martedì 10 giugno 2008

L'ILLUSTRAZIONE ITALIANA n° 49 7 Dicembre 1941


Testo in didascalia)
Sulla scorta delle precise notizie date dai bollettini italiani e tedeschi si può dire che la situazione sul fronte della Marmarica definita « oltremodo confusa » dai giornali inglesi (abili nelle ritirate strategiche quanto I loro eserciti) si va chiarendo ogni giorno più. Altri generali catturati, il taglio del corridoio di Tobruk probabile causa di « con­seguenze spiacevoli », intere brigate corazzate distrutte, sono elementi che concorronoa mettere in maggiore evidenza il fallimento dell'offensiva inglese. Prende natural­mente risalto in questa situazione chiarita il magnifico valore dei soldati italiani e germanici, valore riconosciuto dagli osservatori e dalla stampa di tutti i paesi compresa quell'America che va piantando basi su tutti i continenti per portare aiuti (?) all'Inghilterra. - Qui: fanti della Divisione « Bologna » vanno all'attacco.
Testo in didascalia)
La Finlandia festeggia in questi giorni l'ottantesimo compleanno di Pehz Evind Svin­bufvud, già presidente della Repubblica e degno di esser chiamato « Padre della Patria » per l'opera di ricostruzione nazionale alla quale ha dedicato tutta la sua vita.
COMPLICITÀ ANGLOSASSONI
L'AMERICA IN AFRICA?
L’abusato motivo della politica internazionalista della Casa Banca a fini di politica interna ,il motivo , cioè della difesa dell’emisfero occidentale dellei possibili « aggressioni » dell'Asse, sembra oramai messo in sordina. Si è indotti, talvolta, a sospettare che gli organi ufficiali d'oltre Atlantico ritengano definitivamente superata e annullata la virtù persuasiva di tale motivo. Oggi, a quanto pare, si preferisce far parlare i fatti. E questi non sembra che abbiano valore puramente difensivo neppure agli occhi del più ingenuo e cre­dulo suddito nordamericano.
Gli ultimi fatti di cronaca della politica sempre più bellicista condotta da Roosevelt, sono due e racchiudono entrambi un significato ed una portata che non potrebbero essere né dissimulati né sottovalutati.
Il primo fatto di cronaca cui accenniamo è la confessata installazione di una base navale a Londonderry, la cittadina industriosa dell'estremo nord irlandese. Il secondo è la annunciata creazione di basi aeree sulle coste occidentali del­l'Africa, donde l'aviazione nordamericana dovrebbe spiccare voli, diciamo così, di ricognizione, su un itinerario, che, per ammissione degli esperti anglosassoni, dovrebbe spingersi, attraverso il continente africano, fino al Nilo e di qui fino al Caspio.
Simili enunciazioni non hanno bisogno di diffusi commenti, in quanto pro­positi di tal genere rivelano chiaramente come l'egemonico imperialismo norda­mericano tenda ad allargare sempre più le sue propaggini e i suoi tentacoli come le due branche di una morsa formidabile, che dal nord come dal sud, dovrebbe stringere i fianchi del continente europeo.
Che si dovesse giungere a questo lo si poteva già comprendere. Le plutocrazie anglosassoni incominciarono con lo stendere la mano sulle coste della Groen­landia e dell'Islanda. Nel maggio del 1940 il Parlamento islandese decideva di rompere l'unione personale fra l'Islanda e la Danimarca, adducendo che il Go­verno danese non era più in grado di provvedere alla difesa dell'isola. Nessun dubbio che i rappresentanti parlamentari dell'Islanda avevano ceduto -lie pres­sioni, facilmente individuabili, di Londra e di Washington. E nel gennaio dei 1941 truppe americane sbarcavano sulle coste islandesi a tutela di una grande base navale degli Stati Uniti.
Non diversamente gli Stati Uniti si regolarono nei confronti della Groenlandia. Questa volta, la procedura fu ancor più sbrigativa. Il Governo di Washington trovò un rappresentante danese, già accreditato presso la casa Bianca, che nel­l'aprile scorso si ritenne giuridicamente autorizzato a sottoscrivere una conven­zione, mercé la quale agli Stati Uniti veniva affidata la difesa del territorio groenlandese. Copenaghen protestò immediatamente, ma della protesta gli Stati Uniti non tennero alcun conto. Anzi finirono col mettere te Groenlandia a dispo­sizione degli altri paesi americani.
Dall'Islanda all'Irlanda doveva essere facile il passo. Ma le due manomissioni per quanto logicamente collegate l'una all'altra, si diversificano a vicenda in una misura moralmente e spiritualmente incalcolabile. Insediandosi in Irlanda, le forze navali americane si avvicinano straordinariamente all'Europa e per com­piere tale avvicinamento, hanno scelto uno dei punti più sensibili e più dolenti del mondo oltre Manica. Hanno scelto Londonderry. Ma Londonderry è uno dei luoghi più insigni del territorio irlandese. La città fervida d'industrie e di traf­fici, anche se non ragguardevole per densità demografica, sorge su quell'angolo della terra irlandese, che fu in antico consacrato dalle fondazioni monastiche di uno dei più venerati rappresentanti della santità celtica sulla terra di San Pa­trizio: San Colomba.
La città è vicinissima al confine, molto arbitrario, che divide il territorio dello Stato libero, governato da De Valera, dall'Ulster. E l'Ulster, corre si sa, è quella regione dell'Irlanda, che l'Inghilterra, contro ogni legge di giustizia e di storia, ha voluto mantenere asservita a sé, per avere ancora nell'Isola dei Santi una « base » che le consenta, quando che sia, di annullare un'autonomia a malincuore concessa nel 1921.
Dal giorno della costituzione dello Stato libero d'Irlanda, De Valera, e il suo Governo, riusciti con ammirevole tenacia a portare a parziale compimento il pro­gramma dei Sinn Fein, che, come dice il nome, aspirava a mettere il paese in condizione di governarsi da sé, non hanno mai cessato di rivendicare l'integrale unione dell'isola, necessaria alla sua piena autarchia economica, politica e morale.
Ora vien fatto di pensare che la creazione di una base navale americana nel­l'Isola dei Santi indurrà gli irlandesi di tutto il mondo a ritenere che , Wa­shington si sia costituito complice di Londra nel proposito, mai dimesso, di as­servire la libera Repubblica irlandese alle plutocrazie anglosassoni attraverso il dominio dell'Ulster. C'è da scommettere che fra i marinai che saranno man­dati da Washington ad occupare la base navale dell'Irlanda del Nord non ve ne saranno molti di origine irlandese, perché in tal caso né Londra né Washington avrebbero ragione di fare troppo affidamento sulla fedeltà di una simile guar­nigione. Dovunque c'è un irlandese al mondo, c'è cattolicesimo, fedeltà alla patria, odio inestinguibile per la vecchia Inghilterra persecutrice.
