venerdì 7 settembre 2007

Fascist's Ciminal Camp

N° 248 SETTEMBRE 2005


Hereford (Texas)


La vita al 326/F POW Camp di Hereford



L’arrivo ad Hereford dei primi prigionieri della RSI accolti con squilli di tromba e il collettivo saluto alla voce dei combattenti “non cooperatori’’ di Libia, Tunisia, Sicilia, di tutte le FF.AA., Aviazione e Marina.







L’interno della cappella con i particolari dell’altare. Nonostante la durezza del trattamento inflitto ai prigionieri, spesso non conforme alle convenzioni internazionali, i prigionieri italiani mantennero un contegno di fi erezza e di orgoglio non comuni.



l La piccola cappella votiva costruita ad Hereford dai prigionieri italiani. La vita nei campi “non cooperatori’’ venne resa particolarmente diffi cile dai guardiani con vessazioni, soprusi e violenze che causarono non di rado la morte dei prigionieri.



- Nino Arena -



Sui campi di prigionia NON Cooperatori sono stati scritti eccellenti saggi, documentati libri, ottimi volumi,motivi questi che rimandano il lettore ai testi accennati.


Questa volta, invece, parleremo di uno di questi cercando di farlo conoscere un po’ meglio, attraverso le testimonianze di coloro che vissero quell’esperienza (io la ebbi soltanto in forma turistica nel dopoguerra) visitando ciò che restava del 326/F Camp di Hereford nel Texas, Contea di Castro e Amarillo (vissuti ai “tempi gloriosi” di Arrivano i nostri della mia infanzia) pur considerando che tale cittadina è famosa perché spedisce annualmente a Chicago mediamente 3.500.000 capi bovini destinati a trasformarsi in beefsteak, Hamburger e Hot Dog reperibili in versione italiana, in quei famigerati locali originati dagli USA e diffusi nelle nostre città (sfortunatamente!!!).
Prima dell’armistizio non esistevano campi speciali per prigionieri,campi per riottosi e recalcitranti(tipo ad esempio Terni/Collescipoli o Karkassin), campi per dangerous criminal and suspect enemysoldiers.
I campi di prigionieri in mano alleata (soprattutto inglese) erano molto numerosi; si viveva una vita noiosa, alienante, subordinata agli umori del detentore che soggettivamente gestiva potere e dispotismo, crudeltà fi sica e mentale, livore e condiscendenza, offese e punizioni: il tutto inserito nelle condizioni ambientali,clima e natura, abbondanza o insufficienza alimentare, malattie e virus, ferite non curate adeguatamente e morte, non di rado per fucilate di sentinelle e aguzzini maltesi, ciprioti, palestinesi, ebrei.

Tutto venne rimesso in discussione all’armistizio, quando la velenosa politica badogliana riuscì a dividere i prigionieri, provocando disgregazione morale e separazione fisica, promesse allettanti e possibili di rientrare in Patria al più presto, riacquistare una certa libertà individuale; godere di altri benefici: vitto migliore e abbondante, cure adeguate, vita fuori dei campi, salario internazionale nel rispetto delle convenzioni internazionali sui prigionieri di guerra. In cambio, inglesi e americani chiedevano un semplice impegno morale con la firma di collaborazione sottoscritta in calce ad un documento che esordiva: I PROMISE (io prometto).Una formula magica che prometteva tanti vantaggi per una piccola e insignifcante firma col nome e cognome.

Chi firmava accettava tutte le condizioni stabilite nel documento, si obbligava a qualsiasi lavoro, anche se doveva schierarsi, come accadde, contro gli interessi nazionali.Una pacchia per gli inglesi che potevano fare ciò che volevano soltanto possedendo una piccola firma d’ingaggio.

