio dell'oasi, assalito il giorno 24 da preponderanti forze avversarie, si difese tuttavia, con disperato co­raggio, per un'intera giornata, e solo dopo reiterati assalti, sostenuti da numero­si mezzi corazzati, il nemico poté riuscire a porre piede nell'oasi. Neppure que­sto valse a piegare gli eroici difensori, i quali seguitarono a battersi di posizio­ne in posizione, finché, avvolti da ogni parte, furono costretti a cedere. Suprema espressione dell'indomito animo di questo pugno di uomini, isolato e semisper­duto nel sud desertico, rimane il messaggio che il comandante del presidio lan­ciò, nella notte del 25, dopo aver distrutto i cifrari: « Situazione gravissima. Sia­mo sopraffatti. Viva il Re! Viva il Duce! Viva l'Italia! Vinceremo ».
Il dodicesimo ed il tredicesimo giorno di battaglia furono contrassegnati da combattimenti locali così che alla fine, ormai, della seconda settimana di lotta, il nemico non aveva potuto ancora realizzare nessuno dei punti essenziali del suo programma; ciò che veniva amaramente constatato dalla stessa stampa inglese.
Un'altra, e veramente epica resistenza è venuta a cessare nei giorni scorsi: quella di Gondar. Da oltre sei mesi, quell'eroico presidio, al comando del valo­roso generale Nasi, manteneva ferreamente le sue posizioni, costantemente ri­buttando tutti gli assalti avversari e sdegnosamente respingendo tutte le inti­mazioni di resa.
Caposaldi avanzati di Gondar erano Uolchefit a nord, Debra Tabor ad est; a sud, Fercaber e Culquabert; ad ovest Celgà e Tucul Dinghia. Ad uno ad uno, questi caposaldi erano costretti a cedere per la preponderanza avversaria e per l'esaurimento di ogni mezzo di difesa: Debra Tabor, il 4 luglio; Uolchefit, il 28 settembre; Culquabert e Fercaber, il 21 novembre.
Il nemico poté, così, portare l'ultimo assalto contro le difese campali di Gon­dar, ove il generale Nasi non poteva disporre più né di un aeroplano efficiente, né di mezzi blindati, né di una densità di truppe adeguata all'ampiezza della cinta da difendere. Se si aggiunge a ciò che le munizioni erano ormai contate ed i soldati subivano da sette mesi una progressiva denutrizione e non potevano aver più neppure le necessarie cure sanitarie, per insufficienza di medicinali, si può comprendere come nessun'altra guarnigione, in quelle condizioni, potesse essere in grado di opporre ancora una resistenza al supremo assalto avversario
Pure, quando il mattino del 17 novembre questo assalto si pronunciò dopo un intenso bombardamento terrestre ed aereo, i soldati del generale Nasi combat­terono ancora, e per più ore, fino all'esaurimento di tutti i mezzi di resistenza; e solo quando il Comandante della difesa poté constatare l'inutilità della pro­trazione di una resistenza inutile, dalla quale altro non sarebbe potuto derivare che nuovi danni e perdite per la popolazione civile, italiana ed indigena, ordinò la cessazione delle ostilità.
Giustamente il comunicato del Comando Supremo volle porre ancora una vol­ta, in rilievo che « i valorosi difensori di Gondar avevano assolto pienamente e con onore il grave compito loro affidato dalla Patria ». Ed il Consiglio dei Mini­stri, il giorno seguente, mandava il saluto grato e commosso, di tutti gli Italiani, oltreché ai combattenti della Marmarica e del Corpo di Spedizione italiano in Russia, « agli eroici combattenti di Gondar, la cui bandiera ideale, non ammai­nata, è affidata dalla Patria ai giovani, che un giorno, e per sempre, la riporte­ranno nelle terre consacrate dal sangue di tre generazioni guerriere ».
Il destino ha sempre riserbato a noi Italiani le prove più difficili ed il privi­legio di illuminare di bellezza e di poesia i sagrifici più duri; i camerati di Gon­dar, che hanno difeso, fino all'estremo, la nostra bandiera ed il nostro diritto. hanno veramente benemeritato della Patria.
Sul fronte orientale, quando i Comandi e le truppe sovietiche cominciavano, forse, a sperare che l'inverno ormai avanzato potesse concedere loro qualche sosta ristoratrice, il Comando germanico ha intensificato le operazioni nello scac­chiere di Mosca.