E lassù, sulle rive della Boyne, che al tramonto del secolo XVII si combatté quella battaglia fra i soldati di Guglielmo III di Orange e quelli di Giacomo II, che decise del destino dell'Irlanda per un secolo e impose all'Isola dei Santi il predominio anglicano. Anche oggi, ogni anno, il 12 luglio, le chiassose dimo­strazioni protestanti, da Drogheda a Belfast e a Londonderry, celebrano villa­namente quella battaglia, perché il ritardo sia minaccia e intimidazione alla mi­noranza cattolica dei nord-est dell'Irlanda. Ma al di là dell'arbitrario confine che separa l'Ulster dalla regione più cattolica d'Irlanda. il Donegal, l'anima cattolica dell'isola risponde alla provocazione con La sua aspettativa incrollabile. Domani nell'Ulster i cattolici irlandesi non vedranno soltanto i soldati di Sua Maestà Britannica, ma anche i marinai nordamericani, venuti a prestar man forte al­l'arbitraria manomissione, che Londra ha voluto pervicacemente mantenere al di là del Canale di San Giorgio. Il gesto è indubbiamente rischioso e non sarà senza profonde ripercussioni sui milioni di irlandesi residenti negli Stati Uniti.
Più audace ancora, se possibile, il piano degli Stati Uniti attraverso il conti­nente africano. L'ha rivelato un esperto diplomatico in un fascicolo recente del settimanale londinese « Picture Post ».
Già eravamo stati informati della progettata creazione di basi navali e aeree americane nella colonia britannica della Sierra Leone e nella Repubblica dei liberi negri di Liberia. Un giornale ufficioso di Washington era giunto ad am­mettere che una base aerea nello Stato della Liberia avrebbe potuto magnifica­mente rappresentare la stazione di partenza di; una linea aerea, che, traversando il continente africano, arrivasse « fino al Cairo »! Ed ecco che ora, secondo le in­discrezioni del giornalista britannico, sappiamo qualcosa di più. Sappiamo, cioè, che la plutocrazia anglosassone mirerebbe senz'altro a costituire un immenso fronte strategico, che dalle coste occidentali dell'Africa, da Dakar, Freetown e la capitale della Liberia, dovrebbe spingersi, attraverso Alessandria e Cipro, fino al Caspio.
Un sogno di questo genere presuppone la piena vittoria anglo-americana sul­l'Asse (cosa non facile), ma involge anche un fattore nuovo e, cioè, la possibilità di una guerra con Vichy per quanto riguarda Dakar.
E Vichy infatti, come riconosce Lo stesso Times in una corrispondenza da Washington, si trova in questo momento al centro delle preoccupazioni ameri­cane. Ce lo mostrano, fra l'altro, il recente passo dell'ambasciatore Leahy presso it governo del Maresciallo Pétain e l'analogo colloquio del Sottosegretario di Stato Summer Welles col rappresentante diplomatico francese negli Stati Uniti.
A quanto si sa, i due collaboratori di Roosevelt avrebbero dichiarato che la Casa Bianca ha deciso di riprendere in esame il problema dei rapporti franco-americani, come pure quello dei rifornimenti da inviarsi nei territori francesi dell'Africa settentrionale. Essi non avrebbero nascosto il malumore di Roosevelt e loro personale per quello che la Reuter ha definito il « il nuovo atteggiamento del governo di Vichy ». Pretesto del rinfocolarsi di questo malumore sarebbero i mutamenti nei comandi francesi nell'Africa settentrionale.
Non è chi non veda come si tratti di un pretesto fittizio. La verità è che gli anglo-americani non desistono dall'impicciarsi delle vicende interne della Fran­cia e nulla tralasciano per consumare la totale rovina del paese che fu loro al­leato. Ogni occasione è buona a tale scopo. Ora cercano di mettere gli uni contro gli altri, gli uomini che hanno l'ingrata responsabilità del potere; ora colano a picco navi da guerra e intercettano i convogli francesi; ora s'impadroniscono di territori coloniali; ora ricattano il governo minacciando la rottura delle relazioni diplomatiche e la totale sospensione dei rifornimenti. Sopra ogni altra, scandalosa la recentissima decisione di Roosevelt di estendere la legge « affitti e prestiti » alle forze di De Gaulle, giudicando « la difesa del territorio francese controllato dalle forze volontarie francesi di importanza vitale per la difesa degli Stati Uniti ».
I loro scopi sono fin troppo chiari. Da una parte mirano a garantirsi l'assoluto dominio dei mari per rafforzare il blocco, senza alcun riguardo ai neutrali; dal­l'altra, a mantenere in vita, insieme coi russi, un fronte nel Caucaso, stabilen­done un altro che dal Mar Nero, passando per Cipro ed Alessandria d'Egitto, si estenda fino a Dakar senza soluzione di continuità. Non è tutto, perché al di­sopra delle immediate finalità strategico-militari, gli anglosassoni sognano di stringere la vecchia Europa, dalla Manica al Sahara, in una morsa, che costi­tuisce una delle più mostruose minacce che sia stata mai levata contro la sua millenaria autonomia morale e spirituale.
Si dirà che si tratta di disegni accademici e personali, dato che prescindono dalla potenza bellica dell'Asse. Vero. Comunque sia, è opportuno rilevare il fatto, eccezionalmente significativo, che il piano di un'azione armata contro la Francia di Vichy viene oramai apertamente dibattuto sulla stampa anglosassone, così di Londra come degli Stati Uniti.
Ecco, così, apertamente confermato che la Gran Bretagna, d'accordo con l'Ame­rica e la Russia sovietica, vuol condurre la guerra non soltanto contro la Ger­mania e l'Italia, ma contro l'intero continente senza alcun riguardo per i paesi ex alleati. E quasi a simboleggiarne i caratteri più profondi di tale disegno, stanno due tipiche circostanze. Da una parte, sta il fatto che la marina americana si prepara ad ancorare i suoi vascelli in quel porto di Londonderry, che è rimasto nelle mani dell'Inghilterra come una delle ultime ed estreme trincee del predo­minio protestante e orangista sul territorio venerando della vecchia Isola di San Patrizio, che conosce da secoli il martirio della fede; dall'altra, il fatto che come stazione di partenza dell'aviazione anglosassone attraverso il continente africano verso il Nilo e il Caspio, Washington è andata a scegliere quella Repub­blica di Liberia, che fu costituita con un nucleo di negri espulsi dal territorio nordamericano come indesiderabili e che mantiene laggiù, sotto la Sierra Leone britannica, tutte le iniquità del regime « democratico » degli Stati Uniti. Quasi che il mondo ignorasse che il predominio anglosassone implica sempre la vio­lenza contro le libe9 tà cattoliche e l'utilizzazione dei negri.
SPECTATOR



