lunedì 12 maggio 2008

Alessandro Guidoni: Ingegnere e pilota


ALESSANDRO GUIDONI: INGEGNERE E PILOTA



« Colonnello Fiore, ho qualche dubbio sul funzionamento di alcuni organi del paracadute Freri ed in particolare del sistema di tranciamento. Perciò ho deciso di provarlo io stesso domattina. Nel caso di esito sfavorevole ritengo che si dovrebbe portare il comando dell'apertura più verso il centro, oppure sostituirlo con un anello da tirarsi colla destra, come sul tipo Irving. Nel complesso il paracadute è buono ma il suo prezzo per la nuova serie di 1000 dovrebbe essere ridotto a Lire 7.000
A. Guidoni ».


Questo bigliettino fu trovato dal colonnello Amedeo Fiore, capo della divisione aeromobili del genio aeronautico, sul proprio tavolo di lavoro la mattina del 27 aprile 1928. Glielo aveva lasciato il suo diretto superiore, quell'ingegner Alessandro Guidoni che, già generale capo del genio aeronautico nel 1923, era a quell'epoca, per nomina avvenuta nel novembre 1927, direttore superiore degli studi e delle esperienze e direttore generale delle costruzioni e degli approvvigionamenti. Come è noto, l'esperienza ebbe un risultato negativo; l'apertura del paracadute Freri, come Guidoni dubitava, non si svolse nella maniera prevista e poche ore dopo aver letto l'appunto Fiore veniva informato che il generale Guidoni si era schiantato al suolo sull'aeroporto di Montecelio. Ancora oggi la cittadina che circonda la base aerea sperimentale è intitolata al nome dell'eroico generale: fu fondata e battezzata Guidonia il 27 aprile 1935.

Alessandro Guidoni era un piemontese purosangue, nato a Torino il 15 luglio 1880, laureatosi in ingegneria industriale a 23 anni ed ammesso nel corpo del genio navale nel dicembre 1903. Allievo pilota a Tripoli fin dal 1911, nella squadriglia di Moizo, l'anno successivo conseguì il brevetto e divenne istruttore di volo della marina, poi pilota di aerei sperimentali e quindi comandante della squadriglia imbarcata sulla nave trasporto idrovolanti Elba. Durante la prima guerra mondiale fu addetto ai reparti aeronautici della marina come responsabile delle costruzioni e riparazioni. Dal 1920 al 1923 ricoprì l'incarico di addetto aeronautico all'ambasciata italiana di Washington poi, costituitasi la Regia Aeronautica, vi entrò a far parte il 6 settembre 1923 come tenente colonnello del genio aeronautico, compiendo una carriera rapidissima: colonnello in settembre, maggiore generale in novembre, generale capo in dicembre, direttore superiore del genio e delle costruzioni aeronautiche il 26 dello stesso mese.
Si tratterebbe di un caso eccezionale, se non sapessimo quale disperata necessità di tecnici valenti ci fosse a quell'epoca nella nuova arma, specialmente dopo il famoso «diktat» di Mussolini che aveva chiesto 300 aeroplani in volo per la fine del 1923 e ne voleva 650 a breve scadenza. Guidoni era l'uomo che avrebbe dovuto garantire la riorganizzazione tecnica dell'aviazione. Scriveva il giornalista Guido Mattioli qualche anno dopo la scomparsa di Guidoni: “L’opera di Guidoni per l’aviazione fascista fu risolutiva. Era stato subito stabilito un programma che andava dal 1923 al 1930. Il materiale residuato di guerra fu radunato e messo in mano alle ditte costruttrici per il suo aggiornamento e ammodernamento. Contemporaneamente si partiva per la costruzione degli apparecchi in serie, adottando anche la tecnica straniera per meglio raggua­gliare la nostra industria sui progressi altrui e si preparava intanto il materiale per il potenziamento della Regia Aeronautica “.


In effetti, al di là dei facili contenuti retorici delle parole di Mattioli, l'opera di Guidoni fu molto apprezzata, ma l'uomo non era facile. Era un capo duro, innanzitutto con se stesso, e poi era un lavoratore infaticabile, organizzato e or­ganizzatore, molto serio. Ingegnere pilota, si trovava a disagio in un ambiente di piloti non ingegneri, che avevano portato nell'arma azzurra un soffio di goliardismo e di entusiasmo, ma che evidentemente stentavano ad assumere quell'atteggiamento più tecnico che Guidoni ricercava e apprezzava, tanto che a un certo punto lo accusarono di voler prevalere sugli stessi piloti ai fini della carriera e di puntare alla carica di capo di SM.

Il venticello delle accuse intanto si gonfiava e non giovava a Guidoni la buona amicizia con Nobile, che aveva fama di socialista, e sul quale dopo il disastroso esito della spedizione del dirigibile Italia (maggio 1928) si rovesceranno i fulmini dell'aeronautica e della marina. Guidoni così si dimise ed andò ad assumere la carica di addetto aeronautico a Londra, dal 1925 al 1927, anno in cui Balbo lo richiamò a Roma per dargli tra l'altro l'incarico di direttore generale delle costruzioni e degli approvvigionamenti.

Chi si accosta per la prima volta all'opera di questo grande pioniere e studioso dell'aviazione non può nascondere la sorpresa constatando quanto le sue concezioni fossero avanzate. In un libro apparso nel 1935, quindi postumo, sono stati ordinati scritti, progetti, disegni, saggi critici di Guidoni. L'elenco è a dir poco sconcertante: si va dai progetti di trasformazione di una nave da guerra in nave appoggio idrovolanti (da non dimenticare che Guidoni lavorò effettivamente a queste trasformazioni sulla nave Elba) a piani per costruire aeroplani di metallo, al progetto di un dirigibile a carena rigida per la marina, ad una bomba a slittamento, ad un elica a passo variabile, a un turbomotore con compressore a nafta, ed all'incrociatore aereo (scriveva Guidoni nel 1927: «Con questo nome un po' alla Salgari si ìndica in Inghilterra il grande idroplurimotore da impiegarsi nei servizi d'esplorazione d'alto mare e nelle navigazioni di crociera... »; l'idro proposto da Guidoni era trimotore, in tutto simile alle macchine che verranno effettivamente realizzate, ma alcuni anni dopo).

Tuttavia l'idea che sorprende di più per la sua praticità, per l'intelligenza della formula ed anche per la sua modernità, è quella dei catamarani (portaerei e incrociatore). Il catamarano, come è noto, è una imbarcazione formata da due scafi affiancati uniti da un ponte di coperta e deve la sua notorietà all'uso che ne facevano gli indigeni nei mari del Sud, indigeni che in compenso con questo sistema riuscivano ad attraversare, con scafi rudimentali, centinaia di chilometri d'oceano. La portaerei a catamarano proposta dall’ingegner Guidoni nel 1926 aveva tre particolarità: 1) era la prima nave portaerei del mondo progettata appositamente per questo scopo; 2) aveva un dislocamento minimo, di sole 3500 t, ma ciononostante, grazie al ponte completamente sgombro, disponeva di una pista di volo lunga circa 120 m e larga oltre 12; 3) la velocità era prevista in almeno 33 nodi, il che avrebbe fatto della proposta portaerei l'unità di questo tipo più veloce del mondo (allora si dava per scontata una velocità di 31 nodi soltanto per la portaerei britannica Furious).

Le innovazioni erano molte e sorprendenti: per esempio, l'apparato propulsore era composto, secondo il progetto, da quattro motori elettrici da 1000 CV ciascuno e da ben 96 motori d'aeroplano Fiat A.25 da 800/850 CV, a dodici cilindri, distribuiti negli scafi laterali. La nave così concepita, oltre a disporre di una elevata velocità e di dimensioni assai modeste se rapportate a quelle delle portaerei già in servizio o previste a breve scadenza, poteva trasportare 25 aeroplani, che dagli scritti di Guidoni risultano dei seguenti tipi: « ... 10 apparecchi da bombardamento pesante a carrello, 9 da caccia terrestri e idro, e 6 da ricognizione idro oppure anfibi, tutti ad ali ripiegabili ». Con lo stesso criterio costruttivo del catamarano Guidoni proponeva anche un incrociatore d'attacco, a complemento della portaerei, incrociatore che a fronte
di un dislocamento massimo di 16.700 t e di una velocità di 31 nodi, avrebbe contato su ben 4 cannoni da 406 mm, cioè cannoni dei massimi calibri di mari­na, e otto da 152 mm; la propulsione sarebbe stata assicurata da 4 motori elet­trici da 1500 CV e da 156 motori d'aereo Fiat A.25 da 800 CV. Probabilmente alcune di queste idee sarebbero risultate poco pratiche all'atto della realizzazione, ma siamo sicuri che fosse proprio così? Alcune delle propo­ste di Guidoni sono state tramutate in realtà decine di anni dopo che lui le ave­va immaginate; altre, come la telebomba Crocco ‑ Guidoni, furono realizzate (la telebomba, in particolare, venne collaudata con esito complessivamente non sfavorevole fin dal 1918). In realtà l'uomo era veramente un precorritore, un pioniere e, come tale, si capiscono meglio taluni umori e atteggiamenti della sua vita, comunque sempre feconda di idee e ricca di fermenti.
Per concessione di Guglielmo Ribolla – mail to wribolla@libero.it

domenica 11 maggio 2008

Prospero Freri Papà del Paracadute


Una cartolina del gruppo aerostieri del Genio: si nota la presenza di un contenitore per paracadute agganciato alla cesta dì vimini del pallone e collegato alla speciale imbragatura indossata dall'osservatore.
Caproni Pomilio 6 utlizzato nel settembre 1918 per il primo lancio di Guerra della storia del Pracdutismo mondiale


PROSPERO FRERI IL PAPA’ DEL PARACADUTE
Il 1926 può essere considerato un anno importante, se non storico, per l'aviazione militare italiana: fu infatti in quell’anno che la Regia Aeronautica omologò e rese obbligatorio il paracadute ”Salvator”. Con questo nome era stato realizzato il più compatto e sicuro paracadute italiano e forse del mondo, ad opera di un coraggioso ufficiale pilota: Prospero Freri. E’ universalmente riconosciuto che si deve soltanto alla tenacia di Freri, al suo coraggio, alla sua capacità di effettuare nel corso della carriera oltre 150 lanci con il paracadute, alcuni dei quali in condizioni veramente pericolose, se la Regia Aeronautica accelerò i tempi di adozione del paracadute per tutti i suoi equipaggi: infatti, omologato nel 1926, il "Salvator" B divenne il modello regolamentare richiesto dal ministero dell'aeronautica. Fu distribuito a tutti i reparti a partire dalla metà del 1928, e fu in quell’anno che si registrarono appunto i primi salvataggi di vite umane.


