giovedì 5 luglio 2007

Da Rivista Aeronautica IL COMPORTAMENTO DELLE TRUPPE ITALIANE SUL FRONTE ORIENTALE (1941-1943)


............................... approfondimento


IL COMPORTAMENTO DELLE TRUPPE ITALIANE SUL FRONTE ORIENTALE (1941-1943)

di Filippo Cappellano

Il tema del comportamento delle truppe italiane sul fronte russo, già al centro di un'infuocata polemica nell'immediato dopoguerra (1), è tornato d'attualità nell'ambito del dibattito sui presunti crimini di guerra italiani che, a partire dal 2003, ha animato il panorama storico‑culturale nazionale, soprattutto in riferi­mento al teatro dei Balcani (2).

II fronte orientale vide livelli di ferocia e di spietatezza ineguagliati e senza precedenti, con i due principali contendenti impegnati in una guerra di annien­tamento, senza alcun riguardo per le convenzioni internazionali, che coinvolse

(1) La polemica, sorta a motivo del mancato rientro dalla prigionia della grande maggioranza dei militari italiani catturati dall'Armata Rossa, contrappose soprattutto il comandante del Corpo di Spedizione Italiano in Russia, maresciallo d'Italia Giovanni Messe, e i partiti di sinistra che, sposando le tesi di Mosca, facevano risalire le cause della morte dei prigionieri alla totale mancanza di predisposizioni adeguate da parte dei comandi italiani, esclu­dendo, o comunque fortemente ridimensionando, qualunque responsabilità da parte sovietica. In questo contesto il 22 settembre 1946 i deputati comunisti Togliatti e Terracini presentarono alla Camera un'interrogazione in cui chiedevano provvedimenti nei confronti di Messe in quanto «uno dei responsabili principali della morte di decine di migliaia di giovani, ufficiali e soldati italiani, da lui stesso, in qualità di mercenario di Hitler, portati a combattere in Russia, in una campagna che egli, come capo militare, doveva sapere che anche solo per l'equipaggiamento assolutamente inadeguato delle truppe, non poteva concludersi altro che con un'ecatombe dei nostri connazionali». Messe era il solo ufficiale di alto rango che, in virtù dei suoi trascorsi, nonché in ragione del fatto di aver comandato le Forze Armate nella guerra di liberazione aveva l'autorità morale per tener testa a esponenti di par­titi che avevano fatto parte del Comitato di Liberazione Nazionale. L'interrogazione non sortì alcun effetto, anche perché ritirata dai proponenti, ma la sorte dei prigionieri italiani in Russia continuò ad avvelenare il clima politico italiano per diversi anni. Nella polemica intervenne anche la Pravda, organo ufficiale del PCUS, che nel luglio 1948 accusò i soldati italiani di essere stati «dei saccheggiatori, degli stupratori e degli assassini», e ancora nel marzo 1949 il PCI diede vita al "Comitato Nazionale d'iniziativa per l'inchiesta sull'ARMIR", istituito in contrapposizione alla già esistente "Unione Nazionale Italiana fra Reduci di Russia", di tendenze di destra. L'obiettivo dichiarato del Comitato era quello di indagare, dopo che il Governo aveva rifiutato di istituire una commissione d'inchiesta, sulle responsabilità della tragedia dell'ARMIR, partendo dalla tesi preconcetta che la quasi totalità dei dispersi fosse stata uccisa in combattimento o dall'inverno russo, a causa del deficiente equipaggiamento (AUSSME, fondo L‑13, car­teggio Messe).
(2) Cfr. M. Battini, Peccati della memoria. La mancata Norimberga italiana, Laterza, Bari, 2003; D. Rodono, Il nuovo ordine mediterraneo, Bollati Boringhieri, Torino, 2003; B. Mantelli (a cura di), "L'Italia fascista come potenza occu­pante: lo scacchiere balcanico", in Qualestoria n. 1 giugno 2003; C. S. Capogreco, I campi del Duce, Einaudi, Tori­no, 2004; C. Di Sante (a cura di), Italiani senza onore. 1 crimini di guerra in Iugoslavia e i processi negati (1941­1945), Ombre corte, Verona, 2005; F. Focardi, "I mancati processi di criminali di guerra italiani", in Giudicare e punire, L. Baldissara e P. Pezzino (a cura di), L'Ancora del Mediterraneo, Napoli, 2005; Crimini e memorie di guer­ra, L. Baldissara e P. Pezzino (a cura di), L'Ancora del Mediterraneo, Napoli, 2004.

pesantemente le popolazioni civili (3). Fu un conflitto combattuto senza quartie­re, quale avrebbe potuto essere solo lo scontro fortemente connotato dal punto di vista ideologico tra due sanguinarie dittature, pronte a far leva sul sentimen­to patriottico dei rispettivi popoli e sul richiamo ad atavici motivi di contrasto, nonché, almeno da parte tedesca, su considerazioni di ordine razziale (4).
Fin dalle prime fasi, le operazioni militari furono contrassegnate da scontri ad alta intensità nei quali, al superiore addestramento e alla maggiore capacità di manovra dell'avversario, l'Armata Rossa oppose una strenua volontà di resisten­za, battendosi senza tenere in alcun conto le perdite. Obbligati a cedere un'am­pia porzione del loro territorio dopo le pesanti sconfitte patite nell'estate e nel­l'autunno del 1941, i sovietici ricorsero alla tecnica della "terra bruciata", distruggendo sistematicamente nel corso del ripiegamento ogni infrastruttura della rete viaria, ogni manufatto legato alla produzione industriale, ogni fonte di approvvigionamento alimentare.
Se da un lato ciò acuì i problemi logistici della Wehrmacht, dall'altro contribuì a ridurre alla fame le popolazioni civili, costrette anche a subire gli espropri e le massicce requisizioni di un occupante impegnato a sfruttare al massimo le resi­due risorse economiche dei territori invasi.
Per quanto riguarda i prigionieri, entrambi i contendenti riservavano al nemi­co che si arrendeva un trattamento che, quando non contemplava l'esecuzione immediata sul luogo della cattura, si traduceva nello sfruttamento forzoso come manodopera, con orari di lavoro massacranti e condizioni di vita bestiali. II governo sovietico del resto non aveva ratificato le convenzioni di Ginevra del

(3) Cfr. Bartov 0., Fronte orientale. Le truppe tedesche e l'imbarbarimento della guerra (1941‑1945), II Mulino, Bologna, 2004; Overy R., Russia in guerra. 1941‑1945, II Saggiatore, Milano, 2000; Schreiber G, La seconda guer­ra mondiale, II Mulino, Bologna, 2004; J. Bourke, La seconda guerra mondiale, II Mulino, Bologna, 2005. Questi autori hanno accusato l'esercito regolare tedesco di essersi reso responsabile, al pari delle formazioni speciali delle SS e della Gestapo, della morte di milioni di civili e prigionieri sovietici. In merito al dibattito storiografico tedesco sul tema della guerra di sterminio condotta dalla Germania nazista nei territori dell'Unione Sovietica tra il 1941 e il 1945 si veda in particolare, L. Klinkhammer, "La guerra nazionalsocialista nella storiografia della Repubblica fede­rale tedesca", Mondo contemporaneo, n. 2/2005.
(4) II 30 marzo 1941 Adolf Hitler si espresse chiaramente in tal senso affermando che: «la guerra contro la Rus­sia sarà tale da non poter essere condotta in maniera cavalleresca; è uno scontro di ideologie e di differenze raz­ziali e dovrà essere condotta con una durezza senza precedenti, impietosa e inesorabile [...]. I soldati tedeschi che infrangeranno le leggi internazionali [...] saranno giustificati. La Russia non ha preso parte alla Conferenza dell A­]a e pertanto non gode al riguardo di alcun diritto» (J. Bourke, op. cit., p. 93). In linea con questa impostazione alla vigilia dell'invasione un apposito decreto «sulla giurisdizione delle corti marziali nel territorio dell'operazione "earbarossa" e i provvedimenti speciali per le truppe>, stabilì la non obbligatorietà dell'azione penale per reati commessi dalle truppe ai danni di civili nemici. Tali direttive, finalizzate a una guerra senza regole, furono tra i fat­tori determinanti per l'imbarbarimento della guerra sul fronte orientale, un fenomeno che interessò non solo le SS o le unità speciali del servizio di sicurezza ma anche la Wehrmacht (G. Schreiber, La seconda guerra mondiale, op. cit., p. 66). Stalin di contro, nell'appello al popolo sovietico del 3 luglio 1941, lo incitò a combattere senza pietà gli invasori. Lo sterminio dell'avversario venne così a essere il motivo dominante della propaganda sovietica, diret­ta da Elia Ehremburg, che si esprimeva in questi termini: «con i tedeschi non si discute, i tedeschi si uccidono»; <,nessun soldato tedesco dovrà rivedere la propria patria» (G. Messe, La guerra al fronte russo. 11 Corpo di Spedi­zione Italiano (CSIR), Rizzoli, Milano, 1964).