Testo in didascalia)
LA «CONTRAEREA» F A BUONA GUARDIA
Fieri d'essere in prima linea sul fronte interno e sul fronte africano, gli artiglieri in camicia nera danno giorno e notte, all'aspra guerra che le Potenz. dell'Asse combat­tono per la liberazione dell'Europa, un largo contributo di sacrificio e di sangue, proteggendo — fedeli alla consegna del Duce — la vita e il lavoro delle popolazioni .civili, difendendo dalle incursioni dell'aviazione nemica i gangli ner 'osi della Nazione.
distrutti i quali ogni possibilità di resistenza è finita. Centinaia di caduti e di feriti, numerose ricompense al valore attestano con quale eroismo i Militi dell'Artelieria contraerea assolvano il grave compito loro affidato e quanto essi meritino d'esser segnalati alla riconoscenza della Nazione. - Qui sopra: postazione della Milizia Con­traerea. E stato dato l'allarme, ognuno è accorso senza indugio al suo posto, e tutto è pronto per aprire il fuoco contro il nemico. - In alto, le batterie sono entrate in azione.



Testo in didascalia)

Aspre giornate di battaglia nella Marmarica. Urto tremendo di unità corazzate, duelli di artiglierie, bombardamenti dal cielo e in questo clima di titanica lotta il rifulgere dell'eroismo individuale in ogni attacco e contrattacco. La sobria prosa dei bollettini ripete « la battaglia continua » ed è nelle tre parole già il primo cauto accenno alle fallite imprese del nemico che ha trovato nelle truppe italiane e tedesche un formidabile baluardo che non si supera se non a prezzo di un sì duro sacrificio di uomini e di mezzi da annullare ogni parziale e temporaneo successo. Già alcune divisioni corazzate inglesi sono state distrutte e alcuni generali comandanti sono prigionieri. Qui: esplosione di nebbiogeni per mascherare un nostro contrattacco e un lanciafiamme che annienta le ultime resistenze dei difensori di una posizione nemica. (R. G. Luce).



