mercoledì 4 giugno 2008

31 maggio 2008 64° anniversario della Battaglia di Anzio - Nettuno. cerimonia al Famedio del Cimitero del Verano Roma





64°



Celebriamo il 64° anniversario della battaglia di Anzio-Nettuno, dedicandolo ai giovanissimi caduti che dopo 1'8 settembre 1943, impiegarono anche meno di 64 secondi per deci­dere di andare a combattere per l'Onore d'Italia.
Corsero volontari e abbracciarono le armi, animati dall' "Amore di Patria", non dal desi­derio di gloria, per riscattare la vergogna pervenuta dalla parte marcia d'Italia. Ricordiamo che lo slancio patriottico che animò il movimento di arruolamento volontario per il più grande mai reclamato dal Risorgimento, con centinaia di migliaia di volontari.
Concludendo l'Omelia, in occasione del 60° anniversario della campagna che celebria­mo, del Cappellano Militare Don Alfio Spampinato, parafrasando l'ode di Simonide di Ceo "Per i caduti alle Termopili" disse: "...per quelli che caddero ad Anzio-Nettuno famosa è la ventura, bella la sorte e la tomba m'ara. Ad essi memoria e non lamento ed elogio il com­pianto. Né il muschio o il tempo che devasta ogni cosa potrai su questa morte. Cadendo non perirono, eterno essi si ergevano di gloria un monumento. Con gli eroi, sotto la stessa pietra, orbita ora la gloria dell'Italia".
Persiste perciò il sogno del paracadutista (vedi il "Torracchione") che a distanza di cento anni, vorrebbe riconosciuto il sacrificio dei Ragazzi che morirono nella Battaglia per la difesa di Roma (chi volesse sostenere il progetto o dare suggerimenti, telefoni ai numeri 06 — 633850 e 0586 — 504051).
Prepariamoci, sin d'ora, alla celebrazione del 65° anniversario da effettuare il prossimo anno, anche nella città di Ardea, FOLGORE!


Benito Puglia





I testi dell'opuscolo:





64°
anniversario della Battaglia
Anzio Nettuno
1944 • 2008


I Paracadutisti Romani ricordano ogni anno i Ragazzi che hanno combattuto ad Anzio, Nettuno, Ardea, Castel di Decima, per la difesa di Roma.
Vegliano sul loro Sacro riposo, e soprattutto ne tengono vivi il valore e il ricordo. Sono passati
sessantaquattro anni dal loro sacrificio, e tante cose sono successe. Abbiamo lottato in tempi difficili per consacrare alla memoria della storia il loro valore, quando molti lo volevano negare.
Abbiamo tenuto duro.
Loro ci ripagano sorridendoci dalle foto sbiadite di allora, con quel sereno, giovanile entusiasmo
che la morte gloriosa ha consacrato per sempre.
Tante cose sono successe.
Forse per la prima volta ci sentiamo meno soli nel ricordarli.
Non sono mai stati Figli di un Dio minore , ma esempio di coraggio, amor di Patria ed eroismo, da additare a modello.
Anche quest anno vi invito tutti a riunirci intorno a loro, a fargli sen­tire il nostro affetto e la nostra riconoscenza per quello che hanno saputo essere e per i valori che ci hanno lasciato in eredità.
Loro sorrideranno dal Cielo nel vederci tutti riuniti e, come sempre, saranno con noi
.

Folgore! Nembo!
Luca Combattelli


64°

Celebriamo il 64° anniversario della battaglia di Anzio-Nettuno, dedicandolo ai giovanissimi caduti che dopo 1'8 settembre 1943, impiegarono anche meno di 64 secondi per deci­dere di andare a combattere per l'Onore d'Italia.
Corsero volontari e abbracciarono le armi, animati dall' "Amore di Patria", non dal desi­derio di gloria, per riscattare la vergogna pervenuta dalla parte marcia d'Italia. Ricordiamo che lo slancio patriottico che animò il movimento di arruolamento volontario per il più grande mai reclamato dal Risorgimento, con centinaia di migliaia di volontari.
Concludendo l'Omelia, in occasione del 60° anniversario della campagna che celebria­mo, del Cappellano Militare Don Alfio Spampinato, parafrasando l'ode di Simonide di Ceo "Per i caduti alle Termopili" disse: "...per quelli che caddero ad Anzio-Nettuno famosa è la ventura, bella la sorte e la tomba m'ara. Ad essi memoria e non lamento ed elogio il com­pianto. Né il muschio o il tempo che devasta ogni cosa potrai su questa morte. Cadendo non perirono, eterno essi si ergevano di gloria un monumento. Con gli eroi, sotto la stessa pietra, orbita ora la gloria dell'Italia".
Persiste perciò il sogno del paracadutista (vedi il "Torracchione") che a distanza di cento anni, vorrebbe riconosciuto il sacrificio dei Ragazzi che morirono nella Battaglia per la difesa di Roma (chi volesse sostenere il progetto o dare suggerimenti, telefoni ai numeri 06 — 633850 e 0586 — 504051).
Prepariamoci, sin d'ora, alla celebrazione del 65° anniversario da effettuare il prossimo anno, anche nella città di Ardea, FOLGORE!

