STORIA DEL PARACADUTISMO
Gli «arditi del cielo» addestrati a Tarquinia per l'impresa di Malta furono “bruciati”nel crogiolo della africana senza potersi lanciare sul nemico. La conquista, di Cefalonia. La scuola di Viterbo e quella di Tradate (Rsi). La difficile ripresa nel dopoguerra.
“MANCO’LA FORTUNA”
I parà italiani si coprirono di gloria combattendo come fanti
ALDO GIORLEO
SFORTUNATO destino quello dei paracadutisti usciti dalle scuole diTarquinia e di Viterbo. Essi non poterono mai lanciarsi dall'alto sul nemico, e furono in gran parte “bruciati” nel crogiolo della guerra africana. Così come era avvenuto nel 1941 per i «fanti dell’aria» libici e per lo splendido I Battaglione Carabinieri Paracadutisti immolatisi all'Uadi Bakur, a Derna e lungo la Balbia, anche la “Folgore”, accuratamente preparata per l’impresa di Malta, venne sacrificata come truppa di fanteria nella battaglia di El Alamein, stupendo amici e nemici per lo straordinario valore. E identica sorte toccò, nel 1943, al I Battaglione Paracadutisti dell’Aeronautica, anch'esso destinato al lancio su Malta e invece distrutto nell'estrema difesa della Quarta sponda.
Un lancio di guerra, comunque, ci fu, nell'aprile del'41. Si trattò d'una operazione tutto sommato modesta, preparata more solito, con alquanta approssimazione e risoltasi fortunatamente in modo incruento. Protagonista, una compagnia del II battaglione del maggiore Zanninovich, impiegata per l'occupazione di Cefalonia Mentre i 250 gendarmi greci del presidio si arrendevano senza sparare un colpo, Zanninovich provvedeva a far lanciare sull'isola sacchi di viveri e di farina per la popolazione affamata. Pure senza colpo ferire veniva portata a termine, subito dopo, l’occupazione di Zante e di Itaca: questa volta si trattò d'un breve viaggio in barca, con qualche decina di paracadutisti trasformatisi in marinai.
Altro impiego bellico dal cielo si ebbe poi nel '43 ad opera di alcune pattuglie del X Arditi e dellAdra lanciate in Nord Africa e nella Sicilia invasa per compiere azioni di sabotaggio. Ma era troppo tardi, ormai: l'8 settembre si avvicinava col suo carico di; avvilimento, di delusione di vigliaccheria. Per i paracadutisti della «Nembo», scaglionati parte in Calabria (un reggimento), parte in Sardegna (il resto della divisione), il voltafaccia di Badoglio fu un'autentica mazzata che causò laceranti drammi di coscienza. In Calabria il III battaglione del capitano Edoardo Sala decise di continuare la guerra a fianco dell'alleato tedesco per salvaguardare l'onore d'Italia. Altrettanto fece in Sardegna il XII battaglione dei maggiore Mario Rizzatti che segni in Corsica la 90^ Panzer tedesca. L’avvenimento gettò gli altri reparti nel caos: fughe isolate per raggiungere i tedeschi; un battaglione - il X ‑ sciolto d'autorità; molti sottufficiali e ufficiali, tra i quali il vicecomandante della divisione, colonnello Tantillo, e un comandante di raggruppamento, maggiore Invrea, messi agli arresti; il capo di Stato Maggiore, tenente colonnello Bechi Luserna, già della “Folgore” in Africa, colpito a morte mentre tentava di convincere i “ribelli” a ubbidire agli ordini di Badoglio. Sarà la prima medaglia d'oro della guerra di liberazione.
Da quel momento i paracadutisti, divisi da un'artificiosa barriera, continuarono a battersi valorosamente su fronti contrapposti. Quelli dei Nord si distinsero a Nettuno, nella difesa di Roma e sulle Alpi occidentali; quelli del, Sud nelle Mainarde, a Filottrano, a Grizzano, ed ebbero anche la soddisfazione di un lancio di 255 uomini del reggimento «Nembo» e dello Squadrone F alle spalle dei tedeschi in ritirata nella pianura padana il 21 aprile del'45. Ma a guerra finita gli uni e gli altri torneranno ad abbracciarsi come Fratelli e si ritroveranno nella loro associazione d’arma per riprendere l’attività lancistica.