LA BATTAGLIA DELLA MARMARICA
E LE OPERAZIONI NEGLI ALTRI SCACCHIERI
ALL'UNDICESIMO giorno della grande offen­siva britannica contro le nostre linee della Marmarica, l'aspra battaglia ha segnato, se­condo il nostro Comunicato ufficiale del gorno 30 novembre e quello del 1° dicembre, una sensibile diminuzione di intensità, senza che l'avversario fosse riuscita a conseguire alcun successo positivo. E già il comunicato precedente, senza far nomi di località, si era limitato a dire che le perdite toccate dal nemico erano state molto più gravi delle nostre; ciò che suole sempre avvenire nelle offen­sive mal riuscite. Le vicende della lotta, dunque hanno costretto e costringono il Comando inglese ad intaccare e ridurre sempre più il dispositivo d'off­esa, col quale esso riteneva di aver raggiunto quell'assoluta superiorità di uomini e di mezzi, che doveva assicurargli la vittoria.
Benché sia troppo presto così per trarre bilanci come per avventare previsioni circa l'esito finale [ella grande battaglia e s'imponga, anzi, in proposito il massimo doveroso riserbo, tuttavia una constatazione è lecito fare, e cioè che dopo più di undici ,i orni di lotta il nemico è ancora ben lungi dal raggiungere quel clamoroso successo, che Churchill si riprometteva di poter annunciare dopo poche ore e a stampa britannica, al massimo, in capo a qualche ;forno...
Già al quinto giorno della battaglia, questa aveva rivelato la sua chiara fisionomia: pressione frontale ungo la linea di frontiera e tentativo di forzamento nel settore centrale, in direzione di Tobruch, con lo scopo evidente di tentare lo sbloccamento della piazza assediata e di proseguire quindi la marcia, .on forze riunite, verso est.
Ma nel primo settore, sulle posizioni di Sollum-ri­dotta Capuzzo e più a sud, le forze nostre e germa­niche opponevano una fierissima resistenza: la 4" Brigata corazzata britannica rimaneva quasi comple­amente distrutta, ed il comandante di essa, gene­ale Sperling, preso prigioniero: tentativi nemici di puntare su Porto Bardia venivano stroncati; l'im­portante posizione di Sidi Omar era riconquistata la unità corazzate italiane e tedesche e su tutto il resto del fronte gli attacchi avversari si infrangevano contro una saldissima difesa.
Nel settore centrale, una fortissima formazione corazzata britannica si era spinta fin nella zona di Bir el Gobi, a sud di Tobruch; contro di essa move­rano la divisione « Ariete » da Bir el Gobi ed unità corazzate tedesche da nord-est: tra Bir el Gobi e Sidi Rezegh, quindi le unità avversarie venivano prese nella morsa delle forze dell'Asse ed in gran parte distrutte.
Pressoché annientata rimaneva la 221 brigata corazzata inglese, ed il coman­dante di essa, generale Armstrong, cadeva prigioniero insieme con circa 5000 gregari.
Nei giorni successivi la lotta diventava sempre più accanita, in entrambi i set­tori, senza però che né nell'uno né nell'altro l'avversario riuscisse a raggiungere lo sperato successo. Sul fronte avanzato, si svolgeva una dura vicenda di at­tacchi e contrattacchi, ma al nemico non era dato di fare progressi notevoli; la divisione « Savona », nel settore di Sollum, benché attaccata di fronte e sul fianco da truppe sudafricane e indiane appartenenti a tre diverse divisioni, si Irrigidiva in una magnifica resistenza, ricacciando l'avversario; più ad occiden­te la divisione « Ariete » sosteneva forti scontri con reparti nemici motorizzati e di fanteria, infliggendo loro forti perdite; il numero dei prigionieri nemici si accresceva considerevolmente.
Nel settore centrale, mentre nuovi tentativi nemici di rompere il cerchio che rinserra Tobruch si infrangevano contro la salda resistenza della divisione « Bo­logna », un'altra brigata inglese, di fanteria, motorizzata, veniva duramente im­pegnata da forze tedesche ed italiane, ed annientata; oltre mille uomini, tra i quali il comandante stesso della brigata, generale Karges, cadevano prigionieri, più di cinquanta carri armati nemici venivano distrutti e sul « serir » desertico giacevano numerosi altri mezzi motorizzati e da trasporto, incendiati o inuti­lizzati.
Magnifiche sempre per ardimento ed intrepidezza, l'aviazione italiana e tede­sca contendevano efficacemente il cielo della battaglia alle squadriglie avversa­rie, vigilando assiduamente le mosse delle truppe nemiche; bombardando con efficacia strade, posizioni, basi di rifornimento, colonne in marcia; dando im­placabilmente la caccia agli apparecchi avversari. Una squadriglia italiana, com­posta di 10 apparecchi da caccia di nuovo tipo, non esitava ad impegnare com­battimento con ben trenta « Curtiss » avversari, abbattendone in fiamme ben set­te, sbaragliando gli altri e rientrando, senza alcuna perdita, alle proprie basi.
All'undicesimo giorno della battaglia, altro successo non aveva potuto il nemi­co registrare a proprio vantaggio che la conquista della piccola oasi di Gialo, nelle profondità meridionali del deserto. Il piccolo presidio dell'oasi, assalito il giorno 24 da preponderanti forze avversarie, si difese tuttavia, con disperato co­raggio, per un'intera giornata, e solo dopo reiterati assalti, sostenuti da numero­si mezzi corazzati, il nemico poté riuscire a porre piede nell'oasi. Neppure que­sto valse a piegare gli eroici difensori, i quali seguitarono a battersi di posizio­ne in posizione, finché, avvolti da ogni parte, furono costretti a cedere. Suprema espressione dell'indomito animo di questo pugno di uomini, isolato e semisper­duto nel sud desertico, rimane il messaggio che il comandante del presidio lan­ciò, nella notte del 25, dopo aver distrutto i cifrari: « Situazione gravissima. Sia­mo sopraffatti. Viva il Re! Viva il Duce! Viva l'Italia! Vinceremo ».
Il dodicesimo ed il tredicesimo giorno di battaglia furono contrassegnati da combattimenti locali così che alla fine, ormai, della seconda settimana di lotta, il nemico non aveva potuto ancora realizzare nessuno dei punti essenziali del suo programma; ciò che veniva amaramente constatato dalla stessa stampa inglese.
Un'altra, e veramente epica resistenza è venuta a cessare nei giorni scorsi: quella di Gondar. Da oltre sei mesi, quell'eroico presidio, al comando del valo­roso generale Nasi, manteneva ferreamente le sue posizioni, costantemente ri­buttando tutti gli assalti avversari e sdegnosamente respingendo tutte le inti­mazioni di resa.
