giovedì 13 settembre 2007




Nino Arena



Si ribellò al tradimento

PER L'ONORE D'ITALIA


Ricordo del Comandante Edoardo Sala


Edizioni Nuovo Fronte





II giorno 14 ottobre 1998 è morto nella sua casa in Fresonara di Alessandria, il Maggiore paracadu­tista Edoardo Sala, comandante del 1 ° Reggimento Pa­racadutisti dell'Aeronautica Nazionale Repubblicana, pluridecorato al valore, più volte ferito, volontario di più guerre, italiano esemplare che seppe pagare di perso­na in ogni circostanza, operando con grande dignità e forza d'animo. Desideriamo ricordarlo degnamente fa­cendo conoscere alcuni episodi della Sua vita militare nel periodo della RSI, che può suddividersi in tre impor­tanti avvenimenti: armistizio, difesa di Roma, difesa dell'italianità della Val d'Aosta.
Ricordo del Comandante Edoardo Sala

Quando il 185° Reggimento "Nembo" giun­se in Sicilia quasi alla fine di luglio 1943, era già accadu­to il colpo di stato del 25 luglio, i primi emissari badogliani si apprestavano a prendere contatto con gli "alleati", l'idea dell'armistizio e del passaggio armi e bagagli nel campo del nemico era già ideata e decisa.
A cosa serviva dunque l'invio in Sicilia di duemilaquattrocento paracadutisti preparati, decisi, mo­tivati? La risposta è lapalissiana: a mandarli via da Tosca­na e Lazio, a confinarli in Sardegna e Sicilia, a spostare dalla zona laziale gli Arditi del X° Reggimento, gli "NP" di Buttazzoni, gli Arditi della regia aeronautica di Dalmas inviandoli in altre zone lontane. Si pensò anche di spo­stare nel Salento la Divisione corazzata "M" poi trasfor­mata in "Centauro 2" e affidata ad un parente dei Re. In tal modo tutti i reparti d'élite furono allontanati da Roma e sostituiti con Grandi Unità fidate, di provata fede monarchica, ossequíenti agli ordini di Roatta e Ambrosio, trasferite dal nord Italia, dalla Jugoslavia, dalla Francia del sud. Tutto era pronto per rovesciare Mussolini e il fa­scismo nel quadro della promessa fatta dagli inglesi a sciocchi, ingenui e in malafede italiani antifascisti: liberatevi di Mussolini e dei fascisti e tratteremo con voi, vi concederemo un'armistizio e vi aiuteremo a liberarvi dai tedeschi. II messaggio era chiaro e Badoglio, con l'ap­poggio del Re, si incaricò di tradurlo in colpo di stato grazie alla collaborazione dello Stato Maggiore Genera­le con a capo Ambrosio e dello Stato Maggiore nel Re­gio Esercito comandato da Roatta ‑ i grandi vecchi pie­montesi ‑ da una frangia di fascisti rinnegati e ambiziosi, della classe politica antifascista, degli industriali, del Clero. Con tali forze fu possibile dare corso al piano "ribaltamento uno" perfettamente riuscito il 25 luglio e preparare il successivo piano "ribaltamento due" che prevedeva l'armistizio e il passaggio nelle file dell'ex ne­mico di una pseudo Italia antifascista e antitedesca. Nel­le remore di tale ipotesi, i soldati di tutte le Forze Armate combattevano e morivano ignari del fatto che stavano per essere venduti a coloro contro i quali combattevano e che quindi la loro morte e i loro sacrifici erano del tutto inutili.
II 185° Reggimento "Nembo" ebbe i suoi pri­mi morti a Barcellona di Sicilia, a Messina, in Calabria e gli ultimi caduti furono registrati al mattino dell'otto set­tembre sull'Aspromonte ad armistizio già firmato. Poi alla sera l'annuncio drammatico dell'armistizio e la generale costernazione in tutte le Forze Armate.
Il Capitano Edoardo Sala, Comandante del 3° Btg. 185° "Nembo", continuò a ritirarsi come da ordini con i reparti tedeschi sulle strade della Calabria, subì un violento mitragliamento aereo vicino Tiriolo con numerosi morti, feriti, incendi di automezzi e alla sera si fermò a Soveria Mannelli. Tutti i paracadutisti erano frastornati dagli avvenimenti manifestatisi così rapidamente.
Ognuno dei Comandanti di Battaglione de­cise cosa fare e come comportarsi: l'8° Btg. bis era stato smembrato dai combattimenti con morti, feriti, dispersi, sbandati, prigionieri dei canadesi; l' 1 1 ° Btg. attese passi­vamente l'evolversi della situazione; il 3° di Sala decise diversamente e poiché le clausole armistiziali prevede­vano la consegna delle armi agli inglesi, tale ipotesi non trovò consenziente Sala che ebbe un colloquio col Mag­giore Ziegler della 29° Divisione Granatieri Corazzati il qua­le gli confidò di avere avuto ordini per disarmare i reparti italiani se avessero opposto ostacoli al ritiro delle unità tedesche verso la testa di ponte di Salerno, dove stava­no sbarcando gli "alleati". Aggiunse ancora Ziegler, che attendeva da Sala un gesto di lealtà per continuare as­sieme la guerra nel rispetto del patto di alleanza fra Italia e Germania. Sala rispose di voler osservare il formalismo militare, di aver già deciso cosa fare, ma di voler far co­noscere le sue decisioni al Comandante di Reggimento, fino a quel momento irreperibile.
Attese a lungo e alla sera del 9 settembre si decise a stilare una lettera così concepita:




"Signor Mag­giore, il nemico non deve avere le nostre armi e noi le portiamo in salvo perché alla Patria possono ancora ser­vire e la nostra vita anche. Per l'Onore d'Italia. Capitano Edoardo Sala ‑ 9 settembre 1943‑ ore 22".

La stessa sera il Btg. Sala riprendeva a combattere a sole 24 ore dal­l'annuncio dell'armistizio, nel rispetto e coerenza dei pat­ti sottoscritti e dell'onore militare, portandosi a Salerno per combattere e subendo i primi caduti il giorno 10, ancor prima che nascesse la R.S.I. e venisse liberato Mussolini. Da quel giorno ‑ 9 settembre 1943 ‑ nacque per merito di un giovane e valoroso capitano paracadutista che ave­va rifiutato l'armistizio, l'emblematico e fascinoso slogan di tutti i combattenti repubblicani: Per l'Onore d'Italia.



Edoardo Sala era nato a Sulina in Romania nel 1913 da genitori italiani, aveva studiato alle scuole locali e fatto l'Università a Roma. Come appartenente ai reparti universitari partecipò ad un corso AA.UU. di com­plemento 1933/34 ottenendo la nomina a Sottotenente di Complemento degli Alpini. Volontario in Spagna dal 1937 al 1939, coi 2° Reggimento "Frecce Nere", due vol­te ferito, decorato di Medaglia d'Argento, Medaglia di Bronzo e di Croce di guerra sempre al valor militare, pro­mosso in Servizio Permanente Effettivo per merito di guer­ra, insignito di onorificenze al v.m. spagnole per il Suo valoroso comportamento in azione.
Tenente dal settembre 1938, specializzato in armi controcarro nel 1939, partecipa alla campagna delle Alpi occidentali nel giugno 1940, va in Albania per un breve periodo e nel settembre 1940 viene ammesso a domanda alla Scuola Paracadutisti di Tarquinia dove si brevetta nel marzo 1941; frequenta un corso guastatori brevettandosi alla scuola di Civitavecchia nel 1942 e nell'aprile 1943 assume il comando del 3° Btg. Paraca­dutisti della "Nembo" con cui partecipa ad un ciclo antiguerriglia nel Goriziano fra maggio/giugno, meritan­dosi un'altra decorazione per atti di valore. Poi va in Sici­lia coi suo 185° "Nembo".
Il suo brillante passato come combattente, la sua vita militare esemplare, le decorazioni al valore me­ritate sono le premesse per una futura carriera ricca di soddisfazioni e speranze per un giovane ufficiale in S.PE.. Ma all'armistizio comprende perfettamente che deve decidere fra i destini dell'Italia tradita e la promettente carriera. Non ha esitazioni di sorta e opta per l'Onore d'Ita­lia rinunciando volutamente ai personali vantaggi di pre­stigio ed economici garantiti ai suoi colleghi rinunciatari, col risultato che a fine guerra verrà privato dei suoi gradi, retrocesso a soldato semplice, privato delle sue meda­glie al valore guadagnate sui campi di battaglia. Altri diventeranno generali a due o tre stelle ma non avranno sicuramente l'onore di passare alla storia e rimarranno circoscritti alla mediocrità e all'oscurantismo di chi antepose profitti personali al bene della Patria.
Dopo aver combattuto a Salerno, il Btg. di Sala passa con la I° Divisione paracadutisti tedesca (i fa­mosi diavoli verdi), ripulisce le retrovie della linea "Gustav" da sbandati e ribelli e viene inserito nel Raggruppamen­to Paracadutisti "Nembo" del Magg. Mario Rizzatti (il ri­belle della Sardegna col suo 12° Btg. del 184° Rgt. para­cadutisti "Nembo") dislocato sul litorale laziale in funzioni antisbarco.
Assegnato al Centro arruolamento paraca­dutisti di Pistoia, poi a Spoleto presso il Centro addestra­mento del costituendo Rgt. "Folgore" della RSI, Sala lavo­ra a lungo per costituire i reparti con centinaia di volon­tari (fra cui lo scrivente) amalgamarli moralmente e spiri­tualmente, trasformandoli in soldati preparati e motivati e nel maggio 1944 il Rgt. "Folgore" viene inviato al fronte di Anzio/Nettuno alle dipendenze tattiche del 1 ° Corpo Paracadutisti tedeschi, da cui riceve l'ordine di difende­re la ritirata della 14° Armata germanica, presidiando le posizioni di Castel di Decima a sud di Roma. Un compito impossibile con l'armamento disponibile, sicuramente utile per azioni d'assalto ma inadeguato come fanteria di linea per mancanza di armi controcarro, armamento pe­sante, mentalità statica.
Furono giorni drammatici di lotta, spostamenti frequenti, assalti e difesa di posizioni fra bombardamenti e mitragliamenti aerei, ritirate di reparti tedeschi, morti,
feriti, prigionieri, dispersi fra paracadutisti veterani e gio­vanissimi allievi (come non ricordare i ragazzini immolati­si all'Acqua Bona il 3 giugno) e infine l'epica giornata del 4 giugno 1944, in cui rifulsero in pieno le doti militari di coraggio, valore, capacità professionale e iniziative personali del Comandante Sala, il vero eroe di quel memorabile giorno ‑ assieme al Maggiore Rizzatti poi decorato di MOV.M. alla memoria ‑ sulle alture di Castel di Decima a pochi km da Roma.