Nel vasto anello che circonda da est la capitale da Kalinin, sul Volga, a Kalu­ga, colonne corazzate e fanterie germaniche son protese da più giorni all'attac­co, e vanno conseguendo ogni giorno nuovi vantaggi, travolgendo successive resistenze avversarie e scardinando in più punti il sistema di fortificazioni eret­to a difesa della capitale.
Giorni or sono, fu annunciato che le truppe tedesche avevano sfondato una forte linea difensiva a nord-est di Mosca. impadronendosi di quattordici villag­gi fortificati. Il giorno 28 novembre, poi, veniva ufficialmente comunicata l'av­venuta occupazione di Wolokolamsk e di Klin, due centri situati rispettivamente sulle strade Pietroburgo-Kalinin-Mosca e Riga-Rzew-Mosca.
L'importanza del­la prima di queste località deriva dal fatto ch'essa è un nodo essenziale di co­municazioni, posto al punto di giunzione fra il tratto di fronte nord-orientale, che si protende verso il Volga e quello frontale, così che la perdita di esso po­trebbe avere sensibili ripercussioni su entrambi i settori; Klin, poi, si trova a brevissima distanza dalla centrale elettrica di Mosca, la cui eventuale distruzio­ne sarebbe di evidente utilità.
Furiosi scontri si starebbero ora svolgendo nei pressi di Un importantissimo centro industriale, costruito nel quadro dell'ultimo piano quinquennale sovietico. Questo grande centro, importante sia perché vitale base di rifornimento di mate­riale di guerra per la capitale, sia perché punto d'intersecazione di numerose comunicazioni ferroviarie, sarebbe stato già investito dalle armate germaniche. le quali hanno respinto un furioso, disperato contrattacco sferrato dalle truppe bolsceviche, annientando col preciso fuoco dei cannoni anticarro una grossa formazione di carri armati pesanti sovietici.
Egual sorte hanno avuto i reiterati contrattacchi tentati dai sovietici in altri tratti del fronte di Mosca, lungo tutta l'estensione del quale lo schieramento ger­manico è in movimento, costringendo il nem; co a sempre nuove cessioni di ter­reno. Infatti, né Wolokolamsk né Klin, né il grande centro industriale cui si è dianzi accennato rappresentano i punti più avanzati delle linee tedesche davan­ti alla capitale sovietica, poiché in taluni altri settori del fronte le punte più avanzate si trovano a distanza di poche decine di chilometri dal centro della cit­tà: le torri del Cremlino sono già visibili, tra la bruma, con gli ordinari can­nocchiali da campo.
Anche attorno a Pietroburgo il cerchio dell'assedio si fa sempre più stretto, e negli ultimi giorni di novembre altri tentativi di sortita della guarnigione, pur eseguiti con forze rilevanti, sono stati tutti stroncati. Dalle linee finlandesi cupi e forti rombi si odono in direzione della metropc.li della Neva, così da far pen­sare alla messa in esecuzione di un sistematico piano di distruzione ordinato da Stalin, nella previsione che la città non possa più resistere a lungo.
A nord di Pietroburgo, nel settore careliano, le truppe finniche hanno, an­ch'esse, conseguito nuovi vantaggi, incapsulando e distruggendo con una serie di aspri combattimenti, durati quattro giorni, una grossa unità sovietica. Forti contingenti sovietici che provenivano da est e che tentavano, a marce forzate, di ricongiungersi con gli elementi circondati, sono stati duramente provati dal­le fanterie celeri finniche che, piombando loro improvvisamente addosso, le hanno investite con reparti corazzati e con l'azione di artiglierie a tiro rapido. Sfruttando, poi, abilmente e senza soste questo loro primo successo, i soldati di Mannerheim hanno attaccato la seconda linea rossa, ed espugnato una serie di ben 600 caratteristici fortini, costruiti con tronchi d'alberi, ma munitissimi dal nemico e difesi con estremo accanimento.
Nel settore meridionale, infine, le truppe italo-germaniche continuano a pre­mere l'avversario, i cui tentativi di contrattacco, sono stati, anche qui contenuti e respinti.