Benito Puglia

OPERAZIONE "SHINGLE"
di Emilio Scalise

La flotta comandata dall'Ammiraglio F.J. Lowry, costituita da un convoglio americano e uno inglese, comprende circa 250 navi da carico e mezzi da sbarco, cinque incrociatori, una trentina di cacciatorpediniere e più di cento imbarcazioni minori.
Inizia così l'operazione Shingle (ciottolo di sabbia) che durante la conferenza di Teheran del dicembre 1943, Winston Churchill propone e fa approvare a Roosvelt e a Stalin.
In quella occasione l'operazione viene proposta come un piano risolutivo per sbloccare l'avanzata alleata verso il nord Italia ferma ormai da troppo tempo, con un alto tributo di vite umane, a Montecassino e tutto lungo la linea Gustav. Uno sbarco dal mare di due divisioni lungo la costa a sud di Roma sarebbe sufficiente a tagliare le vie di comunicazione utilizzate per rinforzare e rifornire la X" Armata tedesca posta a contrastare l'avanzata della V" Armata americana del Generale Mark Wayne Clark.
L'apertura di questo nuovo fronte avrebbe sicuramen­te rappresentato una spina nel fianco che avrebbe inde­bolito la consistenza della linea difensiva tedesca.
Come da programma, i primi anfibi cominciano subi­to le operazioni di sbarco dei soldati anglo-americani, appartenenti al VI° Corpo d'Armata del Generale statuni­tense John Porter Lucas comandante dell'intera operazio­ne.
Il 6° Corpo d'Armata impiega due divisioni di fanteria, la III Divisione americana e la I Divisione inglese e diver­si Reparti Speciali.
Le navi al largo si dispongono in maniera che la III Divisione americana sbarchi sulla costa sud tra Nettuno e Torre Astura (zona Raggio X) e la I Divisione inglese prenda terra nella zona nord tra Anzio e Torre S. Lorenzo (zona Peter). Lo sbarco in questa fase iniziale è un suc­cesso tattico.
LO SBARCO
Insufficiente è la resistenza tedesca, che nella zona è rappresentata dalla attività di due soli battaglioni di fan­teria e alcune batterie leggere da costa. Inoltre il movi­mento di questo gran numero di imbarcazioni è passato inosservato, perché queste sono salpate in piccoli grup­pi, in orari e porti diversi, per riunirsi nella notte soltanto nell'imminenza dello sbarco.
Anche Roma, distante solo sessanta chilometri, non è sufficientemente difendibile, in quanto i contigenti di truppe presenti nella zona subiscono continui trasferi­menti alle spalle della linea Gustav e nei vari fronti euro­pei come forze di rincalzo. Purtroppo il Generale Lucas e i suoi diretti superiori Harold R. Alexander e Clark, invece di sfruttare questa iniziale opportunità, forse a seguito del "complesso di Salerno", dove le truppe allea­te per poco non vengono ributtate a mare per mancan­za di approvvigionamenti e supporto logistico, decido­no di consolidare la testa di sbarco prima di avanzare.
Alla mezzanotte del 22 gennaio risultano già sbarcati 36.000 uomini e 3.100 veicoli, mentre altri uomini e metriali, continuano a fluire via mare dal sud Italia. La risposta tedesca però non si fa attendere molto.
La possibilità di uno sbarco alleato era già stato ogget­to di studio da parte dello Stato Maggiore tedesco del Gruppo di Armate "C", competente per territorio. Per cia­scuna delle località previste (Istria, Ravenna, Anzio, Civitavecchia, Livorno, Viareggio) sono designate le for­mazioni che avrebbero dovuto intervenire, gli itinerari da seguire e i compiti assegnati: un piano diverso di inter­vento per ogni località associato a una parola chiave.
Per questo al comandante delle truppe tedesche ope­ranti in Italia, il Feldmaresciallo Albert Kesserling, avuta notizia dello sbarco, è sufficiente diramare la frase Caso Ricard perché automaticamente le formazioni interessa­te comincino a muoversi per contrastare la testa di ponte dello sbarco, qualsiasi sia la loro dislocazione in quel frangente.
Già nel pomeriggio del giorno dello sbarco risultano schierate:
- due battaglioni e varie unità divisionali della Hermann Góring Panzer Division a Cisterna e lungo il canale Mussolini;
- il III° Battaglione del 29° Rgt. Panzer Grenadier sulla Via Anziate a sud di Campoleone;
- un battaglione dell'11° Rgt. E la IV' Divisione Fallschirmfeiger lungo la linea del Fosso Incastro a due miglia a nord del fiume Moletta,
Mentre risultano già in movimento:
- dal Fronte Adriatico la Ia Divisione Fallschirmfeiger e la 26° Panzer Division;
- dalla Jugoslavia la 114° Divisione Jeiger,
- da Genova la 65" Divisione di Fanteria;
- da Rimini la 362" Divisione di Fanteria;
- da Livorno la 16a SS Panzer Grenadier Division;
- dalla Francia la 715" Divisione di Fanteria.
Il 23 gennaio il Generale Eberhard Von Mackensen viene nominato da Kesserling comandante delle truppe schie­rate lungo la zona costiera tra cecina e la zona nord di Terracina con particolare attenzione alla zona tra Anzio e Nettuno e il suo entroterra.
Il 30 gennaio, quando l'opportunità iniziale è sfumata, il Generale Lucas si decide ad avanzare lungo le direttri­ci di Aprilia-Campoleone e Cisterna.
Gli obiettivi strategici sono rappresentati dallo scalo ferroviario di Campoleone, punto di congiunzione tra le linee ferroviarie che collegano Napoli e Nettuno con Roma, e i colli Albani che dominano le importanti diret­trici stradali Appia e Casilina.
I TEDESCHI CONTRATTACCANO
La risposta tedesca ferma e decisa permette alla Ia Divisione inglese di occupare soltanto Aprilia, e alla Illa Divisione americana, dopo un'infiltrazione nelle linee
nemiche di oltre 700 Rangers, di contare soltanto sei superstiti.
Il 4 febbraio risultano ammassati nella zona di sbarco 18.000 veicoli per 70.000 soldati senza che l'avanzata registri ulteriori miglioramenti.
Dopo aver constatato la situazione stagnante e la mancanza di risultati efficaci rispetto ai programmi Chuchill scrive ad Alexander: "Mi aspettavo di vedere un gatto selvatico scatenarsi tra le montagne. Cosa vedo invece? Una balena arenata sulle spiagge!'