II primo attacco inglese, un tentativo di as­saggio, si verificò alle ore 06.00 e si concluse senza risul­tati un'ora più tardi. Gli inglesi (si trattava della 5.a Div. Ftr. rinforzata da un Rgt. carri armati) si resero conto della situazione e prepararono l'attacco decisivo con artiglie­ria, carri armati, fanteria su Bren Carrier e l'appoggio di un piccolo aereo da osservazione al tiro ed alla situazione tattica. Questo attacco venne sferrato alle ore 08.00.
La zona difensiva leggermente ondulata, ave­va i rilievi principali alle quote 59‑75‑74‑82 dov'erano postazioni di mitragliatrici, qualche mortaio pesante, un paio di mitragliere da 20 mm. Una stretta strada incassa­ta fra pareti di tufo tagliava in due la zona difensiva scen­dendo in fondo valle verso il Fosso del Malpasso (quota 20) per poi risalire sul declivio verso Casal de Cenci do­v'erano alcuni bunker della linea "Caesar" da presidiare se cedeva Castel di Decima.
Colpire con l'artiglieria le posizioni italiane, far avanzare successivamente i carri armati "Sherman" del 46° Rgt. "Liverpool" seguiti dalle fanterie sui Bren Carrier non presentò particolari difficoltà per i veterani fanti in­glesi, ottimamente armati e moralmente predisposti od occupare Roma dal sud, dopo aver scacciato questi illu­si paracadutisti italiani che pretendevano di fermarli. Per loro era molto importante arrivare prima dei damned Yankee di Clark, che brigavano per occupare la capita­le italiana dall'est (arriveranno per primi rispetto agli in­glesi).
Rizzatti si era sistemato in un posto di coman­do avanzato in una grotta a metà strada fra l'Osteria del Malpasso e la sommità di Costei di Decima, e Sala, al comando del gruppo di riserva tattica, era all'Osteria del Malpasso con una sessantina di paracadutisti armati di panzerfaust, in parte ceduti loro dal Battaglione "Nem­bo" del Capitano Corradino Alvino che si era ritirato seguendo le sorti della 4.a Divisione Fallschirmjäger.
Quando arrivarono sferragliando gli "Sherman", incolonnati in fila indiana sulla stradina in di­scesa verso l'Osteria di Malpasso, ben poco fu possibile fare per fermarli e solo i mortai da 81 bloccarono le fanterie davanti a Costei di Decima. Colpirono a cannonate le postazioni, uccisero diversi paracadutisti e proseguiro­no lentamente a marciare verso il basso. Se fossero arri­vati a fondo valle avrebbero preso sul rovescio le posizio­ni difensive distruggendole senza problemi. Era in gioco la vita di centinaia di paracadutisti.
Rizzatti usci animosamente dalla grotta incon­tro al nemico, deciso a fare qualcosa, dare l'esempio, togliere il suo Battaglione da una pericolosa situazione, ma fece soltanto pochi passi seguito dal suo fedele e giovanissimo portaordini Massimo Rovo: una raffica im­pietosa di mitragliatrice dello "Sherman" di punta lo fal­ciò e con lui morì subito Rovo. Sembrava ormai la fine di ogni speranza e Sala si rese conto, da veterano combat­tente, che doveva agire d'iniziativa e precedere i carri nemici prima che arrivassero in basso. Dispose i suoi pa­racadutisti in piccoli nuclei ai lati della strada e lui stesso, afferrato un panzerfaust e seguito dal portaordini Ajmone Quattordio, si portò velocemente verso l'alto, nascosto dal muretto a secco che costeggiava la stradina verso Malpasso.