In realtà fu il banco di prova di tutto un sistema di prevaricazione psicologica basato sulla divisione - anima e corpo - dei prigionieri: molti accettarono per motivazioni umane e debolezza caratteriale, altri per sfruttare la favorevole situazione creatasi. Pochi, anzi pochissimi, scelsero per voluto tradimento antitaliano camuffato da antifascismo, offrendosi volontari per il potenziale ‘Italian volunteer Corp’ organizzato da un generale traditore già comandante dello scacchiere somalo dell’AOI, destituito per decisione del Viceré Amedeo di Savoia-Aosta per “manifesta incapacità professionalee disfattismo”. Una vergognosa formula che faceva di questo rinnegato generale incapace di comandare e rispettare la fiducia degli italiani, gettando discredito su tutte le FF.AA. Catturato dagli inglesi nel 1941, si offriva di costituire reparti antifascisti attingendo come reclutamento nei campi prigionieri d’Egitto, India, sud Africa, Kenia.

Solo pochi altri rinnegati accettarono di battersi contro l’Italia, ma la delusione subita dagli inglesi fece naufragare ogni ulteriore tentativo di costituire l’I.V.C. anche se si ebbe un possibile impiego all’armistizio contando sulla maggiore disponibilità di uomini di parte badogliana.Anche questo possibile tentativo svaniva nell’indifferenza, poiché a contrastare Pesenti (sia pure in diverse e contrastanti motivazioni),ci furono altri concorrenti: il maresciallo d’Italia Giovanni Messe, i generali Paolo Berardi, Pietro Piacentini e Pietro Pinna della RA in AOI, che trovandosi in prigionia inglese, accettarono con grande disinvoltura di offrirsi a Badoglio sostituendosi a Roatta, Ambrosio, Sandalli.Con tali esempi non c’è da stupirsi se si ebbe un incremento statistico nel firmare gli I PROMISEa livello inferiore, poiché ufficiali superiori e subalterni firmarono e crearono la paventata frattura tra il morale dei prigionieri, ma rafforzarono, singolarmente, la volontà dei credenti che con orgoglio risposero di considerarsi a tutti gli effetti “soldati della RSI” giurando collettivamente in ogni continente il 9 febbraio 1944 con la formula in uso per tutti.La scelta era stata fatta. Subito dopo si scatenò la vendetta del nemico, si manifestò nel modo più brutale, vigliacco, criminale, con torture fi siche e mentali, uccidendo immotivatamente decine di prigionieri, razionando ancor più il cibo, rifiutando cure e assistenza, rallentando la consegna della corrispondenza e le notizie dall’Italia.

Resistettero, non mollarono, non abbassarono la guardia e la volontà - soldati ammirevoli e veri italiani - come affermarono in più occasioni gli ammirati nemici che gestivano i campi POW, fra cui il Col. Galworth di Hereford, non certamente tenero verso i prigionieri italiani NON cooperatori. Da ricordare per talune iniziative (quasi una specie di corsi e ricorsi storici) le torture di Abu Grahib, Guantanamo e i check-point di Bagdad quasi come un DNA insito nella tradizione storica dell’US Army. Poi la guerra finì a si tornò a casa.

* * *

Molti anni più tardi, numerosi reduci del campo ritornarono nel Texas a rivedere in diverse e mutate condizioni psicologiche e morali il vecchio campo 326/F, accolti questa volta da comitati cittadini con giornali, radio-televisione, cartelli luminosi con sinceri Welcome to Italian POW. Molti ricordarono l’arrivo al campo nel settembre 1944 dei primi prigionieri della RSI catturati a Nettuno, sulla Gustav, davanti a Roma, nel mare di Anzio.Un incontro commovente nella notte, quando la lunga colonna di prigionieri ordinata e commossa, arrivò ai limiti del campo e fu accolta con gioia e marziale comportamento dai vecchi reduci di Tunisia, da anni ristretti nel campo, ma sempre indomiti e orgogliosi. Ricordarono ancora la durissima vita per coloro che furono obbligati ai lavori nella fabbrica di zinco di Dumas, micidiale per la salute e le condizioni di lavoro; ricordarono l’affetto e la stima dei farmers texani che li ebbero nei campi sterminati della prateria, la simpatia elargita a piene mani e la valentia nel lavoro; gli affreschi nella piccola chiesetta di Dimmit, trasformata in opera d’arte con voli di angeli, i santi e le Madonne, i colorati vetri con scene religiose e l’invidia dei pastori protestanti per il privilegio concesso al parroco cattolico. Ricordarono ancora la piccola cappella eretta in memoria dei camerati morti a Hereford, che il tempo e l’incuria mandarono in rovina, per poi risorgere, come la mitica Fenice quando la comunità texana progettò il restauro e chiese allo Stato di legittimare come monumento nazionale il piccolo edificio religioso rimesso a nuova vita ed inaugurato col ritorno festoso dei reduci italiani, che ancora una volta divertirono i giovani e gli anziani con edifi canti storielle e piccole realtà, quando, fra l’incredulità dei presenti, raccontarono del povero serpente a sonagli che, entrato incautamente nel campo, venne ricorso, catturato e cucinato per integrare la magra razione alimentare distribuita da Galworth ai POW italiani.