Prospero Freri era nato a Napoli il 25 marzo 1892 ed era diventato ufficiale dei bersaglieri nel 1912; successivamente aveva seguito un corso di pilotaggio e cominciò la grande guerra quale pilota di Farman, nel maggio del 1915. Due anni dopo era trasferito alla caccia, e, dopo un periodo alla Malpensa durante il quale imparò a pilotare praticamente tutti i tipi di velivoli da caccia esistenti, era trasferito in novembre in Macedonia, come tenente pilota, restandovi fino a tutto il 1918. Ed avvenne proprio in Macedonia l'episodio che lo colpì e sul quale avrebbe rimuginato per anni. Lo prendiamo dal suo libro Scendendo dal cielo: ”Al paracadute, sinceramente, non avevo mai pensato! Volavo così entusiasmato a tal punto, che mi sembrava impossibile di cadere e, quindi, l'idea del paracadute passava per la mia mente come poteva passarvi quella di farmi frate. Ma un giorno, un brutto giorno, in Albania un mio pilota veniva abbattuto dal nemico, e col velivolo incendiato precipitò da 2.000 metri sino a circa 300; qui, col gesto della disperazione per le fiamme divoratrici che lo avvolgevano, si gettò dall'ardente rogo e orribilmente cadde al suolo sfracellandosi. Se avesse avuto il paracadute! Da allora, vi pensai... “.

L'avvenimento decisivo capitò, tuttavia, quattro anni più tardi. Il 17 maggio 1921, nel cielo di Capodichino, Freri stava volando a bordo di un vecchio bimotore Caudron G4, insieme ad un motorista; ed ecco, di colpo a 1000 m di quota, l’aeroplano, forse per una rottura ai comandi del timone, cominciò a precipitare in vite. Non c'era stato alcun segnale premonitore dell'incidente e Freri si trovò di colpo ad agire disperatamente sul volante, sulla pedaliera e sugli altri comandi per cercare di rimettere in linea il Caudron; ma non fu possibile, ed il velivolo andò a fracassarsi in un bosco. Il motorista morì nell’incidente, e Freri, ferito in modo grave, decise durante la degenza di dedicarsi a studiare un tipo efficace di paracadute. «Perché» si ripeteva continuamente “se io e il motorista avessimo avuto un paracadute, avremmo potuto cavarcela”.



A quell'epoca i paracadute non erano un “oggetto misterioso”; ciò va chiarito, tanto per dare un senso alle ricerche di Freri. Il sistema di funzionamento era ben noto, e in molti casi i paracadute venivano usati con successo. All'estero molte nazioni lo avevano adottato o comunque lo stavano facendo, e, del resto, durante la guerra gli osservatori dei "palloni‑drago" disponevano di paracadute; erano ingombranti e pesanti, ma poco importava; essenziale era che ci fosse, appeso alla navicella o alla cesta di vimini. L’osservatore vi si imbarcava con lunghe cinghie e, nel caso che un caccia nemico fosse comparso improvviso ad innaffiare il pallone di proietti incendiari, si saltava fuori bordo. Ed in genere andava bene. Uscito dalla clinica, Freri si congedò dall'esercito e, trovatosi un socio, un certo Maddaluno, anche lui napoletano, costruì il primo paracadute, battezzato « aerodiscensore ». Era però un aggeggio ingombrante, difficile ad usarsi, che per di più doveva essere appeso all'aeroplano (nel caso in questione era un vecchio SVA biposto che Freri aveva acquistato con i suoi risparmi e rimesso in sesto).
L' “aerodiscensore” funzionava, certo, tuttavia il suo uso risultava troppo complicato; ma Freri continuò imperterrito a presentarlo in giro, esibendosi su campi d'aviazione ed alle manifestazioni aviatorie, e vincendo anche premi, sia lui che il socio. Con lo stesso tipo di dispositivo si lanciò nel vuoto, il 13 maggio 1923, anche una donna, la signorina Alba Russo, probabilmente la prima italiana paracadutista.
Sebbene nelle sue memorie Freri sorvoli sulla questione dei dissapori intervenuti con il socio Maddaluno, sta di fatto che ad un certo punto i due si separarono e l'ex‑pilota fu costretto a cercarsi un nuovo collaboratore che gli assicurasse la parte, diciamo così, pratica, della collaborazione. Lo trovò in un ingegnere oriundo polacco, Giuseppe Furmanik, che lo stesso Freri definisce “coinventore” del “Salvator”. Anzi, cedendo allo stile pomposo dell'epoca, Freri lo descrisse così: “Polacco di origine egli possiede la qualità fattiva e creativa del latino e la ferrea tenacia del popolo del Nord. Oggi è cittadino italiano, e con vero entusiasmo, fascisticamente svolge la sua attività nel campo delle ricerche e delle costruzioni”.

Il primo “ Salvator “, denominato poi tipo A, era simile ai paracadute già sperimentati; veniva assicurato alla fusoliera dell'aeroplano, ma, obiettivamente, le condizioni d’impiego non miglioravano. I due inventori decisero allora di studiare un modello più comodo: nacque così il tipo B, di peso ridotto (solo 6 chili e 300 grammi) che si portava imbracato sul dorso. Ogni problema era allora superato e il pilota o chiunque altro a bordo, indipendentemente dall'assetto dell'aereo, potevano lanciarsi senza difficoltà. Una fune di svincolo collegata all' aereo permetteva l' apertura automatica del paracadute dopo due secondi e mezzo, ma esisteva anche la possibilità di comandare l'apertura a mano.
Con il «Salvator» B, Freri e Furmanik si resero conto di avere in mano ciò che stavano cercando, tuttavia non fu così facile come credevano persuadere le autorità. Le esibizioni e i lanci dovettero moltiplicarsi e numerosi furono i concorsi cui parteciparono con successo sia in Italia che all' estero. Tra l'altro compirono perfino esperimenti di lancio di posta su navi da guerra da bordo di idrovolanti.

Finalmente nel 1926 l’aeronautica militare accettò il “Salvator” B e risolse il problema del salvataggio degli uomini in volo in caso di difficoltà; non cessarono però le ricerche di modelli più perfezionati e seguirono poi il C ed il D. Numerosi furono gli equipaggi salvatisi, ma ci furono anche incidenti: in uno di questi morì il generale Guidoni, che voleva sperimentare il “Salvator” e apportargli talune modifiche. Secondo Freri l' incidente fu causato da una errata manovra di Guidoni, che si aggrappò al fascio di corde chiudendolo in parte ed impedendo la normale apertura della calotta. Le polemiche che seguirono non influirono comunque sul futuro del “Salvator”, che per lunghi anni restò la garanzia più sicura per migliaia di aviatori, non soltanto italiani. I rifornimenti alla famosa “ tenda rossa “, dove si trovava Nobile, furono lanciati con paracadute dei due inventori.

Freri non sparì dalla scena. Durante la seconda guerra mondiale partecipò alla realizzazione della motobomba FFF, così chiamata dalle iniziali dei nomi dei tre realizzatori (Freri, Fiore e Filpa). “Quest'arma, veramente geniale” scrisse Igino Mencarelli in un suo libro dedicato a Freri “era munita di un grande paracadute. Appena toccata l'acqua l'ombrello si liberava automaticamente; nel contempo si metteva in moto un apparato propulsivo ad elica e l'arma percorreva in immersione, alla giusta profondità, una spirale allargata, rendendo così inevitabile l' urto contro navi od opere portuali. A distanza di un' ora dal lancio, se non aveva incontrato ostacoli, si distruggeva da sola. La motobomba venne impiegata con successo nell’ultimo conflitto contro il porto d'Alessandria d'Egitto, nel porto e nella rada di Gibilterra e contro un convoglio britannico.... su altri scacchieri bellici la usarono i tedeschi”.



Per gentile Concessione di Guglielmo Ribolla - mail to wiribolla@libero.it

Roma 10 -26 settembe 1976 XIII CAMPIONATI DEL MONDO di Paracadutismo


AERO CLUB D'ITALIA


ROMA
1976


CONI

FEDERAZIONE
AERONAUTICA INTERNAZIONALE


XIII CAMPIONATI DEL MONDO
DI PARACADUTISMO
AEROPORTO DI GUIDONIA
10‑26 SETTEMBRE








Alto patronato concesso
dall'on.le prof. avv. Giovanni Leone
Presidente della Repubblica

Comitato d'onore

On.le dott. Vito Lattanzio
Ministro per la Difesa
On.le dott. Attilio Ruffini
Ministro per i Trasporti
On.le dott. Dario Antoniozzi
Ministro per il Turismo e lo Spettacolo
On.le dott. Maurizio Ferrara
Presidente della Regione Lazio
Gen di C.d'A. Andrea Viglione
Capo di Stato Maggiore della Difesa
Gen. di C:d'A. Andrea Cucino
Capo di S:M. dell'Esercito
Amm. di Sq. Gino De Giorgi
Capo di S.M. della Marina
Gen. di Sq. A. Dino Ciarlo
Capo di S.M. dell'Aeronautica
Dott. Gaetano Napoletano
Prefetto di Roma
Gen. di Sq. A. Francesco Cavalera
Segretario Generale della Difesa
Gen. di C.d'A. Enrico Mino
C:te Generale dell'Arma dei Carabinieri
Gen. di Div. Alvaro Rubeo
Ispettore delle Armi di Fanteria e di Cavalleria
Mons. Gu lielmo Giaquinta
Vescovo l Tivoli
On.le Giorgio La Morgia
Presidente della Provincia
Prof. Carlo Giulio Argan
Sindaco di Roma
Dr.ssa Anna Rosa Cavallo
Sindaco di Guidonia
M. Bernard Duperier
Presidente della Federazione Aeronautica
Internazionale
Avv. Giulio Onesti
Presidente del Comitato Olimpico
Nazionale Italiano
Gen. di C.d'A. Enrico Frattini
Presidente dell'Associazione Nazionale
Paracadutisti d'Italia.
Dott. Raffaello Teti
Presidente dell'Aero Club d'Italia







Saluto del Presidente della Repubblica ai partecipanti ai XIII Campionati del Mondo di Paracadutismo Sportivo.