La città di Rostov, come hanno annunciato i comunicati del Comando Supre­mo germanico, è stata sgomberata, sia per poter adottare necessarie misure d: rappresaglia contro la popolazione che, contrariamente alle norme internaziona­li, partecipava ai combattimenti alle spalle delle truppe germaniche, sia per me­glio fronteggiare la situazione. Tentativi, però, delle truppe di Timoscenko di respingere i Tedeschi lungi dalla zona della città precaucasica, sono stati in­franti, con perdite molto gravi: la cavalleria cosacca, specialmente, che aveva fatto qui la sua riapparizione sui campi di battaglia, ha avuto intere brigate falciate dal tiro delle armi automatiche.
Ancora una volta il « Napoleone rosso » non è riuscito a cogliere il sognato lauro di guerra: evidentemente, il settore sud non gli è più propizio di quello nord, e sarà sempre più duro compito per lui contendere alle forze dell'Asse il corso del Don e le vie del Caucaso.

AMEDEO TOSTI



Testo in didascalia)

TITANICA LOTTA SUL
FRONTE DELLA MARMARICA

Dopo un breve periodo di sosta, la battaglia della Marmarica si è riaccesa con rinnovata e aumentata violenza e ha continuato con accanimento. Carri armati e fanterie sostenuti vigoro­samente dall'aviazione hanno ripreso a combattere con estrema decisione, resistendo e con­trattaccando in una serie di fulgidi episodi di valore. Qui, alcuni aspetti della battaglia fissati dall'obbiettivo e trasmessi per aereo. 1. Postazione di cannone anticarro e truppe celeri, nelle nostre linee oltre il confine egiziano, nel settore di Sollum. 2. Cannoni contraerei impiegati da tedeschi per la distruzione di carri armati. 3. I guastatori vanno carponi a collocare tubi di gelatina sotto i reticolati nemici. 4. Scontro fra mezzi corazzati. Un carro armato britannico, centrato dalla bomba di un aereo, salta in aria. 5. Obici da campagna tedeschi sul fronte di Sollum, per battere la « terra di nessuno ». 6. Carro armato britannico incendiato, e un altro immobilizzato dopo uno scontro con nostri mezzi corazzati. 7. Armi e materiale abbandonato dagli inglesi durante i recenti combattimenti in Marmarica. 8. Apparecchio da bombardamento britannico abbattuto in fiamme dai nostri cacciatori. 9. Parcheggio di carri armati tedeschi du­rante una sosta nella « terra di nessuno ». In primo piano le vedette.

(R. G. Luce).

Testo in didascalia)

L'ATTACCO TEDESCO A MOSCA E PIETROBURGO
La neve e il gelo non hanno interrotto le operazioni dell'esercito tedesco da. vanti a Mosca e Pietroburgo e le forze sovietiche hanno invano tentato di rompere il cerchio che le stringe sempre più da vicino. Diamo qui alcune inte­ressanti visioni di questa dura guerra invernale. - 1. Mosca: Impianti Indu­striali sulla Moscova centrati dai bombardieri tedeschi. - 2. Un nucleo di resi­stenza sovietico accerchiato dalle forze germaniche. - 3. Il comandante di una divisione di fanteria, mimetizzato al pari dei suoi soldati, ispeziona il fronte. - 4. Postazione anticarro mascherata con gli avanzi di un paracadute sovietico. - 5. Il segnale di resa dei soldati sovietici: fucili piantati nel terreno dalla parte della bocca. - 6. Soldati tedeschi in slitta nei dintorni di Pietroburgo. - 7. Un posto radiotelegrafico germanico sulle alture del Valdai. - 8. Truppe germa­niche, autotrasportate, muovono all'accerchiamento di una posizione sovietica.