1929 sul trattamento dei prigionieri di guerra, e in linea con questo atteggia­mento nell'agosto 1941 arrivò a dichiarare, in via riservata sui canali diplomati­ci, di non ritenersi più vincolato agli accordi internazionali circa il divieto di usare aggressivi chimici e l'assistenza da prestarsi a feriti e ammalati degli altri eser­citi in guerra (5). Sebbene questa dichiarazione fosse subito ritrattata, nella realtà, almeno per quanto riguarda il secondo aspetto, il trattamento inflitto ai prigionieri non rimase ben lontano dagli standard comportamentali previsti, e questo non solo in relazione a feriti e ammalati, al punto che, stando alla memo­rialistica, nei campi di concentramento si registrarono anche casi di antropofa­gia (6). Altrettanto, se non più duro, l'atteggiamento tedesco che, a onta di un'adesione formale alla lettera delle convenzioni internazionali, sul fronte orientale era guidato dalle cosiddette "istruzioni speciali", finalizzate a una guer­ra di sterminio che ebbe una delle sue manifestazioni più eclatanti nell'ordine che stabiliva la fucilazione dei commissari politici al momento della cattura (7). Nei campi di concentramento ufficiali e soldati vivevano frammisti, quasi senza assistenza sanitaria, con un'alimentazione largamente insufficiente, sottoposti a continue vessazioni e ad un ritmo di lavoro massacrante (8).

Per quanto inizialmente impreparati, i sovietici non tardarono ad attivare la guerra partigiana nelle retrovie dell'avversario, reclutando agenti informatori e sabotatori anche tra donne e ragazzi e infiltrando nelle linee nemiche reparti di truppe speciali in abiti borghesi per compiere attentati e organizzare la resi­stenza (9). A questi sistemi di lotta non convenzionale i tedeschi risposero con metodi brutali, ricorrendo su larga scala a rappresaglie contro i civili e all'uso

(5) AUSSME, fondo N‑1/11. Telegramma cifrato n. 21357/Op. in data 12 agosto 1941 orario 17.25 del Comando Supremo inviato al comando CSIR a firma del gen. Ugo Cavallero. La comunicazione del Commissariato degli Este­ri sovietico, datata 8 agosto, fu peraltro smentita ufficialmente il giorno seguente. II Comando Supremo italiano sottolineò nell'occasione il comportamento ambiguo e contraddittorio di Mosca in tema di diritto di guerra (AUS­SME, fondo N‑1/11, diario storico Servizio Informazioni Militare, "Riassunto novità politiche ‑ URSS", in data 15 agosto 1941).

(6) Tale aberrante fenomeno si registrò in almeno quattro campi di prigionia russi in cui erano rinchiusi anche mili­tari italiani (M. T. Giusti, "La memorialistica sulla prigionia in Russia", in Annali n. 9/10/11 ‑ 2001/2003, Museo storico Italiano della Guerra, p. 22). Si calcola che dei 108.000 prigionieri tedeschi fatti a Stalingrado; dopo la resa della 6' Armata del gen. Paulus, almeno 50.000 morirono di fame e di freddo nel giro di un mese (J. Bourke, op. cit. p. 97).
(7) Cfr. G. Schreiber, op. cit. p. 66.
(8) In totale morirono 3.300.000 prigionieri russi, su un totale di 5.700.000, pari a circa il 60% (J. Bourke, op. cit. p. 95).
(9) AUSSME, fondo N‑1/11, diario storico CSIR. La "Situazione descrittiva avversaria alla data del 1° aprile 1942" stilata dall'Ufficio Informazioni del CSIR segnala che: «II nemico, nei mesi scorsi, ha fatto continuamente affluire nel territorio occupato dalle truppe del CSIR numerosi informatori, per la massima parte donne e ragazzi. In segui­to al mancato ritorno di detti elementi ‑ quasi tutti da noi catturati ‑ il nemico ha cambiato itinerario d'affluenza e ha inviato informatori in numero notevolmente minore che nel passato, preferendo la qualità alla quantità. Infat­ti, gli ultimi catturati sono in maggioranza uomini sui trent'anni, scaltri, addestrati, decisi a essere nel contempo informatori e partigiani. Alcuni di essi vengono inviati alle nostre linee in divisa militare; se riescono a eludere la vigilanza cambiano le uniformi con abiti civili, se sono catturati si dichiarano disertori». Le prime notizie sull'orga­nizzazione di formazioni partigiane fornite al Comando del CSIR dal servizio informazioni tedesco risalivano all'a­gosto 1941 (AUSSME, fondo N‑1/11, diario storico CSIR).
indiscriminato di ostaggi (10). Così riportava una direttiva sull'amministrazione e sulla sicurezza dei territori occupati, emanata nell'agosto 1941 dal Comando dell'11a Armata tedesca, da cui inizialmente dipendeva il CSIR (11): «La resi­stenza passiva o attiva della popolazione civile deve essere soffocata sul nasce­re con misure severissime. Nei confronti degli elementi ostili ai tedeschi, rome­ni e italiani, bisogna contrapporre un comportamento preventivo sicuro e senza pregiudizi. II punto di vista dominante per ogni azione è la sicurezza assoluta del soldato tedesco, romeno e italiano!». Allo stesso modo un bando tedesco del giugno 1942, parimenti trasmesso al CSIR, prevedeva un'indiscriminata rappre­saglia nell'eventualità di azioni di sabotaggio alle linee ferroviarie, azioni che si facevano sempre più frequenti: «Ogni singola località abitata situata lungo la linea delle ferrovie risponde in massa con tutti i suoi abitanti delle linee e dei ponti della propria zona e in caso di atti di sabotaggio per i quali non fosse pos­sibile trovare i colpevoli le forze armate agiranno contro i comuni responsabili e le persone colpendoli severamente». Di tutto ciò l'Armata Rossa si sarebbe ampiamente vendicata, nella sua avanzata verso occidente tra il 1944 e il 1945, e una volta raggiunti i confini della Germania l'arrivo delle sue avanguardie sarebbe stato preceduto dalla fuga in massa della popolazione, in cerca di scam­po da quella che si presentava come un'orda assetata di vendetta (12).
L'immane massacro che si andava compiendo sul fronte orientale venne a conoscenza dei vertici militari italiani già nell'estate 1941, quando la Missione Militare Italiana a Berlino riferì al Comando Supremo di un colloquio riservato avuto con un alto esponente del servizio informazioni tedesco. II rapporto ripor­tava le spaventose perdite subite fino ad allora dai due contendenti, non meno di 600.000 uomini tra morti, feriti e dispersi per i tedeschi, e oltre 4 milioni per i sovietici, e indicava chiaramente quale fosse il trattamento riservato ai prigio­nieri, puntualizzando come il mutamento verificatosi nel frattempo fosse dovuto a motivi di opportunità e non certo a ragioni umanitarie: «Le cifre delle perdite russe date dall'OKW (Alto Comando dell'Esercito, nda) ‑ 5 milioni ‑ sono leg­germente superiori alla realtà, perché includono molti lavoratori; tuttavia non sono certo inferiori ai 4 milioni. Riconosciuto l'errore iniziale, i prigionieri russi non vengono più fucilati e si pensa convenga meglio impiegarli come mano d'o­pera» (13).

L'anno dopo una relazione del Comando Supremo conferma come fosse ormai ben chiara la natura del conflitto, richiamando anche l'opinione di osservatori neutrali per precisare la natura ideologica di un conflitto che si presentava come una guerra di annientamento, tra due regimi che si battevano per la sopravvi­venza senza esclusione di colpi, avendo molte delle caratteristiche più atroci delle guerre di religione (14): «La campagna invernale ‑ (1941‑1942, nda) ‑ ha confermato e messo ancor più in evidenza le caratteristiche di questa guerra che non soltanto è totale ma è anche una guerra di annientamento. Germania e Unione Sovietica combattono per la loro esistenza e perciò hanno impresso alla lotta un carattere di distruzione e di ferocia, quale da molti secoli non si verifi­cava nelle guerre europee. L'uccisione di prigionieri in massa, i provvedimenti di rigore presi da entrambe le parti contro le popolazioni, le distruzioni, costitui­scono un aspetto caratteristico di questa lotta, come già messo in rilievo nel noto articolo del critico militare svizzero, col. Danicker. Egli ha detto: "Si tratta di una vera e propria guerra di annientamento nel senso antico, la quale tocca la sostanza stessa di tutto un popolo. Nelle altre campagne si è trattato piutto­sto di un giuoco a scacchi. Chi era accerchiato ha capitolato. Ora invece la lotta viene condotta al coltello. La strategia russa ‑ nella quale affiorano naturalmen­te concezioni asiatiche ‑ porta in campo anche le donne e gli adolescenti e distrugge tutto nel ripiegamento". Si tratta del resto di un fenomeno ricorrente ogni qualvolta due opposte ideologie, fanaticamente sostenute dagli avversari, vengano in contrasto. [...] Si manifestano quegli stessi caratteri di ferocia che si sono verificati nelle guerre di religione dei secoli scorsi».
In questo quadro di brutalità e di spregio di ogni norma del diritto bellico, il comportamento delle truppe del CSIR prima, e dell'ARMIR poi, verso prigionieri e civili russi si distinse da quello degli altri eserciti belligeranti e questo nonostan­te il contesto degenerato in cui si trovavano a operare. All'inizio della guerra il governo sovietico aveva dichiarato che, pur non figurando fra i firmatari della Convenzione di Ginevra, ne avrebbe ugualmente rispettato le disposizioni, in condizione di reciprocità, assumendo poi nei fatti un atteggiamento ben diverso. Due mesi dopo, il 21 agosto 1941, il governo tedesco comunicò che, di fronte alle constatate atrocità perpetrate dai russi sui prigionieri germanici, non si sarebbe più considerato vincolato alle disposizioni di Ginevra in tema di prigio­nieri di guerra. Nella stessa circostanza venne emanata una circolare, indirizza­ta anche alle truppe alleate combattenti sui fronte orientale, in cui la decisione era giustificata con l'elenco di una serie di terribili atrocità che sarebbero state commesse dai sovietici. II governo italiano non si associò però alla dichiarazio­ne tedesca e il comando del CSIR continuò a comportarsi secondo le norme sta­bilite dalle convenzioni internazionali ratificate all'Aja nel 1907 e a Ginevra nel 1929. Solo molto più tardi, il 12 marzo 1942, se ne sarebbe in parte discostato comunicando al Comitato Internazionale della Croce Rossa che da quel momen­to, per mancanza di reciprocità, non avrebbe più comunicato le liste dei prigio­nieri russi (15).