Caposaldi avanzati di Gondar erano Uolchefit a nord, Debra Tabor ad est; a sud, Fercaber e Culquabert; ad ovest Celgà e Tucul Dinghia. Ad uno ad uno, questi caposaldi erano costretti a cedere per la preponderanza avversaria e per l'esaurimento di ogni mezzo di difesa: Debra Tabor, il 4 luglio; Uolchefit, il 28 settembre; Culquabert e Fercaber, il 21 novembre.
Il nemico poté, così, portare l'ultimo assalto contro le difese campali di Gon­dar, ove il generale Nasi non poteva disporre più né di un aeroplano efficiente, né di mezzi blindati, né di una densità di truppe adeguata all'ampiezza della cinta da difendere. Se si aggiunge a ciò che le munizioni erano ormai contate ed i soldati subivano da sette mesi una progressiva denutrizione e non potevano aver più neppure le necessarie cure sanitarie, per insufficienza di medicinali, si può comprendere come nessun'altra guarnigione, in quelle condizioni, potesse essere in grado di opporre ancora una resistenza al supremo assalto avversario
Pure, quando il mattino del 17 novembre questo assalto si pronunciò dopo un intenso bombardamento terrestre ed aereo, i soldati del generale Nasi combat­terono ancora, e per più ore, fino all'esaurimento di tutti i mezzi di resistenza; e solo quando il Comandante della difesa poté constatare l'inutilità della pro­trazione di una resistenza inutile, dalla quale altro non sarebbe potuto derivare che nuovi danni e perdite per la popolazione civile, italiana ed indigena, ordinò la cessazione delle ostilità.
Giustamente il comunicato del Comando Supremo volle porre ancora una vol­ta, in rilievo che « i valorosi difensori di Gondar avevano assolto pienamente e con onore il grave compito loro affidato dalla Patria ». Ed il Consiglio dei Mini­stri, il giorno seguente, mandava il saluto grato e commosso, di tutti gli Italiani, oltreché ai combattenti della Marmarica e del Corpo di Spedizione italiano in Russia, « agli eroici combattenti di Gondar, la cui bandiera ideale, non ammai­nata, è affidata dalla Patria ai giovani, che un giorno, e per sempre, la riporte­ranno nelle terre consacrate dal sangue di tre generazioni guerriere ».
Il destino ha sempre riserbato a noi Italiani le prove più difficili ed il privi­legio di illuminare di bellezza e di poesia i sagrifici più duri; i camerati di Gon­dar, che hanno difeso, fino all'estremo, la nostra bandiera ed il nostro diritto. hanno veramente benemeritato della Patria.
Sul fronte orientale, quando i Comandi e le truppe sovietiche cominciavano, forse, a sperare che l'inverno ormai avanzato potesse concedere loro qualche sosta ristoratrice, il Comando germanico ha intensificato le operazioni nello scac­chiere di Mosca.
Nel vasto anello che circonda da est la capitale da Kalinin, sul Volga, a Kalu­ga, colonne corazzate e fanterie germaniche son protese da più giorni all'attac­co, e vanno conseguendo ogni giorno nuovi vantaggi, travolgendo successive resistenze avversarie e scardinando in più punti il sistema di fortificazioni eret­to a difesa della capitale.
Giorni or sono, fu annunciato che le truppe tedesche avevano sfondato una forte linea difensiva a nord-est di Mosca. impadronendosi di quattordici villag­gi fortificati. Il giorno 28 novembre, poi, veniva ufficialmente comunicata l'av­venuta occupazione di Wolokolamsk e di Klin, due centri situati rispettivamente sulle strade Pietroburgo-Kalinin-Mosca e Riga-Rzew-Mosca.
L'importanza del­la prima di queste località deriva dal fatto ch'essa è un nodo essenziale di co­municazioni, posto al punto di giunzione fra il tratto di fronte nord-orientale, che si protende verso il Volga e quello frontale, così che la perdita di esso po­trebbe avere sensibili ripercussioni su entrambi i settori; Klin, poi, si trova a brevissima distanza dalla centrale elettrica di Mosca, la cui eventuale distruzio­ne sarebbe di evidente utilità.
Furiosi scontri si starebbero ora svolgendo nei pressi di Un importantissimo centro industriale, costruito nel quadro dell'ultimo piano quinquennale sovietico. Questo grande centro, importante sia perché vitale base di rifornimento di mate­riale di guerra per la capitale, sia perché punto d'intersecazione di numerose comunicazioni ferroviarie, sarebbe stato già investito dalle armate germaniche. le quali hanno respinto un furioso, disperato contrattacco sferrato dalle truppe bolsceviche, annientando col preciso fuoco dei cannoni anticarro una grossa formazione di carri armati pesanti sovietici.
Egual sorte hanno avuto i reiterati contrattacchi tentati dai sovietici in altri tratti del fronte di Mosca, lungo tutta l'estensione del quale lo schieramento ger­manico è in movimento, costringendo il nem; co a sempre nuove cessioni di ter­reno. Infatti, né Wolokolamsk né Klin, né il grande centro industriale cui si è dianzi accennato rappresentano i punti più avanzati delle linee tedesche davan­ti alla capitale sovietica, poiché in taluni altri settori del fronte le punte più avanzate si trovano a distanza di poche decine di chilometri dal centro della cit­tà: le torri del Cremlino sono già visibili, tra la bruma, con gli ordinari can­nocchiali da campo.
Anche attorno a Pietroburgo il cerchio dell'assedio si fa sempre più stretto, e negli ultimi giorni di novembre altri tentativi di sortita della guarnigione, pur eseguiti con forze rilevanti, sono stati tutti stroncati. Dalle linee finlandesi cupi e forti rombi si odono in direzione della metropc.li della Neva, così da far pen­sare alla messa in esecuzione di un sistematico piano di distruzione ordinato da Stalin, nella previsione che la città non possa più resistere a lungo.
A nord di Pietroburgo, nel settore careliano, le truppe finniche hanno, an­ch'esse, conseguito nuovi vantaggi, incapsulando e distruggendo con una serie di aspri combattimenti, durati quattro giorni, una grossa unità sovietica. Forti contingenti sovietici che provenivano da est e che tentavano, a marce forzate, di ricongiungersi con gli elementi circondati, sono stati duramente provati dal­le fanterie celeri finniche che, piombando loro improvvisamente addosso, le hanno investite con reparti corazzati e con l'azione di artiglierie a tiro rapido. Sfruttando, poi, abilmente e senza soste questo loro primo successo, i soldati di Mannerheim hanno attaccato la seconda linea rossa, ed espugnato una serie di ben 600 caratteristici fortini, costruiti con tronchi d'alberi, ma munitissimi dal nemico e difesi con estremo accanimento.
Nel settore meridionale, infine, le truppe italo-germaniche continuano a pre­mere l'avversario, i cui tentativi di contrattacco, sono stati, anche qui contenuti e respinti.