LA GUERRA MEDITERRANEA

LA GUERRA è, nella sua attuazione, la sequenza di tre operazioni: la preparazione dello strumento bellico, il trasporto o lo spostamento di esso, il suo impiego sul campo di battaglia o nel teatro delle operazioni. Va da sé che questi tre tempi del fenomeno bellico possono in parte sovrapporsi e compenetrarsi o addirittura mescolarsi e incastrarsi l'uno con l'altro; ma il con­cetto rimane, facilmente riconoscibile in tutta la storia militare, ineluttabile come una legge: preparazione, trasporto, impiego. Annibale, per cercare di risol­levare le sorti della patria compromesse dalla prima guerra punica, incomincia col ricostituire in Africa e in Spagna la potenza militare di Cartagine allestendo e addestrando un forte esercito; poi passa alla seconda fase, cioè al trasferimento del suo esercito nel prestabilito teatro di operazioni con la leggendaria sua mar­cia attraverso l'Iberia, le Gallie, i Pirenei e le Alpi; infine impegna le sue forze contro Roma sui campi di battaglia della Trebbia, del Trasimeno, di Canne Alessandro Magno forgia dapprima la « falange macedone », poi la conduce fuori della terra d'origine, alla conquista del mondo, infine la scaglia contro gli osta­coli che gli sbarrano la strada e contro i nemici che vorrebbero arrestarne la marcia. Napoleone prepara, marcia, vince. Federico il Grande prepara, marcia, vince. Così; sempre, inevitabilmente così. In terra, in mare, in cielo. La maggiore complicazione della guerra moderna non elude, ma se mai ribadisce la legge; il maggior numero, la crescente potenzialità, la varietà dei mezzi' di locomozione non escludono, anzi comportano a più forte ragione la tripartizione d'ogni con­cezione bellica e d'ogni sua attuazione che con altri termini, ma con immutato significato si può racchiudere nelle tre voci: tecnicismo, logistica, tattica. Se pure con diverse parole, abbiamo così ripetuto concetti già esposti altre volte in questi stessi commenti agli sviluppi e alle vicende della guerra, e lo ab­biamo fatto a modo di introduzione perché solo tenendo presenti i limiti fra i quali si inquadra il problema della guerra è possibile comprendere i « perché » e i « come » delle loro vicende e dei loro sviluppi.
Applichiamo dunque l'idea generica e astratta al caso concreto: il caso medi­terraneo. La preparazione dei mezzi, in forma di corsa agli armamenti in parte evidente e manifesta, in parte segreta e occulta, ha precorso la guerra; ma essa continua senza soste e ne accompagna lo svolgimento perché « la soma si aggiusta per la strada »; perché è la stessa esperienza della guerra che sug­gerisce quali sistemi e quali mezzi sono efficaci e meritano più ampia applicazione, quali lo sono me­no o hanno deluso del tutto e debbono essere ab­bandonati o riveduti e perfezionati; perché nel cor­so della lotta i belligeranti cercano di superarsi po­tenzialmente, e quello che è in ritardo cerca di ri­montare l'avversario e quello che è in anticipo e m vantaggio si industria per conservare o accrescere il distacco. Cosi da ambo le parti i preparativi si in­tensificano e mentre I Inghilterra, a misura che ha perduto i suoi alleati continentali, ha fatto appello alle risorse dei suoi possessi di oltremare e soprat­tutto alle risorse nordamericane, le Potenze dell’Asse, oltre a intensificare le produzioni nazionali, hanno progressivamente organizzato e messo a pro­fitto anche le risorse dei territori passati sotto il loro controllo. Ma i centri di produzione della indu­stria di guerra sono lontani dai centri di consumo cosi per gli anglo-americani come per gli italiani e i tedeschi: di qui la importanza enorme assunta dal problema logistico. Il quale problema si risol­ve a sua volta in due fattori essenziali: tempo e massa. Si tratta cioè di trasportare molto e di tra­sportare presto.