(10) Per contrastare il movimento partigiano, nel settembre 1941 l'Alto Comando tedesco ordinò forme di rappre­saglia indiscriminata: per ogni tedesco ucciso era autorizzata la soppressione di un numero oscillante tra 50 e 100 russi (R. Overy, Russia in guerra, op. cit,. p. 156). (11) AUSSME, fondo N‑1/11, diario storico CSIR. (12) J. Bourke, op. cit, p. 103. (13) AUSSME, fondo I‑4, "Rapporto della Missione Militare Italiana a Berlino", in data 24 agosto 1941. (14) AUSSME, fondo M‑3, "La campagna invernale in Russia", relazione del 1942 stilata dal Comando Supremo. (15) G. Messe, op. cit., p. 340.
Nel periodo in cui fu attivo il CSIR, tra il luglio 1941 e il luglio dell'anno successivo, i militari russi catturati, in base a precedenti accordi fra i governi italia­no e tedesco, e in aderenza alla circostanza che vedeva il CSIR operare inqua­drato in un'armata tedesca, venivano avviati dopo un sommario interrogatorio ai campi di concentramento posti sotto la sorveglianza di unità germaniche, nei quali non vi era alcuna possibilità di ingerenza da parte di comandi e reparti ita­liani. Soltanto a inverno inoltrato il comando germanico concesse a quello italia­no di trattenere qualche centinaio di prigionieri che, in collaborazione con repar­ti del genio e dell'intendenza, venivano saltuariamente impiegati nelle retrovie in lavori di manovalanza, stradali e di sgombero neve (16). Per tali prigionieri, ai quali venivano distribuiti lo stesso rancio e la medesima razione di sigarette dei militari italiani, fu impiantato un campo ben organizzato nel quale trovarono una decente sistemazione. II trattamento fu tale da indurne molti a offrirsi spon­taneamente, al fine di evitare il trasferimento nei campi gestiti dalle autorità tedesche, ed è altresì significativo che spesso i prigionieri furono avviati al lavo­ro senza alcuna sorveglianza.
Dopo il luglio 1942 la costituzione dell'ARMIR portò all'organizzazione di due campi di prigionia a Stalino e a Dniepropetrosch, nei quali erano inizialmente rin­chiusi 835 militari. In seguito il numero dei campi salì a dieci, con un totale di circa 5.000 prigionieri provenienti per la maggior parte da campi tedeschi, dai quali giungevano in condizioni spaventose. I comandi tedeschi avevano emanato dispo­sizioni particolareggiate e apparentemente umane circa il trattamento dei prigio­nieri, ma la realtà era ben diversa, mentre le analoghe disposizioni impartite in materia dai comandi italiani trovarono sempre regolare applicazione (17). I mala­ti venivano curati e ricoverati in un convalescenziario appositamente impiantato a Rikovo, e se nei campi germanici ufficiali e truppa erano accantonati promiscua­mente in quelli dell'ARMIR si provvide alla loro separazione, come previsto dalle convenzioni internazionali. II comportamento italiano si diversificò da quello del­l'alleato anche nei settori del vettovagliamento e del vestiario, il cui rifornimento sarebbe stato compito del comando tedesco. Mentre le autorità germaniche ave­vano stabilito razioni diversificate per addetti ai lavori pesanti, addetti a lavori leg­geri, non impiegati in lavori e malati, l'intendenza dell'8a Armata, constatata la grave insufficienza di quanto previsto da queste tabelle, ordinò che ai degenti nelle infermerie ed ai soggetti deperiti o denutriti fosse distribuita la razione del solda­to italiano e autorizzò i comandanti dei campi a estendere a tutti gli altri la razio­ne viveri spettante agli addetti ai lavori pesanti (18). Per quanto riguarda il vestia­rio, non essendo state accolte le numerose richieste rivolte ai servizi tedeschi, venne ordinata la distribuzione ai prigionieri di indumenti usati ritirati alle truppe italiane dopo la loro sostituzione con indumenti nuovi.

Diversamente da quanto avvenne sul fronte dell'Africa Settentrionale, dove i pri­gionieri del Commonwealth venivano inviati in campi di concentramento nel terri­torio metropolitano, né il CSIR né l'ARMIR trasferirono mai in Italia i loro prigio­nieri.

I rapporti con la popolazione civile furono di solito corretti e improntati in genere a reciproco rispetto che sfociò più volte in manifestazioni di cordialità, soprattutto nelle regioni ucraine. Casi sporadici di violenza vennero severamen­te puniti. Così, ad esempio, a Rikovo un soldato della Divisione Torino che aveva ucciso una donna per rapina fu immediatamente processato da un tribunale straordinario e, dopo un pubblico dibattimento al quale furono presenti molti russi, condannato a 26 anni di reclusione. Sempre a Rikovo, un ufficiale italiano accusato di aver tentato di usare violenza a una donna fu punito con un mese di arresti di fortezza e immediatamente rimpatriato. Gli ordini dei comandi supe­riori sulla necessità di rispettare la popolazione erano del resto categorici, come dimostrato da due documenti relativi al Corpo d'Armata Alpino, al significato dei quali nulla toglie la dichiarata intenzione di conquistare la fiducia delle popola­zioni ai fini di una più agevole condotta delle operazioni:
«E' mio preciso intendimento che i nostri reparti acquistino la fiducia dei civili in modo che ci sia assicurata la sempre più fattiva collaborazione da parte della popolazione della zona. Prego pertanto di voler svolgere opera fattiva ed ener­gica per convincere ufficiali e truppa dell'assoluta necessità di quanto esposto (19). Contegno con la popolazione civile: deve essere corretto, dignitoso, ener­gico. Evitare che i militari circolino con civili, specialmente donne. Furti di bestia­me e di qualsiasi genere devono essere assolutamente evitati. Reprimere con la massima energia e severità gli spari abusivi (passibili di denuncia). [...] Punirò severamente qualsiasi abuso commesso a danno della popolazione» (20).
Non meno significative furono le iniziative nel campo scolastico e dell'assi­stenza sanitaria, con l'intento di ricreare nelle zone occupate le basi per una vita civile. Nell'inverno 1941‑1942 il comando della Divisione Torino riorganizzò il locale orfanotrofio, distribuendo ai circa 400 bambini viveri e vestiario e reclu‑

(16) Altri prigionieri russi, non segnalati alle autorità tedesche, rimasero presso le unità italiane che li avevano cat­turati dove furono adibiti in particolare alla guida delle carrette e delle slitte di requisizione (C. De Franceschi ‑ G. de Vecchi, I servizi logistici delle unità italiane al fronte russo (1941‑1943), SME ‑ Ufficio Storico, Roma, 1975, p. 187). Una situazione dell'Ufficio Prigionieri dello Stato Maggiore del Regio Esercito del marzo 1942 segnalava la cattura da parte del CSIR di 14.267 militari russi dei quali 12.472 ceduti ai tedeschi e altri alle autorità romene. Si trovavano in campi di concentramento in Italia solo 3 militari russi, gli altri erano internati in Ucraina (AUSSME, fondo N‑1/11, diario storico SMRE ‑ Ufficio Prigionieri). In relazione all'esigenza di forza lavoro, nel novembre 1941 fu siglato un accordo per il trasferimento dalla Germania all'Italia di 20.000 prigionieri di guerra russi, che, però, sembra non abbia avuto seguito (AUSSME, fondo N‑1/11, diario storico SIM).
(17) AUSSME, foglio n. 10241/Op. in data 13 febbraio 1945, "Prigionieri di guerra russi", Stato Maggiore Genera­le ‑ Ufficio Operazioni.
(18) Iniziative in tal senso furono prese anche a livello locale. II XXXII battaglione anticarro di corpo d'armata Gra­natieri di Sardegna organizzò nell'agosto 1942 un campo di prigionieri russi impiegati per la provvista di legna da ardere. II vitto giornaliero corrisposto era costituito da 400 g dl pane e da viveri pari alla metà della razione spet­tante ai militari italiani, senza vino, tabacchi e generi di conforto (AUSSME, fondo N‑1/11, foglio n. 6533/00 in data 16 agosto 1942, "Provvista di legna da costruzione e da ardere", Comando II Corpo d'armata).
(19) AUSSME, fondo N‑1/11, foglio n. 2.780 in data 24 settembre 1942, "Disciplina", Comando del Corpo d'Arma­ta Alpino ‑ Ufficio Operazioni.
(20) AUSSME, fondo N‑1/11, foglio n. 2.099 in data 22 agosto 1942, "Memoria operativa n.l", Comando della 3a Divisione Alpina Julia ‑ Sezione operazioni e servizi.

