Dal Secolo d’Italia
STORIA DEL PARACADUTISMO
Nel centro di addestramento. della cittadina etrusca fondato nel'40, il colonnello Giuseppe Baudoin de Giliette preparò un'intera generazione di eroici paracadutisti. Nel’42 fu realizzato un nuovo tipo di “ombrello di seta” e nel'43 sorse un’altra scuola a Viterbo. Il primo lancio del
Gigantesco Erminio Spalla
E NACQUE LA FOLGORE
A Tarquinia si formarono i paracadutisti che si coprirono di gloria a El Alamein
ALDO GIORLEO
CON l'approssimarsi della seconda guerra mondiale andò sempre più sviluppandosi il paracadutismo militare. Le nazioni che per prime intuirono le possibilità d’impiego, in una guerra moderna, delle truppe aeroportate furono la Russia, la Germania e l’Italia. Gli Alleati solo in un secondo tempo presero in considerazione la possibilità di costituire reparti di paracadutisti e di soldati trasportati con alianti, anche se poi lo fecero in grande stile fino ad avere, sul finire dei conflitti, un’Armata aviotrasportata.
I russi sin dagli anni '30 diedero inizio alla sperimentazione di questo tipo di reparti da essi definiti “di destinazione speciale”, e nel 1935, alle manovre nella zona, di Kiev, lasciarono di stucco gli addetti militari delle nazioni europee, i quali assistettero al lancio simultaneo di 1.200 paracadutisti che, una volta giunti al suolo, approntarono in breve tempo un campo d'atterraggio sul quale si posarono stormi da trasporto che scaricarono altri 2.500 uomini con mezzi corazzati, semoventi, veicoli e attrezzature del genio.
Nonostante, però, queste favorevoli premesse, le poche operazioni di lanci massicci (come quella di Wiazma a fine gennaio del '42 e quella per il passaggio dei Dnieper nel settembre dei '43) si risolsero in un disastro a causa soprattutto dell'insufficiente numero di aerei da trasporto e delle loro manchevolezze tecniche.
A loro volta i tedeschi, che stupirono il mondo con le operazioni condotte dalla 7^ Flieger Division in Danimarca, Norvegia, Olanda e Belgio (famosa la conquista del complesso fortificato di Eben Emael, nella Maginot, portata a termine da 80 paracadutisti scesi con gli alianti), subiremo un vero e proprio salasso nell'azione di Creta (3.250 caduti e 1.600 feriti soltanto tra i paracadutisti), tanto che da allora le forze aeroportate non furono più impiegate in forma così massiccia.
E l'Italia? Noi, come al solito, ci eravamo distinti nell'impostazione dei problemi connessi all'aggiramento verticale, come in termine tecnico venivano definite le operazioni d'aviolancio, ma quanto alla loro soluzione pratica stavamo perdendo tempo. Da anni si trascinava la querelle tra Esercito e Aeronautica, con l'aggiunta della Milizia per la Sicurezza Nazionale, su a chi spettasse organizzare e gestire l'addestramento dei reparti di paracadutisti, finché un decreto legge del 22 febbraio del'37 stabilì categoricamente: “Fanno parte della Regia Aeronautica le Scuole di paracadutismo”.
Ma di scuole per paracadutisti non ne venne istituita neppure una. A rompere gli indugi fu, nel marzo dell'anno successivo, Italo Balbo, allora governatore della Libia, il quale promosse la costituzione d'una scuola di paracadutismo all'aeroporto di Castel Benito (Tripoli). L’obiettivo era di forma re un battaglione di “fanti dell'aria” libici affidandone il comando a uno dei più esperti e valorosi ufficiali coloniali, il tenente colonnello Goffredo Tonini, medaglia d'oro. Si lavorava su un terreno vergine, bisognava continuamente inventare, l'addestramento era reso difficile anche dall'innata diffidenza delle truppe di colore per le “macchine volanti”. Freri andò in Libia e si diede ad addestrare all'uso del paracadute Salvator D.37 gli ufficiali destinati a diventare istruttori dei libici. Tutto fu fatto io rapidamente e gli ascari, una volta presa confidenza con gli aerei e i paracadute, divennero eccellenti atleti.