Giunse a metà salita udendo dall'altra parte il ronfare del motore e il lento sferragliare dei cingoli in movimento: lo "Sherman" di testa era fermo a pochi me­tri da lui dall'altra parte del muro. I carristi inglesi erano guardinghi, temevano qualche sorpresa, la situazione sembrava fin troppo facile sino a quel momento. Sala controllò il lanciarazzi privo dei tappo di scarico, col cursore di mira sollevato e mise il pollice sui pulsante di sparo, poi si sollevò velocemente e azionò il micidiale ordigno controcarro: una fiammata, il rinculo violento e il carro s'incendiò; afferrò dalle mani di Quattordio un altro panzerfaust e corse verso l'alto mentre gli altri paracadu­tisti reagivano, colpivano altri carri, mitragliavano le fan­terie che tentavano di proteggere i carristi in difficoltà. Giunse ansante per la corsa alla sommità, si fermò un attimo a controllare la situazione, avvistò a distanza la torretta del carro di coda, lo raggiunse inosservato e gli scaricò addosso il razzo colpendolo alla base della tor­retta; il carro avanzò per abbrivio di qualche metro e poi si rovesciò intrappolando definitivamente gli altri "Sherman". Agli equipaggi non rimase altra alternativa che arrendersi o morire. Fu il segnale della riscossa.
Iparacadutisti incendiarono gli altri carri, ber­sagliarono le fanterie e raccolsero i prigionieri mentre il grosso si ritirava a distanza di sicurezza per riordinarsi dopo aver abbandonato autoblindo, motocicli, materiali, carri Bren.
Il "Folgore" aveva impedito agli inglesi di oc­cupare Roma dal sud, il Capitano Sala aveva salvato da sicura distruzione i 600 paracadutisti e ribaltato con ini­ziativa personale una situazione drammatica che pote­va trasformarsi in tragica.
II suo valore e il suo comportamento da co­mandante preparato, vennero premiati con una Medaglia d'argento al V.M.., la Croce di Ferro di 2° classe, la promozione a Maggiore per merito di guerra. All'inizio del 1945 gli veniva affidato il comando del Rgt. Paracaduti­sti "Folgore". Aveva 31 anni, 4 medaglie al valore, due croci di guerra, una promozione, 4 ferite.
L'ultimo importante avvenimento di cui fu an­cora protagonista il Comandante Edoardo Sala, si verifi­cò nella primavera del 1945, allorché il Rgt. "Folgore", che aveva difeso con valore e sacrificio i passi alpini dei Monginevro, Moncenisio e Piccolo San Bernardo, scese a valle, presidiò in armi Aosta tenendo lontani i partigiani, alleandosi con i responsabili militari del C.L.N. per pro­teggere la Val d'Aosta dalle pretese francesi fatte cono­scere da De Gaulle. Gestiva per alcuni giorni la città come un'ordinata Amministrazione comunale, garantendo ai cit­tadini ordine, bisogni alimentari, sicurezza e servizi sociali e poi si ritirò in armi a Saint Vincent, pronto a reagire ad ogni pericolo contro l'italianità della Valle; Alpini della Divisione "Littorio" vigilavano allo sbocco delle valli alpi­ne per bloccare eventuali tentativi francesi mentre so­praggiungevano i reparti "alleati" per bloccare definitivamente ogni ulteriore velleità degollista sull'Aostano.
Ottenuti gli onori militari dai soldati america­ni della 34° Div. Ftr_ il 5 maggio i paracadutisti del "Fol­gore" passavano in prigionia dopo aver compiuto fino all'ultimo il loro dovere di soldati e di italiani. Merito di quest'ultima iniziativa va attribuito al Comandante Sala ed al suo patriottismo.