II Capo dello Stato alla vigilia delle prove cui darà luogo la XIII edizione dei Campionati del Mondo di Paracadutismo Sportivo, che si svolgeranno presso l'Aeroporto di Guidonia, ha inviato un caloroso messaggio agli organizzatori e partecipanti tutti di ogni nazione, mettendo fra l'altro in evidenza che per i concorrenti stranieri il saluto augurale ha il significato di un caldo benvenuto da parte dell'Italia. II Presidente della Repubblica dopo aver affermato che la manifestazione dimostrerà la bravura dei concorrenti in uno sport che si caratterizza per ardimento, ha concluso sottolineando che la gara varrà a riaffermare nell'incontro di giovani di Paesi diversi ideali di pace, di amicizia e di solidarietà.
A Szolnok, in Ungheria, il 12‑8‑1974, in occasione della cerimonia di chiusura dei XII Campionati mondiali di paracadutismo sportivo, i rappresen­tanti della Federazione Aeronautica Internazionale ed i paracadutisti di tutto il mondo, nell'accomia­tarsi, si dettero appuntamento per il 12‑9 di questo anno a Roma, che l'Aero Club d'Italia, nel porre la sua candidatura, accettata dalla F.A.I., purché si svolgessero in Italia i nuovi campionati mondiali, aveva scelto come sede.
Oggi, infatti, convengono qui all'Aeroporto di Gui­donia, i paracadutisti più validi di ogni nazione per partecipare ad una competizione che, indipen­dentemente dall'assegnazione dei premi per i migliori, permetterà agli atleti ed ai giudici di raf­frontare e controllare le tecniche agonistiche che in questo sport, in un processo di sempre cre­scente evoluzione, vanno ogni giorno più affinan­dosi, consentendo ai singoli di esprimere, anche se con l'impiego di mezzi sempre più perfezionati, il meglio delle loro capacità.
Questo continuo sviluppo a livello mondiale, ha, anzi, spinto l'Italia, a battersi in tutte le sedi opportune perché il paracadutismo sportivo venga finalmente riconosciuto come disciplina olimpica, il che, peraltro, non contrasterebbe, come è ovvio, con il regolare svolgimento dei periodici campio­nati del mondo.
È motivo, poi, di particolare orgoglio il vedere svolgere questi campionati sul campo di Guidonia, là dove hanno avuto inizio tante splendide imprese aeronautiche italiane, il cui ricordo è ancora oggi vivo non solo in Italia ma anche all'estero.
Nel dare il benvenuto ai rappresentanti della Fede­razione Aeronautica Internazionale, ai Membri del­la Commissione Internazionale di Paracadutismo della F.A.I., ai Giudici Internazionali ed agli atleti di tutto il mondo, sono certo che anche questa volta la competizione raggiungerà il più alto livello spettacolare, tecnico ed agonistico e riproporrà all'attenzione di tutti le doti di profondo conte­nuto umano e sociale di cui è permeata, favorendo l'incontro fraterno fra i popoli.
E mi sia anche consentito di formulare l'augurio che questa manifestazione italiana, rinnovando le affermazioni di coraggio e di spirito agonistico di sempre, sia di valido incitamento per un ancor maggiore sviluppo di questo magnificato sport.



• Comitato organizzatore

• Gonippo Sebastiani Presidente
• Giovanni Piccinni Segreteria Generale
• Lamberto Picca Segreteria Generale
• Guglielmo Messeri Segreteria Generale
• Angelo Velini Segreteria Generale
• Anna de Mercurio Segreteria Generale
• Gaetano Argento Settore Tecnico‑Operativo
• Ariodante Mazzacurati Logistica
• Romano Piattella Logistica
• Piero Duranti Logistica
• Paolo Rapex Elaborazione Dati
• Mario Borri Roselli Elaborazione Dati
• Rodolfo Baldesi Cerimoniale
• Ledi Anna De Vidi Cerimoniale
• Cesare Simula Stampa
• Andrea Giovannucci Stampa
• Gruppo Artigiano Ricerche Visive Grafica



Programma


10 settembre
Arrivo Delegazioni

11 settembre

ore 8‑19
Lanci di allenamento

12 settembre

ore 10
Cerimonia di apertura
Manifestazione aviolancistica con la partecipazione della Pattuglia Acrobatica Nazionale Frecce tricolori » 13‑16 settembre

ore 7.30‑19
Svolgimento gare
17 settembre
Riposo
18‑25 settembre

ore 7.30‑19
Proseguimento gare
26 settembre

ore 10 Cerimonia di Premiazione e di Chiusura

Manifestazione Lancistica

Lanci di esibizione delle squadre nazionali partecipanti
Hotels per i partecipanti

Hotels for the attendings

Hotels pour les partìcipants

Hotels para los partecipantes

Hotel Giocca: Castel Giubileo da/de/from/de Guidonia: Settecamini, Tiburti­na, via Salaria.

2) Hotel Ritz: Roma, piazza Euclide da/de/from/de Guidonia: Settecamini, Tiburti­na, viale Regina Margherita, viale Liegi, viale Parioli.

3) Hotel Barba: Mentana da/de/from/de Guidonia: via Palombarese, bi­
vio per Mentana.

4) Hotel Sylvan: via Palombarese da/de/from/de Guidonia: via Palombarese.

5) Hotel La Brocca: via Palombarese da/de/from/de Guidonia: via Palombarese.

6) Hotel Terme: via Tiburtina (est Bagni di Tivoli) da ,/de/from/de Guidonia: Bagni di Tivoli, Ti­burtina per Tivoli.

7) Hotel River: via Tiburtina (est Bagni di Tivoli) da/de/from/de Guidonia: Bagni di Tivoli, Ti­burtina per Tivoli.

8) Hotel Grottino: Bagni di Tivoli da/de/from/de Guidonia: Bagni di Tivoli.


Giuramento dei giudici internazionali ai XIII campionati del mondo di paracadutismo sportivo ‑ Roma 1976

Noi ufficiali di gara, giuriamo di giudicare con lealtà, nello spirito di Olimpia, le gare dei XIII Campionati del Mondo di Paracadutismo, per la esaltazione e l'onore dello sport.
Collegio dei Giudici Internazionali

Giudici
Svend Brosted Danimarca
capo giudice
Piero Goffis Italia
assistente capogiudice
José Bassano Argentina
Erte Wegerer Austria
Ray Williams Australia
Guillaume Reniers Belgio
Angel Doinski Bulgaria
John Chemello Canada
R. Martinez Cuntreras Spagna
Noél Hardouin Francia
John Kemley Gran Bretagna
Otto Nagy Ungheria
Kjell Granbakken Norvegia
Gargala Bolesdaw Polonia
W. Schmidt G.D.R.
Arndt Hoyer G.F.R.
Ueli Brand Svizzera
Jan Major Cecoslovacchia
Inanc Ayas Turchia
Viatcheslav Jarikov U.R.S.S.
Robert MacDermott U.S.A.
Uje Koslav Vampovac Jugoslavia

Supplenti

Gene Bermingham Australia
Joe Leitner Austria
Walter Mertens Belgio
Ivan Karakachev Bulgaria
Hanne Hardman Canada
F. Pinon, G. Llanos Spagna
Claude Challet Francia
Dave Waugh Gran Bretagna
Miklos Laszlo Ungheria
Helge Sandnes Norvegia
Bogdan Plamowski Polonia
K. H. Wolf G.D.R.
Lothar fRutzel G.F.R.
Ramo Bertolucci Svizzera
Miroslav Repka Cecoslovacchia
Aleksandre Dounaev U.R.S.S.
William Bohringer U.S.A.
Gligor Ivascenko Jugoslavia

Direttore di gara
Gonippo Sebastiani
Ass. Direttore di Gara
Gaetano Argento





Maurizio Barone




BREVE STORIA
DEI CAMPIONATI MONDIALI
DI PARACADUTISMO



Nella storia di ogni attività sportiva è di solito piuttosto difficile individuare il momento che coincide con il passaggio dallo stadio di puro di­vertissement a quello di agonismo. Non fa ecce­zione a questa regola il paracadutismo, senonché l'evoluzione di uno sport così particolare e carat­terizzato, non è mai passata attraverso la fase di diletto per una ristretta élite.
Quando nasce allora il paracadutismo sportivo? Per gli americani è probabile che questa data si identifichi con i primi Air Show che, fra gli anni 1922‑1929, videro le esibizioni, lautamente pagate, di qualche spericolato appeso ad una velatura im­mancabilmente bianca. Per i sovietici, forse nella metà degli anni trenta quando un rapporto di ambasciata, allora segreto, rivelò l'incredibile cifra di 250 centri‑scuola di paracadutismo, e, malgrado gli evidenti scopi para‑militari, riesce impossibile pensare che, fra tanti paracadutisti, non sia nata l'idea della competizione. Si tratta tuttavia, nel­l'uno e nell'altro caso, di appendici a fatti che erano essenzialmente estranei allo sport.
Anche in Europa, massime in Francia ma anche in Italia e Germania, l'interesse per questa attività allora notevolmente pericolosa è, forse proprio per questo, abbastanza vivo già prima della seconda Guerra Mondiale, ma il retaggio circense o mili­tare sarà, per molti anni ancora, troppo pesante. Quando nasce allora il paracadutismo sportivo? .Generalmente si assume che questa data sia il 17 e 18 febbraìo del '51, quando cioè, in una riu­nione della F.A.I. ad Hague in Olanda, si stabilisce di organizzare il primo Campionato del Mondo (1). Per parte nostra riteniamo un poco arbitraria que­sta datazione, rimanendo il paracadutismo ancora per molti anni, e nella maggiore parte del mondo, attività più vicina allo spettacolo da brivido o alle manovre militari che non ad una qualsiasi disci­plina sportiva.
Ma una data, come impongono le convenzioni, bi­sogna pure assumerla, e questa vale di più ed ha più fascino di altre.
Dunque, in quella riunione, dedicata quasi intera­mente al paracadutismo, si discute sul come in­crementare, allargandone i confini, questa attività che pochi ardiscono ancora chiamare sport.
Ne esce la decisione di effettuare, quasi a titolo di prova, una competizione internazionale ufficiale, regolamentata dalla F.A.L.
La denominazione Campionato del Mondo sarà po­steriore di qualche mese; il pudore ha impedito sul momento di usarla. La sede prescelta è Bled in Slovenia, magnifica cittadina ai piedi delle Alpi, bagnata da un lago che sembra preso da una fa­vola. E proprio di favola è il caso di parlare accin­gendosi a raccontare la storia dei Campionati Mondiali di paracadutismo.


1951 – Bled: l’inizio

Bled dunque, né poteva essere diversamente per­ché la proposta di effettuare un meeting mondiale era partita appunto dal rappresentante yugosiavo, che aveva altresì attestato la disponibilità del proprio paese all'organizzazione di questo primo Campionato.
Il 16 agosto 1951 si ritrovano a Bled appunto, in 17 provenienti da sei diversi paesi. La Iugoslavia ha, come è ovvio, la più nutrita rappresentanza con sei paracadutisti, seguono l'Italia con cinque, Francia (tre, fra cui l'unica donna, l'allora ventu­nenne ‑ ed espertissima ‑ 112 salti!! Monique Laroche), Gran Bretagna (due), Olanda e Svizzera con un concorrente ciascuna.
Un rapido controllo ci dice che questo elenco non concorda con le cifre ufficiali; il concorrente olan­dese infatti, a causa di problemi di regolamento, parteciperà a sole due prove senza comparire quindi nella classifica definitiva. Sono previsti cin­que lanci: due di precisione da 500 m con aper­tura istantanea, due di precisione da 2000 metri con apertura fra i 700 ed i 300 m, uno da 350 m con atterraggio in acqua e « zero » costituito da un cerchio di legno galleggiante.
La squadra italiana: Cannarozzo, Rinaldi, Bordi­gnon, Caffaretto, Milani con la riserva Cavatorta in viaggio premio, è molto attesa alla prova; si presume forse troppo da questi primi azzurri del paracadutismo. In effetti la mania tutta italiana delle aperture a quote impossibili, proprio in que­sto primo mondiale dovrà causarci una cocente delusione. Milani, fra i primi nelle prove da 500 e 350 m, ritarda oltre ogni limite l'apertura del paracadute in uno dei salti da 2000 metri ponen­dosi quindi fuori gara.
II primo campione è un francese, Pierre Lard, che è stato anche un buon tre‑quarti del campionato di rugby del suo paese, e che precede lo jugoslavo Vukcevic e lo svizzero Hans Walti, il quale era giunto a Bled, accompagnato da una troupe cine­matografica, a bordo di una lussuosa Cadillac!
II 20 agosto, con le eleganti evoluzioni di un ori­ginale idroaliante che ammara sul lago di Bled, si chiude questa prima edizione dei Campionati del Mondo di paracadutismo. Un'ultima annotazione che dice molto sulla particolare disposizione del vertice iugoslavo verso questo sport: nella stessa serata del 20, i concorrenti e gli accompagnatori vengono ricevuti ed ospitati per una cena slovena, presso la ex residenza reale, dal Maresciallo Tito il quale, pur sofferente per una recente operazio­ne, ringrazia e saluta gli ospiti con un breve discorso.



