martedì 11 settembre 2007

Testimonianza autografa di Domenica 12 settembre 1943


Da "il Bastone e la carota". B.M.


DOMENICA 12 SETTEMBRE 1943



Nelle prime ore del mattino del 12 una fitta nuvola­glia biancastra copriva le cime del Gran Sasso, ma fu tuttavia possibile avvertire il passaggio di alcuni veli­voli. Mussolini sentiva che la giornata sarebbe stata de­cisiva per la sua sorte. Verso mezzogiorno il sole stracciò le nubi e tutto il cielo apparve luminoso nella chiarità settembrina.
Erano esattamente le 14, e Mussolini stava con le braccia incrociate seduto davanti alla finestra aperta, quando un aliante si posò a cento metri di distanza dal­l'edificio. Ne uscirono quattro o cinque uomini in kaki i quali postarono rapidamente due mitragliatrici e poi avanzarono. Dopo pochi secondi altri alianti atterrarono nelle immediate vicinanze e gli uomini ripeterono la stessa manovra. Altri uomini scesero da altri alianti. Mussolini non pensò minimamente che si trattasse di Inglesi. Per prelevarlo e condurlo a Salerno non avevano bisogno di ricorrere a così rischiosa impresa. Fu dato l'allarme. Tutti i carabinieri, gli agenti si precipitarono con le armi in pugno fuori dal portone del rifugio, schie­randosi contro gli assalitori. Nel frattempo il capitano Faiola irruppe nella stanza del Duce intimandogli:
‑ Chiudete la finestra e non muovetevi!
Mussolini rimase invece alla finestra e vide che un altro più folto gruppo di Tedeschi, occupata la funivia, era salito e dal piazzale di arrivo marciava compatto e deciso verso l'albergo. Alla testa di questo gruppo era
Skorzeni. I carabinieri avevano già le armi in posizione di sparo, quando Mussolini scorse nel gruppo Skorzeni un ufficiale italiano, che poi ‑ giunto più vicino ‑ riconobbe per il generale Soleti del corpo dei metropolitani.

Allora Mussolini gridò, nel silenzio che stava per precedere di pochi secondi il fuoco:

‑ Che fate? Non vedete? C'è un generale italiano. Non sparate! Tutto è in ordine!

Alla vista del generale italiano che veniva avanti col gruppo tedesco le armi si abbassarono.

Le cose erano andate così. Il generale Soleti fu prelevato al mattino dal reparto Skorzeni, e non gli fu detto nulla circa il motivo e gli scopi. Gli fu tolta la pistola e partì per l'ignota destinazione. Quando nel momento dell'irruzione intuì di che si trattava ne fu lieto. Si dichiarò felice di avere contribuito alla liberazione di Mussolini e di avere forse, con la sua presenza, evitato un sanguinoso conflitto. Disse a Mussolini che non era consigliabile tornare immediatamente a Roma, dove c'era una « atmosfera di guerra civile » , diede qualche notizia sulla fuga del Governo e del re; venne ringraziato dal capitano Skorzeni e poichè il Soleti chiese che gli fosse riconsegnata la pistola il suo desiderio fu accolto, come l'altro di seguire Mussolini, dovunque fosse andato.

In tutta questa rapidissima successione di fatti, il Gueli non ebbe alcuna parte. Si fece vedere solo all'epilogo. Gli uomini di Skorzeni dopo essersi impadroniti delle mitragliatrici che erano state postate ai lati della porta d'ingresso del rifugio, salirono in gruppo nella stanza del Duce. Skorzeni, sudante e commosso, si mise sull'attenti e disse: « Il Fiihrer, che dopo la vostra cattura ha pensato per notti e notti al modo di liberarvi, mi ha dato questo incarico. Io ho seguito con infinite difficoltà giorno per giorno le vostre vicende e le vostre peregrinazioni. Oggi ho la grande gioia, liberandovi, di aver assolto nel modo migliore il compito che mi fu assegnato ».

Il Duce rispose: « Ero convinto sin dal principio che il Fuhrer mi avrebbe dato questa prova della sua amicizia. Lo ringrazio e con lui ringrazio voi, capitano Skorzeni, e i vostri camerati che hanno con voi osato».

Il colloquio si portò quindi su altri argomenti, mentre si raccoglievano le carte e le cose di Mussolini.

Al pianterreno carabinieri e agenti fraternizzavano coi Germanici, alcuni dei quali erano rimasti ‑ non gravemente ‑ feriti nell'atterraggio. Alle 15 tutto era pronto per la partenza. All'uscita, Mussolini salutò con effusione i camerati del gruppo Skorzeni e tutti insieme Italiani compresi ‑ si recarono in un sottostante breve pianoro dove un apparecchio « Cicogna » attendeva.

LA « CICOGNA » DECOLLA

Il capitano che lo pilotava si presentò; giovanissimo: Gerlach, un asso. Prima di salire sull'apparecchio, Mussolini si voltò a salutare il gruppo dei suoi sorveglianti: sembravano attoniti. Molti sinceramente commossi. Taluni anche con le lacrime agli occhi.

Lo spazio dal quale la « Cicogna » doveva partire era veramente esiguo. Allora fu arretrata per guadagnare qualche metro. A1 termine del pianoro vi era un salto abbastanza profondo. Il pilota prese posto sull'apparecchio; dietro lui Skorzeni e quindi Mussolini. Erano le 15. La « Cicogna » si mise in moto. Rullò un poco. Percorse rapidamente lo spazio sassoso e giunto a un metro dal burrone, con uno strappo violento del timone, spiccò il volo. Ancora qualche grido. Braccia che si agitavano e poi il silenzio dell'alta atmosfera. Dopo pochi minuti, L'Aquila e, trascorsa un'ora, la « Cicogna » planava tranquillamente all'aeroporto di Pratica di Mare. Quivi un grande trimotore era già pronto. Mussolini vi salì. Il volo aveva per mèta Vienna, dove si giunse a notte avanzata. Qualcuno attendeva all'aeroporto. Di lì al « Continentale » per una notte. All'indomani, verso mezzogiorno, nuovo volo sino a Monaco di Baviera.

Il mattino dopo al Quartier Generale del Fiihrer l'accoglienza fu semplicemente fraterna.

La liberazione di Mussolini ad opera di « arditi » tedeschi suscitò in Germania un'ondata di grande entusiasmo. Si può dire che l'evento fu festeggiato in ogni casa. La radio preparò, con ripetute emissioni gli ascoltatori a una notizia straordinaria e non si ebbe delusione alcuna quando la notizia, verso le 22, fu conosciuta. Tutti la considerarono come un avvenimento eccezionale.

Furono mandati a Mussolini centinaia di telegrammi, lettere, poesie, da ogni parte del Reich. Non ebbe l'evento una ripercussione analoga in Italia. Erano quelli i giorni del caos, della distruzione, del saccheggio, della degradazione. La notizia fu quindi accolta come una ingrata sorpresa, con fastidio e con rancore. E si cominciò col negarla: si diffuse la voce che si trattava di una com­media, che Mussolini era già morto, consegnato agli Inglesi, che il discorso di Monaco era stato pronunciato da un sosia. Questa voce continuò a circolare anche molti mesi dopo, elemento indicativo di un desiderio.

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