L'episodio di Saint Vincent rientrava in quella particolare mentalità che il Comandante Sala aveva in­culcato ai suoi paracadutisti sull'onda emotiva e comportamentale di ciò che fece la "Folgore" nella bat­taglia di El Alamein. Una tradizione mai venuta meno che può farsi risalire alla dignità, fierezza e serena consape­volezza del soldato che ha compiuto interamente il pro­prio dovere, ha la coscienza serena e sa che nessuno e nulla potrà accusarlo. Allo stesso modo, in zone e periodi diversi si comportarono i Battaglioni del Rgt. "Folgore": il 1 ° Btg. Faedda in Val di Susa e fino a Strambino Romano senza cedere le armi a nessuno; il 2° "Nembo" Bernardi sceso da Aosta fino alla Val Sesia feudo di Moscatelli ed ad Aosta il 3° 'Azzurro" di Bussoli col comando di Reggi­mento, protagonisti di un fatto storico di grande rilievo, circondati da partigiani, minacciati di distruzione se non cedevano le armi, soli contro tutti ma invitti.
II Reggimento, pur trovandosi frazionato in tre tronconi fra loro distanti, non ebbe esitazioni sul come comportarsi secondo lo stile impresso dal Comandante Sala, in coerenza con quello della "Folgore", di cui si sen­tiva nella tradizione degno continuatore nella storia. "La Folgore non cede le armi" dissero il 6 novembre 1942 i superstiti folgorini a Gebel Kalach; "il Folgore non cede le armi" dissero i paracadutisti di Sala nel maggio 1945 e gli alleati, ammirati per tale onorevole comportamento di soldati, presentarono le armi a quei valorosi nel cortile del Billia. Era il 4 maggio 1945. Protagonista di tale stori­co fatto d'armi il Maggiore Edoardo Sala, Comandante del 1 0 Rgt. Arditi paracadutisti "Folgore" della RSI.
Seguirono i giorni tristi e avvilenti di Coitano e Laterina, le torture fisiche e morali dell'occupante che non piegarono mai la volontà dei parà, le uccisioni dei superstiti, le carceri e i processi settari e strumentali delle Corti Assise Straordinarie e degli antifascisti di comodo; il Comandante Sala subì molti processi, condanne ingiu­ste addossandosi sempre colpe e responsabilità dei suoi soldati. In quegli anni bui e difficili per tutti noi, Sala e gli altri paracadutisti condannati e in carcere, affrontarono con serenità e dignità le accuse più inverosimili, false, artefatte, inventate dalla parte politica avversa. II Co­mandante si assunse per intero ogni azione, riscosse per­sino l'ammirazione dei giudici politicizzati ma ebbe lun­ghi anni di detenzione scontati nelle patrie galere, trovò la forza di incoraggiare i più deboli, spronare gli indecisi, suggerire come comportarsi ai liberi per recuperare i Caduti sui campi di battaglia, riunirli, dare loro onorata sepoltura in terra consacrata, offrire alle madri la possibi­lità di recitare una preghiera sulla tomba dei figli ed ai superstiti di deporre un fiore sulla pietra con i nomi dei camerati caduti; una missione d'affetto e d'amore che da sempre si ripete nei Sacrari di Roma/Verano e di Tradate con la partecipazione di familiari e sopravvissuti. In carcere Edoardo Sala trovò anche il tempo di scrivere delicate poesie rivolgendo il suo pensiero struggente ai suoi cari, ai ragazzi Caduti, all'Italia: "... come angeli vi penso, discesi un attimo e scomparsi, lasciandoci mera­vigliati e soli". Ma trovò anche il tempo per costituire una catena della fraternità parà, di solidarietà per soccorre­re e aiutare i più bisognosi, pagare spese legali, trovare i soldi per il recupero dei Caduti rinnovando lo spirito di corpo e la fratellanza parà che ancora persistono tenaci