Una foto storica: la rappresentativa italiana ai primi Campionati dei Mondo, a Bled (Jugoslavia) nel 1951: Bianchini, Cannarozzo, Rinaldi, Boschi, Milani. Caffa­retto.



1954 ‑ St. Yan: i Russi e l'”americano”

Dopo Bled si ha un periodo di riflessione durante il quale anche nella mente dei più increduli, e malgrado la ridotta risonanza della competizione, si fa strada l'idea che un Campionato del Mondo può rappresentare il migliore trampolino di lancio anche per il paracadutismo. Già nel '52 si è avuta una proposta, poi caduta, per la seconda edizione da effettuarsi in Olanda.
Questa seconda edizione viene invece assegnata alla Francia nel corso di una riunione della Com­missione per il Paracadutismo (CA.P.) della F.A.I., tenuta a Parigi al n. 6 di rue Galilèe, il 15 gen­naio 1954. Questa riunione è ormai passata alla storia per due motivi: nella stessa infatti fu deciso la cadenza biennale dei mondiali e fu fatta, da parte del delegato sovietico Stepanov, la ormai famosa richiesta affinché, per la misurazione delle distanze dal centro, fossero presi in considera­zione anche i centimetri. L'incredulità ed il malce­lato sarcasmo di quasi tutti i delegati presenti, lasceranno il posto alla costernazione appena sette mesi dopo, sui prati di St. Yan, nel sud della Francia, ad un tiro di schioppo dal castello del Signor de Lapalisse.
Fedcitcin, Marutkin, Kosinov, Miliestevic e la Seli­verstova dimostrano subito che le parole di Ste­panov non erano invenzioni di una mente malata né infantili mìllanterie.
La media del campione, un elettricista ucraino trentaduenne, Ivan Fedcitcin, i capelli di stoppa ed i tratti del viso che paiono scolpiti nel legno dei boschi della sua terra, è di circa 5 metri per lancio, il che ‑ considerati i mezzi del tempo ‑ha del fantastico. La velatura vincente è la sovie­tica PD47 dalla originale pianta a rettangolo molto corto.
Fa il suo esordio in questa gara la già nominata Valentina Seliverstova, incredibile esempio di se­rietà e dedizione allo sport: sarà presente a tutte le edizioni dei mondiali fino al 1968 compreso. A St. Yan si piazza al nono posto, prima fra le due concorrenti femminili.




Foto: Rinaldi e Cannarozzo concordano i particolari di quello che doveva essere l'ultimo lancio di Cannarozzo.

Foto: Elio Cavatorta, campione italiano di precisione, perito in un lancio nel lago di Garda.
Partecipa anche, quasi casualmente, un americano, il Sergente Fred Mason, il quale, di stanza in Ger­mania, provvede personalmente alle spese di viag­gio. Mason, che si piazzerà ventitreesimo, perderà la vita qualche tempo dopo in un incidente di volo su di un aliante.
Non sarà purtroppo né il primo né l'ultimo, fra gli Dei dell'Olimpo paracadutistico, a lasciarci in mo­do cosi triste.
Poco più di un anno prima, il 3 maggio 1953, era scomparso Salvatore Cannarozzo, « le parachuti­ste le plus intrepide du monde ». Totò, trentaduen­ne, si era schiantato sul cimitero del Lido di Ve­nezia durante un salto di manifestazione. Le sue ultime grida rimarranno impresse per sempre nel­la mente e nel cuore dei pochi testimoni.
Nel giugno del '52 anche Cavatorta, giornalista e redattore sportivo della RAI che era stato riserva a Bled, si uccide saltando sul Lago di Garda.
Le cronache statistiche di St. Yan ci tramandano questi dati: partecipanti 29 uomini e due donne, provenienti da sette nazioni. Numero dei lanci, 5 (due di precisione da 1500 m con venti secondi di ritardo, due sempre di precisione da 600 m con apertura immediata, uno di stile da 1500 m e 20 secondi di caduta libera, nel quale era valutata in punti la capacità di mantenere una posizione piatta e stabile). II primo degli italiani è un maestro elementare di Pescara, Boschi, che si pone al 22° posto precedendo il povero Mason e, udite, udite, il campione di Bled, Lard. Rinaldi, come Milani tre anni prima, era piazzato discretamente fino alla prova di stile, dove l'abitudine e la ricer­ca, prima dell'apertura, del contatto visivo più prossimo con il terreno, lo tradirà, causandogli una severa penalizzazione.


1956 – Mosca:l’uscita dall’infanzia

La terza edizione si svolge alla periferia di Mosca, sull'aeroporto di Tushino, dal 29 luglio al 4 agosto del 1956. I mondiali di paracadutismo stanno uscendo dall'infanzia e lo dimostra il numero dei concorrenti (73 di cui 23 donne) ma soprattutto il numero delle squadre (10) che rappresentano uffi­cialmente il proprio paese. È l'anno della prima partecipazione USA ed i nomi del team americano diverranno più tardi tutti famosi. Fra essi c'è anche un francese naturalizzato americano, che si è avvi­cinato al paracadutismo a seguito di un incidente aereo, Jacques Istel.
Istel diventerà in pochi anni il n° 1, il Ford, o, se preferite, l'Agnelli, dell'industria del paracadute.
I salti sono 8 : 2 « salta e tira » da 600 metri e 2 da 1500 con 20 secondi di caduta libera, per la precisione; 2 lanci di stile da 2000 m (posizione come a St. Yan ma con ricerca, appena staccati, di un asse stabilito a terra a mezzo di segnala­zioni) e, per la prima volta, 2 salti di precisione a squadre.
Gli amici‑nemici cechi danno in questa occasione uno dei tanti dispiaceri ai padroni di casa. I primi tre posti dell'individuale maschile (Koubek, Oza­bel, Jhelicka, nell'ordine), il titolo dell'individuale femminile (la Maxova seguita dalle sovietiche Se­liverstova e Mouchina) ed il primo posto nella precisione a squadre maschile, sono infatti appan­naggio dei cecoslovacchi. Le squadre femminili sono solo due e, questa volta, sono le sovietiche a precedere le cecoslovacche.
La velatura dei cechi è il PTCH, un nome già importante. Per la prima volta o quasi, atleti e tecnici degli altri paesi hanno modo di osservare un paracadute a fenditura: gira lentamente (non ha comandi), scende un po' troppo forte anche per gli usi dell'epoca ma è pur sempre qualcosa di eccezionale. I russi hanno un curioso aggeggio entro il quale stivano le loro velature. Questo narchingegno, che dalle nostre parti verrà poi r.Namato calza, è stato inventato dai tedeschi fino da prima della II Guerra mondiale ma non si era praticamente mai visto all'opera.
La sensibilità commerciale e la preveggenza tec­nica di Jacques Istel farà sì che, due anni dopo, le calze divengano normale bagaglio di ogni para­cadutista americano, imponendosi poi successiva­mente in ogni parte del mondo.
L'Italia non ha mandato una propria squadra, né obbiettivamente sarebbe stata una idea felice par­tecipare.
Che cosa accade in quegli anni da noi? La scom­parsa di Cannarozzo ha lasciato sì un vuoto ma solo di amicizia, di generosità, di simpatia. Totò, come gli altri del resto, non ha sentito l'esigenza di formare una scuola; i rari allievi dovevano lottare non solo con le difficoltà dell'addestramento e della carenza di mezzi, ma anche con una specie di blocco, conscio o meno che fosse, che il gruppo dei più esperti ponevano. Rinaldi, Milani, Canna­rozzo e i pochi altri erano magnifici protagonisti di spettacoli aerei ma non sentivano particolar­mente la spinta agonistica intesa come disciplina ed allenamento.
iniziato quindi il periodo più buio della storia del nostro paracadutismo; i rari barlumi verranno, per anni, offuscati dalla cronica mancanza di mezzi e dal sospetto che questa attività dovesse essere irregimentata, più che dal CONI, da qualche ente fiera di provincia.








1958 ‑ Bratislava: nasce (monco) lo stile

fl biennio '56‑'58 è molto attivo per il paracadu­tismo di tutto il mondo; a parte sovietici e cechi, da anni per tradizione ad altissimo livello, si sta affermando in Europa il paracadutismo francese: Chasak, Prik, Cledassou (due, Raoul e Marcel), Arassus sono i primi nomi che diverranno presto i maestri di una scuola che sta per imporsi in tutto il mondo.
Ma sono ancora Sovietici e Cecoslovacchi che stravincono i quarti mondiali che si tengono a Bratislava (Cecoslovacchia) dal 3 al 10 agosto del 1958. Settantotto atleti di 14 paesi (57/21), si con­tendono le medaglie in palio su otto lanci. II programma è quello di Mosca con una piccola variazione, così piccola che determinerà una svolta fondamentale nella storia del paracadutismo.
I due lanci di stile (2500 m) prevedono infatti l'esecuzione di una serie di figure in caduta libera (cinque giri alternati dx/sx più un looping all'in­dietro) da eseguirsi su di un asse stabilito da terra. Questa vera e propria rivoluzione è la data di nascita di quella che, pur se ancora incompleta, diverrà la prova più difficile, più affascinante, più caratterizzante di questo sport: lo stile o voltige o style o styl, chiamato anche, in un italiano cor­retto ma indigesto, acrobazia individuale.
Campioni del mondo individuali sono i sovietici Piotr Ostrowski e Nadia Priahina, più tardi apprez­zata giudice internazionale.
Sempre sovietiche sono le medaglie d'oro per le prove a squadre maschili e femminili. I russi hanno velocemente riguadagnato il terreno perduto a Mosca, anche nel campo delle velature; a Brati­slava uomini e donne hanno usato un paracadute con una fenditura ‑ il T2 ‑ che sembra essere la copia, appena modificata, della velatura che ha vinto nel '56.
L'Italia non partecipa e questa assenza durerà ancora molti anni.