Ricordarono, ancora, la non nascosta ammirazione dei responsabili americani verso il loro comportamento e il palese disprezzo verso i fi rmatari del I PROMISE che piagnucolarono alcuni anni or sono, in una trasmissione di mamma RAI, per il mancato pagamento del lavoro prestato negli USA come collaboratori (trasferito dall’amministrazione USA al governo italiano e misteriosamente scomparso fra i meandri della famigerata burocrazia italiana). Parlarono, i badogliani cooperatori, di “... ingiustizia dello Stato italiano che non permise di contare i 30 denari che gli spettavano di diritto per il lavoro svolto contro la loro Patria’’.

Ben diversa fu invece l’accoglienza che ebbero i NON al loro ritorno negli USA. Sicuramente qualche differenza c’era assieme ad una spontanea valutazione d’assieme che poneva in risalto, dopo cinquant’anni dalla fi ne del confl itto, la diversità morale, patriottica e comportamentale di coloro che ebbero la ventura di vivere negli USA un indimenticabile periodo di vita e di orgoglio.







Nino Arena










Da FASCISTS’ CRIMINAL CAMP






il IV° e V° Capitolo







di







Roberto Mieville










PAROLE CHIARE, TANTO PER INTENDERCI SUBITO

Questo è un racconto dedicato ai fratelli dì tutte le prigionie, onoratamente sopportate e in particolare agli Ufficiali, Sottufficiali e Soldati del Prisoner of War Camp di Hereford, Texas USA.' Chi ha scritto questo racconto, ricorda i camerati assassinati dal detentore nei Campi d'Africa e d'America nella lunga prigionia e rivolge alle mamme l'abbraccio affettuoso di tutti i camerati che li hanno conosciuti e li onorano.
La posizione assunta in prigionia di guerra di fronte agli avvenimenti dell'8 settembre e del Regno del Sud è stata netta e precisa e dichiaratamente per la Repubblica Sociale Italiana.
I fratelli reduci dai terribili Campi di Russia, India, Kenia, Rodesia, Algeria, Sahara e Marocco, scrivano la loro storia affinché. rimanga documentato che la brutalità e la bestialità non era patrimonio esclusivo dei detentori tedeschi.
Forse, anzi sicuramente, qualcuno, ravviserà in questo racconto gli estremi per una accusa di “ fascismo” o di “ apologia del fascismo ”, ma gli atti e gli intendimenti sono stati quali e tali come sono raccontati, ed è evidente che nessun rimpianto, c'è per quello che è stato detto fatto e pensato che se del caso verrebbe nuovamente e con lo stesso spirito detto fatto e pensato.
Vada questo racconto e dica a tutti: Onore e Viva l'Italia!








ROBERTO MIEVILLE









Roma, 1947.