Il 9 febbraio l'XI Flieger Korps tedesco, in previsione di un prossimo contrattacco ordinato espressamente da Hitler a Kesserling, chiede l'apporto di un reparto italia­no di Paracadutisti per rafforzare la IV Divisione Fallschirmjager del Generale H. Trattner.
Al comando del Capitano C. Alvino, trecento uomini suddivisi in sei plotoni e un reparto servizi partono dal Centro di Addestramento di Spoleto con un'autocolonna tedesca per Anzio/Nettuno.
Il reparto chiamato Btg. Nembo, viene dislocato nel settore arretrato di Ardea su un fronte di circa 10 chilo­metri di lunghezza tra il corso superiore del fiume Moletta, il quadrivio di Carroceto, Campo di Carne e il Fosso Buon Riposo.
L'attacco generale viene fissato per le ore 6,30 del 16 feb­braio con lo scopo di ridurre l'area della testa di ponte. Moltissimi sono gli episodi di valore compiuti dai Paracadutisti del Nembo al loro battessimo del fuoco che segna il riscatto delle armi italiane. Forti sono le perdite per le continue missioni esplorative, ricognizioni nottur­ne, in operzionio fatte di sorprese e colpi di mano, tali da suscitare il rispetto e l'ammirazione dei Paracadutisti tedeschi.
A est è schierata la 114' Divisione, al centro la 715' Divisione Corazzata Fallschirmjager lungo la strada Nettunense per Anzio.
Da parte alleata vengono investite dall'attacco tedesco la IIIa Divisione americana da azioni diversive, mentre l'a­zione più energica deve contrastarla la 56a Divisione inglese e in particolare la 45a Divisione americana contro la 715" Divisione tedesca. Proprio nel centro dello schieramento della 45a Divisione americana i Tedeschi riesco­no a conficcare un cuneo di penetrazione largo circa 5 chilometri e profondo circa due, a soli 1500 metri dalla spiaggia di sbarco.
Per dare il colpo finale vengono impiegate tutte le riserve tedesche disponibili, mentre un intero Corpo d'Armata alleato con l'Artglieria divisionale insieme a 4 batterie di cannoni da 90mm. E al fuoco navale viene uti­lizzato dagli Alleati per arrestare lo sfondamento.
Anche in questa circostanza l'appoggio dell'aviazione alleata è determinante: tonnellate di bombe vengono sganciate su Cisterna, Carroceto, Campoleone, Velletri e sulla linea del fronte.
Il 4 marzo Kesserling decide di sospendere l'offensiva trincerando le sue truppe sulle pposizioni raggiunte. Privo di rincalzi e con la situazione divenuta critica a Montecassino una tale scelta diviene inevitabile, dovendo­si scontrare su due fronti, con le divisioni alleate continua­mente awicendated e rinforzate da nuovi contingenti.
CRESCE L'IMPEGNO ITALIANO
Nel frattempo altri reparti italiani raggiungono il fron­te di Nettuno: fra questi il Btg. Barbarico della X' Mas al comando del Capitano di Corvetta sommergibilista U. Bardelli schierato nel settore della 715° Divisione tedesca tra il Lago di Fogliano e il Canale Mussolini; i 650 volon­tari del I° Btg. Italiano Freiw-Waffen-SS chiamato "Vendetta" costituito da due compagnie e una squadra mortaisti impiegati nel settore di Canale MUSSOLINI, Fossa di Cisterna, Borgo Podgora e Borgo Carso al comando del Primo Seniore della Milizia C.F. Degli Oddi; gli aerosiluranti del Gruppo Buscaglia al comando del Capitano Faggioni caduto eroicamente proprio sul mare di Anzio; gli Assaltatori della X' MAS e diverse centinaia di Artiglieri inquadrati nella Flak nei Reggimenti 5°, 57°, 131°, 137°, 149°, schierati fra i Colli Albani e Roma.
La partecipazione italiana riscatta il rispetto dell'allea­to tedesco e del nemico; le molte decorazioni al valore ne sono la testimonianza anche se al prezzo della perdita in combattimento di oltre la metà degli effettivi.
Da parte tedesca e alleata l'enorme numero di caduti registrato negli innumerevoli scontri e colpi di mano che si susseguono nei mesi di combattimenti aerei e terrestri nella zona di Anzio e Nettuno giustifica la presenza dei cimiteri militari tedesco a Pomezia, inglese ad Anzio e quello monumentale americano a Nettuno.
Il 15 febbraio un bombardamento a tappeto distrugge l'Abbazia di Montecassino divenuta simbolo dell'efficace resistenza tedesca all'avanzata alleata lungo il Fronte della linea Gustav.
Il 18 maggio il 12° Reggimento polacco Poldoski si impossessa di Montecassino senza sparare un colpo dato che nella notte è arrivato l'ordine di ripiegare agli ultimi Paracadutisti, i famosi "Diavoli verdi" della Ia Divisione
Fallschirmjager.
Il 23 maggio viene spezzato il fronte di posizione tedesco, con la liberazione della martoriata Cisterna da parte della Ma Divisione americana, aprendo così la stra­da per la capitale.
Il 4 giugno, mentre le ultime retroguardie della IV" Divisione Paracadutisti tedesca stanno evacuando la zona nord di Roma senza combattere, unità della 88a Divisione americana entrano in città rimanendo sbalordi­ti nel constatare la mancata distruzione dei ponti della Capitale.
Come promesso, Kesserling, nonostante sia cosciente dello svantaggio militare che la decisione comporta, ordi­na alle sue truppe di non attuare azioni di sabotaggio per rallentare l'avanzata alleata, preservando così la Città Eterna dalla distruzione.
Il Genrale Lucian King Truscott che il 22 febbraio sostituisce il Generale John Porter Lucas sollevato dall'in­carico, scrive nelle sue memorie: "Tutti gli strateghi da caffè, non cesseranno mai di discutere nell'illusione che ad Anzio ci fosse stata un'occasione mancata di cui qualche moderno Napoleone avrebbe saputo approfitta­re per slanciarsi sui Colli Albani, gettare lo scompiglio nelle linee di comunicazione tedesche e galoppare fino a Roma. Simili idee rivelano una totale incomprensione del problema militare che si presentava".


