venerdì 13 luglio 2007

IN GUERRA LA PRIMA VOLTA


Dal Secolo d’Italia

STORIA DEL PARACADUTISMO

Vari tipi di “ombrelli di seta”vennero collaudati dalle opposte aviazioni, non solo come mezzo di salvataggio ma anche per il trasporto di informatori. Con la fine del conflitto il paracadutismo all’estero diventò uno, sport do moda. In Italia un geniale inventore,Alfredo Ereno, realizzò ma senza fortuna un modello Particolarmente evoluto


IN GUERRA LA PRIMA VOLTA

Nel 1918 tre ufficiali italiani si lanciarono in territorio nemico
ALDO GIORLEO


NEL 1914 scoppia la prima guerra mondiale. E’il momento dei paracadute: le opposte aviazioni si scontrano nei cieli lungo i fronti di battaglia e ciascuno dei belligeranti cerca di fornire ai propri piloti questo strumento di salvataggio.
I francesi sperimentarono dapprima un paracadute con apertura a molle, l'Hérviène, che si dimostrò poco pratico, quindi realizzarono un altro modello, il Dangy, rivelatosi anch’esso poco funzionale, e alla fine si risolsero ad adottare il paracadute inglese Calthrop, di forma tronco‑conica, che veniva fissato all’esterno del velivolo ed era collegato al corpo dei pilota mediante una lunga fune. Austriaci e tedeschi, dal canto loro, affidarono la sorte dei piloti a un paracadute, molto ben riuscito, lo Schmittner.
A partire dal 1916 tutti i piloti di questi quattro paesi ebbero in dotazione il paracadute. Il primo a usarlo fu un ufficiale germanico, il tenente Kurt Wieczorec, che il 13 marzo si lanciò da un pallone frenato nel cielo di Reims. Si trattò d'un esperimento, ma qualche mese dopo il paracadute salvò per la prima volta la vita a un pilota, il sottotenente francese Levasseur; il cui aereo si era incendiato in volo. Sempre in quell'anno, poiché il Calthrop si era dimostrato troppo ingombrante, in Francia venne sperimentato un paracadute progettato dal costruttore Bonnel Purtroppo le prove si conclusero in maniera tragica: i collaudatori Calderon e Spiess morirono a causa dell'eccessiva velocità di discesa. Tuttavia in seguito, con le modifiche apportatevi da Mortane, il Bonnet si rivelò un buon paracadute, felicemente collaudato da Juchmes, Letourner e Duclos.
Quanto agli italiani; fu soltanto nel 1917 che ebbero in consegna dagli inglesi un certo numero di Calthrop, ribattezzati Angel Guardian. Ma i nostri piloti espressero alquanto scetticismo verso l'ombrello di seta, quasi che, portandolo in volo, risultasse menomata la loro capacità di “cavalieri del cielo”. Cosicché a esserne equipaggiati furono gli osservatori dei Genio Aerostieri, i cui palloni frenati rischiavano di essere colpiti e incendiati dai velivoli nemici. Un giorno, uno di questi osservatori, il tenente Hardouin duca di Gallese, volle provare il paracadute e si buttò dal pallone che dondolava a 1.200 metri d'altezza. Quando toccò felicemente terra, ebbe una punizione per indisciplina e un encomio solenne per la dimostrazione di coraggio.
Intanto il paracadute veniva preso in considerazione non solo come mezzo di salvataggio, ma anche come mezzo di trasporto da usare nelle missioni di informatori, missioni portate a termine dai francesi Vedrines, Evrard e Tabuteau, lanciati in territorio controllato dal nemico, e dai tedeschi von Kossel e Windisch, calati dietro le linee russe. E gli italiani, in questo campo, non furono da meno. Nella tarda estate dei 1918 si palesò la necessità di appurare l'effettiva consistenza di alcuni reparti austriaci che fronteggiavano il settore della nostra VIII Armata. Vennero chiesti dei volontari e quattro ufficiali, i tenenti Alessandro Tandura. Ferruccio Nicoloso, Pier Arrigo Barnaba e Antonio Pavan, si misero a disposizione del Servizio informazioni dell'Armata, retto dal colonnello Dupont. I quattro vennero brevemente istruiti.