1960 ‑ Sofia: il primo carreau

Due anni dopo siamo ancora all'Est ed è abba­stanza comprensibile dato lo strapotere tecnico degli orientali. I tempi tuttavia stanno cambiando ed i primi segni si intravedono proprio a Musa­cevo nei pressi di Sofia (Bulgaria) dove, dal 2 al 14 Agosto 1960, si svolgono i quinti Campionati Mondiali.
Gli americani sono per la prima volta protagonisti, e non casualmente. Alla fine del 1959, una stati­stica della P.C.A. (Parachute Club of America) ci dice molto sulla diffusione del paracadutismo ne­gli USA: 15.000 praticanti in alcune centinaia di centri!!
Ed il primo zero mai registrato in un mondiale è di un americano, Richard (Dick) Fortenberry il quale salta con un paracadute a due fenditure, ovviamente simmetriche, a forma di L, fabbricato dalla Pioneer Parachute CO. Jim Arender è cam­pione nello stile che nel frattempo ha perduto un giro ed acquistato un secondo loop, assumendo praticamente la fisionomia definitiva conosciuta tuttora.
Sovietici e cechi si dividono ancora tuttavia i titoli assoluti: nell'ordine nelle prove a squadre; Kaplan e la Reilova nelle classifiche individuali.
Per le statistiche, alcune cifre: 69 competitori di cui 45 uomini e 24 donne. I lanci sono stati 4 di precisione individuale da 2000 m, 2 di stile e due di precisione a squadre, sempre da 2000 m.
Dalle nostre parti ci si sta svegliando dal lungo letargo. Si ricomincia a parlare di competizioni anche se molto spesso si tratta di manifestazioni mascherate da gare.
Fra quanti emergono in quegli anni, a prezzo di notevoli sacrifici, ricordiamo il comasco Valli in­nanzitutto, poi Buldrini, Valsecchi, Trettel. Molti altri premono comunque alle spalle dei più forti, pur fra tante difficoltà. Anche gli sforzi di quei pochi fra i nostri paracadutisti militari che sentono il fascino della competizione, vengono premiati ponendo le basi di quella « scuola » che, più tardi, ci darà non poche soddisfazioni.



1962 ‑ Orange: l'esplosione

Si è detto in precedenza dell'importanza del para­cadutismo USA; quale migliore occasione per aumentare il peso di questo sport nella vita ameri­cana si poteva presentare se non quella di orga­nizzare i sesti Campionati Mondiali? L'idea fu, ufficialmente, di Joe Crane, presidente della P.C.A., ma grande fu certamente l'influenza di Istel, rappresentante americano presso il CIP della FAI e soprattutto già affermato industriale del paracadute.
Le motivazioni, di fatto, hanno poca importanza; la designazione è in assoluto meritatissima.
La larghissima diffusione, ‑ già abbiamo fatto delle cifre in proposito e presumibilmente in due anni l'incremento è stato sensibile ‑,l'alto livello tecnico esemplificato dai risultati ottenuti in Bul­garia; la avanzata tecnologia ‑ dalla quale ci verrà proprio in quel periodo il 7 TU o Conquista­dor, opera di Loy Brydon e Curt Hughes, velatura ineguagliata nella sua categoria ‑; tutto ciò ci sembra motivo più che sufficiente per giustificare la richiesta americana.
Dunque i mondiali del '62 si svolgono in USA e gli americani fanno le cose in grande. La sede pre­scelta è una piccola città del Massachussets, Orange, che, guarda caso, ospita anche la Parachu­tes Inc. di cui è proprietario e presidente Istel. Viene approntata una buca in ghiaia di 100 (cento) metri di diametro nonché il « Bowl » una specie di anfiteatro fatto di terreno di riporto e tribune pre­fabbricate per permettere al pubblico la migliore visione.
La risposta da tutto il mondo è altrettanto grande: 133 (98/35) sono gli atleti che competono ad Orange. Jim Arender dimostra di aver gradito l'assaggio di due anni prima e si aggiudica il titolo assoluto maschile; un'altra americana, Muriel Sim­bro, quello femminile.
Lo stile è appannaggio di un fuoriclasse sovietico Evgenij Tkacenko, la cui media (9,4 sec.) è di una spanna migliore di quelle dei più vicini rivali. La prova ed il titolo di precisione maschile vanno ad un giovane francese di Marsiglia, Gerard Treves, che, il giorno di apertura dei mondiali, ha totaliz­zato esattamente 281 salti. 182 centimetri sui tre migliori salti, questa la fantastica prova del ragaz­zino di Marsiglia! La prova di stile femminile è vinta dalla Stacikova, mentre un'altra cecoslovac­ca, Dagmar Kuldova, si afferma nella precisione. Ancora cechi e americani primi nella combinata a squadre rispettivamente maschile e femminile.
Fa il suo esordio in sordina, a questi mondiali, un grande, anzi, a nostro parere, il campionissimo per eccellenza, l'allora ventiduenne Vladimir Gurny. Di lui parleremo comunque più avanti e perché non mancherà più a nessuna edizione.

Le velature vincenti? 7 TU Lo‑Po per gli americani, PTCH 4 i cechi, STA detto « Pinwheel » i sovietici. Ad Orange è esploso il paracadutismo ma gli ita­liani non sono purtroppo fra quelli che hanno fatto brillare le mine. Difficoltà logistiche e, soprattut­to, finanziarie, hanno vanificato le migliori inten­zioni che, per il fatto stesso di esistere, sono comunque un segno positivo, L'esperienza, esal­tante anche se sfortunata, di Perugía con il Centro Nazionale, il contatto con un tecnico di grande capacità quale era il Bariton, hanno ormai fatto capire a tutti che, prolungare l'assenza dalle com­petizioni internazionali, significa celebrare anzi­tempo il funerale del paracadutismo italiano. Molti dei nostri più esperti tecnici ed atleti (Valli, Ar­gento, Valsecchi, Buldriní, Bandiera, Goffis, Guer­reschi, Guidolin, De Monti ecc. e ci perdonino gli omessi) hanno visto, hanno sentito, se non altro a livello di pelle. Si tratta ora di iniziare un nuovo discorso e, sempre fra mille difficoltà, si incomin­cia a balbettarlo.





Seranamente verso il bersaglio

1964 ‑ Leutkirch: ritornano gli azzurri ed appare il PC

Nel 1964 i mondiali vengono effettuati a Leutkirch, nella Repubblica Federale Tedesca e finalmente anche gli azzurri sono in campo.
Sono Fantozzi, Valli, Valsecchi, Goffis, Fortarel; i migliori? probabilmente, tuttavia le distanze tec­niche determinate dallo scarso contatto interna­zionale e dalla carente esperienza, sono molto grandi.
Fortarel, un altoatesino di lingua italiana, dalla battuta facile a differenza dei suoi conterranei, si eleva sui compagni di squadra ed è buon 33° nella precisione. Lo stile è ancora per tutti i nostri materia di studio e buoni maestri saranno Tkachen­ko, Krestiannikov, Klima e Fortenberry che si clas­sificano nell'ordine ai primi posti in questa prova. Tkachenko, che ha iniziato due anni prima la lunga serie di vittorie sovietiche nello stile, ha tolto 9 decimi di secondo alla sua media di Orange. Otto secondi e cinque decimi è il suo tempo finale e già si parla di limiti invalicabili. Di quella squa­dra sovietica, tre sono o diverranno campioni del mondo.
II '64 è l'anno che vede nascere, per la prima volta, qualche polemica per presunte irregolarità esemplificate dalle proteste per una, non troppo nascosta, simpatia fra gli organizzatori tedeschi ed il team USA. Ci si perdoni l'apparente para­dosso, ma anche questo dimostra la raggiunta importanza dei mondiali di paracadutismo.
Ma quell'estate è ricordata soprattutto per la na­scita dell'era del Paracommander. Solo chi era paracadutista a quel tempo può capire che cosa ciò significhi.
Fra la fine del 1963 e l'inizio del 1964, in Europa si incomincia a favoleggiare di una nuova velatura americana che promette di far diventare tutti campioni. In realtà il Paracommander ‑ o PC ‑è in uso da un anno negli States. La prima appari­zione ufficiale è stata ad Issaquah durante i Cam­pionati USA e Brydon, uno fra i più profondi esper­ti di tecnologia del paracadutismo di tutto il mon­do, ha partecipato a quella gara con una esperienza di qualche centinaio di salti appeso al PC. Inoltre il Paracommander altro non è se non una rielabo­razione di un progetto francese (Ing. Lemoigne) per una velatura ascensionale.
Sia come sia, in Germania quell'estate sono tutti col naso all'insù quando sull'aereo sale la nazio­nale USA. L'impressione è grande anche perché il disegno della velatura sconvolge tutti i canoni fino ad allora adottati. I risultati sono ottimi anche se non raggiungono l'eccellenza: scopriremo tutti, più tardi, quanto difficile fosse « tenere » questo primo purosangue del cielo!
Brydon, Fortenberry, McDonald sono rispettiva­mente, quarti, quínti e settimi nella prova di pre­cisione che è dominata per l'ultima volta da quelle che, da questo momento, verranno chiamate vela­ture a « fenditura semplice » o « tondi ».
Meritatissimo Campione del Mondo assoluto è Dick Fortenberry, forte e regolare sia in stile che in PA (ovvero Precisione di Atterraggio), seguito dal cecoslovacco Klima che ha vinto la prova di PA da 1500 metri ma che ha sbagliato di grosso dai 1000 m giocandosi una medaglia già quasi in tasca.
II titolo assoluto femminile va a Tee Taylor che si aggiudica anche l'oro dello stile, mentre la mera­vigliosa Seliverstova è prima nella precisione.
II livello delle gare femminili è ancora notevol­mente distante dall'equivalente maschile. Tempi e misure sono espressi su limiti che attestano la non alta diffusione di questo sport nel mondo femminile; tuttavia non passeranno molti anni pri­ma che una donna possa piazzarsi, in una ideale classifica che unisca maschi e femmine, fra i primi dodici‑quindci posti. Per il momento i tabù e la sufficienza con la quale gli istruttori guardano all'elemento femminile da allenare, l'hanno vinta. Poco dopo la fine della gara di Leutkirch, si fa strada in molti ed in più parti dei mondo che « conta » nel paracadutismo, l'opinione che i me­todi fino ad allora adottati per i punteggi erano non solo straordinariamente complessi ma anche essenzialmente parziali, favorendo di fatto, nella combinata, le buone misure rispetto ai tempi di stile dell'epoca. Lyle Cameron con il suo 5 x 5 (più volte in seguito modificato) e, più tardi, Chuck Mc Crone con il metodo Equislope, tentarono di porre un rimedio a questa carenza, ma come spes­so accade, entrambe le medicine, saranno presto parzialmente peggiori dei mali. Sia nel 5 x 5 che nell'Equislope infatti, la predominanza, 8i fini della determinazione del punteggio della combinata, passò alle prove di stile non appena i tempi rag­giunsero i livelli ora ormai consueti.
Questi metodi erano discretamente efficienti entro una fascia di tempi di stile che anche allora veni­vano considerati lenti (nelle prove femminili dove girare in 12,2‑12,9 significativa vincere, lo Equi­slope addirittura ribaltava la predominanza favo­rendo la PA), ma quando ‑ ed accadrà molto presto ‑ i tempi scesero sotto gli 8" si vedranno degli ottimi « voltigeur » piazzarsi molto bene in combinata pur con numerosi metri nella preci­sione.
Ancor oggi, malgrado le differenze di misurazione rispetto a quei metodi, la combinata favorisce de­cisamente troppo chi si impone nello stile con un buon tempo.