STORIA DI UNA VECCHIA, FEDELE"EMMEGHE"
di Nino Arena

Iniziammo a conoscerla ed apprezzarla a Spoleto, all’inizio del 1944. Noi la chiamavamo all'italiana "Emegì", gli istruttori tedeschi Emmeghé; ma la vera sigla militare era Werke RMB/MG.42. ovvero Fabbrica Rhein Metall Borsig per Leicthes Maschinen Gewehr modello 42 (anno di entrata in servizio dopo aver sostituito il modello MG 34). Aveva come calibro 7,92 mm., pesava kg 11,6, spara­va 1200 colpi al minuto (un vero record per la sua cate­goria), aveva gittata utile ed efficace a m. 600, ma con l'aggiunta di un treppiede di kg. 7,400 che la sollevava di 80 cm. aumentava il campo di tiro sino a 3000 m. e diven­tava S. ovvero Schwer (pesante) come la nostra Breda mod. 37 cal. 8 mm. Veniva conosciuta anche come "Hitler Sage2 (sega di hitler) ma poiché chiamavano "mezzase­ga" gli allievi di piccola statura finimmo per trascurare quel personale riferimento...!
La MG disponeva di alimentazione a nastro di 50 colpi, agganciabili in azione per continuità di servizio, cassette di trasporto di 250/300 patronen ma disponeva anche di caricatori circolari a "cannochiale" per assalto (Ausflader Sturm) utili nel trasportare l'arma correndo senza la preocupazzione di sporcare il nastro con erba, terra, foglie, rami col suo movimento a ventaglio. La sua riserva era costituita da 3000 colpi reperibili a livello com­pagnia, ma normalmente si spostava col capo arma, aiu­tante capo-arma, servente di riserva, ognuno con due box e nastro di riserva a collocare per complessivi 1200 colpi; la cellula tattica comprendeva due nuclei per squadra - 18 uomini con due MG - tre squadre per plotone, tre plotoni per compagnia, tre compagnie fucilieri e una pesante per battaglione.
Nell'ordinamento tattico della Wehrmacht, la compagnia disponeva di 18 MG e la pesante di 12 sMG 6 werfer (mortai) mod. W. Gr. 34 (80 mm.), 4 cannoni Pak leggeri (37 mm) in taluni casi 4 IG mod. 18 da 75 mm. La filiera d'impiego e alimentazione, oltre ai tre uomini di punta aveva i due aiutanti ai rifornimenti.
Il segreto consisteva in un perfetto addestramen­to fra il nucleo mitraglieri e i due aiutanti portacassette, incaricati della continuità di rifornimento per assicurare il servizio dell'arma, gran mangiatrice di colpi...! I primi ad usarla in azione furono i parà del 4° Btg. (Alvino) meglio conosciuto come Btg. autonomo Nembo, formato rapida­mente per il fronte Anzio/Nettuno, partito da Spoleto col vecchio obsoleto armamento italiano: moschetto mod. 91, mitragliatore Breda mod. 30, mitragliatrice Breda mod. 37, mortai Cemsa da 81 mm., tutta roba che i tede­schi sostituirono senza indugi consegnando pistole Walther P. 38, MG. 42, alcuni Thompon di preda bellica lasciando la pistola Beretta mod.34, il classico pugnale MVSN, alcune carabine Mauser 98K oltre al solito affida­bile MAB Beretta mod. 38 (il nostro mitra).
Per quattro giorni, i volontari del Btg. Alvino si addestrarono alla cava di pietra dell'Ardeatina sparando centinaia di colpi e poi andarono sulla Moletta in tempo per partecipare alla "Fishfang" del 16 febbraio 1944. Il bat­ tesimo del fuoco con la MG. 42.
Nel frattempo a Spoleto, iniziava il regolare corso d'istruzione programmato secondo il collaudato metodo selettivo tedesco, in cui la scelta aveva molta importanza nella formazione del nucleo d'azione, attivando conge­nialità e apprendimento in funzione di realizzare il team permanente, in grado di produrre nel tempo i migliori risultati. Fra i giovani volontari si stabilì un clima di acce­so antagonismo a chi faceva ottenere i migliori risultati: conoscenza dell'arma, smontaggio e rimontaggio in con­dizioni normali e operative, in condizioni ottimali e d'e­mergenza (oscurità, intemperie, difficoltà ambientali) e piano piano emersero i migliori, i più predisposti, gli affi­dabili; molto giocò l'entusiasmo, la genuina volontà, l'a­perto riconoscimento degli istruttori tedeschi, l'insorgen­za di un profondo e sentito cameratismo e l'imbarazzo della scelta in quanto tutti meritevoli con i "prima" che si sprecavano fino al momento in cui l'arma da addestra­mento venne sostituita da quella di magazzino uscita dalla carta oleata, lucida, levigata, perfetta ed ogni team ebbe la sua MG.
Camuncoli, Balzini, Bottini, Fiocchi, Rava, Millicn, Monti, Schifa, Roversi, Simoncelli, Actis, Conti, Refice, Di Tullio, Civica, Sebastiani, Donati, Napoletti, Tuzzi e tanti altri.
Erano tutti ragazzi della 7a del tenente Romano Ferretto, orgoglioso dei suoi giovanissimi volontari che stava preparando moralmente per portarli al loro battessi­mo del fuoco in lunghi mesi di preparazione.
La MG 42 di Giorgio Monti aveva il suo bravo numero di matricola WN.310/480915/43 e con l'arma, orgoglio della tecnica d'armamento tedesca, si stabilì subito un rapporto di fiducia e affetto, di sicurezza e affi­dabilità.
A fine maggio partenza per il fronte: Campello, Somma, Flaminia, Terni, Orte, Rignano, Roma Cecchignola, Eur, Albano, Cecchina, Pavona, Pescarella, Ardeatina, Pian di Frasso a ridosso della linea di fuoco che rumoreggiava poco distante al gran completo da terra, dal mare e dal cielo con cannoni, navi e aerei a far baraonda. Era la guerra!