IV Capitolo















Era un mattino del settembre quarantatré. Sarebbe stato un mattino uguale era la convinzione di tutti gli altri: questa era la convinzione di tutti. Del resto quale avvenimento sarebbe stato tanto importante da alterare in un qualche modo la vita del campo?
Lo stato di prigionia era una cosa abbastanza nuova, ma ognuno era ormai convinto che nulla avrebbe potuto alterarne la monotona tranquillità.
Era dunque un mattino come tutti gli altri Una leggera cortina di vapori ancora il campo. Le cose erano sfumate e indefinite.Qualche ombra passava veloce sui ballatoio antistanti alle baracche. Solo quando il sole riuscì a penetrare la nebbia; e a fugarla velocemente, l'animazione del campo prese un ritmo accelerato.
Le baracche erano tutte ugualmente nere, tutte ugualmente squadrate, bene in fila e allineate.
I reticolati erano nuovi, ben lucidi e tesi e si intravedevano da ogni punto tagliare la fascia del cielo. Dopo il reticolato la terra non aveva limite e orizzonte e tutto si perdeva nella desolazione dei campi di cotone.
Il caldo era soffocante. Qualcuno aveva per le mani il “Commercial Appeal” che usciva a Memphis o un vecchio numero del “Life”. Nel campo di bocce facevano la pulitura. Gli M.P. alle torrette si annoiavano. Lo spaccio era affollato i soliti racconti di guerra e, i particolari della traversata. Quelli della P.A.8. cercavano di convincere un gruppo che aveva fatto il viaggio sulla “ Queen Mary” dello schiavistico trattamento ricevuto durante il viaggio. Altri bevevano le Coca Cola a cinque cents e altri sorbivano gli “ice cream”
Improvvisamente una fucilata ruppe l'aria e si ripercosse nel silenzio divenuto subitaneo Un'altra fucilata ancora poi un gridare confuso: Assassini! Assassini
Corsa pazza di tutti verso i reticolati interni. Un soldato giaceva riverso a una decina di metri dall’”Off Limits ”. L' M. P. alla torretta aveva sparato e ora, teneva il fucile puntato e gridava nella sua lingua comancha di non avvicinarsi.
Arrivarono degli ufficiali americani: il ten. Woods e il capt. Anderson: fecero un cenno sentinella e un medico si poté avvicinare al ferito. Alte erano, sempre le grida: Assassini, e gli americani sorridevano e dicevano “Okay”. Portarono via il ferito e anche la sentinella ebbe il cambio.
Mentre gli uomini tornavano silenziosi alle baracche improvvisa corse una voce. Una voce terribile agghiacciante che fece tremare il cuore e sbiancare in viso.
-.L'Italia ha deposto le armi.
Questa la prima notizia cruda, poi col passare, delle ore mentre folti gruppi commentavano soddisfatti l'avvenimento altre notizie penetrarono nel campo. Portate dagli M. P. e dal “Private,, del Post Office.
“ Italy has surrendered its armed force unconditionnally”.
Incondizionatamente! E l'Onore, Signore ,Iddio?
Poi ancora coi calore della notte, la radio: La flotta italiana è in rotta per Malta ad arrendersi.
Resa incondizionata all'insaputa dei tedeschi ‑ Fuga di Vittorio Emanuele da Roma Fuga di Badoglio, fuga del Governo - Crollo! E per tutta la notte il messaggio di Eishenower trasmesso dalla C.B.S. “Unconditionally”!
Tutta la guerra combattuta, tutto quel sangue versato, quelle croci sperdute, tutta la giovinezza, tutto tradito e rinnegato! E la speranza grande nella promessa: “la guerra continua ”!
E i signori Colonnelli a brindare con i Coca, cola a cinque cents, sulla disfatta!
E tutti i signori Colonnelli a vantarsi: Massoneria! E quel Colonnello di Prato a scucire rapidamente dalla giubba il distintivo da squadrista! Nella chiesa del campo, qualcuno pregava per la Patria e piangeva della rovina grande.