e ammirevoli come esempio.
Uscì di prigione nel 1951, dopo il secondo arresto, fiero e dignitoso come sempre, chiamò a raccol­ta i suoi ragazzi e riprese anche a vivere inventandosi un lavoro, vendendo libri, girando con una Vespa prima, una vecchia seicento successivamente e quando ebbe un incarico direttivo offrì un lavoro a numerosi paracadutisti, aiutandoli a trovare uno scopo di vita e di tranquillità fa­miliare. Divenne il saldo punto di riferimento per tutti noi, il faro luminoso del riscatto, il sicuro approdo dopo tante traversie ed ebbe per tutti un affettuoso abbraccio, un saluto sincero, una parola d'incoraggiamento, una fonte di preziosi consigli. Mai ho sentito dalle sue labbra offese e maldicenze verso altri, anche quando qualcuno gli pro­curò dolore e delusioni; mai parole irose, minacce, giu­dizi gratuiti poiché aveva innata signorilità ed un carisma unico che impediva a chiunque, di usare nei suoi con­fronti sentimenti diversi da rispetto e ammirazione. Da Lui ho imparato molto e gli sono grato per questi insegna­menti.
Nel 1959 lo chiamammo per farlo entrare nel­la nostra Associazione d'arma; esitò un attimo, superò ogni remora di ordine personale e rompendo ogni ulteriore indugio accettò, divenne Presidente della Sezione di Roma che portò ben presto all'apice associativo per atti­vità e numero di soci di ogni reparto presenti e attivi nel sodalizio. A datare dal 1960 e per oltre un trentennio, divenni il suo più assiduo collaboratore inaugurando una feconda stagione di molteplici iniziative, traducendo nella realtà il suo pensiero, valorizzando doverosamente le vicende storiche del "Folgore", volutamente emarginate da pavidi e faziosi, dalla nomenclatura ufficiale, allorché i'amicizia dei "repubblichini" poteva costare "ipotetica­mente", la carriera, la ritrovata verginità dei tanti, poten­ziali timori di giudizio: una specie di Apartheid nostrana che fu necessario affrontare e vincere sul piano storico della verità. Fondammo un giornaletto associativo "Fune di vincolo" di cui divenni direttore responsabile, trovam­mo appoggio morale e personale nel generale Frattini, Presidente Nazionale dell'Ass. Naz. Paracadutisti d'Italia, uomo valoroso e di grandi vedute illuminate e fraterne, il quale volle presentare con una sua prefazione un nume­ro speciale sui paracadutismo militare italiano, che coin­volgeva tutti i reparti ‑ al nord e al sud ‑, prima e dopo l'armistizio e la rivista "Ali" si incaricò della diffusione che ebbe molto successo, aprendo per la prima volta, la stra­da alla riconciliazione fra paracadutisti, alla valorizzazione di tutti i Reparti e per presenza inter pares, anche quelli della RSI. li ghiaccio era rotto, il settarismo battuto, l'emarginazione dissolta, poiché si creò un parallelismo fra la "Folgore" di El Alamein e il "Folgore" di Anzio/Nettuno, Roma e Alpi occidentali, con una continuità storica: lo stesso nemico di sempre, lo stesso entusiasmo, le stesse finalità morali e ideali, l'identica conclusione con l'onore delle armi dallo stesso ammirato nemico. Un grande suc­cesso editoriale, poi ufficializzato nel primo grande volu­me sui parà italiani, su quello ancora più importante sui parà di tutto il mondo, scritto a due mani con lui: prime basi di quella che un giorno sarebbe diventata a livello internazionale l'Unione dei paracadutisti.
