lunedì 14 luglio 2008

Da Libero Martedì 8 luglio2008 FASCISMO Perchè il Duce non divenne mai razzista



FASCISMO
Perché il Duce non divenne mai razzista
MARCELLO VENEZIANI

Non insista, professor Gentile, il fascismo non fu un regime tota­litario. Aveva ragione Hannah Arendt, che lei maltratta con de­plorevole sufficienza. È uscito da Carocci, riveduto e ampliato, il saggio di Emilio Gentile,
"La via italiana al totalitarismo" (...)
REGIME
Il fascismo, una dittatura né totalitaria né razzista
Lo storico Gentile avvicina il Ventennio a nazismo e comunismo. Tesi smentita dai fatti: il potere del Duce non fu mai assoluto e l'Italia non conobbe il Terrore
MARCELLO VENEZIANI
(...) (pp. 421, euro 26,5). Allievo di Prezzolini e di De Felice, Gentile si discosta dalla lezione dei suoi maestri e sostiene che il fascismo sia stato un totalitarismo vero, Polemizzando con la Arendt a cui si deve il saggio più importante sul totalitarismo. Lasciamo la parte i confronti tra gli studi del totalitarismo, proviamo a tuffarci nella storia. Il fascismo la un destino paradossale: fu il primo regime a rivendicare la definizione di totalitario, tramite Gentile, nel senso di Giovanni, e lo stesso Mussolini. Ma per essere totalitario non basta il partito unico, la soppressione della libertà e la mobilitazione di massa. Occorrono altri tre decisivi requisiti il monopolio assoluto del potere, la pratica del terrore, la tabula rasa del passato nel nome della rivoluzione. Ora, nel primo caso, il fascismo lasciò vivere e prosperare larghe zone franche, irriducibili al suo potere: la Chiesa, che ebbe anzi un esplicito riconoscimento con i Patti Latera­lensi, la Monarchia, che caso unico per una dittatura, conti­nuò a regnare, e il Capitale, che non fu distrutto o piegato. Per non dire di ampi poteri dello Stato che restarono negli assetti e nella mentalità largamente im­muni dal fascismo, dalla magi­stratura alle prefetture, alle forze armate. In secondo luogo, nes­suno storico di buon senso può parlare di un regime fascista fondato sul tenore. Non ci furono deportazioni o stermini di massa, gli antifascisti uccisi durante i vent' anni di regime non superarono le venti unità, furono uccisi giù antifascisti italiani nell'Unione sovietica di Stalin, con il bene­placito di Togliatti, che nell'Italia fascista. Infine il fascismo non fece tabula rasa, ma la sua fu una evoluzione conservatrice: la sto­la, la famiglia, la tradizione, pur reinterpretate, restarono salde. Imparagonabili con i regimi comunisti, che furono compiutamente totalitari, e con il nazismo che pure non riuscì a pervadere tutta la società tedesca. Il totali­arismo in Italia non fu solo temperato dall'inefficienza e dal genetico mammismo degli italiani ma fu un totalitarismo geneticamente incompiuto e imperfetto; fu un regime autoritario di mas­sa, una dittatura nazional-popu­lista con tratti totalitari. Rispetto ai vecchi regimi autoritari, il fa­scismo mobilita il popolo, non lo chiude in casa; sogna una rivolu­zione e non instaura solo l'ordi­ne. Lo stesso Togliatti quando lo definisce regime reazionario di massa, riconosce quei tratti e il consenso popolare. E Gramsci dal carcere non critica il fascismo perché totalitario ma perché non lo è abbastanza, in quanto subal­terno alla borghesia, alla Chiesa e al capitale, le mitiche "forze oscure della reazione".
La questione delle leggi razziali
Avviene la svolta totalitaria con le leggi razziali del luglio '38, si chiede Gentile sulla scia della Arendt? Non credo. Le leggi raz­ziali servono a potenziare la sua aggressiva aspirazione rivoluzionaria, protesa non a perse­guitare la razza ebraica ma a ri­fondare la stirpe, come allora si diceva, nel sogno velleitario di generare l'italiano nuovo.
Condivido l'analisi che ne fa l'ebrea Arendt a tale proposito:
a) «L'Italia era uno dei pochi Paesi d'Europa dove ogni misu­ra antisemita era decisamente impopolare». Infatti, aggiunge, «l'assimilazione degli ebrei in Italia era una realtà». La condot­ta italiana «fu il prodotto della generale spontanea umanità di un popolo di antica civiltà». Un popolo che dai tempi dei romani conviveva con gli ebrei, e conti­nuò a convivere anche all'ombra della Chiesa cattolica: il cattoli­cesimo trasmise agli italiani il germe di una antica e diffusa dif­fidenza verso gli ebrei, conside­rati popolo deicida; ma trasmise agli italiani anche comprensio­ne e umanità rispetto ai paesi di estrazione protestante, più deci­samente antigiudaici.
b) «La grande maggioranza degli ebrei italiani - scrive la Arendt - furono esentati dalle leggi razziali», concepite da Mussolini «cedendo alle pres­sioni tedesche». Perché gran parte degli ebrei erano iscritti al Partito fascista o erano stati combattenti, nota la Arendt, e i pochi ebrei veramente antifasci­sti non erano più in Italia. Persi­no il più razzista dei gerarchi fa­scisti Farinacci, notava la Aren­dt, aveva collaboratori ebrei, e non era un'eccezione.
c) A guerra intrapresa, scrive addirittura l'Arendt «gli italiani col pretesto di salvaguardare la propria sovranità si rifiutarono di abbandonare questo settore della loro popolazione ebraica; li internarono invece in campi, la­ sciandoli vivere tranquillamente finché i tedeschi non invasero il Paese». E quando i tedeschi arri­varono a Roma per rastrellare gli ottomila ebrei presenti «non po­terono fare affidamento sulla polizia italiana. Gli ebrei furono avvertiti in tempo, spesso da vecchi fascisti, e settemila riusci­rono a fuggire». Molti, va aggiun­to, con l'aiuto del Vaticano. I na­zisti, per la Arendt, «sapevano bene che il loro movimento ave­va più cose in comune con il comunismo di tipo staliniano che col fascismo italiano e Mussoli­ni, dal canto suo, non aveva né molta fiducia nella Germania né molta ammirazione per Hitler».