Le posizioni italiane, occupate nella notte prece­dente, costeggiavano il corso del ruscello e l'unico riparo era costituito dal piccolo argine alto poco più di un metro, impossibile muoversi per non offrirsi ai famigerati snipers (tiratori scelti di grande precisione), fermi sotto il sole dar­deggiante e impietoso, al battesimo del fuoco dei ragazzi emozionati ora che conoscevano la guerra, i pericoli, il clima, le difficoltà. Ferretto si rendeva conto di tale situa­zione, si fidava dei suoi ragazzi, ma sapeva benissimo i pericoli che aleggiavano in quella calda indimenticabile giornata del 3 giugno 1944.
Poco prima delle 12 un ultimo incitamento, l'invi­to a comportarsi da soldati e paracadutisti, a superare emozioni e ansia; alle 12 inizia il tiro dei mortai sulla som­mità, le MG vengono piazzate
sul ciglio dell'argine
quando l'ultima salva arriva i mitraglieri iniziano il tiro di supporto per impedire la reazione nemica; poi Ferretto salta fuori e urla "Avanti, fuori ragazzi, Folgore, Nembo" e la 7a parte di corsa all'assalto percorrendo la leggera sali­ta verso la sommità dove i fanti inglesi iniziano a reagire. Funziona il triangolo tattico: breve corsa veloce, arma a terra, alcune raffiche e via avanti ansando, senza più timo­ri, con determinazione fino in alto, impedendo una rea­zione efficace mentre ai lati del camminamento volano le rosse Balilla e i nemici cominciano ad arrendersi ormai impossibilitati a muoversi.
Nel tardo pomeriggio, poco prima che iniziasse il contrattacco, il tenente Arienti Lucinini si solleva dalla buca per osservare la situazione; si ode un ta pum isolato e il giovane ufficiale crolla fulminato, colpito in fronte da uno Sniper.
Oltre alla 3a anche la 24a brigata Gurdie concorre all'attacco: 3000 fanti, cannoni, carri armati, contro una sessantina di paracadutisti senza alcun appoggio. Inizia l'artiglieria, poi si muovono i carri e le fanterie attaccano in salita capovolgendo la situazione del mattino. Le MG aprono un fuoco serrato falciando il nemico e ben presto si arriva al contatto fisico: è una strage di minorenni, di ragazzini imberbi, di volontari per l'Italia, di giovani para­cadutisti caduti a decine su quella collina alle porte di Roma.
Giorgio Monti 17 anni, Marco Fiocchi 18 anni, Valerio Roversi 20 anni, Ferdinando Camuncoli 17 anni, MOvm alla memoria: "...capo arma, ferito continuava a rendersi utile passando i nastri della MG. Moriva abbrac­ciato alla sua mitragliatrice" Giuseppe Millich 18 anni, Napoletti, Balzini, Simonelli, Bottini, Actis, Conti, Molgora, Schifa, Donati, capi arma, aiutanti, portamuni­zioni, oltre venti i caduti,
altrettanti i feriti, pochi i prigionieri incolu­mi. Il camminamento è ricol­mo di caduti, di armi, di
cassette di munizioni, bombe a mano e sulla col­lina non c'è più vita anche se resistono alcuni punti esterni presidiati da una decina di parà della 6a Cmp. giunti di rinforzo; che impediranno sino a tarda notte l'avanzata verso Roma. La 18° brigata inviò pattuglie sull'Ardeatina per accertare la situa­zione. Il responso fu breve: no contact! Non c'era più nes­suno a contrastare l'avanzata verso Roma.
Sulla sommità della collina i corpi senza più vita stavano a dimostrare il grande sacrificio fatto da un pugno di volontari imberbi; più inj basso, dov'era la sorgente, altri corpi erano allineati nelle grotte di tufo, deposti dopo il combattimento del mattino, identificati e registrati.
Un gruppo di prigionieri tedeschi fece una gran­de buca, ammucchiò i caduti sul fondo senza preoccu­parsi di identificarli; poi uno di loro gettò vicino al capo arma la MG trovata sotto il suo corpo. Poi la terra ricoprì i ragazzi dell'Acquabona. I superstiti della 7a furono presi prigionieri e pochi furono quelli che si salvarono.
Passarono lunghi anni, la guerra finì e giunse il momento di pensare a onorare i morti. I parenti iniziaro­no a ricercarli; chiesero, camminarono a lungo, ebbero poche notizie e poi, finalmente, si ottennero risposte confortanti. L'architetto Fiocchi rintracciò la grande buca, iniziò a scavare con una pala e rintracciò un corpo metal­lico: era la MG42 WR310480915/43 che a modo suo segnalavano: sono quì, vicino a me, tirateci fuori dalla terra e portateci alla luce del sole. Mino Fiocchi ripulì l'ar­ma dalla terra, la mise in un sacco e la portò a casa a Roma. Le madri li disseppellirono delicatamente, li rico­nobbero, li adagiarono nelle piccole cassette di legno e li portarono al Verano dove una sottoscrizione aveva per­messo l'acquisto di un grande loculo - la tomba di fami­glia del riquadro 35 - poi traslocarono nella grande tomba del Famedio militare - la zona dove sono sepolti gli uomi­ni meritevoli: un grande e degno monumento funebre con i loro nomi scolpiti.
La MG venne lavata con liquido antiruggine, ripulita, lucidata e lubrificata; incredibile a dirsi dopo tanti anni era ancora in perfetta efficienza, funzionante, rediviva!
Poi passò in carico ad Enrico, che con le sue esperte mani la rimise in ordine, trovò incastrato fra la massa battente e la camera di scoppio un proiettile calibro 7,92 che forse aveva provoca­to l'inceppa­mento dell'arma.
Decidemmo di donarla a qualcuno, esporla e farla conoscere, e trovammo amichevole risposta dal Museo del Paracadutismo Italiano di Pisa, quello che il tenente Tomasina con felice intuizione ha battezzato "la casa delle nostre memorie".
Fu necessario fare ancora una piccola operazione: renderla inoffensiva bucando la canna e otturandola.
Oggi, dopo 60 anni da quel giorno di giugno, fa bella mostra di sé nella vetrina dedicata ai paracadutisti della RSI.
Andate a vederla e dite sommessamente una pre­ghiera ricordando il sacrificio di quei ragazzi indimentica­bili degni rappresentanti di una irripetibile generazione.