Naturalmente, data la prevalenza continentale dell'Asse, che controlla ormai la quasi totalità del continente europeo, allorché si tratta di trasporta­re eserciti e rifornimenti nei teatri della guerra terrestre il problema, per quanto formidabile, non presenta difficoltà insormontabili e non è soggetto a contrasti apprezzabili da parte del nemico (il quale può agire solo tentando di interrompere od ostacolare il traffico ferroviario e stradale con bombardamenti aerei). E così non solo in Polonia, in Francia, in Jugoslavia e in Grecia, ma persino nella sterminata Russia la Germania e i suoi al­leati hanno potuto assicurare i rifornimenti quanto e meglio degli avversari, alimentando tutte le of­fensive fino alle loro vittoriose conclusioni.
Ma inversamente, data la prevalenza navale an­glo-americana, allorché si tratta di trasportare eserciti e rifornimenti nei teatri di guerra d'oltre. mare, sono i nemici che si trovano in una situa­zione di vantaggio mentre all'Italia e alla Germa­nia l'attuazione del trasporto o riesce del tutto im­possibile (come nel caso dell'Etiopia e nei riguardi di un eventuale aiuto all'Iraq, alla Siria e all'I­ran nel corso delle aggressioni britanniche) o pre­senta difficoltà tali da attenuare in maggiore o mi­nore misura la potenza combattiva degli eserciti dell'Asse rispetto a quella che essi esplicherebbero sul Continente: ed è questo il caso della frontiera marmarica. Anche il nemico, però, è tutt'altro che libero nei suoi movimenti giacché il suo traffico marittimo, per quanto più sicuro, più facile e più intenso di quello delle Potenze dell'Asse, è nondi­meno energicamente contrastato e soggetto a forti limitazioni e a notevoli perdite.
Ma osserviamo più da vicino questo momento della guerra mediterranea. In cinque mesi l'Inghilterra ha convogliato uomini e mezzi in Egitto. Il problema lo­gistico del Mediterraneo orientale si sdoppia quindi in una operazione di grande portata — cioè di trasporti di notevole entità, attuati a forti distanze e in un lungo periodo di tempo — e in una operazione successiva, locale, di trasporto dei rifornimenti da un punto ad un altro del suolo africano per alimentare l'offensiva e l'avanzata. La fase lunga e preliminare si è svolta presumibilmente in parte con trasporti attuati attraverso gli oceani e risalendo il corridoio del Mar Rosso fino ai porti del Canale e della costa mediterranea dell'Egitto, in par­te forzando il Canale di Sicilia e assoggettandosi alle perdite e ai rischi di que­sta impresa pur di accelerare la preparazione e la radunata. Comunque, quasi mezzo anno è trascorso senza che gli inglesi prendessero alcuna iniziativa of­fensiva.
Il secondo problema, quello locale, poteva essere risolto in parte con trasporti terrestri e in parte con trasporti marittimi. I trasporti terrestri — attuati con la ferrovia che collega Alessandria a Marsa Matruh e che forse gli inglesi hanno prolungato nel corso della guerra fino a Sidi-el-Barrani — potevano essere suf­ficienti per rifornire l'esercito dell'Egitto nel suo schieramento offensivo ini­ziale, non certo per sostenerlo nel corso di una lotta accanita in posizioni deci­samente addentrate in territorio marmarico. I trasporti marittimi potevano pero supplire alimentando Tobruch e trasformando la piazza in una base di riforni­mento avanzata in territorio nemico quanto e più dello stesso esercito britan­nico. Questo può spiegare l'accanimento degli inglesi nella lotta intorno a To­bruch e per la liberazione della piazzaforte dall'assedio. Del pari gli attacchi contro il fronte di Es-Sollum e Bardia, a parte il loro evidente significato tattico hanno forse anche un movente logistico e cioè mirano alla occupazione di un altro scalo dal quale l'esercito britannico possa essere rifornito « via mare