Purtroppo. le prime prove, compiute con apparecchi da bombardamento S.81, inadatti alle operazioni di lancio, comportarono un sanguinoso pedaggio: ci furono 15 morti e 72 feriti. Comunque si continuò, costituendo un secondo battaglione, fin quando, il 23 maggio 1938, tutto il reggimento venne lanciato nella piana di Bir Ganem: un risultato straordinario. Qualche tempo dopo il reggimento veniva di nuovo contratto alla forza di un battaglione, ma nel contempo a Barce veniva costituito un battaglione di paracadutisti nazionali, al comando dei maggiore Arturo Calascibetta. Questa volta si pose maggiore cura alla parte tecnica: furono impiegati aerei più efficienti, gli SM. 75 dell’Ala Littoria opportunamente modificati, mentre il Salvator D. 37 fu sostituito dal D. 39 e dal D. 40 che avevano calotte di maggiori dimensioni e consentivano minori velocità di discesa.
Intanto, nella primavera del'40, era sorta anche in Italia, e precisamente a Tarquinia, una scuola militare di paracadutismo. L’uomo di Tarquinia era il colonnello pilota paracadutista Giuseppe Baudoin de Giliette, che divenne il padre spirituale di tutti i paracadutisti italiani. Nella cittadina etrusca accorsero giovani da ogni specialità delle Forze Armate, sicché la selezione poté essere rigorosissima il 60 per cento dei volontari fu scartato, e co1oro che rimasero erano veramente ragazzi di prim’ordine.
Le difficoltà, secondo il costume, italico, furono enormi; a Tarquinia c’erano solo un modesto campo d'aviazione, una manica a vento e alcune baracche. Baudoin non si perse d'animo e, con l'aiuto di validi collaboratori riusci a riattare e ampliare, il campo, a far sorgere.come per incanto alloggiamenti magazzini e solide baracche. Dalla piazza d’armi di Villa Glori a Roma, fu fatta sparire una torre metallica di circa 60 metri usata dai vigili del.fuoco del Genio Militare, che venne rimontata alla chetichella sul campo di Tarquinia Il vecchio paracadute Salvator riservava però un'amara sorpresa al comandante e ai suoi ragazzi: in due giorni si ebbero quattro morti, l'impressione negli alti comandi fu enorme, si ordinò la sospensione dei lanci in attesa dei risultato dell'inchiesta Il fatto è che il Salvator era un paracadute, studiato originariamente per il salvataggio degli aviatori che richiedeva una perfetta manutenzione e un accurato ripiegamento, cose, queste sovente impedite dal.gran numero dei lanci d'addestramento di truppe paracadutiste.
Toccò al Reparto studi ed esperienze della scuola mettere a punto un nuovo paracadute, l’IF. 41/SP (Imbracatura Fanteria mod. 1941 ‑ Scuola Paracadutisti), molto simile al paracadute RZ. 36 usato dai paracadutisti tedeschi che diede ottimi risultati. Esso aveva l'imbracatura costituita da due bretelle e due cosciali; una calotta di 56 metri quadrati, divisa in venti settori diagonali, ciascuno dei quali a sua volta diviso in cinque zone per aumentarne la resistenza; un fascio funicolare composto di venti funi di canapa capaci ognuna di resistere a una trazione di 130P chili; una fune di vincolo avente una resistenza di 750 chili. La calotta, anziché essere estratta mediante, il pilotino come nel Salvator, era costretta a sfilarsi dalla custodia in seguito alla tensione della fune di vincolo. determinata.dal peso dei paracadutista. La velocità di discesa era di 5 metri e mezzo al secondo. Con questo nuovo paracadute s'impose una diversa tecnica di lancio: non più a perpendicolo con la mano destra sulla maniglia dell'apertura di sicurezza, ma “ad angelo”, proiettandosi, fuori della fusoliera con braccia e gambe, aperte, il corpo arcuato e il Capo eretto.
Tarquinia prese a viaggiare e pieno ritmo, rigurgitava di giovani gagliardi ed entusiasti, destinati a formare quella divisione “Folgore” che, alcuni mesi dopo, si copri di gloria a El Alamein.