1966 ‑ Lipsia: La commedia

Fra il '64 ed il '66 dalle nostre parti si pensa soprattutto ad uscire da una recessione che, pen­savamo tutti, non dovesse mai verificarsi nell'Ita­lia del boom. Ciononostante, malgrado le difficoltà economiche, è proprio in quegli anni che più si anima il nostro paracadutismo. Nel 1965 si giunge finalmente ad organizzare il primo campionato italiano, auspice l'Aero Club nazionale, ed è primo Benito Buldrini, un bolognese ufficiale dell'Aero­nautica Militare. Non è male in precisione ma ì tempi dello stile sono ... da classifica femminile. È da notare tuttavia che 150 salti di allenamento per anno, erano allora il plafond massimo che solo qualche fortunato poteva permettersi in Italia. Per la maggioranza, con 60‑80 salti all'anno, era già un titolo di merito eseguire la formula di gara senza dovere per questo rischiare una apertura bassa. L'anno dopo, ed è annata pari, da mondiale, cam­pione italiano è il povero Valsecchi che ci sarà strappato ben presto da una atroce malattia. Lo seguono in classifica due padani molto diversi fra loro, Bandiera e Benetti ed ancora il « lucido » Guidolin, il primo fra i nostri che raggiungerà più tardi un discreto livello internazionale. Guidolin è uno strano tipo, anzi un atipico, che, a differen­za della maggioranza, si eleva solo quando non è pressato da vicino. II suo limite sarà sempre pro­prio in questa carenza di vis pugnandi che, se­condo taluno, gli creerà anche dei veri e propri stati ipocondriaci.
II 1966, come si è detto, è anno di mondiali, e in questa occasione si verificherà il primo grosso pateracchio della storia della massima competi­zione paracadutistica.
La FAI aveva assegnato l'organizzazione ai tede­schi orientali i cui rapporti politici erano allora estremamente tesi con quasi tutte le nazioni NATO ma in particolare con gli USA. La situazione è quindi l'ideale perché si verifichi che « ... una forma di paranoia colpisca la mentalità colletti­va... ». II casus belli è confuso e pressoché irri­levante, checché se ne dica, e la stolidità politica ha buon gioco sugli entusiasmi dei pochi. Fatto sta che gli USA rinunciano alla competizione e pare che facciano non poche pressioni sulle na­zioni alleate a livello di alta diplomazia (sic!).
Ne risulta che, a Lipsia che è la sede designata, si presentano in 108 (72/36) provenienti da 18 Paesi contro i 170 concorrenti (131/39) di 31 na­zionali che avevano gareggiato a Leutkirch.
Le squadre cosiddette occidentali sono poche e quelle poche di non eccelso livello, e il fatto, sul momento, svilisce mica male una gara che aveva ormai affermato il proprio prestigio.
Tuttavia, un'occhiata più attenta ai risultati nonché al livello potenziale dei non presenti, ci rivela che gli unici a guadagnarci sono proprio questi ultimi.
Intanto sale sulla sua personale cometa Vladislav Krestiannikov, kìrghiso da Taskent, ciuffo alla « Fulmine » e baffetti biondi che quasi sempre fanno da corn ice ad un sorriso di gioventù felice.

« Kresti » è già entrato nell'Olimpo a Leutkirch a soli 23 anni e a Lipsia conquista il titolo asso­luto e quello di stile, gara nella quale i sovietici hanno portato una ventata di novità.
I tempi dei primi sono attorno e sotto gli 8", e sono il frutto di un attento studio dell'aerodina­mica del corpo umano, di una preparazione fisica accuratissima e ... di salti, salti, salti.
Un te‑desco (Est ovviamente) Gerhardt, si impone nella PA con un mostruoso paracadute, studiato dai suoi compatrioti, la cui sigla ‑ RO/5 ‑ ri­corda un messaggio da agenti segreti.
L'RL3/5 Seifhennersdorfer (questo il nome com­pleto) è 35 .piedi di diametro e nella fase finale crea un piccolo tornado per la massa d'aria spo­stata. L naturalmente a calotta rientrante ed ha tre grosse fenditure di spinta (tipo UT 15 per in­tenderci) ed una abbondante dose di u labbra fran­cesi » o fenditure anteriori. I sovietici hanno l'UT 2, ottima velatura per i tempi, ma devono acconten­tarsi del terzo posto con il più grande dei grandi, Vladimir Gurny da Minsk.
Outsiders sono i canadesi i quali, noncuranti del veto USA, sono venuti a Lipsia ed ottengono un 2° posto nella PA individuale con Wykeham‑Martin (0,23 m la sua prestazione su quattro salti) ed un terzo posto nella classifica assoluta per nazioni. L'Italia, è logico, non c'era ed è un peccato per­ché un'occhiata alla nuova posizione dello stile russo non avrebbe fatto male.



1968 ‑ Graz: La precisione fa onore al suo nome

È il 21 agosto 1968, a Graz (Austria) c'è il sole ma il vento soffia fra i 6 ed i 7 m/s. Due concor­renti, Kalous ‑ Jaroslav di nome e cecoslovac­co ‑ e Colin King che è venuto fino dall'Austra­lia, stanno effettuando lo spareggio per aggiudi­carsi la medaglia d'oro nella PA ai noni Campio­nati Mondiali di paracadutismo. Dopo quattro salti entrambi sono a metri zero virgola zero zero.
II primo lancio di spareggio ‑ ed il vento è ancora a livelli accettabili ‑ vede Kalous di nuovo sul carreau mentre King si allunga con entrambe le gambe per ottenere dodici centimetri. AI secondo salto si alza il ventaccio di cui s'è detto e la cui violenza impedisce la prosecuzione della gara femminile ancora in corso; King in finale, capisce di aver attaccato con un angolo troppo stretto e pesta con violenza sui comandi. II suo PC reagi­sce ... appunto da PC ed inizia una larga pendo­lata : 5,51 ed una sberla sulla ghiaia da ricordare per un pezzo. Tutto deciso quando Kalous atterra a 165 centimetri dal dischetto? No, perché l'austra­liano, al terzo salto ottiene uno zero pulito; si attende quindi l'atterraggio del ceco il quale deve ottenere una misura inferiore a m 3,98 per essere Campione del Mondo. Una bazzecola per chi, co­me Kalous, ha già dimostrato di essere fortissimo appeso al PTCH 7, ma l'emozione lo tradisce. L'at­tacco è chiaramente sbagliato e Kalous si scom­pone sui comandi, è corto, poi lascia che la vela­tura si gonfi ed atterra lungo ma non abbastanza per perdere la medaglia d'oro. Le immagini del­l'epoca ce lo tramandano con un largo sorriso, un poco ebete, tipico di chi è scampato ad un di­sastro.
A Graz sono tornati anche gli azzurri; la squadra, come è giusto, è totalmente rinnovata. Ha deciso come qualificazione, la classifica del campionato italiano: Guidolin, di cui già si è detto e che ha bissato il successo del 1967, Bauchal, De Monti, Sacchetti, Malavasi e Benetti (riserva/ interprete), sono i « nostri » che, preceduti da un ragazzino che tiene alto un cartello con la scritta « Italien » il 10 agosto 1968 sfilano per la cerimonia di aper­tura davanti al folto pubblico che riempie l'aero­porto di Thelerhof.
Li accompagna Luciano Malpeli; il ten. col. Ar­gento, del quale si dice sia nato avvolto in una velatura; ed il neo giudice internazionale Piero Goffis, attentissimo a carpire i più biechi segreti dei vecchi marpioni del cronometro e del pic­chetto.
Guidolin, che « gira » ancora alla vecchia maniera, è il primo dei nostri nello stile (51°) e nella com­binata (41°). Bauchal, un veronese dalle lunghe leve, scorbutico ed ambizioso ma che non ha an­cora messo a fuoco con precisione i propri obbiettivi, lo segue da vicino. Malavasi è 25° in PA e sta prendendo in anticipo le misure per i pros­simi mondiali. De Monti, un altro altoatesino lo­quace, e Sacchetti, mezzo veneto e mezzo emi­liano, sono più indietro.
Per Sacchetti c'è la scusante di un malfunziona­mento al secondo lancio di precisione che gli impedisce di atterrare in buca; il successivo re­clamo viene accolto, come si suol dire, . . . « rumo­rosamente ».
II 12° posto (su 26) nella combinata per nazioni è un risultato da non disprezzare ma qualcosa si deve ancora fare.
II titolo assoluto individuale maschile va al rego­larissimo Tkacenko che riporta a Kiev la terza medaglia d'oro in sei anni.
Nello stile, altro caos. La medaglia d'oro va al più grande fra gli Dei, sempre lui, Vladimir Gurny, i cui tempi 7,2‑7, 4‑8,1 (0,5 di penalità) sanno di leggenda. Vladimiro è un normotipo perfetto che viene da Minsk, capitale di quella che una volta era chiamata Russia Bianca. La sua classe è ec­celsa esprimendosi sempre ad altissimo livello sia in PA che in stile. È, lo ripetiamo, il più grande, ma a Granz ha avuto dell'oro al posto dell'argento. II kirghiso di Taskent, Krestiannikov, ha girato in 6,6 o 6,7 ‑ 7,5 ‑ 6,9. E allora? Allora quel 6,6 o 6,7 è un tempo non ufficiale rilevato tuttavia da più osservatori imparziali fra i quali anche l'america­no e direttore di « SkyDiver » Lyle Cameron. fl responso ufficiale è la massima penalizzazione ‑ per extra maneuvers (??!!) ed il kirghiso, pur continuando a sorridere, piomba nel buio del fon­do classifica.
Russe e ceche (Voinova e Tomsikova) si aggiudi­cano le prove femminili, gli Stati Uniti il titolo assoluto a squadre. Fra i nipotini dello zio Sam è da sottolineare una assenza ed una presenza che, per diversi motivi, hanno molta importanza. Roy Johnson è l'assente, e si tratta dell'altro (non l'unico come affermano gli americani, altrimenti dove lo mettiamo il kirghiso?) in grado di girare sotto ai 7"; la presenza è invece Clayton Shoep­pie, e questo nome dovremo ricordarlo fra non molto. Intanto, a diciannove anni, si è presentato fra i primi quindici del mondo.
E per Graz basta cosi.