Grazie all'abnegazione di un gruppo di Istruttori di Tarquinia e di Viterbo, al Nord sorse alla fine del'43, un'efficiente scuola di paracadutismo affidata alle cure del tenente colonnello Edvino Dalmas, che aveva comandato sia il I Battaglione dell’Aeronautica sia il Battaglione Adra. Alla scuola, avente sede a Tradate
(i lanci avvenivano nel vicino aeroporto di Venegono), affluirono centinaia e centinaia di giovani entusiasti i più dotati fisicamente e moralmente tra le migliaia di volontari della Rsi.
A Tradate vennero addestrati e lanciati i paracadutisti del Reggimento “Folgore”, i nuotatori‑paracadutisti della X^ Mas, i legionari dei battaglione paracadutisti “Mazzarini” della Gnr. I paracadutisti del Sud, dal canto loro, si allenarono alla scuola di lancio messa su dagli inglesi a San Vito dei Normanni.
Nel dopoguerra la ripresa del paracadutismo fu lenta e difficile Il trattato di pace vietava all'Italia di avere truppe aviotrasportate, per cui potè essere allestito soltanto un piccolo nucleo sperimentale di paracadutisti, ospitato nei locali di palazzo Salviati a Roma. I reduci dell’una e dell’altra sponda cominciarono a lanciarsi con materiale di fortuna da aerei SM 82 prestati dall’Ordine di Malta. Non esistevano, a quell'epoca regolamenti sull’attività sportiva paracadutistica e mentre altre nazioni come la Francia,
l'Urss. e gli Stati Uniti stavano dando Impulso e disciplina a questo nuovo tipo di sport, da noi si procedeva i maniera empirica. I lanci caratterizzati dall’assurda sfida a chi apriva più in basso furono funestati da una serie di incidenti mortali. Tra i campioni della. caduta libera, persero la vita Fumagalli, Pecoraro, Cannarozzo, Vespa,Mura, Cavatorta, Persevalli, Taiani ed altri. Eppure, furono proprio gli italiani a lanciare l’idea di un campionato mondiale di paracadutismo, che si svolse nel '51 a Bled, in Jugoslavia. Tra i nostri “assi” figuravano due appartenenti all’Aeronautica Militare, l'allora maggiore Enrico Milani e l’aiutante di battaglia Sauro Rinaldi i quali insieme con Cannarozzo, formavano un trio formidabile, più volte esibitosi anche all’estero, riscuotendo l'ammirazione delle folle. A Bled Milani si classificò primo nella precisione a terra (si trattava di centrare un cerchio di 50 metri di diametro) ma perse il titolo perché non sapeva nuotare. Infatti una delle prove prevedeva un lancio in acqua; dal punto di arrivo bisognava raggiungere a nuoto la boa bersaglio. Il 25 febbraio del 53 Sauro Rinaldi conquistò il record italiano di altezza lanciandosi con inalatore d'ossigeno da 8261 metri e compiendo con un paracadute Salvador D. 5O, una caduta libera di 150 secondi; l'anno dopo batté il suo stesso primato effettuando un lancio da 9.800 metri con una caduta libera di 2 minuti e 47 secondi.
Intanto, di pari passo con lo sviluppo del paracadutismo sportivo, nel quale profusero la loro passione reduci di guerra come Bonciani; De Angelis, Landi (specializzatosi nel «Lisi»), Ganzini Mancioli, Malavasi, Bianchi, Piccinni, Naldini e il tecnico Luciano Malpeli, procedeva anche il paracadutismo militare, al quale diedero grande impulso uomini. come Turrini, che era stato capoistruttore a Tarquinia, Izzo, Argento, Jubini e altri.