tando a pagamento il corpo insegnante. Quanto all'assistenza sanitaria, così rife­risce la relazione del direttore di sanità del CSIR (21): (5): Per mio ordine tutti gli ospedali da campo e di riserva italiani istituirono ambulatori gratuiti per la popo­lazione civile che largamente beneficiò di tale aiuto, priva, com'era ridotta, di qualsiasi mezzo di cura e specialmente di materiale di medicazione. [...] Come da mie precise disposizioni furono sempre istituiti e mantenuti buoni rapporti dai medici italiani con i sanitari russi, per la cooperazione ritenuta indispensabile al fine della difesa igienica delle truppe che non poteva prescindere da quella della popolazione civile per la quale, serpeggiando numerose endemie di difterite, tifo esantematico e dissenteria, si provvide sempre a fornire mezzi profilattici e per­sonale per disínfestazíoni e disinfezioni, mezzi curativi e soccorsi alimentari». Più tardi, nelle retrovie dell'ARMIR, vennero attivati a favore della popolazione 29 ospedali e 75 ambulatori, con un totale di 71 medici e 157 levatrici.
Molti furono i casi in cui russi, e specialmente donne, si rivolsero a militari ita­liani per essere difesi dalle angherie e dalle violenze dei soldati tedeschi, e tutte le volte che, in territorio occupato, le truppe italiane venivano avvicendate da quelle germaniche negli abitanti si avvertiva il timore di un peggioramento della situazione. Ancora in tema di rapporti con la popolazione civile, i comandi cer­carono di limitare le requisizioni, preferendo piuttosto diminuire la razione delle truppe, e, quando fu necessario ricorrervi, provvidero a pagarne regolarmente l'importo. Si evitò inoltre di imporre contribuzioni in viveri ai privati, mentre le requisizioni di immobili furono limitate quasi esclusivamente ai locali pubblici, anche se talora per ubicazione e per caratteristiche abitative non rispondevano alle necessità (22). Così riporta al riguardo una relazione datata settembre 1945 del maresciallo d'Italia Giovanni Messe (23), che fu prima comandante del CSIR e poi, fino all'ottobre 1942, del XXXV Corpo d'Armata (24): «Anche in fasi ope‑

(21) AUSSME, fondo L‑13, carteggio Messe, "Comportamento del servizio di sanità italiano sul fronte russa verso i prigionieri infermi e verso la popolazione civile", relazione in data 4 luglio 1945 del maggior generale medico Fran­cesco Caldarola. Riguardo l'atteggiamento verso i prigionieri russi il generale riportò che: «durante tutta la cam­pagna i prigionieri russi feriti e malati godettero presso le nostre unità sanitarie trattamento curativo e dietetico uguale a quello dei connazionali coi quali molto spesso essi, dato il loro numero non rilevante, venivano commisti nelle sale di ricovero».
(22) Solo in una delle 20 sedi del Comando del CSIR fu effettuato uno sgombero forzoso a seguito di un bombar­damento aereo russo che aveva reso inabitabile l'edificio. I civili sfrattati ricevettero nuovi alloggi a cura dell'in­tendenza, che provvide anche al trasporto delle masserizie (AUSSME, fondo L‑13, carteggio Messe).
(23) Giovanni Messe (1883‑1968) iniziò la sua carriera militare nel 1902 a 18 anni. Dopo essere partito volonta­rio nel corpo di spedizione italiano in Cina, nel 1910 fu nominato ufficiale. Combattè nella prima guerra mondiale, distinguendosi al comando del IX reparto d'assalto, e successivamente in Albania nel 1920, in Etiopia nel 1936, in Grecia nel 1940‑1941, in Russia nel 1941‑1942 e in Tunisia nel 1943. Fatto prigionieri dagli inglesi, rimpatriava nel novembre 1943 mettendosi al servizio del Re a Brindisi e ricoprendo la carica di capo di Stato Maggiore Generale. Lasciata la carriera militare, nel 1953 viene eletto senatore e nel 1955 fonda l'Unione Combattenti d'Italia, Movi­mento per la Rinascita Nazionale. Ferito 3 volte in combattimento, ha ottenuto 14 decorazioni al Valor Militare ita­liane e tedesche (AUSSME, fondo "Biografie", busta n. 43/54). Sulla figura militare di Messe si rimanda al conve­gno di studi "II Maresciallo d'Italia Giovanni Messe. Guerra, forze armate e politica nell'Italia del Novecento" tenu­tosi a Messagne (LE) il 27‑28 ottobre 2000. Gli atti, curati da I. Garzia, C. Pasimeni, D. Urgesi, sono stati pubbli­cati nel 2003 da Congedo editore, Galatina (LE).
(24) G. Messe, Le truppe italiane in Russia. Trattamento dei prigionieri e dei disertori russi. Rapporti con la popo‑

ratíve che avrebbero richiesto il massimo sfruttamento delle risorse locali (a causa della difficoltà dei rifornimenti, nda), le nostre truppe pesarono il meno possibile sulle popolazioni. Allorquando il pantano delle piste non consentiva alle colonne logistiche dell'intendenza di raggiungere le unità più avanzate, nulla fu requisito con la violenza e tutto regolarmente pagato ai legittimi proprietari. [...] Posso per personale constatazione affermare che devastazioni terrificanti come quelle operate dalle truppe russe in ritirata io le ho viste soltanto con i bombar­damenti aerei scientifici. A parte ogni considerazione di carattere umanitario, ritengo che sia più che evidente che gli italiani, almeno per le zone nelle quali dovevano sostare e vivere, non avevano nessun interesse ad accrescere il qua­dro di desolazione e di squallore già esistente. [...] Rapporti più che cordiali si stabilirono fra le nostre truppe e le popolazioni civili. Gli italiani avevano saputo conquistare l'animo dei russi, di tutti i russi, anche dei partigiani che noi non ci accorgemmo mai di avere nelle nostre retrovie. Sotto questo aspetto si aveva l'impressione di operare in un Paese amico!».

Messe probabilmente esagerava nel presentare un quadro tanto idilliaco, prova ne sia che nella relazione del comandante dei Carabinieri Reali del CSIR sui primi sei mesi di attività al fronte russo è riportata la consegna alla polizia segreta tedesca di 249 sospetti agenti del nemico e la fucilazione di 27 partigiani «per­ché sorpresi in flagrante delitto» (25). Gli ordini impartiti erano del resto di fuci­lare i partigiani catturati con le armi in pugno risparmiando gli altri (26). La rela­zione di Messe, compilata nell'immediato dopoguerra per rispondere alle accuse per crimini di guerra formulate dal governo sovietico nei confronti di una dozzi­na di ufficiali italiani, aveva un chiaro intento assolutorio e mirava a riscattare l'operato delle truppe italiane, messo all'indice dai governi di Stati che avevano subito l'occupazione dell'Asse (27). Gli ordini emanati dal comandante del CSIR

lazione civile, settembre 1945. Tali argomentazioni furono riportate su vari articoli di giornale scritti da Messe nel­l'inverno 1945‑1946 con l'intento di rivendicare la correttezza del comportamento dei soldati italiani verso le popo­lazioni dell'Unione Sovietica. Gli articoli vennero pubblicati in più puntate dai quotidiani 11 Secolo Liberale, 11 Gior­nale della Sera e Il Giornale dell'Emilia tra il 15 novembre e il 7 dicembre 1945. I titoli degli articoli erano in linea con lo scopo: "Due civiltà di fronte alla sofferenza", °II campo di Karinskaja oasi di pace e umanità'; "Sangue ita­liano per salvare vite russe", "I sacrifici degli Italiani per sfamare le popolazioni russe", "Piangevano le madri russe, piangevano le madri italiane" (AUSSME, fondo L‑13, carteggio Messe).
(25) AUSSME, fondo N‑1/11, diario storico CSIR, foglio n. 27/5‑1941 in data 18 febbraio 1942, "Attività svolta dai reparti dell'Arma mobilitati", Comando Carabinieri Reali ‑ CSIR. Occorre ricordare che le leggi di guerra interna­zionali dell'epoca non garantivano ai partigiani la qualifica di combattenti regolari. Le disposizioni impartite al CSIR dal Comando della la Armata corazzata tedesca prevedevano la fucilazione degli agenti e partigiani nemici solo col consenso della polizia segreta germanica.
(26) AUSSME, fondo N‑1/11, foglio n. 1545/RS/1 in data 16 agosto 1942, "Partigiani", M.V.S.N. ‑ Raggruppamen­to CC.NN. "23 marzo".
(27) La lista dei presunti criminali di guerra italiani fu trasmessa dal governo russo nell'ottobre 1944. La posizio­ne degli indiziati fu attentamente vagliata da un'apposita commissione d'inchiesta ministeriale, cui faceva parte anche il senatore comunista Mario Palermo. I militari furono tutti assolti. Un'altra trentina di alti ufficiali italiani furono a lungo trattenuti in Russia con l'accusa di crimini di guerra, tra questi i gen. E. Battisti, E. Pascolini e U. Ricagno, comandanti rispettivamente delle divisioni Cuneense, Vicenza e Julia. Solo una parte fu processata e con­dannata tra il 1948 e il 1950 dal tribunale militare di Kiev. Gli ultimi prigionieri furono liberati nel 1954 (M.T. Giu­sti, 1 prigionieri italiani in Russia, II Mulino, Bologna, 2003, p. 182).

sull'atteggiamento da mantenere nei riguardi della popolazione furono peraltro chiari e non lasciano dubbi sull'intenzione di rispettare il più possibile la popola­zione civile, sia pure non solo a fini umanitari ma anche per facilitare l'azione delle truppe: «Scopo eliminare presenza civili in vicinanza linee et consentire maggiore libertà movimenti truppe et massimo controllo transito attraverso le stesse per repressione spionaggio dispongo che tutta popolazione tuttora abi­tante in caseggiati a cavallo postazioni difensive sia fatta sgomberare a tergo alt. [...] Comandanti divisione organizzino esodo in guisa assicurare at popola­zioni sgomberate sicuro asilo in abitati arretrati con particolare riguardo a donne et bambini» (28).