La città di Rostov, come hanno annunciato i comunicati del Comando Supre­mo germanico, è stata sgomberata, sia per poter adottare necessarie misure d: rappresaglia contro la popolazione che, contrariamente alle norme internaziona­li, partecipava ai combattimenti alle spalle delle truppe germaniche, sia per me­glio fronteggiare la situazione. Tentativi, però, delle truppe di Timoscenko di respingere i Tedeschi lungi dalla zona della città precaucasica, sono stati in­franti, con perdite molto gravi: la cavalleria cosacca, specialmente, che aveva fatto qui la sua riapparizione sui campi di battaglia, ha avuto intere brigate falciate dal tiro delle armi automatiche.
Ancora una volta il « Napoleone rosso » non è riuscito a cogliere il sognato lauro di guerra: evidentemente, il settore sud non gli è più propizio di quello nord, e sarà sempre più duro compito per lui contendere alle forze dell'Asse il corso del Don e le vie del Caucaso.

AMEDEO TOSTI



Testo in didascalia)

TITANICA LOTTA SUL
FRONTE DELLA MARMARICA

Dopo un breve periodo di sosta, la battaglia della Marmarica si è riaccesa con rinnovata e aumentata violenza e ha continuato con accanimento. Carri armati e fanterie sostenuti vigoro­samente dall'aviazione hanno ripreso a combattere con estrema decisione, resistendo e con­trattaccando in una serie di fulgidi episodi di valore. Qui, alcuni aspetti della battaglia fissati dall'obbiettivo e trasmessi per aereo. 1. Postazione di cannone anticarro e truppe celeri, nelle nostre linee oltre il confine egiziano, nel settore di Sollum. 2. Cannoni contraerei impiegati da tedeschi per la distruzione di carri armati. 3. I guastatori vanno carponi a collocare tubi di gelatina sotto i reticolati nemici. 4. Scontro fra mezzi corazzati. Un carro armato britannico, centrato dalla bomba di un aereo, salta in aria. 5. Obici da campagna tedeschi sul fronte di Sollum, per battere la « terra di nessuno ». 6. Carro armato britannico incendiato, e un altro immobilizzato dopo uno scontro con nostri mezzi corazzati. 7. Armi e materiale abbandonato dagli inglesi durante i recenti combattimenti in Marmarica. 8. Apparecchio da bombardamento britannico abbattuto in fiamme dai nostri cacciatori. 9. Parcheggio di carri armati tedeschi du­rante una sosta nella « terra di nessuno ». In primo piano le vedette.