Su tutti e su tutto presiedeva, Baudoin, che, nella sua severità era sempre pronto a prendere le difese dei suoi ragazzi. Come fece quella volta che venne chiamato a rapporto da Mussolini perché alcuni ufficiali paracadutisti in permesso a Roma, ingaggiata in un caffè sotto I portici dell'Esedra una discussione un po' vivace con un gruppo di giovanotti eleganti - a quel tempo si chiamavano gagà ‑ curiosi di sapere chi fossero quei soldati un po' “strani”, avevano a loro volta chiesto agli elegantoni come mai non fossero sotto le armi e alla risposta ironica avevano tagliato loro le cravatte. Venuto a conoscenza dei fatto in quanto tra i danneggiati c’era il figlio di un importante generale, il Duce aveva ritenuto opportuno intervenire. Ma si senti rispondere da Baudoin: “Se il ventiquattrenne signorino, figlio del signor generale che avete nominato, anziché bighellonare in giro, indossasse la divisa da paracadutista, nessuno gli taglierebbe la cravatta. E vi dirò di più, Duce: secondo informazioni in mio possesso, non solo la cravatta fu tagliata al signorino in questione, ma all’orché egli disse in tono minaccioso di essere figlio d'una eccellenza, i paracadutisti gli tagliarono anche il biondo ciuffo che vezzosamente adornava la sua fronte. E mi meraviglia che i miei uomini non l'abbiano preso a ceffoni, il che vi dimostra quanto longanimi siano i paracadutisti verso questi figli di papà, i quali, anziché spassarsela nei caffè, come evidentemente si permette loro di fare, avrebbero il dovere di vendere cara la porca pellaccia su un qualsiasi campo di battaglia”. Nessuno aveva mai parlato con tanta franchezza e crudezza al Duce, l'allusione a chi permetteva gli imboscamenti era fin troppo palese, c'era da aspettarsi chissà quale reazione.
Invece Mussolini, colpito da un linguaggio così appassionato e sincero, si limitò a dire: “Capisco, mi rendo conto... Non bisogna però drammatizzare; è necessario spianare, non inasprire, molte situazioni ... “. E, ovviamente, di sanzioni per i paracadutisti non si parlò neppure.
Nel novembre del '42, proprio nei giorni in cui si compiva nel deserto egiziano l'epopea della “Folgore, giunse a Baudoin l'ordine di lasciare Tarquinia e assumere il comando delle forze aeree della Corsica. Agli inizi del '43, a Tarquinia, ormai sovraffollata, si affiancava la nuova scuola di Viterbo, dove furono addestrati parte dei paracadutisti, della divisione “Nembo” e alcuni battaglioni di una costituenda terza divisione, la “Ciclone”, nonché un secondo battaglione Adra (Arditi distruttori dell’Aeronautica), una sorta di commandos italiani come i loro omologhi dell'Esercito (X Reggimento Arditi) e della Marina (Nuotatori Paracadutisti del Battaglione San Marco).
A Viterbo si brevettò, tra gli altri, un parà fuori del comune, il gigantesco Erminio Spalla, ex‑campione europeo di pugilato, categoria pesi massimi, arruolatosi volontario tra gli arditi del cielo, sull'esempio del famoso pugile tedesco Max Schmeling, che aveva partecipato al lancio di guerra su Creta. Il primo lancio di Spalla fu un avvenimento. Data la sua mole, bisognò ricorrere a un paracadute usato per i carichi da 200 chili. L’aereo, per maggiore precauzione, si alzò sino a duemila metri e il buon Erminio si proiettò senza alcuna esitazione fuori della carlinga. Stette ad aspettare a occhi chiusi lo strappo d'apertura, poi prese a dondolare nell'azzurro guardandosi attorno pieno di meraviglia e avvertendo dentro di sé un gran senso di pace. Stava tanto bene in aria che non s'accorse d'essere arrivato a terra e non pensò a fare la capovolta. Al comandante della scuola che gli si faceva incontro, gridò: “Mi scusi, signor colonnello, ho dimenticato la capriola, ma se vuole gliene faccio subito una ... “. E il comandante: “Non importa, non importa Bravo Spalla, la farai la prossima vo1ta…”.
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