Anche durante il periodo di attività dell'ARMIR nei territori occupati furono rior­ganizzate le attività civili e sociali che il passaggio della guerra aveva tempora­neamente interrotto. Gli Uffici Affari Vari dei comandi di corpo d'armata per la zona delle operazioni, e la Direzione delle Tappe per la zona delle retrovie, prov­videro a censire la popolazione, a riaprire scuole e chiese, ad amministrare la giustizia, ad adeguare i servizi sanitari all'emergenza, a mantenere l'ordine pub­blico. La popolazione espresse la propria gratitudine soprattutto per la riapertu­ra delle chiese, oltre 50, provvedimento che rispondeva a un sentimento religio­so ancora vivo e profondamente sentito. Furono inoltre riaperte complessiva­mente 477 scuole, frequentate da 28.000 allievi, e il servizio sanitario fu attiva­to riattando gli ospedali civili danneggiati, riaprendo gli ambulatori e rifornendo per quanto possibile le farmacie (29), e dove non fu possibile l'immediata riaper­tura degli impianti sanitari preesistenti si ricorse all'opera dei medici militari. Tutti gli ospedali da campo e di riserva italiani istituirono infatti ambulatori gra­tuiti per la popolazione civile che se ne servì largamente. L'amministrazione della giustizia non fu un problema, in quanto la popolazione si mantenne tranquilla, con i reati più comuni costituiti da furti e contravvenzioni alle disposizioni delle autorità locali, ad esempio in materia di oscuramento e coprifuoco, e per finan­ziare le amministrazioni locali si applicò un'imposta personale a tutti gli abitan­ti dai 18 ai 65 anni.

I rapporti con i civili rimasero buoni, come ebbe a segnalare il Comando del Corpo d'Armata Alpino, nella "Relazione mensile sullo spirito della truppa e delle popolazioni dei territori occupati" datata 31 dicembre 1942: «I rapporti tra la truppa e la popolazione civile si sono mantenuti normali. Nessun incidente da

(28) AUSSME, fondo N‑1/11, diario storico CSIR, fonogramma n. 381/Op. in data 28 gennaio 1942 del Comando CSIR ai comandi di divisione dipendenti.
(29) I soli due ospedali civili requisiti furono quelli di Sinelnikovo e di Voroscilowgrad, trovati in stato di completo abbandono e gravemente danneggiati, tanto che fu necessario largo impiego di mano d'opera e di materiale edili­zio per la loro risistemazione (AUSSME, fondo L‑13, carteggio Messe).
(30) AUSSME, fondo N‑1/11, diario storico del Comando Corpo d'Armata Alpino, "Relazione mensile sullo spirito delle truppe e delle popolazioni dei territori occupati", in data 31 agosto 1942.
(31) AUSSME, fondo N‑1/11, diario storico del Comando Corpo d'Armata Alpino, "Relazione sullo spirito delle trup­pe e della popolazione civile. Mese di settembre 1942", in data 30 settembre 1942.

segnalare, persistendo corretti e cordiali i rapporti con la popolazione». I rap­porti precedenti erano del resto dello stesso tenore, anche se durante l'ultima fase dell'avvicinamento al fronte si era percepita una maggiore diffidenza e si era avuto sentore di un possibile intensificarsi delle azioni di disturbo nelle retro­vie:
Agosto 1942: «I militari, durante il successivo spostamento in zona di opera­zioni, si sono cattivati con il loro contegno la simpatia delle popolazioni dei ter­ritori occupati, fatti segno costantemente a cortesie da parte degli abitanti. [..] Con le popolazioni, il contegno è stato sempre dignitoso ‑ senza eccessive con­fidenze ‑ improntato allo spirito di carità che distingue il nostro soldato d'innanzi alla miseria materiale e spirituale. I rapporti quindi fra la truppa e la popolazio­ne si sono mantenuti cordiali, anzi il senso di simpatia che gli alpini suscitano nei paesi che li ospitano è andato aumentando col passare del tempo» (30).
Settembre 1942: «Le popolazioni ucraine delle zone di Rikovo, prima, Gorlow­ka, Voroscilowgrad, ecc., poi, dove hanno sostato i reparti, hanno dimostrato in generale aperta simpatia per il nostro soldato. Episodi sporadici di rapine di frut­ta, verdura, bestiame, causati più che altro da necessità contingenti in relazio­ne a esigenze logistiche non potute soddisfare per cause di forza maggiore, non hanno influenzato la buona opinione dell'ambiente locale sul soldato italiano. Scarsissimi incidenti, tutti di breve entità» (31).
Ottobre 1942: «Lo spostamento dalla zona di Voroscilowgrad alle sponde del Don ha fatto incontrare una popolazione civile alquanto diversa. Essa piuttosto chiusa, a differenza degli ucraini, per quanto non dimostri nessun atteggiamen­to di aperta ostilità, è da considerarsi con diffidenza. La vicinanza del nemico suscita in alcuni la speranza di rivincita delle forze russe, avvalorata da qualche atto propagandistico a mezzo manifestini e dalla infiltrazione di qualche ele­mento lanciato da aerei. Nel complesso la popolazione dei campi non dà segni di insofferenza e comincia ad aprire la sua simpatia alle nostre truppe» (32).
Qualche preoccupazione sul possibile deteriorarsi di una situazione che fino a quel momento era stata se non ottimale almeno soddisfacente si può cogliere anche nell'analoga relazione del II Corpo d'Armata compilata alla fine di novem­bre (33): « E' ancora difficile comprendere quali siano le idee e lo spirito della popolazione dei territori occupati. Si ha tuttavia l'impressione che la nostra pre­senza sia appena sopportata, anche da quelli che sono contrari al regime sovie‑

(32) AUSSME, fondo N‑1/11, diario storico del Comando Corpo d'Armata Alpino, "Relazione sullo spirito delle trup­pe e della popolazione civile. Mese di ottobre 1942", in data 31 ottobre 1942.
(33) AUSSME, fondo N‑1/11, diario storico del Comando II Corpo d'Armata, "Relazione sullo spirito delle truppe e della popolazione dei territori occupati. Mese di novembre 1942", in data 30 novembre 1942. In precedenza, lo stesso Comando aveva consigliato i reparti dipendenti di «non fidarsi della popolazione civile che in occasione dei recenti attacchi ha dimostrato con atti ostili occulti (taglio linee telefoniche) o palesi incidenti di essere non a noi favorevole» (foglio n. 2855/02 in data 15 settembre 1942, "Misure precauzionali"). La "Relazione sullo spirito delle truppe e delle popolazioni dei territori occupati" del mese di dicembre riferì che «la popolazione civile dei territori occupati si è dimostrata, durante gli ultimi avvenimenti bellici (ritirata dal Don dell'ARMIR, nda), decisamente osti­le a noi» (AUSSME, fondo N‑1/11, diario storico II Corpo d'Armata).

tico. Influisce forse sulla situazione la mancanza, molto sentita, di generi ali­mentari e di vestiario. Tutto consiglia a diffidare di tutti».