Franco De Bendetto
(Racconto di Nino Arena)
Piccolo di statura, magro ma robusto, scuro di carna- gione, vivace e allegro, queste le caratteristiche esteriori di Franco; poco loquace,con occhi che si illumina­vano quando parlava,deciso, coerente, semplice, uso ad obbedire: queste le qualità individuali che dimostrava quando, vincendo un' iniziale timidezza, Franco De Benedetto raccontava qualcosa del suo passato militare nei paracadutisti, i famosi "diavoli verdi", in cui aveva combattuto, sofferto per ferite in azione e gioito per medaglie e riconoscimenti morali meritati sul campo. Un buon soldato, un eccelente sottufficiale, un valoroso più volte ferito, più volte decorato, un combattente dell'Onore. Da sempre nel 3° battaglione del 185° Nembo, era uno dei fedelissimi del Comandante Sala, che lo volle con sé in guerra e nei lunghi anni di pace e di lavoro, quando svolse con impegno e diligenza, le mansioni che gli erano state affidate nella vita civile.
Col 3° aveva fatto la breve campagna di Sicilia nel luglio/agosto del 1943, il ciclo antiguerriglia nel Goriziano contro i partigiani slavi e la difficile marcia sui monti della Calabria nel settembre, tallonati dai Canadesi della 1° divisione.
Poi, improvvisamente l'armistizio!
Questo avvenimento rappresentò, per molti italiani alle armi, redde rationem con la storia, con la realtà, con se stessi, poiché ognuno dovette fare i conti del cosa fare con un esame introspettivo che non lasciava molte alter­native: da una parte o dall'altra, nessuna via di mezzo o compromissione, una scelta che s'imponeva per coloro che avevano rifiutato il più comodo ma avvilente "tutti a acsa". Fu una decisione lacerante per gli eventi che incalzavano, per il presente e l'immediato futuro e quan­do il capitano Sala in quei terribili giorni parlò ai suoi paracadutisti degli eventi accaduti e di ciò che poteva ancora accadere, della possibilità di essere disarmati dal nemico (come in effetti accadde), per clausola armistia­le, disse del tradimento badogliano e del dovere morale di ogni individuo di rispettare impegni e patti.
Franco De Benedetto non ebbe esitazioni e scelse l'Onore d'Italia.
Il suo cuore e la sua coscienza gli avevano suggerito quella strada: doveva percorrerla fino in fondo, pagando di persona la sua scelta.
Il 3° accettò la collaborazione militare offertagli dai tedeschi e ne seguì le sorti sino a Salerno, dove gli allea­ti stavano sbarcando, per cercare di intrappolare, con l'aiuto di Badoglio, le divisioni tedesche che si ritiravano dalla Calabria, dalle Puglie, dalla Basilicata, convergen­do su Paestum e Battipaglia, per arginare il mortale peri­colo che correvano. Il battaglione Sala concorse a sven­tare la manovra alleata e fin da subito ebbe i suoi primi caduti, poiché il 10 settembre — due giorni dopo l'armi­stizio — registrò il suo primo caduto: Giuseppe Zucca, paracadutista. Il giorno successivo, il sacrificio fu ancora più doloroso perché morivano Giordano Busolini, Mario D'Anna, Aldo Palazzi, Giovanni Roggiopane, seguiti il giorno 13 da Benedetto Azzaro e il 16 dal paracadutista Tullio Neliani. La Repubblica Sociale non era ancora nata, ma soldati italiani, di loro iniziativa, avevano ripre­so a combattere la guerra in comune con la Germania, per rispettare un patto d'alleanza.
Fra questi non poteva mancare Franco.
Alcuni giorni più tardi, passò in aggregazione tattica con la 1° paracadutisti "Heydrich", la valorosa divisione paracadutista sulla piana di Catania in luglio, che aveva difeso il ponte sul Simeto a Primosole con gli arditi del maggiore Marcianò. La 1° si stava ritirando dalle Puglie, ostacolando l'avanzata alleata proveniente da Taranto, controllando gli aeroporti di Gioia del Colle e Amendola, recuperando prezioso materiale a Foggia, difendendo la SS 7 "Appia" fra Matera, Potenza, Rionero, Avellino, dove gli alleati avevano lanciato sconsideratamente un battaglione di paracadutisti, poi rimasto isolato senza rifornimenti e allo sbando.
Furono giorni intensi passati per catturare gli ameri­cani, sventare pericoli- e ristabilire la tranquillità nelle retrovie del fronte. Franco venne inserito in un Kampfgruppe, conobbe da vicino i paracadutisti tede­schi e rimase con loro assieme ad altri italiani fino al ter­mine del conflitto, operando nel retro della "Gustav", combattendo a ortona, andando in linea a Cassino quan­do Kesserling affidò alla 1° la responsabilità del fronte: un evento, questo, che doveva elevareal vertice massi­mo della qualità di valore, abnegazione, sacrificio e umana resistenza i "diavolo verdi" di Cassino, imbattuti e onorati da amici e nemici. Con loro c'era anche Franco De Benedetto, che si batté con valore, venne ferito una prima volta, ebbe la sua onorificenza nera di ferito in azione e la Croce di Ferro di 2° classe. Andò in ospeda­le, ma ben presto ritornò a Cassino e quando la 1° si ritirò fu tra gli ultimi ad abbandonare la sua postazione, caricatosi addosso zaino, armamento individuale, una MG e due cassette di munizioni: piccolo di statura, ma grande di cuore, con grande forza fisica. Percorse chilo­metri, sovraccaricato, ma all'appuntamento giunse rego­larmente fra l'ammirazione e lo stupore di tutti. Ebbe un'altra citazione onorifica trascritta sul Soldbuch. Poi il fronte si spostò a nord: Perugia, Trasimeno, Arezzo e sul Foglia nel Pescarese. Ancora una volta, la 1° Paracadutisti fu all'altezza della sua fama e dei suoi uomini. Franco continuò a combattere, ebbe una secon­da ferita, il distintivo d'assalto in argento e un'altra Croce di Ferro, di 1° classe. Venne ricoverato ad Abano Terme, città ospedaliera, dove rimase fino alla fine della guerra.
Venne discriminato, non rinnegò nulla, non si pentì per le sue scelte.
Col suo comportamento da valoroso aveva fornito una chiara dimostrazione di come realizzare, con perso­nale impegno, un patto d'alleanza, pagato fino all'ultimo con coerenza e valore.

