venerdì 13 luglio 2007

QUEL PRIMO LANCIO


Dal Secolo d’Italia

L’8 agosto del 1918 ebbe luogo la missione che inaugurò, in Italia l’epopea dei fanti dell’aria



QUEL PRIMO LANCIO


L’epopea del paracadutismo militare o cominciò, come spesso accade nelle particolari vicende della storia degli eserciti, quasi per caso.
Il fatto d'arme è stato ricordato a1raduno a Vittorio Veneto sabato 26 settembre 1998


MASSIMILIANO MAZZANTI



NON SEMBRAVA una serata fortunata, quella del 9 agosto 1918, nelle retrovie del fronte del Piave. Una pioggia insistente. a dispetto della stagione estiva. perturbava il cielo rendendo difficile l’ipotesi di realizzare una particolarissima missione di volo.
Eppure, a dispetto delle condizioni atmosferiche, i servizi informazione dell’VIII armata vollero comunque tentare la sorte, effettuando il primo lancio di guerra della storia del paracadutismo militare italiano.
E a questo ormai leggendario episodio della fine della prima guerra mondiale, nell’ottantesimo anniversario del successo delle armi italiane che l’associazione paracadutisti d’Italia ha dedicherà il suo ventesimo raduno nazionale, che si apre oggi a Vittorio Veneto e si concluderà domani.
Il tradizionale appuntamento ‑ con la sfilata delle delegazioni provinciali dei «parà» in congedo, con la parata dei reparti
in armi della «Folgore» e con gli spettacolari aviolanci vedrà il suo momento più significativo nella giornata odierna, quando verrà scoperta una lapide in memoria dell’eroe di quel 9 agosto di ottant’anni addietro, il tenente Alessandro Tandura, nativo di Vittorio Veneto.
L’epopea del paracadutismo militare italiano cominciò, come spesso accade negli eserciti, quasi per caso. Prodotti dagli inglesi all'aviazione italiana vennero consegnati un certo numero in verità alquanto scarso, di paracadute «Calthrop», al fine di consentire ai piloti di salvarsi nell'eventualità dell'abbattimento da parte del nemico.
Lo scarso numero dei «Calthrop», però, unito alla «tradizione marinaresca» degli aviatori della prima guerra mondiale (decisi a seguire fino in fondo la sorte del mezzo a loro affidato), fece sì che dell'ipotesi di consegnarli a una squadriglia non se ne facesse nulla. E i paracadute, cosi, finirono nella disponibilità del servizio informazioni dell'VIII armata, comandata dal colonnello Dupont.
Dupont non perse tempo: coadiuvato dal maggiore Barker e dal tenente Wedwood Benn entrambi in forza al 66° Special Air Squadron del Royal Flying Corps ‑ addestrò al temerario lancio. nel campo di Villaverla, vicino a Vicenza, quattro giovani ufficiali italiani - tenenti Alessandro Tandura, Antonio Pavan, Pier Arrigo Barnaba e Ferruccio Nicoloso al fine dì farli penetrare oltre le linee nemiche per portare a termine missioni di spionaggio.
Un aereo scelto per la prima missione, quella del 9 agosto, fu un Savoia Pomilio 2, l'ufficiale appunto Alessandro Tandura. La tecnica di lancio non era certo delle più rassicuranti. Agganciato un seggiolino ribaltabile nella parte posteriore del, velivolo, questo, per mezzo di un cavo d'acciaio azionabile con una leva posta a prua dell'aereo manovrata dall’osservatore, veniva «sganciato» per permettere l’eiezione del paracadutista. Il «parà», costretto a volare coi piedi penzoloni, praticamente all'esterno dei veicolo, era «imbragato» al paracadute che, però, si trovava materialmente assicurato nella «pancia» dell'aereo, nella speciale calotta di alluminio che lo conteneva. L’altitudine programmata per il lancio fu di 2.500 metri.
Secondo i piani, il primo lancio avrebbe, dovuto portare lo speciale incursore nei prati di Sarmede, Vicino a Vittorio Veneto, ma, in realtà, quando Tandura atterrò ‑ questo ufficiale fu scelto anche In considerazione‑ della sua familiarità con la zona che avrebbe dovuto esplorare ‑ si accorse di essere nei pressi di Antano, una località ancor più vicina a Vittorio Veneto rispetto a quella programmata.
Tandura riuscì, malgrado il freddo che aveva dovuto sopportare e la pesante «botta» ricevuta a causa dell'impatto piuttosto brusco, a compiere tutte le operazioni, anche se gli occorse tutta la notte per seppellire il «Calthrop», affinché nessuno potesse stabilire come fosse giunto lì.
Gli ordini di Tandura erano chiari: travestirsi da contadino mischiarsi alla popolazione rurale di quella campagna e trasmettere ‑ per mezzo dei colombi viaggiatori che gli erano stati affidati ‑ informazioni sullo schieramento austro‑ungarico per poi rientrare nelle linee italiane dalle foci del fiume Tagliamento, (all'altezza dell'Hotel Baglioní) oppure in caso di impossibilità, attraversando il Piave tra le località di Vidor e Grave di Ciano.
Il giovane tenente andò ben oltre: aiutato dalla sorella Emma e dalla fidanzata Emma Petterle, portò a buon fine malgrado due arresti e due rocambolesche fughe che gli risparmiarono un triste epilogo da prigioniero in Serbia ‑ anche diverse azioni di sabotaggio che gli valsero la medaglia d'oro al valor militare, Inoltre, l'Esercito ritenne doveroso premiare anche il valore delle due giovani donne che aiutarono Tandura nella sua missione, decorandole di medaglia d'argento.
E i paracadutisti, oggi, non celebreranno solo la medaglia d'oro, l'eroe di guerra, ma anche e soprattutto il «padre» della loro disciplina, il «punto di partenza» di quel lungo «filo amaranto» che per ottant'anni ha significato in Italia senso dei dovere, spirito di sacrificio, combattimento e gloria: da Vittorio Veneto a El Alamein, da Anzio fino alle recenti sabbie della Somalia o alle montagne della ex‑Jugoslavia.

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