La regione del Don era stata appena teatro di aspri combattimenti e il quadro generale era comunque meno favorevole alle truppe dell'Asse di quanto non lo fosse stato un anno prima, soprattutto perché la controffensiva sovietica dell'in­verno aveva rappresentato un chiaro segnale di ripresa. Anche la lotta partigia­na si stava intensificando, pur incontrando oggettive difficoltà a raggiungere nei territori dell'Ucraina e della Russia Meridionale lo stesso livello d'organizzazione e d'efficacia che aveva altrove. Era comunque una realtà da non ignorare, anche se non ancora inquietante, e nel settembre 1942 il Comando dell'ARMIR diede disposizioni per la costituzione di nuclei di milizie locali per lo svolgimento di compiti di polizia, ordine pubblico, sfruttamento delle risorse naturali e concor­so alla lotta anti partigiana (34). All'ARMIR fu inoltre aggregata la divisione di fanteria con organici da occupazione Vicenza, destinata a svolgere compiti di controllo delle retrovie e di lotta alla guerriglia. La grande unità, priva del reg­gimento d'artiglieria e rinforzata da un battaglione carabinieri, operò nelle retro­vie del fronte per circa due mesi (ottobre e novembre 1942), provvedendo alla sicurezza delle vie di comunicazione. Nel corso di queste operazioni, che videro impegnati oltre la metà degli effettivi alle dirette dipendenze del Comando Grup­po d'Armate "B", gli scontri con i partigiani furono pochi e di portata limitata e all'inizio di dicembre, in previsione dell'offensiva sovietica, la Vicenza fu inserita nello schieramento del Corpo d'Armata Alpino (35). Anche i rapporti della divi­sione alpina Cuneense tra l'estate e l'inverno del 1942 riportavano che <> (36).
Per tornare al comportamento dei soldati italiani nei confronti dei prigionieri, sembra opportuno riprendere la lettura della già citata relazione di Messe, che in proposito si esprime in termini inequivocabili, confermando e rilanciando i contenuti delle direttive: «La sosta dei prigionieri e disertori russi si limitava presso i nostri comandi a 36‑48 ore o poco di più, dopo di che venivano accom­pagnati ‑ quasi sempre con automezzi ‑ al campo di concentramento più vicino indicato dai comandi germanici. Ben presto però cominciarono a diffondersi nei

(34) Posti al comando di ufficiali italiani, in genere dell'arma dei Carabinieri, questi reparti erano armati esclusi­vamente di fucili (AUSSME, foglio n. 2938 in data 25 settembre 1942, "Lotta contro i banditi", Comando II Corpo d'Armata ‑ Ufficio operazioni). In precedenza, il Comando dell'8a Armata aveva ordinato la costituzione di specia­li nuclei di cacciatori, formati da personale volontario dell'Esercito e destinati a compiti di controguerriglia e di con­trasto antiparacadutisti (AUSSME, fondo N‑1/11, foglio n. 2643 del 21 settembre 1942 del Comando Corpo d'Ar­mata Alpino, cit.).
(35) II combattimento più sanguinoso sostenuto in questo ciclo di operazioni fu l'imboscata tesa dai partigiani a una compagnia del 277° Reggimento di fanteria nei pressi di Isium dove perirono una ventina di militari italiani

comandi italiani le notizie circa il trattamento che i tedeschi facevano ai prigio­nieri russi. Trattamento di eccezionale rigore e a volte bestiale. Nessuna pietà per i deboli e gli ammalati; ufficiali accantonati insieme alla truppa; la razione giornaliera ridotta a un solo rancio e ad una brodaglia disgustosa di miglio, priva delle vitamine necessarie non tanto per lavorare quanto per sostenere una vita umana. [...] Tali fatti non potevano non fare presa sugli italiani e infatti i nostri comandi: cominciarono a non segnalare ai tedeschi il numero esatto dei prigio­nieri; approfittando della carenza dei mezzi di trasporto e dell'impraticabilità delle strade trattenevano un certo numero di prigionieri, adibendoli a servizio di ausilio. Tutto ciò allo scopo di sottrarre il più possibile i prigionieri ai patimenti che venivano loro inflitti nei campi germanici e procrastinare il giorno della con­segna che doveva alla fine necessariamente avvenire. [...] Fu prescelto come sede del campo di concentramento di Karjnskaja un ampio kolkos con grandi capannoni ben riparato, suddiviso con tramezzi di legno, disinfettato, provvisto di paglia. Furono impiantati i servizi igienici (bagno, disinfestazione, infermeria) e i servizi generali (cucina, latrina). II personale di guardia era costituito da una ventina di soldati che montavano accoppiati a prigionieri ucraini volontariamen­te offertisi per il servizio di guardia. Gli ufficiali russi disponevano di un locale dove mangiavano e dormivano isolati dalla truppa. Non furono mai impiegati in lavori ma esclusivamente adibiti all'inquadramento dei prigionieri che, invero, si dimostravano molto disciplinati. [...] Fu istituita la messa al campo e fu consen­tito l'ingresso al campo dei parenti dei prigionieri e dei civili in genere che voles­sero chiedere ai prigionieri notizie dei loro congiunti e portare loro doni. Le noti­zie dell'umano trattamento usato dagli italiani ai prigionieri si diffusero ben pre­sto anche nelle linee nemiche col risultato che nello spazio di 15 giorni (25 ago­sto‑10 settembre 1942) oltre 800 disertori russi si presentarono alle nostre linee sul Don. [...] Quando a metà febbraio 1943 fu ripreso il ripiegamento momen­taneamente sospeso e si dovette consegnare i prigionieri ai tedeschi, la notizia fu accolta con dolore e scoppi di pianto: molti prigionieri si diedero alla fuga, favoriti dai nostri soldati di guardia. Essi avevano infatti seguito spontaneamen­te le truppe italiane in ritirata e non volevano finire nelle mani dei tedeschi»

(37). All'opposto, il comportamento delle truppe russe nei riguardi dei prigionie­ri italiani si mostrò contrario a ogni legge di guerra e spesso anche a ogni sen­timento di umana pietà. Per oltre un anno dall'intervento del CSIR sul fronte

(AUSSME, fondo N‑1/11, diario storico Divisione Vicenza, "Relazione sull'impiego della 156a Divisione di fanteria Vicenza" a firma del gen. comandante E. Pascolini).
(36) AUSSME, fondo N‑1/11, diario storico Divisione Cuneense, "Relazione sull'impiego della Divisione Cuneense al fronte russo" del magg. Berardi.

(37) Stralci della relazione Messe del settembre 1945 furono riportati nel capitolo VII "II contegno delle truppe ita­liane verso le popolazioni e i prigionieri russi" del libro scritto dal maresciallo d'Italia ed edito da Rizzoli nel giugno 1947 col titolo La guerra al fronte russo. II Corpo di Spedizione Italiano (CSIR). II volume ha avuto almeno quat­tro ristampe.

orientale non furono ricevute in Italia lettere di militari dai campi di prigionia russi (38). Dopo la loro cattura nel dicembre 1942 ‑ gennaio 1943, migliaia di soldati italiani, depredati di indumenti e oggetti personali, furono costretti a marciare per centinaia di chilometri nella neve o stipati all'inverosimile su vago­ni ferroviari senza o quasi alimentazione. Nei campi, scarsamente organizzati, il tasso di mortalità per fame e malattie rimase altissimo, soprattutto nei primi mesi di prigionia. Martellante fu inoltre la propaganda a sfondo politico e mas­sacranti i turni di lavoro. Pochi reduci tornarono dalla prigionia e ancor oggi non è noto il numero esatto dei prigionieri caduti in mano russa (39). Sull'organiz­zazione dei prigionieri di guerra presso l'esercito sovietico, sull'atteggiamento mentale dei vertici politici e militari russi verso le truppe che avevano invaso il loro Paese durante la cosiddetta "grande guerra patriottica" e, più in generale, sul rispetto del nemico, è illuminante una relazione stilata dal nostro rappresen­tante diplomatico a Mosca nel maggio 1945: (40) «Altro ostacolo grave è costi­tuito dalla mentalità di questa gente che è abituata a tutt'altra concezione dei rapporti umani. Qui non si sono mai occupati dei loro prigionieri, non hanno mai cercato di assicurare loro corrispondenza, pacchi, ecc.. Anche adesso agli anglo­americani non si domandano liste (di prigionieri russi liberati dopo l'occupazio­ne della Germania, nda), si domanda di averli indietro. Nell'esercito sovietico, salvo che per i generali, non si comunica alle famiglie che il proprio congiunto è morto. [...] II mistero che circonda i nostri prigionieri non è certo maggiore del mistero che circonda qui qualsiasi piccola cosa. Con questa mentalità dura e spietata, aliena da ogni sentimentalità ritenuta inutile, la nostra ansietà di avere notizie non è capita. Non si vogliono rendere conto di che cosa significa per le famiglie questa incertezza».

L'attenzione al tema dei prigionieri fu determinata anche dalle proporzioni della tragedia dell'ARMIR, ma lo scenario non fu diverso l'anno prima, durante il perio­do in cui fu in azione il CSIR, con episodi documentati di barbarie ai danni dei