(R. G. Luce).

Testo in didascalia)

L'ATTACCO TEDESCO A MOSCA E PIETROBURGO
La neve e il gelo non hanno interrotto le operazioni dell'esercito tedesco da. vanti a Mosca e Pietroburgo e le forze sovietiche hanno invano tentato di rompere il cerchio che le stringe sempre più da vicino. Diamo qui alcune inte­ressanti visioni di questa dura guerra invernale. - 1. Mosca: Impianti Indu­striali sulla Moscova centrati dai bombardieri tedeschi. - 2. Un nucleo di resi­stenza sovietico accerchiato dalle forze germaniche. - 3. Il comandante di una divisione di fanteria, mimetizzato al pari dei suoi soldati, ispeziona il fronte. - 4. Postazione anticarro mascherata con gli avanzi di un paracadute sovietico. - 5. Il segnale di resa dei soldati sovietici: fucili piantati nel terreno dalla parte della bocca. - 6. Soldati tedeschi in slitta nei dintorni di Pietroburgo. - 7. Un posto radiotelegrafico germanico sulle alture del Valdai. - 8. Truppe germa­niche, autotrasportate, muovono all'accerchiamento di una posizione sovietica.



LA GUERRA MEDITERRANEA

LA GUERRA è, nella sua attuazione, la sequenza di tre operazioni: la preparazione dello strumento bellico, il trasporto o lo spostamento di esso, il suo impiego sul campo di battaglia o nel teatro delle operazioni. Va da sé che questi tre tempi del fenomeno bellico possono in parte sovrapporsi e compenetrarsi o addirittura mescolarsi e incastrarsi l'uno con l'altro; ma il con­cetto rimane, facilmente riconoscibile in tutta la storia militare, ineluttabile come una legge: preparazione, trasporto, impiego. Annibale, per cercare di risol­levare le sorti della patria compromesse dalla prima guerra punica, incomincia col ricostituire in Africa e in Spagna la potenza militare di Cartagine allestendo e addestrando un forte esercito; poi passa alla seconda fase, cioè al trasferimento del suo esercito nel prestabilito teatro di operazioni con la leggendaria sua mar­cia attraverso l'Iberia, le Gallie, i Pirenei e le Alpi; infine impegna le sue forze contro Roma sui campi di battaglia della Trebbia, del Trasimeno, di Canne Alessandro Magno forgia dapprima la « falange macedone », poi la conduce fuori della terra d'origine, alla conquista del mondo, infine la scaglia contro gli osta­coli che gli sbarrano la strada e contro i nemici che vorrebbero arrestarne la marcia. Napoleone prepara, marcia, vince. Federico il Grande prepara, marcia, vince. Così; sempre, inevitabilmente così. In terra, in mare, in cielo. La maggiore complicazione della guerra moderna non elude, ma se mai ribadisce la legge; il maggior numero, la crescente potenzialità, la varietà dei mezzi' di locomozione non escludono, anzi comportano a più forte ragione la tripartizione d'ogni con­cezione bellica e d'ogni sua attuazione che con altri termini, ma con immutato significato si può racchiudere nelle tre voci: tecnicismo, logistica, tattica. Se pure con diverse parole, abbiamo così ripetuto concetti già esposti altre volte in questi stessi commenti agli sviluppi e alle vicende della guerra, e lo ab­biamo fatto a modo di introduzione perché solo tenendo presenti i limiti fra i quali si inquadra il problema della guerra è possibile comprendere i « perché » e i « come » delle loro vicende e dei loro sviluppi.
Applichiamo dunque l'idea generica e astratta al caso concreto: il caso medi­terraneo. La preparazione dei mezzi, in forma di corsa agli armamenti in parte evidente e manifesta, in parte segreta e occulta, ha precorso la guerra; ma essa continua senza soste e ne accompagna lo svolgimento perché « la soma si aggiusta per la strada »; perché è la stessa esperienza della guerra che sug­gerisce quali sistemi e quali mezzi sono efficaci e meritano più ampia applicazione, quali lo sono me­no o hanno deluso del tutto e debbono essere ab­bandonati o riveduti e perfezionati; perché nel cor­so della lotta i belligeranti cercano di superarsi po­tenzialmente, e quello che è in ritardo cerca di ri­montare l'avversario e quello che è in anticipo e m vantaggio si industria per conservare o accrescere il distacco. Cosi da ambo le parti i preparativi si in­tensificano e mentre I Inghilterra, a misura che ha perduto i suoi alleati continentali, ha fatto appello alle risorse dei suoi possessi di oltremare e soprat­tutto alle risorse nordamericane, le Potenze dell’Asse, oltre a intensificare le produzioni nazionali, hanno progressivamente organizzato e messo a pro­fitto anche le risorse dei territori passati sotto il loro controllo. Ma i centri di produzione della indu­stria di guerra sono lontani dai centri di consumo cosi per gli anglo-americani come per gli italiani e i tedeschi: di qui la importanza enorme assunta dal problema logistico. Il quale problema si risol­ve a sua volta in due fattori essenziali: tempo e massa. Si tratta cioè di trasportare molto e di tra­sportare presto.
Naturalmente, data la prevalenza continentale dell'Asse, che controlla ormai la quasi totalità del continente europeo, allorché si tratta di trasporta­re eserciti e rifornimenti nei teatri della guerra terrestre il problema, per quanto formidabile, non presenta difficoltà insormontabili e non è soggetto a contrasti apprezzabili da parte del nemico (il quale può agire solo tentando di interrompere od ostacolare il traffico ferroviario e stradale con bombardamenti aerei). E così non solo in Polonia, in Francia, in Jugoslavia e in Grecia, ma persino nella sterminata Russia la Germania e i suoi al­leati hanno potuto assicurare i rifornimenti quanto e meglio degli avversari, alimentando tutte le of­fensive fino alle loro vittoriose conclusioni.
Ma inversamente, data la prevalenza navale an­glo-americana, allorché si tratta di trasportare eserciti e rifornimenti nei teatri di guerra d'oltre. mare, sono i nemici che si trovano in una situa­zione di vantaggio mentre all'Italia e alla Germa­nia l'attuazione del trasporto o riesce del tutto im­possibile (come nel caso dell'Etiopia e nei riguardi di un eventuale aiuto all'Iraq, alla Siria e all'I­ran nel corso delle aggressioni britanniche) o pre­senta difficoltà tali da attenuare in maggiore o mi­nore misura la potenza combattiva degli eserciti dell'Asse rispetto a quella che essi esplicherebbero sul Continente: ed è questo il caso della frontiera marmarica. Anche il nemico, però, è tutt'altro che libero nei suoi movimenti giacché il suo traffico marittimo, per quanto più sicuro, più facile e più intenso di quello delle Potenze dell'Asse, è nondi­meno energicamente contrastato e soggetto a forti limitazioni e a notevoli perdite.
Ma osserviamo più da vicino questo momento della guerra mediterranea. In cinque mesi l'Inghilterra ha convogliato uomini e mezzi in Egitto. Il problema lo­gistico del Mediterraneo orientale si sdoppia quindi in una operazione di grande portata — cioè di trasporti di notevole entità, attuati a forti distanze e in un lungo periodo di tempo — e in una operazione successiva, locale, di trasporto dei rifornimenti da un punto ad un altro del suolo africano per alimentare l'offensiva e l'avanzata. La fase lunga e preliminare si è svolta presumibilmente in parte con trasporti attuati attraverso gli oceani e risalendo il corridoio del Mar Rosso fino ai porti del Canale e della costa mediterranea dell'Egitto, in par­te forzando il Canale di Sicilia e assoggettandosi alle perdite e ai rischi di que­sta impresa pur di accelerare la preparazione e la radunata. Comunque, quasi mezzo anno è trascorso senza che gli inglesi prendessero alcuna iniziativa of­fensiva.
Il secondo problema, quello locale, poteva essere risolto in parte con trasporti terrestri e in parte con trasporti marittimi. I trasporti terrestri — attuati con la ferrovia che collega Alessandria a Marsa Matruh e che forse gli inglesi hanno prolungato nel corso della guerra fino a Sidi-el-Barrani — potevano essere suf­ficienti per rifornire l'esercito dell'Egitto nel suo schieramento offensivo ini­ziale, non certo per sostenerlo nel corso di una lotta accanita in posizioni deci­samente addentrate in territorio marmarico. I trasporti marittimi potevano pero supplire alimentando Tobruch e trasformando la piazza in una base di riforni­mento avanzata in territorio nemico quanto e più dello stesso esercito britan­nico. Questo può spiegare l'accanimento degli inglesi nella lotta intorno a To­bruch e per la liberazione della piazzaforte dall'assedio. Del pari gli attacchi contro il fronte di Es-Sollum e Bardia, a parte il loro evidente significato tattico hanno forse anche un movente logistico e cioè mirano alla occupazione di un altro scalo dal quale l'esercito britannico possa essere rifornito « via mare
Dal canto loro le Potenze dell'Asse non hanno assistito indifferenti all'intensifi­cazione dei preparativi britannici e inasprimento della guerra logistica che è poi guerra aero-navale, è lotta per la offesa e la difesa dei trasporti marittimi. Sintomi evidenti di contromisure adottgte dall'Asse affiorano nei comunicati ufficiali. Due settimane or sono facer:Ino notare che dietro il risultato tattica dell'affondamento dell'Ark Royal nelle acque dello Stretto di Gibilterra si do­veva vedere il fatto strategico della comparsa dei sommergibili germanici in Mediterraneo, per accentuare il contrasto aero-navale alla flotta nemica. Oggi rileviamo che il siluramento di una corazzata e di un cacciatorpediniere, pure ad opera di sommergibili germanici, è la manifestazione della loro attività nel Me­diterraneo Orientale, in stretta connessione con le operazioni della Marmarica. Similmente l'attività dei nostri aerei siluranti, dei nostri mezzi antisommergibili, delle nostre forze navali è in evidente e diretto rapporto colla accresciuta attività spiegata dalle forze di superficie e subacquee nemiche nelle retrovie marittime della battaglia marmarica, costituite dal bacino centrale del Mediterraneo.
Sullo sviluppo della grande battaglia nulla si può dire per ora che non sia letto o dedotto direttamente dai comunicati ufficiali. Tuttavia, per la compren­sione della situazione del problema, delle difficoltà colle quali lottano tenacemente le forze armate dell'Asse, della posta in gioco e dei limiti e della portata della battaglia, si può aggiungere qualche altra considerazione a quelle già svolte.
La guerra dell'Asse è una espansione; essa procede dall'interno verso l'esterno, dal nucleo centrale dell'Europa verso i suoi confini e le zone limitrofe. La guerra dell'Inghilterra ha il care ltere opposto: procede dall'esterno verso l'interno, at­tacca le posizioni periferiche ed eccentriche. Fra queste, la Libia è la più tenace­mente difesa; ma essa stessa è tuttavia una terra d'oltremare e perciò appunto piu accessibile del continente all'offesa nemica, almeno in questa fase della lotta. A cagione del dominio britannico su Malta e per la attuale situazione della Tu­nisia, il traffico con la Libia si presenta perciò in condizioni non dissimili da quelle che si sarebbero determinate fra Germania e Norvegia se l'isola di Helgoland fosse stata presidiata da forze aeronavali britanniche e la Danimarca non avesse potuto essere usata come un ponte indistruttibile gettato attraverso il mare fin presso la opposta sponda. Problema arduo, dunque, come altre volte abbiamo cercato di lumeggiare. In compenso però si deve notare che il contrasto al traffico nemico attraverso il Canale di Sicilia non appare legato e condizio­nato al possesso della « Quarta Sponda » o delle sue singole posizioni fondamen­tali e perciò continuerà a pesare inesorabilmente sulla condotta della guerra a prescindere dagli sviluppi della situazione in Africa settentrionale e in ragione diretta della importanza che potranno assumere in futuro i trasporti britannici diretti nel vicino e medio Oriente.