Era l'8 settembre 1943.
Nell'ospedale del campo un prigioniero moriva.
Le belle navi nel mare tranquillo andavano a Malta.
E l'onore, signore Iddio?
“ L'Onore militare non esiste i ” disse il Colonnello Bragantini. Era il 9 settembre, e nella notte molte cose erano corse per i cervelli. Molte cose. Tenente Biondo, tenente Licitra, capitano Ardigò, tenente colonnello Torta, ricordate le parole? L'Onore militare non esiste!
Dove sei andato Giovane Fascista di Bir el Gobi, che rispondesti: ‑ Ma signor Colonnello, per l'onore militare io vado a morire!
Ci si ricorda molto bene di certe lettere affisse allo spaccio e nella sala convegno dove “ qualcuno ” si vantava di aver boicottato la “nostra ” guerra e dì essere stato da molto tempo in rapporto con gli americani!
Una grande tristezza era scesa sul campo. Gli animi erano divisi e le fazioni avevano, preso a dominare. Per il Re. Contro il Re. Per la Repubblica. Per il Duce.
‑Tanti scoprirono, di essere /stati sempre antifascisti e pochi erano stati iscritti.
Gli americani dall'alto delle torrette commiseravano tanta miseria.
Liste bianche e liste nere e liste rosse sul tavolo dell'Intelligence Officer !
Era divenuta così anche l'Italia, del resto. Una Babele, il campo. E il “New York Times” riportava la frase dell'ammiraglio comandante la flotta inglese all'ammiraglio delle navi italiane arresesi. “ Signore, avrei preferito incontrarvi in battaglia >>
L'onore, signore Iddio!
***
Finiva ottobre quando nel campo fece la sua apparizione un certo capitano Marioni del corpo automobilistico. Disse masticando cheeving guum che Gazzera aveva inventato l’A.I.L.V.M. ossia l'Armata Italiana del Lavoro Volontario Militare. Poiché l'Italia in quel tempo aveva dichiarato la guerra alla Germania. L'Italia del Sud, il Regno aveva fatto questo. Noi eravamo già, precursori, per la Repubblica.
Anche Gazzera che fino a pochi mesi prima aveva firmato le tessere del Fascio, correva al ripari.
E il Maresciallo del tradimento vendette in quei giorni i prigionieri italiani al detentore. E anche fra i migliori cominciò la lotta. Kaman? per gli americani. Anti‑kaman, contro gli americani.
Liste bianche. Liste nere. Liste rosse. E gli M. P. gongolavano.
Nel dizionario Webster un nuovo verbo era stato coniato: To Badogliate. To Badogliate: tradire. Tradire in un modo particolare, speciale, il non plus ultra del tradire, insomma.
E cominciarono a partire per le Italian Service Unit's, i nostri vecchi camerati di guerra.
***
Il venerabile vecchio languiva nell'angusta stanza dell'Ospedale del Monticello P.O.W. camp. Era, sempre, solo. Gli M.P. vegliavano alla sua porta. Era pazzo, dicevano i generali del campo. “E’ pazzo! Dice viva Mussolini ! ”.
Infermiere Morbiducci potresti raccontare il pianto del venerabile vecchio. Il nostro generale: Annibale Bergonzoli, Medaglia d'Oro!
Fu gettato pazzo a languire per tanto tempo nell'ospedale militare reparto psichiatrico di New York, dalla cattiveria degli altri italiani. Perchè Barba Elettrica era contro il tradimento.
Una cella imbottita di caucciù e tante angherie contro Annibale Bergonzoli, che credeva ancora nella Patria e nell'Onore Militare. L'onore delle I.S.U.: lavanderia e patate e bombe sulle navi in partenza da Boston e divisa nemica: italiani sfruttati e Portati all'I Promise dalla fame dalle minacce di rappresaglia alle famiglie da parte della democrazia americana alleata al Governo Badoglio.
Finiva l'anno 1943. Fu molto triste quel Natale, ma un nuovo tricolore era salito sul pennone spezzato a Enfidaville: per l'Onore!