Dal canto loro le Potenze dell'Asse non hanno assistito indifferenti all'intensifi­cazione dei preparativi britannici e inasprimento della guerra logistica che è poi guerra aero-navale, è lotta per la offesa e la difesa dei trasporti marittimi. Sintomi evidenti di contromisure adottgte dall'Asse affiorano nei comunicati ufficiali. Due settimane or sono facer:Ino notare che dietro il risultato tattica dell'affondamento dell'Ark Royal nelle acque dello Stretto di Gibilterra si do­veva vedere il fatto strategico della comparsa dei sommergibili germanici in Mediterraneo, per accentuare il contrasto aero-navale alla flotta nemica. Oggi rileviamo che il siluramento di una corazzata e di un cacciatorpediniere, pure ad opera di sommergibili germanici, è la manifestazione della loro attività nel Me­diterraneo Orientale, in stretta connessione con le operazioni della Marmarica. Similmente l'attività dei nostri aerei siluranti, dei nostri mezzi antisommergibili, delle nostre forze navali è in evidente e diretto rapporto colla accresciuta attività spiegata dalle forze di superficie e subacquee nemiche nelle retrovie marittime della battaglia marmarica, costituite dal bacino centrale del Mediterraneo.
Sullo sviluppo della grande battaglia nulla si può dire per ora che non sia letto o dedotto direttamente dai comunicati ufficiali. Tuttavia, per la compren­sione della situazione del problema, delle difficoltà colle quali lottano tenacemente le forze armate dell'Asse, della posta in gioco e dei limiti e della portata della battaglia, si può aggiungere qualche altra considerazione a quelle già svolte.
La guerra dell'Asse è una espansione; essa procede dall'interno verso l'esterno, dal nucleo centrale dell'Europa verso i suoi confini e le zone limitrofe. La guerra dell'Inghilterra ha il care ltere opposto: procede dall'esterno verso l'interno, at­tacca le posizioni periferiche ed eccentriche. Fra queste, la Libia è la più tenace­mente difesa; ma essa stessa è tuttavia una terra d'oltremare e perciò appunto piu accessibile del continente all'offesa nemica, almeno in questa fase della lotta. A cagione del dominio britannico su Malta e per la attuale situazione della Tu­nisia, il traffico con la Libia si presenta perciò in condizioni non dissimili da quelle che si sarebbero determinate fra Germania e Norvegia se l'isola di Helgoland fosse stata presidiata da forze aeronavali britanniche e la Danimarca non avesse potuto essere usata come un ponte indistruttibile gettato attraverso il mare fin presso la opposta sponda. Problema arduo, dunque, come altre volte abbiamo cercato di lumeggiare. In compenso però si deve notare che il contrasto al traffico nemico attraverso il Canale di Sicilia non appare legato e condizio­nato al possesso della « Quarta Sponda » o delle sue singole posizioni fondamen­tali e perciò continuerà a pesare inesorabilmente sulla condotta della guerra a prescindere dagli sviluppi della situazione in Africa settentrionale e in ragione diretta della importanza che potranno assumere in futuro i trasporti britannici diretti nel vicino e medio Oriente.