Il primo a essere impiegato fui, Il 9 agosto, il tenente Tandura, nativo di Vittorio Veneto. L’aereo era un bimotore da ricognizione Savoia Pomilio S.P2, nella parte posteriore del quale era stato ricavato un sedile ribaltabile per mezzo di una leva che veniva manovrata dal pilota o dall'osservatore, posti a prua del velivolo. Il paracadutista era perciò costretto a viaggiare con i piedi penzoloni nel vuoto e con la schiena rivolta alla direzione del volo, in attesa che il suo sedile venisse ribaltato ed egli iniziasse la caduta. Il paracadute, racchiuso in un involucro sistemato sotto la fusoliera e collegato per mezzo d'una fune al cinturone del paracadutista, si sarebbe aperto a causa della trazione.
Tandura, che portava con sé abiti da contadino per camuffarsi, alcune gabbiette con piccioni viaggiatori per trasmettere i messaggi un cifrario, una pistola e un pugnale, riuscì a fornire ai nostri comandi ‑ grazie anche all'aiuto della sorella e della fidanzata preziose informazioni sulla consistenza dei reparti austriaci. Catturato dagli austriaci fuggi rientrando alla fine nelle nostre linee non senza aver prima compiuto ardite azioni di sabotaggio guadagnandosi la Medaglia d'oro al Valor Militare.
Dopo Tandura, toccò a Nicoloso d'essere lanciato, la notte del23 ottobre, in vista della nostra offensiva finale; Purtroppo Nicoloso atterrò fuori della zona prevista, quella di Osoppo‑San. Daniele‑Codroipo, ragion per cui la notte successiva veniva lanciato il tenente Barnaba, il quale portò felicemente a compimento la missione. Fu anchegli decorato di Medaglia d'Oro, mentre a Nicoloso venne concesso l'ordine militare di Savoia. Quanto al quarto volontario, il tenente Pavan, egli fu trasportato al di là delle linee austriache con un aereo Voisin pilotato dal capitano Gelmetti che riuscì ad atterrare nei pressi di Salice. Piccoli aerei o idrovolanti furono in seguito impiegati per il trasporto di altri coraggiosi informatori.
Con la fine della guerra, di paracadutismo si parlò poco in Italia, mentre all'estero era diventato uno de gli sport di moda Francia, Inghilterra, Germania e Stati Uniti erano i paesi in cui si succedevano progetti e sperimentazioni fiorivano le novità tecniche in un clima di vasta concorrenza. S'imposero in quegli an ni sul mercato mondiale i paracadute francesi come il Tinsonnier, il Robert, il Blanquier, il Cornier, il Galhé, il Providence, Rerazur, Il Vinaj, l’Aviorex In In ghilterra il capitano Meuirs, progettò un paracadute che portava il suo nome; ma c’erano, oltre al Calth­ top, altri tipi come l'Holt, denominato Autocaduta, l'Harnaisuit, il Pak costruito su progetto cecoslovac co. In Germania furoreggiava Heinecke, seguito dal lo Schroeder, dal Muller, dal Defag dal Kostelesky, dal Robur, dallo Schmittner‑Ks, dal Koincke, mentre negli Stati Uniti si fabbricavano gli Irving, gli Jahn, gli Scott, gli Sperry, gli Smith, gli Swidik, i Martin, i Russel e lo strano Triangle Paraclitite. Esistevano in fine due ottimi paracadute, uno russo, il Kotelnikov, e un o svedese, lAaoul ThornbIad.