V Capitolo









Il vento di Sud 0vest non soffiava più da, vari giorni. Il cielo era chiaro e pulito e la neve aveva cominciato a sciogliersi. Qualche filo d'erba era nato nei pressi dei reticolati e i camini delle baracche non fumano più con la stessa intensità. Era aprile e una prima mandria di cavalli era stata vista passare all'orizzonte.
Le sentinelle alle garitte e' alle torrette osserva., vano il lento risvegliarsi del campo.
Era aprile di un anno lontano. La prigionia durava già da lungo e gli uomini dicevano che il tempo si era fermato.
Nelle baracche il, silenzio era: grande. Un silenzio ossessionante rotto solo dal fischiare del “ tornado ”. El tornado, così veniva chiamato là quel maledetto vento di Sud Ovest.
Il tempo si era fermato: i giorni tutti uguali o monotoni.
L'inverno era stato molto lungo e alla sera faceva ancora freddo. Qualcuno raccontava nell'intimità dei box dell'ieri e dei sogni del domani. Ma tutti con il cuore fermo e fisso al punto lontano: Cassino!
***
Il 20 aprile 1944 nel 1 Compound dell'Hereford POW Camp, situato nell'altopiano del Texas, la vita trascorreva lenta e monotona come gli altri giorni. Nelle baracche, interminabili le partite a bridge e interminabili le discussioni attorno alle stufe accese.
I prigionieri che passeggiavano per il campo ogni tanto si soffermavano a guardare la bianca costruzione dell'ospedale o i primi fili d'erba che nascevano nei pressi del reticolato. Poi riprendevano a camminare, silenziosi. Il pensiero fisso al punto lontano: Cassino. E anche alla guerra che durava 1 lontano e. passava lenta e inesorabile travolgendo casa per casa.
Ora erano riuniti lì, quasi tutti, gli ufficiali non cooperatori. Mancavano gli “anti-kaman” di 'Como e di Monticello. Ma, sarebbero arrivati molto presto, sicuramente.
Era il 20 aprile 1944.
-.Domani è il Natale di Roma, dicevano gli Ufficiali italiani del Compound One.
Anche al Comando Americano del Campo si diceva la stessa cosa.
‑ Domani è il Natale di Roma.
E dal Compound, dove erano ancora gli Ufficiali “ pro-kaman”, era atteso uno spettacolo.
E il Comando Americano diede lo spettacolo.
Era, il 20 aprile 1944 e, calata la sera, al Compound One, gli Ufficiali avevano cominciato a coricarsi.
C'era chi pregava e chi imprecava e chi taceva guardando una fotografia sfilata di soppiatto dal portafoglio consunto Era l'ora più temuta della giornata quella in cui il silenzio pian piano filtrando nelle baracche copriva ì discorsi e le parole. Più d'una guancia ruvida si rigava di lagrime a quell'ora e c'era chi divideva con il compagno vicino ricordi del tempo passato raccontando di un giorno in cui una fanciulla dagli occhi azzurri e dai capelli biondi...
A poco a poco le luci furono spente e il silenzio fu completo.
Rapide corse di luce sul campo addormentato: ronzio della ‑macchina armata in perlustrazione continua attorno al campo e. ululato di coyote.
Lontano lontano, a casa, il cannone rombava, Cassino. Cassino.
E nella notte stellata improvvise e alte le fiamme di una baracca incendiata.
Improvviso e alto l'aaaoon delle sirene.
Cominciava lo spettacolo….
Dal cancello dei Compound, nel medesimo istante in cui le. sirene presero a suonare, entrarono a passo di carica, ben armati di mazze, le solite mazze da base‑ball, quattro o cinquecento americani....
Le porte delle baracche furono spalancate e ai prigionieri, cani italiani, botte…botte... botte da orbi.
Qualcuno dei prigionieri aveva letto nei libri di Zane Gray e di altri autori di Western's di un certo “supplizio del corridoio” in uso presso i selvaggi indiani Comanchi. In quella notte del 21 aprile 1944,, settantacinque ufficiali, già gravemente feriti al capo nella vigliacca irruzione nelle baracche, dovettero sottostare al “supplizio del corridoio” improvvisato dai diretti discendenti di quei famosi indiani Comanchi.