GIUSEPPE CADUTI

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Testo in didascalia)
Il 29 novembre u. s. il pilota comandante Mario De Bernardi ha decollato dall'aero­porto di Linate (Milano) a bordo di un apparecchio a reazione progettato dall'Ing. Campini ed ha atterrato all'aeroporto di Guidonia dopo h. 2,15',47" di volo. La distanza di Km. 474 è stata così coperta alla media oraria di Km. 209,451. La prova ha costi­tuito un importante primato nel campo del volo con motore a reazione. Riuniamo in questa pagina due foto del nuovo aeroplano sul campo di Guidonia subito dopo l'ar­rivo (in alto); l'ing. Campini e Mario De Bernardi mentre studiano le caratteristiche del­l'apparecchio e mentre s'intrattengono all'aeroporto di Linate prima della partenza

IL VOLO MILANO-ROMA
DEL PRIMO APPARECCHIO A REAZIONE

PILOTATO dall'asso Mario De Bernardi, l'indimenticabile primatista della ve­locità e valoroso aviatore di guerra, è giunto all'aeroporto di Guidonia nel pomeriggio di domenica scorsa, proveniente da Milano, un aeroplano che utilizza un nuovo mezzo di propulsione.
L'elegante monoplano dovuto al progetto dell'ing. Campini e costruito nei can­tieri milanesi del conte Caproni, ha effettuato il percorso Milano-Roma in due ore e 15 minuti. La velocità mantenuta durante il percorso non è stata alta ma e da tener presente che l'apparecchio è ancora nella fase sperimentale e non ha dato ancora la dimostrazione delle sue possibilità. Sta di fatto che l'aviazione italiana è riuscita a realizzare, pur sotto l'assillo delle esigenze dovute alla guerra in atto, il primo apparecchio con propulsione a reazione.
A questo tipo di apparecchio è riservato un grandissimo sviluppo nel campo delle alte velocità nella stratosfera in quanto la resistenza all'avanzamento che si riscontra alle quote normali di volo richiede un dispendio di energia notevo­le. La pressione esercitata dall'aria contro un velivolo che vola ad altissima velo­cità a bassa quota è tale che occorre moltiplicare la potenza motrice e ridurre considerevolmente le superfici esposte al tento se si vuole aumentare tale velocità. Per superare queste difficoltà, che limitano il campo delle velocità subsonore. gli scienziati hanno sperimentato che occorre volare a grandi altezze dove l'aria e più rarefatta e la resistenza all'avanzamento è minore. Ma per volare alle alte quote occorrono motori surcompressi ed eliche che siano specialmente costruite per rendere a quella quota di volo. Pertanto i tecnici delle aviazioni più progre­dite nel campo aeronautico si sono provati a realizzare un tipo di apparecchio che potesse essere azionato da un sistema, con la propulsione a reazione; ma le difficoltà incontrate hanno fatto fallire tutti i tentativi.
Il felice esperimento dell'ing. Campini, suffragato dall'effettuazione del lungo volo di 474 chilometri che separano l'aeroporto di Linate da quello di Guidonia, e per il quale la nostra Reale Unione Nazionale Aeronautica richiederà l'omo­logazione come primato internazionale di questa nuova speciale classe di velivoli, è la pratica dimostrazione che il principio messo a punto è ottimo e tale da giu­stificare i più arditi ottimismi.
Nel velivolo la fusoliera è costruita interamente cava con un condotto oppor­tunamente sagomato in tutta la sua lunghezza. Il motore è posto nell'interno della fusoliera ed aziona un compressore posto quasi sulla prua e che provoca un salto di pressione ed un flusso di aria nell'interno del tubo. Questo flusso d'aria, dopo aver provveduto a raffreddare il motore, si mescola con i gas di scarico aumentando il proprio contenuto termico e rendendo possibile una espansione a valle del gruppo motopropulsore. Questa espansione può essere aumentata iniet­tando del combustibile che viene a bruciare nella piena corrente del gas vicino alla coda dell'apparecchio. La portata della corrente e conseguentemente la velocità dell'apparecchio, può essere modificata a volontà dal pilota che varia opportunamente la sezione del condotto.
Con questo sistema si può sfruttare anche la grande quantità di calore dovuta al raffreddamento del motore ed ai gas di scarico che normalmente invece va perduta nell'atmosfera.
Siamo pertanto all'inizio di una nuova era dell'aviazione: l'elica, ritenuta fin qui l'unico mezzo capace di assicurare la traslazione del più pesante dell'aria, è stata sostituita dalla propulsione a reazione. Gli ulteriori sviluppi di questo sistema potranno assicurare il raggiungimento di velocità che per ora sono ancora allo stato di progetto.
Nel suo volo Milano-Roma l'apparecchio ha trasportato anche un carico postale che è pertanto il primo che ha volato con aeroplano a reazione.

MAR.


Testo in didascalia)
LA PAGINA DELLO SCHERMO
A destra, Carlo Ninchi in una vigorosa inquadratura di « Giarabub » il film che Asvero Gravelli ha ideato a esaltazione della eroica resistenza delle truppe italiane in Africa, resistenza simboleggiata nel nome glorioso della lontana oasi. - Qui sotto, Elsa Merlini che inter­preta la parte di Margherita di Valois nel nuovo film della Juventus: « La Regina di Navarra ». (Foto Vaselli).

Clara Calamai con Gino Cervi e Nerio Bernardi in una scena del nuovo grande film di produzione Ju­ventus-Enic, « La Regina di Navarra », di cui procede attivamente la realizzazione a Cinecittà. (Foto Vaselli).



Testo in didascalia)

L'inghilterra manda un grido disoccorso ai popoli.

-- Dunque, non c'è nessuno che voglia tirare il mio carro?

Le riserve di Churchill.

--Questo automa vale dieci soldati.

--Già, già, può correre anche indietro