Boicottaggio antinazista
d) L'Italia fascista adottò nei confronti dei nazisti antisemiti un sistematico "boicottaggio". Nota la Arendt: «Il sabotaggio italiano della soluzione finale aveva assunto proporzioni serie, soprattutto perché Mussolini esercitava una certa influenza su altri governi fascisti, quello di Pétain in Francia, quello di Horty in Ungheria, quello di Antonescu in Romania, quello di Franco in Spagna. Finché l'Italia seguitava a non massacrare i suoi ebrei, anche gli altri satelliti della Ger­mania potevano cercare di fare altrettanto…il sabotaggio era tanto più irritante in quanto era attuato pubblicamente, in maniera quasi beffarda», il caso di Giorgio Perlasca ,ilFascista che salvò la vita a 5mila ebrei, non fu isolato e autarchico.
e) Quando il fascismo, allo stremo della sua sovranità politi­ca, cedette alle pressioni tede­sche, creò un commissariato per gli affari ebraici, che arrestò 22 mila ebrei, ma in gran parte con­sentì loro di salvarsi dai nazisti, di rifugiarsi, come scrive la stu­diosa ebrea. Nota la Arendt, ec­cedendo in indulgenza, che «un migliaio di ebrei delle classi più povere vivevano ora nei migliori alberghi dell'Isère e della Sa­voia». Risultato fu che «gli ebrei che scomparvero non furono nemmeno il dieci per cento di tutti quelli che vivevano allora in Italia». Le citazioni sono tratte dal libro "La banalità del bene" (Feltrinelli). È permesso aggiun­gere che morirono più italiani nelle foibe comuniste che ebrei italiani nei campi di sterminio?
f) Le origini culturali dell'anti­semitismo sono ricondotte dalla Arendt in larga parte a sinistra; ne "Le origini del totalitarismo" ricorda che fino all'affare Dre­yfus in Francia, «le sinistre ave­vano mostrato chiaramente la loro antipatia per gli ebrei. Esse avevano semplicemente seguito la tradizione dell'illuminismo del XVIII... l'atteggiamento an­tiebraico era parte integrante dell'anticlericalismo». In Ger­mania, ricorda la Arendt, i primi partiti antisemiti furono i liberali di sinistra, guidati da Schonerer e i socialcristiani di Lueger.

Il prestigio di Mussolini
Nonostante avesse promul­gato due mesi prima le leggi raz­ziali, Mussolini a Monaco rag­giunge l'apice del prestigio tra le democrazie occidentali.
Insomma, il fascismo non fu totalitario e tantomeno fu il male assoluto, che forse non esiste in terra ma a cui semmai si avvici­narono Hitler e Stalin, Mao e Pol Pot. Gli uomini non sono angeli né demoni, anche se prendono lezioni da ambedue. Magari più consigli dai primi e più esempi dai secondi.

FIGLI DELLA LUPA, AUTO DA CORSA E PROPAGANDA
Al centro, bambini negli anni '40 che indossano l'ab­bigliamento obbligatorio dei "figli della lupa". Nella pagina accanto, Benito Mussolini a bordo di un'automobile da corsa negli anni '30. Nuella foto a fianco un esempio di propaganda fascista. La facciata di palazzo Baraschi a Roma coperta da un grande manifesto con il viso di Mussolini (1934)

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