Indiani Comanchi, perchè non erano altro che indiani Comanchi, quelli travestiti da soldati americani.
L'Amarillo Times e l'Amarillo Daily News di quei giorni riportarono qualcosa del grave incidente avvenuto, nel Pow Camp di Hereford.
Fu accertato dal Comando italiano del campo dei prigionieri non cooperatori, che l'incendio della baracca, alibi, giustificativo portato poi dal Comando americano, era stato provocato appositamente per dare modo di impartire la, lezione. Ed ancora più grave risultò la premeditazione da parte del detentore nel fatto che sin dal pomeriggio avanti l'ospedale era in allarme e che tutto era pronto per le medicazioni.
Fra i feriti di quella notte si ricordano i nomi del Capitano Cristofori, Tenente Ristagno, Tenente Florio, Tenente Azzalli: ma furono settantacinque. Può darsi che il Capitano del Genio Navale Salsa o il Tenente Busia dell'Istituto Luce conservino le fotografie fatte, in quella notte non certo dimenticabile, e che il Capitano Salomone nella raccolta di “Rassegna”, sia riuscito a portare in Patria i ritagli dei giornali.
***
Il 21 aprile 1944 a Monticello Camp nell'Arkansas apparve affisso a cura del Comando americano del campo, un manifesto, diretto principalmente agli ufficiali della IV Compagnia non cooperatori, in cui si minacciava la Cajenna a chi non avesse cooperato o firmato il cosiddetto “I Promise ”.
Lo stesso giorno fu fatta una domanda a tutti gli ufficiali della IV Compagnia:
“Are you, a fascist?”.
“Yes. I am fascist”.
“ Cajenna ”
Il 1 maggio quattrocento e venticinque ufficiali non cooperatori dei campi, di Como e di Monticello erano inquadrati nel viale centrale di quest'ultimo campo: destinazione: Hereford, Texas.
Il silenzio era assoluto. Il cielo era nuvoloso e gli alti alberi rendevano triste l'atmosfera.
Schierati presso. i reticolati dei campi prospicienti il viale d'uscita dai Compounds, i soldati, e i sottufficiali non cooperatori, perfettamente inquadrati per battaglione, rendevano il saluto a braccio teso e allorché la colonna di ufficiali prese a muovere, ruppe un canto. Il canto che in quei giorni voleva. dire molto dì più di' una fede politica perchè impersonava la difesa dell'onor militare, del passato militare e dell'avvenire militare della Patria.
E sul canto un grido alto che commosse e fece piangere:
- Evviva i nostri ufficiali
Furono momenti indimenticabili quelli e furono per molto tempo il conforto nella dura attesa.
‑ Evviva i nostri soldati!
I nostri soldati: tutti nel nostro cuore.
Nella notte nei pressi di un villaggio il trasporto si incrociò con un treno carico di tedeschi.Erano del P..A.K. Fu scambiato un, grido di saluto e fu cantato “ Camerata Richard”. I morti sepolti vicini vicini a Bled Boucha, a Sidi,Tabet e a Enfidaville, l'ultimo giorno. L'ultimo. giorno: prima dell'ammaina bandiera. L'ultima bandiera.
L'ultima bandiera: attorno tanti morti e tanto sangue giù Per le balze di, Enfidaville: un anno prima.
E il 10 maggio, del 1944, nel campo di Ruston nella Luisiana..., alta nel cielo era la bandiera americana.
‑ 10 maggio festa dell'esercito americano.
Tutte le forze americane pronte a sfilare sotto la bandiera.
Iniziò la sfilata delle truppe americane: la bandiera, Stars and Stripes, svettava gloriosa nel cielo: e dietro le truppe americane, Colonnello Bragantini in testa, sfilarono alcune centinaia di ufficiali italiani aderenti alla I.S.U.
Era il 10 maggio 1944... Solo un anno era passato. Le ferite ancora aperte, i corpi ancora caldi nelle fosse.
Dal cielo gli eroi italiani guardavano.
***
A Cisterna combatteva il “Barbarigo”.

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