Alcune motivazioni di ricompense
al valor militare della 7a Comp. "Ferretto"
con la distinzione di servizio Capo arma, tiratore,
portamunizioni, capo-arma tiratore.

Paracadutista Fiocchi Marco
"Studente volontario della prima ora, tiratore mitragliere dava luminose prove di ardimento spo­stando la sua arma nei punti più opportuni, finché colpito in fronte da una pallottola nemica si abbat­teva sull'arma con cui aveva inflitto all'avversario perdite sanguinose. Bell'esempio di abnegazione e di amor patrio".
Acquabona (Ardea) 3-6-1944

Paracadutista Rava Massimo
"Studente volontario della prima ora, capo arma mitragliere, durante la difesa di Roma dava luminose prove di ardimento.
Gravemente colpito dal piombo nemico, ai compa­gni che volevano portarlo indietro imponeva che lo lasciassero sul posto e continuassero l'azione. Bel­l'esempio di abnegazione ed amor patrio".
Castel di Decima 4-6-1944

Paracadutista Roversi Valerio
"Capo arma tiratore durante violenta azione nemica appoggiata da carri armati, teneva contegno valoroso. Visto vano il fuoco della sua arma contro i carri, si slanciava con le bombe a mano contro di essi trascinando i suoi compagni al contrassalto. Ferito, non desisteva fino all'esaurimento delle forze. Bel­lissimo esempio di valore e senso del dovere".
Acquabona (Ardea) 3-6-1944

Caporale Zamparini
"Mitragliere paracadutista, durante un forte attacco nemico appoggiato da carri armati, si distin­gueva per sangue freddo e decisione. Visto ineffi­cace il fuoco della sua arma, si slanciava decisa­mente con le bombe a mano contro il carro più vicino trascinando con l'esempio gli uomini della sua squadra. Riusciva ad incendiare il carro, ma gra­vemente colpito si abbatteva gridando al nemico la sua passione per l'Italia ".
Acquabona (Ardea) 4-6-1944

Paracadutista Mannucci Lapo
"Porta munizioni di mitragliatrice, durante un'azione di carri armati nemici, dava continue prove di coraggio e di senso del dovere. Sotto intenso fuoco di mitraglia e di artiglieria si preoccu­pava unicamente di rifornire l'arma, finché colpito mortalmente si abbatteva vicino all'arma che aveva servito con abnegazione".
Acquabona (Ardea) 4-6-1944