1970 ‑ Bled: II « Zigain » inciampa sul podio

L'esperienza di Graz ha pur significato qualcosa per gli italiani e nel biennio successivo se ne vedranno i frutti. I tempi di stile e le misure di PA si abbassano notevolmente ed incominciamo a sentirci meno derelitti. Nel '69 Guidolin precede Ottaviani, Bauchal e Lucchese agli assoluti. L'an­no dopo finalmente si avranno i tre titoli che vanno a Milanesi (PA), Serenelli (Stile) e Bauchal (assoluto).
Serenelli ed Ottaviani sono gli ultimi due prodotti della Scuola Militare: amici‑rivali, caratterizzano con Guidolin e Bauchal il paracadutismo italiano dei successivi primi anni '70. Serenelli, marchi­giano di Loreto è, come Gurny, un normotipo ed affronta gli allenamenti con incredibile serietà e determinazione. Ottimo tecnico, ha grande classe ed è inoltre attentissimo ad ogni sia pur piccola sfumatura nel lavoro (aereo ed appeso) dei grandi sovietici, cechi, americani. Ottaviani, perugino ele­gante, è più scanzonato ed ha forse meno voglia di vincere. Entrambi sono comunque molto dotati. Ai decimi mondiali che si organizzano, dopo di­ciannove anni, di nuovo sull'aeroporto di Lesce­Bled vanno, con Serenelli, Ottaviani e Bauchal, anche De Monti (riserva) Malavasi, e Sarti, bolza­nino di campagna, ingenuo e buono quindi, come si conviene.
Frattanto qualche mese prima, alla fine del '69, era giunta una notizia, sul momento apparsa con­fusa e contradditoria; pare che Krestiannikov, il kirghiso, sia morto in un incidente di caccia.
Più tardi se ne ha la conferma, che lascia attoniti i pochi che lo avevano conosciuto. Krestiannikov salta ora con altri Dei, scuotendo il suo ciuffo biondo e sorridendo. Molti fra di noi pensano che la Morte non è solo cieca ma anche desolatamente idiota.
A Bled la sfilata inaugurale inizia alle 13,45 di domenica 6 settembre 1970. II giorno dopo, con un fuori buca di un carneade svedese a nome Wallberg, parte la competizione. Gli americani, uomini e donne, si dimostrano subito molto forti ma, alla distanza, avranno una lieve flessione. Do­nald E. Rice, che al terzo salto è solo quinto nella classifica provvisoria, si ritrova sul gradino più alto del podio, ed è così felice da trovare lo spazio per una lacrima. Prima dell'ultimo salto, davanti a lui erano Pesyak (YU) e Hardouin (F) con 0,00 m., Gorinov (Bui.) 0,03, Hayes (USA) 0,10. All'ultimo round salta per primo il bulgaro (PTCH 83 m. 7,69 (!!); poi Bili Hayes, due volte campione USA di PA, che con il suo PC è corto di sette metri e venticinque centimetri. È la volta di Rice che, con uno zero pulito, è in questo momento terzo. Quando salta lo slavo (PS 07) ed atterra a lato di tre metri e sessantanove centimetri, il 1975, Warendof, Primo Campionato Mondiale di « La­voro Relativo ». La squadra italiana: Sebastiani, Cor­paci, Marotta, Serafini, Mirzan Roberto, Scopinaro, Lo­schi, Sacchi, Marzuttini, ecc. viso un po' arrossato dai riflessi dei capelli, di Donald incomincia ad incresparsi in un sorriso. Eolo incomincia a far capricci e in cielo sì è aperto ora l'Olympic di Noel Nardouin. II francese è molto sopra la buca e rimane controvento fino a pochi metri; quando si gira è troppo tardi e non assaggia la terra solo perché la buca in ghiaia è molto ampia; è comunque un + 10.
Fra questi grandi si è inserito un italiano, Giu­seppe Malavasi, che con 25 cm. è quinto a soli tredici cm. da Rice. Malavasi viene da Novi, nella bassa modenese, dove, per la sua indipendenza era soprannominato « zigain » ovvero zingaro. Abi­ta ora a Torino da molti anni e lavora magnifica­mente sui comandi. Mediocre stilista, è tutto da vedere quando è appeso. Ha inciampato nel podio al primo salto (16 cm.) altrimenti ci avrebbe rega­lato la prima medaglia nella storia dei mondiali. Un russo di Leningrado, Jacmenev, è primo nello stile (ma la sua media è superiore a quella di Gurny nel '68) e nella combinata.
Dietro al sovietico, in entrambe le classifiche, è secondo per definizione, il cecoslovacco Pospi­chal. Fra gli stilisti il migliore degli italiani è Serenelli (9,4 di media) trentaquattresimo; Mala­vasi ancora, nella combinata è 33° davanti agli altri italiani.
Lo stile femminile premia forse un po' troppo una giovane sovietica, la Zakoreckaja; la migliore del gruppo è certamente una americana esile e ca­rina, Susie Joerns, ma il suo primo salto (da 1750 metri a causa di un fitto banco di nuvole) è pena­lizzato di 3,5 sec. per aver superato di tre decimi il tempo massimo di caduta. Susie afferma tut­tavia la sua classe nei due salti successivi con un 8,0 ed un 8,1.
I Cechi si aggiudicano altre tre medaglie (PA a squadre e combinata a squadre maschile; com­binata a squadre femminile) e la Francia 2 con Marie France Baulez, gradissima stilista, nella combinata individuale femminile e nella PA a squadre.
La banalità (è sempre così) della cerimonia di chiusura, il 20 settembre, viene ravvivata da una stella a nove offerta da Jerry Bird e soci del­l'USFET ‑ United States Freefall Exibition Team. La folla ed i concorrenti esplodono all'atterraggio, in una vera e propria ovazione; la stella è stata formata saltando da 200 m e per molti fra quanti sono a terra, si tratta di una novità assoluta.
Sta nascendo, fra ruggiti e non vagiti, un perico­loso concorrente per le specialità tradizionali: il Lavoro Relativo.
1972 Tahlequah:Armaing ovvero « Del­l'Assetto Positivo »

A Bled, durante quei mondiali, si era riunito il CIP della FAI per esaminare, fra l'altro, eventuali candidature per la undicesima edizione che si sarebbe tenuta nel 1972. L'unica proposta era partita dal delegato Turco e quindi tutti si erano lasciati, convinti di ritrovarsi due anni dopo fra le moschee ed i minareti.
Senonché, neanche sei mesi dopo, a Parigi, la candidatura turca rientra lasciando tutti nei pa­sticci. Si va avanti ancora qualche mese con lo spettro di una interruzione di questa magnifica tradizione ,fino a che non si fa avanti Mamma America, nella persona di Norman Heaton, offren­dosi di ospitare gli undicesimi Campionati Mon­diali di Paracadutismo. E così sarà.
La scelta della località cade su Tahlequah, nel­l'Oklahoma. II nome impronunciabile è la grafia inglese di una espressione indiana (meglio: pel­lerossa) e la zona, se fosse in un altro paese, sarebbe tutta un grande museo alla cultura e ci­viltà degli Indiani d'America. Ma tant'è, siamo negli USA e poi il pudore consiglia ai latini di non meravigliarsi troppo per questi fatti.
Si va dunque a Tahlequah e la prima impressione, non appena arrivati, è che Oualcuno di molto im­portante Lassù abbia dimenticato accesa la sauna. II caldo è da leggenda e c'è anche umidità.
Niente può impedire tuttavia la sfilata inaugurale che viene effettuata nella via principale della cit­tadina. Fra palloni aerostatici e cow‑boys a ca­vallo sfila anche Roy Johnson, ingessato, su di un curioso triciclo a motore con ruote per superfici sabbiose.

Ouesto campione, introverso e parco di parole fino a sfiorare la villania, non ha avuto ne avrà più la possibilità di partecipare ad un Campionato Mon­diale. La perdita è grossa, considerato che solo in due, fra gli Dei, hanno saputo o sapranno girare come lui, a tutto il '72.

La gara inizia e presto si ha una grossa sorpresa seguita da un altrettanto notevole pasticcio. Fra i francesi c'è un piccolo sottufficiale che gira velocissimo e dopo due salti è primo a pari me­rito con la nostra vecchia conoscenza Pospichal ed il sovietico Matchenko. Si chiama Jean Claude Armaing, porta sempre un basco in testa ed è tosto come un montanaro. Pochi lo conoscono anche se già se ne era sentito parlare; ora tutti possono vederlo girare attraverso il sistema tele­visivo a circuito chiuso che funziona sul campo. Armaing ha una posizione particolare, braccia in avanti e gambe incollate all'emergenza, che viene subito contestata come irregolare dai più. II fran­cese è effettivamente molto cabrato ed i suoi giri sono abbastanza simili a dei loopings sbi­lenchi. Anche qualcuno fra i giudici è di questo parere e, per un salto, pare che la giuria decida per la massima penalizzazione. Effettivamente la indecisione è grande ma, non si sa come, prevale poi l'idea di accettare per buono lo stile di Ar­maing, il quale vince con un decimo di secondo in meno di Pospichal. Terzo è Calyton Shoepple, il ragazzino di Graz che ha adesso due strani baffi alla tartara e sia in PA che nello stile picchia come un grande. Clayton, che è già stato più volte campione nazionale, ha iniziato a saltare nel 1963, a quattordici anni (cose... da americani!) e nel '68 è già fra i migliori in USA. A Tahlequah gira in 7,7 e, su dieci salti, totalizza settanta­quattro centimetri: è il campione assoluto davanti ad uno dei tanti sovietici molto forti, Ossipov, ed al sempre più sfortunato Pospichal. La precisione è appannaggio del ceco Majer con 12, diconsi dodici, centimetri. Sbaglia (per modo di dire: 9 e 3 cm) il primo ed il quarto salto; tutti gli altri sono zeri.
Una tedesca Est, Barbara Karkoschka è la cam­pionessa assoluta, ma il risultato a sorpresa, tec­nicamente parlando, è il tempo della medaglia d'oro nello stile, la francese M.F. Baulez che fra poco si chiamerà Fromentin, 8,48; sarebbe 16a nella classifica maschile.
Per gli italiani questi due anni non sono passati inutilmente. Guidolin che ha vinto nel '71 i titoli nazionali di PA e combinata, sta concludendo la sua parabola, ma alle sue spalle i nomi sono sem­pre quelli. II più forte è Serenelli, certamente il più completo nella storia del nostro paracaduti­smo. Ed è proprio il marchigiano che a Tahlequah si inserisce fra i migliori del mondo nello stile e nella combinata. Otto secondi e tre decimi la sua media che lo pone al decimo posto, alla pari con Stan Hicks, nella prova dominata da Armaing. In combinata è sedicesimo, ed è un peccato che due brutti errori nella PA (3° e 7° salto) non gli permettano un piazzamento migliore.
Con Serenelli, sono andati in America Bauchal, Ottaviani, Malavasi, Sarti e la riserva Sacchetti. Sono tutti abbastanza regolari nello stile, pur su tempi che li tengono piuttosto lontani dai primi; grossa delusione invece è la PA con un Malavasi, ad esempio, a m. 14,37, Sarti m. 9,54, Bauchal m. 4,53, Serenelli m. 5,16, Ottaviani (il migliore, appeso) a metri 4,02.
II caldo e le dfficoltà di ambientamento hanno avuto il loro peso ma forse non è tutto qui.
La velatura che si impone a Tahlequah è la sovie­tica UT 15 ma si incomincia a valutare seriamente le velature tipo Ram‑Air (definite anche « mate­rassi ») perché se ne sentono di molto positive sui vari Para‑piane, Cloud, ecc. Nessuno si con­vince del tutto ma il tempo sembra lavorare a favore delle novità.
Anche in USA si chiude con un evento che non è solo spettacolare ma anche eccezionale, una stella a ventisei che si forma nel cielo dell'Okia­homa il 19 agosto di quell'anno. L'impressione è che fra non molto, non basterà il Galaxy per por­tare a far stelle questi americani.