Nell`Italia, degli anni'20 non si fabbricavano paracadute, perché questo sport non aveva attecchito, ma l'ingegnosità nostrana non stava certo a dormire. Un ufficiale dei Genio, Usuelli, realizzò un paracadute per aerostieri molto simile all’Angel Guardian, mentre il generale Umberto Nobile, quello della sfortunata impresa del Norge al Polo, ideò un paracadute individuale per dirigibili e aerostati, un paracadute collettivo e, infine, un paracadute individuale per piloti d aeroplano. Di questi tre tipi di paracadute solo il primo fu largamente impiegato dal Genio Aerostieri. La novità consisteva nel fatto che l'aria, anziché dal foro apicale, penetrava nella calotta da una serie di fori, Il paracadute per aeroplani, che venne sperimentato positivamente con la zavorra, differiva dagli altri perché aveva una piccola calotta secondaria che, aprendosi per prima. attenuava lo strappo dell’aria, si trattava di un paracadute dorsale, con apertura automatica mediante una une di canapa lunga due metri e resistente a una trazione di 300 chili agganciata da un lato all'imbracatura del paracadutista, dall'altro alla carlinga dell'aereo. La calotta più piccola era posta a metà distanza tra quella principale e l'imbracatura del paracadutista. Le calotte erano provviste rispettivamente di quattro e otto anelli di alluminio, agganciati ai bordi che ne assicuravano l’apertura quando esse erano investite dall'aria.
Nello stesso periodo un altro italiano, Alfredo Ereno, un geniale inventore autodidatta, si dedicò allo studio di un mezzo di salvataggio aereo. Giovanissimo, Ereno aveva partecipato alla guerra prima negli alpini quindi nel Battaglione Aviatori. Smobilitato, aveva continuato a interessarsi d'aviazione e insieme con i piloti Mario D'Urso e Renato Donati aveva costituito a Roma una società avente lo scopo di “propagandare nel mondo l'arte del volo”. D'Urso e Donati dovevano esibirsi alla guida di aerei lui in discese con il paracadute. La società fu costretta a sciogliersi poco dopo a causa della tragica morte di D'Urso, precipitato con il suo aereo, ma Ereno non abbandonò l'idea di dedicarsi al paracadutismo. Anzi, dopo aver appreso come lo svedese Harry Larsen si era schiantato al suolo a Torino per la mancata apertura della velatura, decise di costruire un paracadute che offrisse la massima garanzia di sicurezza. Mise a punto una serie di progetti e, per acquisire maggiore esperienza, si recò in Germania, dove esegui vari lanci con Heinecke, proseguendo nel frattempo lo studio del suo mezzo di salvataggio. Dopo aver superato non poche difficoltà, riusci a costruire un paracadute completamente indipendente dall'aereo, cioè con custodia dorsale e apertura comandata manualmente. In più, questo paracadute (con il quale, l'8 luglio dei 1923, in un lancio a Ponte San Pietro, in provincia di Bergamo, riusci a battere il record di minima altezza: appena 87 metri) aveva due caratteristiche fondamentali: la calotta rovesciabile (come più tardi il Lisi), che permetteva di aumentare la velocità di discesa, e il fascio funicolare diviso in due gruppi collegati alle bretelle dell'imbracatura all'altezza delle spalle dei paracadutista, il che consentiva una discesa manovrata, quasi come avviene con i paracadute odierni.
Per dimostrare l’utilità del sistema di guida, Ereno, a poco più d'un mese dell'esibizione di Ponte San Pietro, si lanciò sulla cittadina di San Pellegrino dall'altezza di 300 metri e, agendo sulle bretelle, riusci a evitare la linea ad alta tensione e ad allontanarsi dal fiume Brembo e dai caseggiati per prendere terra sulla collina.
L’anno successivo Ereno perfezionò il suo paracadute e si mise alla ricerca di chi potesse sostenerlo finanziariamente. La sua ingegnosità non ebbe fortuna: dopo varie disillusioni, il coraggioso pioniere, che la stampa definiva “un giovane dall'aspetto signorile, di modi cortesissimi, elegante, quasi un po' timido, dotato di un sangue freddo da Muzio Scevola”, fini con l'arrendersi: raccolse i disegni della sua invenzione e ne fece dono al governo, ricevendone solo un ringraziamento. Nel 1948 emigrò nel Sud America, dove continuò a interessarsi di problemi aeronautici.

Nessun commento:

Posta un commento