Paracadutista Camuncoli Ferdinando
"Studente volontario della prima ora, capo arma mitragliere, durante la difesa di Roma dava numerose prove di ardimento.
Gravemente colpito dal piombo nemico, ai compa­gni che volevano portarlo indietro imponeva che lo lasciassero sul posto e continuassero l'azione. Durante un successivo attacco nemico si prodigava nel rifornire l'arma passando con l'unica mano indenne, le munizioni per la mitragliatrice; nel corso dell'azione difensiva da un contrassalto avversario tentava di respingere col pugnale la posizione da difendere ma veniva colpito mortalmente e moriva assieme ai suoi camerati abbracciato alla sua arma che non aveva voluto abbandonare. Bellissimo esempio di abnegazione e di amor patrio".
Colle dell'Acqua Bona 3-6-1944

Tenente Paracadutista Ferretto Romano
"Comandante di Compagnia Paracadutisti alla difesa di Roma, teneva per vari giorni una posi­zione di grande importanza, respingendo ed infran­gendo innumerevoli attacchi nemici fortemente appoggiati da mezzi corazzati e da artiglieria. Alla testa di nuclei di contrassalto, senza conoscere peri­colo né fatica, di giorno e di notte era l'esempio costante di tenacia e di valore. Sbaragliava sempre il nemico, lo respingeva infliggendogli notevoli per­dite. Rimasto gli ultimi giorni con un pugno di uomini duramente provati, infondeva loro la sua forza, il suo spirito di abnegazione, il suo sconfinato amor di patria, facendo del suo Reparto sempre il fulcro della resistenza. Scompariva in una delle ultime mischie contro mezzi corazzati inglesi. Bellis­sima figura di soldato e di italiano".
Fronte di Roma 4-6-1944

S. Ten. Paracadutista Arienti Lucinini Guido
"Comandante di plotone paracadutisti, durante un forte attacco appoggiato da carri armati e da intenso fuoco di artiglieria, portava varie volte il suo plotone al contrassalto infliggendo perdite sen­sibili al nemico e spezzandone più volte l'impulso. Dava continua prova d'iniziativa e coraggio, immo­lando la vita che aveva donato alla Patria".
Acquabona (Ardea) 3-6-1944

Paracadutista Simoncelli Guido
"Giovanissimo porta-munizioni di una squa­dra mitraglieri, durante violento attacco di carri nemici appoggiati da artiglieria, si comportava in modo ammirevole sfidando reiterate volte l'intenso fuoco nemico finché colpito mortalmente si abbat­teva vicino alla sua arma".
Acquabona (Ardea) 3-6-1944

Spoleto 9-2-1944 Giuramento alla R.S.I.

Foto in basso:"Famedio Militare" in occasione del 55° anniversario della Battaglia Anzio-Nettuno

Foto in alto: Pomezia - Cimitero militare tedesco,picchetto della Brigata "Folgore" in occasione del 60° anniversario della Battaglia di Anzio-Nettuno


" IL TORRACCHIONE"

Vero...vero... cari parà
fidenti Camerati quel giorno verrà
che una torre possente svetterà
là nella landa Pontina
ove nel febbraio di quella mattina
ci gettammo con disperato coraggio
contro nemico di altro lignaccio
che voleva ROMA conquistare
credendo di NON PAGARE PEDAGGIO

Per 4 mesi interi tali eserciti fermammo
mesi di sudore di morte di affanno
per riscattar l'ONORE leso
da quell'8 SETTEMBRE di sciagurato peso
mentre in quella desolata piana
il nostro sangue scorreva a fiumana
insieme a quello dei nostri nemici
cui ROMA ora sembrava tanto lontana.

A Giugno quella landa divenne silente
più anda e rianda rincorreva la gente
né grida né tuoni né schianti NIEN'l E DI NIENTE

La bufera cruenta la STORIA di cui era passata
e dietro fiumi di sangue si era lasciata

Ora sotterra quel nemico ristava
ed il suo Stato Maggiore nei bunker pensava
che forse il SOLDATO ITALIANO
pur allo stremo NON ALZAVA LA MANO
ma con furore ognor combatteva
e per VINCERE bisognava prolungare l'attesa
chè NON SI VEDEVA LA RESA

Là nella piana silente
il destino si compié per tanta gente
per i nostri Camerati uniti
a giovani di alleata Nazione
caduti in questo lembo di terra
sotto il rastrello rovente della Guerra

Oggi il Kamerata di alleata Nazione
e persino il nemico caduto in azione
in pace riposano in grandi CIMITERI DI GUERRA
ove onori e gloria ricevono ancorché sottoterra

I PARACADUTISTI ITALIANI
i SOLDATI IN GRIGIO-VERDE dell' ONORE
NESSUN LI RICORDA e se ne stanno in pudore
raccolti sotto un piccolo scoglio
al VERANO di ROMA ... isolati SI
ma IN SLENDIDO ORGOGLIO

Eppure quel giorno verrà Cari Parà
che nella landa Pontina si staglierà
nel cielo una radiosa mattina
una torre tanto alta e possente
che del tutto attonita lascerà la gente
e da ogni parte del globo
ciascuno vorrà rendere omaggio omaggio
a quei soldati che con fermo coraggio
per ROMA e la PATRIA e l'ONORE
qui lottarono con furor selvaggio
e come accade ai forti
QUI VI GIACQUERO MORTI!!!

Curzio Vivarelli

P.S. Benito Puglia è salito al Padre pochi giorni prima del 64° Raduno 2008, evento che ha organizzato con la solita abnegazione sacrificio personale se si considera che era sofferente da tempo, grazie a quanto ci ha lasciato ed alla sua guida, tutto si è svolto con i migliori auspici .
Siamo sicuri che da quell'angolo di Cielo riservato a Santi martiri ed eroi.
Benito vi ha partecipato insieme a tutti i Ragazzi che combatterono per "l'onore d'italia" ed hanno fatto un passo avanti.
Tutti i presenti salutano alla voce con Parà! Folgore Parà! Folgore Parà! Fogore...

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