(38) AUSSME, fondo N‑1/11, diario storico SIM, foglio n. Cst/213325 in data 4 agosto 1942, "Prigionieri di guerra italiani in mano russa", Comando Supremo ‑ Servizio Informazioni Militare. II SIM auspicò a riguardo un interven­to del Ministero degli Affari Esteri tramite il governo giapponese, potenza protettrice nei confronti dell'Italia con l'URSS.
(39) Stime recenti fanno assommare a circa 95.000 il numero dei militari italiani che non hanno fatto ritorno dalla Pussia. Di questi in gran parte morirono dopo essere stati catturati. Nel dopoguerra il governo sovietico restituì solamente 10.000 prigionieri. Le liste dei prigionieri italiani tratte dagli archivi russi e divulgate in via ufficiale a partire dal 1992 hanno accertato la morte nei campi di Stalin di circa 38.000 militari. Questa cifra non comprende i decessi, stimati in almeno 22.000, avvenuti durante il trasferimento dai luoghi di cattura ai campi di detenzione M .T. Giusti, 1 prigionieri italiani in Russia, op. cit., p. 228; M. Coltrinari, "Le perdite della campagna di Russia. Caduti, dispersi, prigionieri. Dicembre 1942 ‑ marzo 1943", in II secondo Risorgimento d'Italia, n. 1/2004, p. 53­63). Del barbaro trattamento dei prigionieri di guerra italiani furono complici anche vari fuoriusciti italiani, primo fra tutti Palmiro Togliatti, che tra il 1941 e il 1943 da Radio Mosca, sotto il nome di Mario Correnti, esortò i russi a sterminare i combattenti del CSIR e dell'ARMIR chiamandoli con l'appellativo di "predoni", "banditi", "mercenari" e accusandoli dei più efferati delitti. Nella trasmissione del 23 gennaio 1942 pronunciò la seguente frase: «i fasci­sti hanno voluto condurre contro l'Unione Sovietica una guerra di sterminio. Ebbene, essi saranno sterminati.» ("Mario Correnti", P. Togliatti, Discorsi agli italiani, Società editrice l'Unità, Roma, 1945). II "compagno Grieco" chiu­se la comunicazione da Radio Mosca del 12 settembre 1942 con le seguenti parole: «Il popolo sovietico e I'eserci‑

feriti e dei prigionieri. Nel corso della vittoriosa "Battaglia di Natale" del dicem­bre 1941 una ventina di feriti del XVIII Battaglione Bersaglieri, che non era stato possibile sgomberare dall'infermeria del villaggio di Orlowo Yvanovka, furono ritrovati, dopo la riconquista dell'abitato, trucidati con un colpo alla nuca. II sot­totenente Vidoletti (Medaglia d'Oro al Valor Militare), anch'egli ferito, fu ucciso dopo aver declinato la sua qualifica di ufficiale nell'intento di evitare con tale gesto il massacro. Nella stessa battaglia fu ritrovato il corpo di un bersagliere del XX Battaglione con le ginocchia fracassate a colpi di mazza e oltre 30 muti­lazioni sul corpo. Durante i combattimenti dell'estate poi, nel diario di un uffi­ciale sovietico del 619° Reggimento caduto nella zona di lagodnj si lesse: «Durante l'occupazione della linea difensiva io con un plotone perlustrando la zona nella quale si erano infiltrati gli italiani, ho catturato un italiano ferito. In qualche modo mi sono spiegato con lui. Egli è mio coetaneo: un giovanotto di vent'anni, magro, di debole costituzione. Sembra quasi un armeno. E' di Messi­na. Implorava di dargli dell'acqua, una sigaretta e di essere poi finito. Quando ho dato l'ordine ai portaferiti di portarlo via, ha preso a baciarmi le mani. Mise­rabile popolo! II giorno seguente lo hanno fucilato. Era fascista» (41).
Dall'esame della censura postale di militari italiani operanti in Russia sono stati rilevati numerosi altri casi di accertati o presunti crimini di guerra da parte sovietica nei confronti di prigionieri di guerra (42). Così scrisse il caporal mag­giore Ercole Squaiella dell'82° Reggimento Fanteria: «Questi russi sono proprio feroci; il giorno IS un nostro bravo autiere è rimasto prigioniero, il giorno dopo lo abbiamo trovato legato sul camion morto con le mani tagliate; noi invece li soccorriamo e li sfamiamo [...]> . Ancora il capo marconista Luigi Bacchetta della 103' Compagnia Teleradio: «Ti basti sapere che i feriti che trovavano sul terre­no (italiani s'intende) li spogliavano completamente, li legavano così a un palo e colà ve li lasciavano fino a che non erano assiderati dal freddo intenso (43) [...]» . Scrive invece G. Bocchi del 3° Gruppo ‑ Reggimento Artiglieria a Caval‑

to rosso riservano a ogni tedesco, italiano, ungherese, romeno, finlandese penetrati nelle città dei Soviet una pal­lottola e due metri di terra». La vita dei prigionieri italiani nei campi russi fu resa più dura e insopportabile anche dall'opera di alcuni compagni di prigionia che si affiancarono ai fuoriusciti divenendo zelanti e spesso spietati ese­cutori dei loro ordini.

(40) G. Messe, La guerra al fronte russo, op. cit..
(41) AUSSME, fondo N‑1/11, diario storico 3a Divisione Celere, relazione del gen. Mario Marazzani, comandante della 3a Divisione Celere e del cap. Mario Di Campello, addetto alla sezione operazioni della stessa Divisione.
(42) L'articolo apparso su La Repubblica del 14 aprile 2005 dal titolo "II volto feroce dei nostri soldati", dello sto­rico tedesco T. Schlemmer, di presentazione del convegno "L'Asse in guerra", ha stigmatizzato l'operato violento delle truppe italiane durante la campagna di Russia prendendo ad esempio il brano di una relazione quindicinale sulla censura postale che riportava l'uccisione a sangue freddo di alcuni prigionieri da parte di un gruppo di cara­binieri. Da un'attenta lettura del documento originale, individuato presso l'archivio dell'Ufficio Storico dell'Esercito nel fondo I‑4, è emerso, invece, che il massacro fu opera dei sovietici, che bruciarono vivi tre carabinieri cattura­ti in azione.
(43) AUSSME, fondo N‑1/11, diario storico SIM, promemoria in data 11 febbraio 1942, "Relazione quindicinale (16‑31 gennaio 1942) sulla revisione della corrispondenza effettuata dalle Commissioni Provinciali di Censura Postale", Comando Supremo ‑ Servizio Informazioni Militare.
lo:«Avevano fatto tre prigionieri del Reggimento Lancieri [...] cosa ne hanno fatto? Uccisi barbaramente, uccisi a colpi di pistola [...] volete altri casi? [...] fecero due prigionieri dei nostri; uno scomparso e uno barbaramente pugnala­to» (44).

Messe, interpellato espressamente dal Comando Supremo che aveva saputo di questi eventi tramite lo spoglio della censura militare, minimizzò, riferendo di non avere dati d'informazione certi sul trattamento dei prigionieri di guerra da parte dei russi (45). Ciò forse nel timore di ritorsioni che avrebbero potuto nuo­cere ai buoni rapporti instaurati dalle truppe italiane in terra di Russia con l'ele­mento locale. II comando italiano si rendeva conto, inoltre, della necessità di non mostrarsi troppo duro nei riguardi della popolazione ucraina che durante il perio­do leninista e la guerra civile del 1919‑1921 aveva parteggiato in larga parte per i "bianchi" e sofferto la successiva vendetta dei bolscevichi. All'opposto, sareb­be stato opportuno sfruttare l'avversione di larga parte degli ucraini per il pote­re di Stalin a favore di una collaborazione in funzione anticomunista. II sistema d'occupazione tedesco, invece, intriso di preconcetti di ordine razziale, rifiutò sempre tali argomentazioni, finendo per inimicarsi le popolazioni di tutti i terri­tori occupati (46). In proposito varie furono le relazioni inviate a Roma dai comandi italiani rimarcando impietosamente gli errori e le atrocità di una tale politica (47): «Un obiettivo osservatore potrebbe essere portato a concludere che la politica germanica in Ucraina, malgrado precedenti esperienze e pro­grammi di grandiosa portata storica, non abbia dimostrata molta sensibilità né, almeno nei primi mesi, lungimirante previsione. II miraggio di realizzazioni immediate ha avuto spesso il sopravvento sui piani organici e programmatici, causando successive modificazioni e adattamenti. La trasformazione della guer­ra lampo in guerra di logoramento ha condotto a molte improvvisazioni di cui gli errori non furono sempre tempestivamente riconosciuti. [...] La reazione delle popolazioni civili alla politica tedesca in tutti i suoi aspetti è stata ed è in preva‑

(44) AUSSME, fondo N‑1/11, diario storico SIM, promemoria in data 23 dicembre 1941, "Relazione quindicinale (1°­15 dicembre 1941) sulla revisione della corrispondenza effettuata dalle Commissioni Provinciali di Censura Posta­le", Comando Supremo ‑ Servizio Informazioni Militari.
(45) AUSSME, fondo N‑1/11, diario storico CSIR, foglio n. 2339/Inf. in data 23 dicembre 1941, "Trattamento pri­gionieri di guerra da parte dei Russi", CSIR ‑ Ufficio Informazioni. Era dato per sicuro solamente l'invio in Siberia dei prigionieri italiani.
(46) A commento delle affermazioni di un ufficiale disertore, l'Ufficio Informazioni del CSIR così si espresse nell'a­prile 1942: «L'osservazione circa i severi metodi adottati dai tedeschi per reprimere il movimento dei partigiani e sulla loro efficacia di breve durata, non è probabilmente ingiustificata. Effettivamente le autorità germaniche d'oc­cupazione e particolarmente le minori gerarchie usano senza troppi scrupoli e discriminazioni la maniera forte, e non sempre dimostrano di preoccuparsi adeguatamente delle elementari necessità della popolazione civile. Si sono verificati e si verificano esempi di rigore spietato e talora perfino di brutale prepotenza di fronte ai quali la men­talità latina non può non rimanere perplessa e che potrebbero scavare solchi profondi tra il vincitore e la popola­zione locale. Anche l'argomento del futuro assetto politico‑territoriale della regione ucraina non sembra gradito ai germanici, almeno così si può desumere da una recente circolare che vieta ogni discussione sull'argomento e ogni manifestazione politica ucraina. Viene a mancare così la leva principale della collaborazione tedesco‑ucraina. Non bisogna dimenticare che la popolazione ucraina ha mentalità e atteggiamenti non facilmente comprensibili: a ciò

lenza negativa: gli atti di partigianeria e di sabotaggio, abbastanza frequenti e talvolta preoccupanti, verificatisi nei settori settentrionale e centrale, sono sca­turiti da naturale reazione ai soprusi che ha potuto innestarsi su una preceden­te organizzazione di tipo militare predisposta dai sovietici, meno frequentemen­te da convinzione politica, più raramente ancora da propaganda nemica. Una reazione positiva si è avuta soltanto per motivi di interesse, non mai per simpa­tia o spontanea volontà di collaborazione».