Poi, affrontammo il più impegnativo lavoro, il Comandante, da sempre, pensava e sperava di realiz­zare un libro sulla storia del Rgt. Paracadutisti "Folgore" della RSI, documentato, completo, definitivo. Mi impe­gnai a fondo, trovammo oltre 500 documenti originali. promuovemmo una sottoscrizione per affrontare le spese con un appello del Comandante a prenotare almeno una copia, con la garanzia morale e personale del Co­mandante Sala, e, con un miracolo di adesioni e solida­le partecipazione, "Per l'Onore d'Italia" divenne una re­altà, ben presto esaurita e oggi finalmente ristampata con edizione migliorata, meglio documentata, più am­piamente illustrata, migliore veste tipografica.
Sala scrisse un opuscolo con i discorsi com­memorativi dei raduni fatti in oltre 30 anni, quello sul cinquantennale di Nettuno e quello successivo di Tradate; consegnò ai ragazzi il "congedo", un simbolico docu­mento da lui inventato per ringraziare tutti coloro che mi­litarono nei parà della RSI, con sua firma autografa ed un sigillo a rilievo di convalida ufficiale; inventò la medaglia commemorativa, che surrogava la croce di guerra spet­tante di diritto a tutti i combattenti. Non volle rimanere lontano dall'atmosfera esaltante dei lanci che effettuam­mo spesso, un po' ovunque, per riallacciare il passato col presente, pensando anche ad iniziative umanitarie col donare il sangue, offrire l'olio a San Benedetto di Monte Cassino, partecipare ai raduni per incontrare i paraca­dutisti tedeschi, vecchi camerati del fronte, divenendo poi Presidente onorario dell'ANPdi in cui riscosse grande simpatia e solidarietà da tutti i paracadutisti, dai "suoi ragazzi", come si ostinava ancora a chiamarli quando i più giovani hanno superato abbondantemente la settan­tina e sono nonni con nipoti numerosi.
Ebbe anche il tempo di dimostrare qualità artistiche come "fabbricatore di ferri", trasformando vec­chie serrature inservibili e chiavi ormai in disuso in palpi­tanti oggetti viventi usciti dalla sua fantasia e dalla sua sensibilità: "uomo di grande sensibilità culturale è riusci­to ad appropriarsi poeticamente di una realtà materica, silenziosa testimone di arcani passati, per tradurla, con suggestiva libertà formativa, in ammirevoli composizioni d'arte" come recita l'introduzione al volume sulle sue ope­re che gli abbiamo donato, mettendo in risalto questa sua poco conosciuta attività, che completa ancor più la sua poliedrica personalità di uomo semplice, modesto, valoroso, capace e sicuro, di grande sensibilità artistica e umana, esemplare come comportamenti civici e mili­tari, che seppe dare alla sua vita armonia e temperanza che molti dovrebbero prendere ad esempio per configurare idealmente ciò che noi chiamammo il Co­mandante.



Non ti dimenticheremo, Comandante Sala.

2 commenti:

  1. sono un VECCHIO della folgore. rileggendo la relazione ho rivissuto tutti i momenti di Castel di decima, di anzio ecc. belli e terribili ricordi di gioventu. e per sempre FOLGORE.

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  2. Sono il nipote del S.Ten.Paracadutista sabotatore Cassio Dirani e leggendo le sue memorie ho constatato che ha seguito lo stesso percorso del Comandante Sala. Se un parente, un familiare o un conoscente del Comandante o di Nino Arena mi contattasse sarei grato leonardomazzetti@yahoo.it

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