GIUSEPPE CADUTI

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Testo in didascalia)
Il 29 novembre u. s. il pilota comandante Mario De Bernardi ha decollato dall'aero­porto di Linate (Milano) a bordo di un apparecchio a reazione progettato dall'Ing. Campini ed ha atterrato all'aeroporto di Guidonia dopo h. 2,15',47" di volo. La distanza di Km. 474 è stata così coperta alla media oraria di Km. 209,451. La prova ha costi­tuito un importante primato nel campo del volo con motore a reazione. Riuniamo in questa pagina due foto del nuovo aeroplano sul campo di Guidonia subito dopo l'ar­rivo (in alto); l'ing. Campini e Mario De Bernardi mentre studiano le caratteristiche del­l'apparecchio e mentre s'intrattengono all'aeroporto di Linate prima della partenza

IL VOLO MILANO-ROMA
DEL PRIMO APPARECCHIO A REAZIONE

PILOTATO dall'asso Mario De Bernardi, l'indimenticabile primatista della ve­locità e valoroso aviatore di guerra, è giunto all'aeroporto di Guidonia nel pomeriggio di domenica scorsa, proveniente da Milano, un aeroplano che utilizza un nuovo mezzo di propulsione.
L'elegante monoplano dovuto al progetto dell'ing. Campini e costruito nei can­tieri milanesi del conte Caproni, ha effettuato il percorso Milano-Roma in due ore e 15 minuti. La velocità mantenuta durante il percorso non è stata alta ma e da tener presente che l'apparecchio è ancora nella fase sperimentale e non ha dato ancora la dimostrazione delle sue possibilità. Sta di fatto che l'aviazione italiana è riuscita a realizzare, pur sotto l'assillo delle esigenze dovute alla guerra in atto, il primo apparecchio con propulsione a reazione.
A questo tipo di apparecchio è riservato un grandissimo sviluppo nel campo delle alte velocità nella stratosfera in quanto la resistenza all'avanzamento che si riscontra alle quote normali di volo richiede un dispendio di energia notevo­le. La pressione esercitata dall'aria contro un velivolo che vola ad altissima velo­cità a bassa quota è tale che occorre moltiplicare la potenza motrice e ridurre considerevolmente le superfici esposte al tento se si vuole aumentare tale velocità. Per superare queste difficoltà, che limitano il campo delle velocità subsonore. gli scienziati hanno sperimentato che occorre volare a grandi altezze dove l'aria e più rarefatta e la resistenza all'avanzamento è minore. Ma per volare alle alte quote occorrono motori surcompressi ed eliche che siano specialmente costruite per rendere a quella quota di volo. Pertanto i tecnici delle aviazioni più progre­dite nel campo aeronautico si sono provati a realizzare un tipo di apparecchio che potesse essere azionato da un sistema, con la propulsione a reazione; ma le difficoltà incontrate hanno fatto fallire tutti i tentativi.
Il felice esperimento dell'ing. Campini, suffragato dall'effettuazione del lungo volo di 474 chilometri che separano l'aeroporto di Linate da quello di Guidonia, e per il quale la nostra Reale Unione Nazionale Aeronautica richiederà l'omo­logazione come primato internazionale di questa nuova speciale classe di velivoli, è la pratica dimostrazione che il principio messo a punto è ottimo e tale da giu­stificare i più arditi ottimismi.
Nel velivolo la fusoliera è costruita interamente cava con un condotto oppor­tunamente sagomato in tutta la sua lunghezza. Il motore è posto nell'interno della fusoliera ed aziona un compressore posto quasi sulla prua e che provoca un salto di pressione ed un flusso di aria nell'interno del tubo. Questo flusso d'aria, dopo aver provveduto a raffreddare il motore, si mescola con i gas di scarico aumentando il proprio contenuto termico e rendendo possibile una espansione a valle del gruppo motopropulsore. Questa espansione può essere aumentata iniet­tando del combustibile che viene a bruciare nella piena corrente del gas vicino alla coda dell'apparecchio. La portata della corrente e conseguentemente la velocità dell'apparecchio, può essere modificata a volontà dal pilota che varia opportunamente la sezione del condotto.
Con questo sistema si può sfruttare anche la grande quantità di calore dovuta al raffreddamento del motore ed ai gas di scarico che normalmente invece va perduta nell'atmosfera.
Siamo pertanto all'inizio di una nuova era dell'aviazione: l'elica, ritenuta fin qui l'unico mezzo capace di assicurare la traslazione del più pesante dell'aria, è stata sostituita dalla propulsione a reazione. Gli ulteriori sviluppi di questo sistema potranno assicurare il raggiungimento di velocità che per ora sono ancora allo stato di progetto.
Nel suo volo Milano-Roma l'apparecchio ha trasportato anche un carico postale che è pertanto il primo che ha volato con aeroplano a reazione.

MAR.


Testo in didascalia)
LA PAGINA DELLO SCHERMO
A destra, Carlo Ninchi in una vigorosa inquadratura di « Giarabub » il film che Asvero Gravelli ha ideato a esaltazione della eroica resistenza delle truppe italiane in Africa, resistenza simboleggiata nel nome glorioso della lontana oasi. - Qui sotto, Elsa Merlini che inter­preta la parte di Margherita di Valois nel nuovo film della Juventus: « La Regina di Navarra ». (Foto Vaselli).

Clara Calamai con Gino Cervi e Nerio Bernardi in una scena del nuovo grande film di produzione Ju­ventus-Enic, « La Regina di Navarra », di cui procede attivamente la realizzazione a Cinecittà. (Foto Vaselli).



Testo in didascalia)

L'inghilterra manda un grido disoccorso ai popoli.

-- Dunque, non c'è nessuno che voglia tirare il mio carro?

Le riserve di Churchill.

--Questo automa vale dieci soldati.

--Già, già, può correre anche indietro

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