Le ricerche d'archivio sul comportamento dei militari italiani in Russia nel 1941‑1943 verso civili e militari nemici non sono state fino a oggi approfondite o condotte con sistematicità. II dibattito accesosi nell'immediato dopoguerra sulla sorte dei prigionieri di guerra italiani e sul trattamento riservato loro dai sovietici si è inserito nel violento scontro politico che divise l'Italia repubblicana nei primi anni della sua storia, il che per forza di cose ha impedito un'analisi serena e scevra da pregiudizi. I tempi sono oggi maturi per una riflessione più pacata e per studi più accurati che si possono avvalere della documentazione d'archivio liberamente accessibile presso gli archivi militari e diplomatici. Un primo modesto e sommario contributo in tale direzione viene da questa ricerca condotta esclusivamente presso l'archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggio­re dell'Esercito. Allo stato attuale della consultazione della vasta documentazio­ne presente sulla campagna di Russia, si può ritenere che il contegno dei mili­tari italiani fu ispirato a spirito umanitario e rispetto del nemico e dei civili. I comandi italiani evitarono di vessare la popolazione con severe misure coerciti­ve per non incidere ulteriormente in senso negativo sulle già precarie condizio­ni di vita degli abitanti dei luoghi attraversati dalla guerra e soprattutto per non alimentare il fenomeno partigiano. II comandante del CSIR fu costretto addirit­tura a porre un freno alla naturale e istintiva propensione delle truppe italiane a un atteggiamento fin troppo amichevole verso i civili, che poteva offrire eccel­lenti opportunità allo spionaggio e all'attività dei partigiani russi (48). II com‑

che è innegabilmente rimasto del regime bolscevico si sovrappone 1 astio istintivo contro gli invasori: il tutto ammantato da un'apparente collaborazione (lavoratori per la Germania, problema agricolo) e da quello spirito di rassegnazione fatalista che caratterizza gli slavi orientali, ma che non esclude vendette lungamente covate o improvvise reazioni violente» (AUSSME, fondo N‑1/11, diario storico CSIR).

(47) Relazione del maggio 1942 compilata dal comando del CSIR e riportata in stralcio sul volume di G. Messe, La guerra al frbnte russo, op. cit.. Altre relazioni molto critiche sull'atteggiamento tedesco verso i civili e i prigionie­ri russi compilate da Messe nel corso delle operazioni in Russia sono conservate all'AUSSME, nel fondo L‑13: "Note sulla politica germanica in Ucraina", del maggio 1942 e "Aspetti della politica germanica di guerra sul fronte orien­tale. Fronte russo ‑ Bacino del Don", del Comando CSIR, ottobre 1942.

(48) AUSSME, fondo N‑1/11, diario storico CSIR. Nel foglio n. 5328/Op. in data 11 settembre 1941, "Schieramen­to delle truppe e contatti con gli indigeni", del Comando CSIR ‑ Ufficio Operazioni, Messe notò che: «lo stretto con­tatto con la popolazione civile, oltre che essere un incentivo per lo spionaggio avversario, influisce negativamente sullo spirito combattivo delle truppe in quanto può determinare un contagio in quella forma particolare di passiva acquiescenza che è caratteristica delle popolazioni indigene. In sostanza le truppe potrebbero adagiarsi in stato morale e fisico di scarsa vigilanza, fonte di serie conseguenze». Fu ordinato così di evitare «che le truppe assolvi­no ai propri compiti operativi in contatto con gli indigeni o addirittura vivendo con essi. Desidero che ognuno sia ben convinto che non è importante, per un esercito vincitore, riscuotere tenera intimità nei paesi occupati, ma è invece essenziale incutere stima, rispetto, distanza: il che significa prestigio».
portamento italiano si distinse nettamente da quello tedesco e il trattamento dei prigionieri di guerra russi si allineò a quello imposto dalle convenzioni interna­zionali, pur in mancanza di reciprocità (49). Se non si possono certo escludere singoli atti contrari al diritto e alla morale, gli ordini emanati dai comandi supe­riori non previdero il ricorso a mezzi estremi per riportare l'ordine nelle retrovie o per garantire la sicurezza delle truppe negli accantonamenti o nei trasferi­menti. In Russia non si fece ricorso, in pratica, all'istituto della rappresaglia, pur contemplato dalle leggi di guerra italiane all'epoca vigenti e utilizzato durante l'occupazione nei Balcani. L'atteggiamento generalmente non ostile della popo­lazione e lo scarso peso delle azioni partigiane portarono a non considerare nep­pure la possibile deportazione di intere comunità, provvedimento anch'esso, peraltro, non espressamente vietato dalle convenzioni internazionali dell'Aja e dal "Servizio in guerra" dell'Esercito Italiano (50).
Le truppe che marciarono contro l'Unione Sovietica nel quadro della guerra a fianco della Germania voluta dal governo Mussolini e appoggiata senza entusia­smo dai vertici militari, che avrebbero preferito concentrare gli sforzi nello scac­chiere mediterraneo, si batterono con determinazione pur tra enormi difficoltà. In quello scenario, che vide il soldato italiano fare il proprio dovere fino in fondo, la propaganda italiana fece leva più su motivazioni politiche, legate, come nel corso della guerra civile spagnola, alla lotta contro il comunismo, che sull'odio razziale, tema ampiamente sfruttato invece da quella tedesca. Gli ordini impo­sero sempre il rispetto del nemico che si arrendeva, al quale si riconosceva la dignità di combattente regolare, nonché delle popolazioni e dell'economia loca­le. Non sembra quindi che allo stato attuale esistano le condizioni per modifica­re le conclusioni della "Commissione d'inchiesta per i criminali di guerra italiani secondo alcuni Stati esteri" (51): «Attraverso un accurato esame dei diari stori­ci, delle informazioni assunte e delle testimonianze raccolte, la Commissione si è dovuta convincere che le accuse di arresti arbitrari, torture, uccisione di citta­dini sovietici, distruzione di stabilimenti sanitari e altri eccessi, erano basate su

(49) C. De Franceschi ‑ G. de Vecchi, op. cit. p. 186.
(50) La pubblicazione n. 3768, "Usi e convenzioni di guerra", allegato 2° al "Servizio in guerra", Ministero della Guerra, 1940, riferiva che: «La rappresaglia ha il fine di indurre il belligerante nemico a osservare le obbligazioni derivanti dal diritto internazionale e può effettuarsi sia con atti analoghi a quelli da esso compiuti illegittimamen­te sia con atti di natura diversa. La rappresaglia non ha dunque natura di pena, ma è soltanto un mezzo di coer­cizione diretto a indurre il nemico a rispettare i suoi obblighi nei nostri riguardi. Pertanto la rappresaglia deve esse­re sufficientemente proporzionata alla gravità dell'offesa ricevuta, e non può consistere, salvo casi di assoluta necessità, in atti bellici diretti contro la popolazione civile. [...] La rappresaglia è ordinata con provvedimento del Duce o di autorità legalmente delegata. [...] 1 comandanti di grande unità distaccate, possono ricorrere a misure di rappresaglia soltanto in caso di assoluta necessità». (A. Marcheggiano, Diritto umanitario e sua introduzione nella regolamentazione dell'Esercito Italiano. La protezione delle vittime in guerra, volume II, SME ‑ Ufficio Stori­co, Roma, 1977, p. 480‑481).

(51) AUSSME, fondo H‑8, foglio n. 60/02 in data 30 giugno 1951 a firma dell'onorevole Luigi Gasparotto all'oggetto Relazione, Ministero della Difesa ‑ "Commissione d'inchiesta per i criminali di guerra italiani secondo alcuni Stati esteri".

dati di fatti inesatti o inesistenti o, erroneamente, venivano attribuite ai nostri militari mentre dovevano riferirsi a soprusi commessi dalle truppe tedesche; ragione per cui ha concluso ch'esse non avevano alcuna consistenza, tanto più che il governo russo, benché sollecitato da quello italiano, non ha fornito alcun elemento di prova contro i denunziati, e anzi non ha dimostrato di insistere su di esse».

Nota d'archivio: La documentazione utilizzata dagli autori e citata nel testo è interamente tratta dall archivio dell'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito, fondi N‑1/11 "Diari storici della seconda guerra mondiale"; L­13 "Documentazione acquisita dal 1968 ‑ fondi"; H‑8 "Crimini di guerra'; 1‑3 "Carteggio versato dallo Stato Maggiore Difesa" 1‑4 "Carteggio Stato Maggiore Generale ‑ Comando Supremo'; M‑3 "Documenti IT". Si ringrazia per il supporto alle ricerche d'archivio il dott. Alessandro Gionfrida.

Nessun commento:

Posta un commento