Venute meno, con l'adesione dell'Italia alla Nato, le restrizioni del trattato di pace, fu possibile organizzare, prima a Viterbo, quindi a Pisa, un Centro militare di paracadutismo (CMP), affinare le tecniche e rinnovare il materiale. Nel '53 il vecchio fedele I. F. 41/Sp fu sostituito da un paracadute di più moderna concezione, il CMP, 53, dalla velatura in nylon di 73 metri quadrati dotato di bretelle direzionali. Inoltre venne adottato per la prima volta un paracadute ausiliario, o d’emergenza, il. 53, che dava un'eccezionale garanzia ai lanci Due anni dopo, a questi modelli ne subentrarono due ancora più perfezionati: il CMP. 55, dalla calotta a basco di ben 90 metri quadrati talmente sicuro da essere battezzato “il paracadute della nonna”, e l'ausiliario I 56. Anche i gloriosi aerei SM. 82 vennero posti in disarmo nel '56 e sostituiti dai Fairchild C 119. Cominciarono cosi a risorgere reparti organici di paracadutisti, fino ad arrivare, nel 1963, alla costituzione della Brigata «Folgore», fiore all’occhiello, dei nostro Esercito.
Gli anni '60 segnano una svolta definitiva nell’attività paracadutistica sia sportiva sia militare. Entrano in funzione paracadute a fenditura semplice e a calotta rientrante, come i francesi Efa (il 65/20 Paraclub, il 683 Olimpic, il 687 Papillon l'italiano D. 65, lo statunitense Paracommander Mk 1), che permettono una notevole manovrabilità mediante un sistema di virata, di frenata e di stallo. Sempre in quegli anni sorse a Perugia una scuola nazionale di paracadutismo sportivo gestita dall’Aero Club. Alcuni militari presero a frequentarla, sia pure senza l'autorizzazione dei superiori comandi. Di fronte al fatto compiuto, lo Stato Maggiore dell'Esercito autorizzò nel 1962 due appartenenti al CMP, i sergenti maggiori Guidolin e Negretti a partecipare a un corso d'apertura comandata alla scuola francese di Pau.
A questi precursori se ne aggiunsero altri come l'allora maggiore Argento e i capitani Goffis e Mattei che presero parte nel 1965 al primo campionato nazionale vinto dal tenente dell'Aeronautica Benito Buldrini.
Nel '66 nasceva ufficialmente la Squadra nazionale sportiva della Smipar (Scuola Militare di Paracadutismo),
nuova denominazione del CMP, Da allora fu tutto un crescendo di successi da parte degli atleti militari, campioni assoluti negli anni '67, 68, 71 e 73 e campioni di precisione negli anni'71, 72 e 73. Equipe alla quale si aggiunsero poi gli “assi” Ottaviani, Sacchetti e Serenelli, s'aggiudicava anche:il titolo di precisione
a squadre negli anni 70, 71e 72, nonché nove trofei internazionali e cinquanta nazionali. Nel 1973 la squadra veniva trasformata in Sezione paracadutismo sportivo dei CSE (Centro Sportivo Esercito) e l'anno dopo si aggiudicava il primo posto nelle gare di precisione: al settimo campionato Militare di paracadutismo sportivo svoltosi a Fort Bragg, negli Stati Uniti. Ma in quegli anni andavano affermandosi anche paracadutisti civili come tanto per citarne alcuni ‑ De Monti, Bauchal, Valsecchi, Malavasi, Fortarel, Trettel, Bolengo, anche se in sede internazionale venivano surclassati dai campioni americani e, soprattutto, da quelli dei Paesi dell'Est, abituati a compiere centinaia di lanci, d'allenamento a spese dello Stato.
Nel 1975 si registra un exploit della partecipazione femminile. Pina Madinelli dell'Aero Club di Verona, trionfa nelle gare di precisione al campionato europeo di Portorose, in Jugoslavia. battendo le fortissime campionesse sovietiche e cecoslovacche. Per l'atleta azzurra si profila un avvenire carico di soddisfazioni. Purtroppo, il 20 aprile del '76, mentre si allena a Guidonia in vista dei campionati mondiali svoltisi quell'anno a Roma. muore in un incidente di lancio. La grande famiglia dei paracadutisti è in lutto
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