1974 Szolnok:Ancora Armaing, il tempo e . . . i peperoni

Si torna da Tahlequah con una certa euforia do­vuta agli indiani, ad un paese immenso che sa essere incredibilmente diverso, ma sopratutto alla convinzione che nel .paracadutismo si sta arri­vando a livelli stratosferici. E da qualche parte fra di noi si ritiene di essere davanti all'ascensore giusto per salire.
Nel '73 Serenelli si conferma a Verona campione grande e vince stile, PA e combinata. L'anno seguente è ancora anno pari, da mondiale, e Se­renelli, che si aggiudica ancora stile e combinata, trova Bauchal sulla sua strada nella PA. II vero­nese, dal viso affilato che lo rende piuttosto noto fra le fanciulle della sua terra, è maturato molto col passare degli anni ma uno strano blocco men­tale gli impedisce di applicarsi come dovrebbe e saprebbe nello stile. In precisione è un'altra mu­sica: Bauchal ha classe internazionale e si conta molto su di lui in Ungheria, dove ci si dovrà ritro­vare a metà agosto.
La sede inizialmente prevista è Nyiregyhaza (e vi risparmio gli accenti) dove esattamente un anno prima Bulgari, Cechi, Polacchi, Ungheresi, Tede­schi Est, Russi e... Nordcoreani, si erano incon­trati per un anticipo dei mondiali. I risultati erano stati, non occorre dirlo, di altissimo livello ed addirittura sorprendenti in campo femminile. Per la cronaca hanno vinto: Ossipov (0,10 m.) e la Sergeeva (0,41 m.) nella PA; Gurny (7,3") e la Kostyna (8,1 ") che sfoggia ora una chioma di un biondo impossibile, nello stile; ancora Gurny e la Sergeeva nella combinata.
Per ragioni che non conosciamo i XII mondiali si svolgeranno invece a Szolnok, cittadina di stu­denti, a 120 km a est di Budapest.
Qui i nostri hanno molto da protestare sul vitto; i peperoni si sprecano e manca poco che ci si debba fare la zuppetta nel caffelatte. Tuttavia i peperoni sembrano il carburante giusto per qual­cuno: Armaing ad esempio che infila una serie di tempi, col suo stile sempre discusso, da porsi definitivamente nell'Olimpo. La media finale è 6,662; anche il secondo, Ossipov, è sotto i 7", chissà dove saranno i famosi limiti invalicabili!
A causa del tempo, né in precisione né in stile sarà possibile completare il programma previsto, ma quello che si vedrà sarà ugualmente suffi­ciente. Gli azzurri sono Serenelli, Ottaviani, Bau­chal, Lucchese, Colombo ed Aíraghi (riserva).
Serenelli gira discretamente ma sempre su tempi un poco più alti della consuetudine; per essere fra i primi dovrebbe invece superarsi ed è quindi solo 44°, Ottaviani è 50°, Colombo 87°, Bauchal 88°, Yucchese 103°. Si respira aria di tragedia.
In precisione, come detto, non si riesce ad an­dare più in là del sesto salto. La settima manche viene iniziata ma non terminata. Stanislav Sidor in un solo salto ‑ il primo ‑ pesta un centime­tro fuori dal centro che quest'anno è diventato elettronico, ed è medaglia d'oro. Sidor era fra quelli che avevano già saltato alla settima manche e la sua misura, se presa in esame, gli avrebbe consigliato di cercarsi un posto in classifica dopo i primi dieci‑quindici. Ma tant'è, anche il cielo ha i suoi preferiti e le offerte votive del polacco, per lo scampato pericolo, si sprecano.
Campione assoluto è Nicolaj Usmaier, scolpito nella roccia, davanti ad Ossipov ed al Ceco Hinek. Le medaglie d'oro femminili vanno alla Sergeeva (assoluto), Mamaj (PA) e Kostyna (stile).
Grossa sorpresa nella precisione a squadre ma­schile dove un outsider, l'Austria, domina, come due anni prima i colleghi alpini svizzeri. In preci­sione per noi le cose non sono migliorate: il solo Bauchal (17° con 38 cm) non ha perso la testa anche se non è riuscito a digerire il carreau elet­tronico. Lo seguono Ottaviani (33°), Lucchese (53°), Colombo (116°) e Serenelli (120° con m. 6,85) che è andato nel pallone.
La chiusura è quindi per noi non molto allegra e la fitta pioggerellina che l'accompagna acquista significati emblematici.
La lunga favola finisce per il momento a Szolnok. Mille e più nomi ne sono stati protagonisti o com­primari, altri ne verranno, tutti magnifici. La pros­sima puntata è qui a Guidonia dove siamo ora e quei nomi, uomini e donne giovani o meno, sono tutti fra di noi, in terra o lassù in quell'Olimpo speciale che è stato raggiunto qualche mese (o qualche attimo?) fa dalla dolce e indimenticabile Pina Madinelli.
Pina se ne è andata a raggiungere altri Dei pro­prio alla vigilia dei primi mondiali italiani che non potevano che vederla protagonista. Era Campio­nessa d'Europa ed aveva gli occhi chiari e buoni: ora salta con dei veri Campioni e noi, così in basso, non riusciamo a trattenere una punta di invidia.


Ai nostri giorni il costume dei « Romani de Roma » è una rarità che bisogna andare a cercare in qual­che trattoria tipica di Trastevere, dove viene in­dossato dai camerieri; ma si può trovarlo anche in qualche villaggio della zona montana, in partico­lare nell'Agro Pontino, dove viene indossato da persone anziane come abituale abbigliamento. Talvolta il costume tradizionale torna alla ribalta in occasione di feste popolari legate a ricorrenze religiose.
In provincia di Frosinone è interessante la tradi­zionale festa della « radeca », celebrata l'ultimo giorno di Carnevale: il suo nome deriva dalla foglia d'agave chiamata appunto « radeca », che tutti í partecipanti al corteo tengono in mano. Al­tre feste tipiche della campagna della Ciociaria sono le « Matinate », serenate che i giovani can­tano durante la notte del primo dell'anno sotto le finestre delle loro amate e il « Ballo del cuculo » che ha luogo sulle aie dopo le cerimonie nuziali nelle campagne di Veroli.
Una delle manifestazioni folcloristiche più carat­teristiche di tutto il Lazio si svolge a Cori, in pro­vincia di Latina, ed è costituita dal « Carosello storico dei Rioni » ‑ biennale ‑ con la partecipa­zione in costumi del XVI secolo dei cittadini delle tre Porte: Porta Romana, Porta Signina e Porta Ninfina. Al corteo seguono il Palio dell'Anello ed una esibizione del gruppo folcloristico degli Sban­dieratori, anch'essi in costume del XVI secolo.
Sono da ricordare anche la Sagra delle Regine a Minturno, nei ricchi costumi delle « pacchiane », la Festa del Mare a Terracina, la Processione sul Mare della ‑Madonna di Porto Salvo a Gaeta, tutte queste in settembre, ed a giugno le Feste del Santo Patrono a Formia, che durano circa due settimane.
Della provincia di Rieti sono noti i canti popolari e la straordinaria attitudine di quella popolazione per l'improvvisazione rimata che, in alcuni centri quali Accumoli ed Amatrice, dà luogo nelle sere d'estate a veri e propri tornei di poesia estem­poranea.



Lazio: vini e gastronomia

La cucina del Lazio è varia, gustosa e saporita, con piatti tipici che hanno raggiunto notorietà in­ternazionale proprio per merito dei turisti che ne hanno diffuso la fama. II piatto forte della gastro­nomia laziale è costituito dalle minestre asciutte: gli « spaghetti all'amatriciana », con guanciale di maiale tagliato a fette, gli « spaghetti alla carret­tiera », con tonno sott'olio, funghi, guanciale, aglio, olio, pepe, formaggio; i « fidelini » di sottilissimo taglio della Ciociaria, i « maccheroni alla norcina », con una salsa a base di carne, formaggio e crema di latte, la « pasta ad aglio, olio e peperoncino », la « pasta con il tonno », gli « spaghetti a cacio e pepe ».
Tipica è la « bruschetta », fette di pane abbrustoli­to condito con abbondante olio di oliva e strofinato con agli. Altri piatti caratteristici sono la « zuppa di gamberetti di fiume » di Isola Liri e le lumache di montagne, dette « ciamarughe », della Ciociaria. Tra le pietanze primeggiano il « pollo », cucinato nelle più diverse maniere ‑ con peperoni, alla diavola, allo spiedo ‑ e l'« abbacchio », giovanis­simo agnello da latte, cotto arrosto, al forno, o alla cacciatora. Da ricordare anche la « coda alla vaccinara », la « trippa alla romana », gli « spiedini di salsicce e fegatelli ».
Fra i piatti di pesce celebri le « aragoste » e le « cernie » di Ponza, le « seppie con i piselli », il « persico arrosto », le « anguille in umido », senza contare tutte le varietà di pesce nei centri del litorale.
Le verdure ed i contorni sono altrettanto numerosi e variati: i « piselli al prosciutto », i « carciofi alla romana » e « alla giudea », i « broccoletti » e la « cicorietta all'agro ».
Tra i formaggi, celebri i « pecorini », le « caciotte », la « ricotta », le « mozzarelle di bufala » e gli « ovo­lini ». In molti paesi della zona montana, sia nella Ciociaria che nell'Agro Pontino, sono rinomati i salumi: « prosciutti », « cacciatorini », « lonze », « ventresche », « salsicce di maiale » e di « fe­gato ».
Varia e abbondante anche la frutta. Tra i dolci sono da ricordare la « zuppa inglese », la « Pizza di Pasqua », gli « amaretti » di Guarcino, i « quare­simali », le « castagnole » e le « frappe », dolce tipico di Carnevale.
La produzione vinicola offre una notevole varietà di vini, tra i quali famosi i « Bianchi dei Castelli Romani » ‑ Frascati, Lanuvio, Marino, Montecom­patri, Velletri ‑, tra i rossi, il « Cesanese d'Affi­le », e il « Baccanale ». Nel Frusinate degni di ri­lievo sono: il « Romagnano bianco », il « Torre Ercolana rosso » e il « Barbera » di Anagni, il « Ce­sanese del Piglio », il « Falerno » di Formia e Gaeta e il « Cecubo » di Fondi, Formia e Sperlonga.Di Terracina è noto il « Moscato ». Tra i liquori, la « Sambuca » di Civitavecchia, ottimo digestivo base di anice, l'amaro « Erbiz » di Fondi e le Goccelmperiali », ad altissimo tenore alcolico ‑ novantacinque gradi! ‑ preparato dai frati ci­stercensi dell'Abbazia di Trisulti nei pressi di Collepardo.





Si ringrazia



II Ministero della Difesa
II Ministero dell'Interno
II Ministero delle Finanze
II Comitato Olimpico Nazionale (C.O.N.I.)

Per i supporti tecnici e logistici concessi.

s La Honeywell Systems Italia
® La Olivetti & C. S.p.A.
L'Alitalia
o La Ditta Aquili (studi televisivi videoregistratori)
La Irvin Manifatture Industriali ‑ Aprilia
L'Azienda Autonoma F.S. ‑ Compartimento di
Roma
L'Aero Club di Roma

Per la collaborazione offerta alla migliore riuscita della manifestazione.




Per gentile concessione Archivio Fiammetta Zanenga fiammetta_z@libero.it