venerdì 13 luglio 2007

MASCE IL "SALVADOR"

Dal Secolo d’Italia

STORIA DEL PARACADUTISMO

Fu Prospero Freri ufficiale pilota, a ideare e costruire il paracadute italiano, che presentava un alto livello di affidabilità e che riscosse successo.in molti Paesi europei. Nel'25 vinse il concorso bandito dall'Aeronautica per la fornitura di quattrocentosessanta esemplari

NASCE IL “SALVADOR”
Un modello funzionale che era stato preceduto dall'”Aerodiscensore”

ALDO GIORLEO


QUELLO che non riuscì a Ereno, cioè di far accettare il suo paracadute alle competenti autorità aeronautiche e, soprattutto, di trovare un finanziatore, riuscì invece a Prospero Freri, un ufficiale pilota, ingegnoso e caparbio. Durante la guerra Freri aveva assistito in Albania all'atroce fine di un compagno di squadriglia, il sergente Cortese, il quale aveva preferito gettarsi nel vuoto piuttosto che perire nel rogo del suo aereo colpito dal nemico. In seguito era stato egli stesso protagonista di una brutta avventura: un Caudron, coi quale si era alzato per un volo di prova sull'aeroporto di Napoli, era precipitato per un'avaria. Il motorista era deceduto e Freri era riuscito a cavarsela pieno di fratture e contusioni, “Durante la lunga degenza – raccontò - il mio cervello fu costantemente martellato dal pensiero del paracadute che, come un'ossessione, mi perseguitava sempre”.
Freri impiegò circa quattro anni per costruire un paracadute che presentasse certezza di funzionamento. Alla fine ci riuscì, grazie anche alla collaborazione di Gennaro Maddaluno, un napoletano entusiasta ma squattrinato come lui. I due furono ideatori, disegnatori, intagliatori, impiombatori e meccanici fino ad arrivare alla realizzazione del loro paracadute che battezzarono Aerodiscensore. Era un paracadute semírigido. che non richiedeva alcun comando per la sua apertura. Contenuto in un fodero tronco‑conico, veniva attaccato alla fusoliera dell'aereo, era collegato all’imbracatura del'paracadutista da una robusta fune e si apriva mediante un congegno composto di stecche metalliche snodate. Il 23 luglio’ 22 l'Aerodiscensore ebbe il suo battesimo, con il lancio di un manichino sull'aeroporto di Napoli, al cospetto delle massime autorità locali. L’8 ottobre Freri e Maddaluno vinsero la gara internazionale indetta dal ministero della Guerra per mettere alla prova i vari tipi di paracadute esistenti. Sul campo di Centocelle si ritrovarono i migliori paracadutisti dell'epoca. C'erano i francesi Ors e Bianquier, lo svizzero Romaneschi, gli italiani Umberto Re e Alfredo Ereno, oltre a due rappresentanti del sesso debole, la francese Greby e l'americana Grey, La prova consisteva nel lanciarsi da 300 metri, cercando di prendere terra entro un cerchio del diametro di quindici metri.
Non era, per la verità un regolamento che potesse dirsi soddisfacente, perché, non essendo i paracadute di allora manovrabili, si doveva più che altro fare assegnamento sull'abilità dei pilota di portare il velivolo quasi fermo sopra i bordi dei cerchio prima di far lanciare il paracadutista. Maddaluno, portato in quota da Freri, stravinse. Toccò infatti terra a 79 metri dal bersaglio, mentre gli altri superarono abbondantemente i 100 metri. Secondo risultò Bianquier, con paracadute omonimo, che cadde a 104 metri e terzo Ereno, con paracadute Heinecke, che prese terra a 108 metri dal cerchio. Il primo premio, trentamila lire. andò a rinsanguare le finanze dei due costruttori dell’Aerodiscensore; a Bianquier e a Ereno toccarono diecimila lire ciascuno.
Dopo il successo di Centocelle e una serie di lanci propagandistici (il 16 gennaio 1923 volle provare l’Aerodiscensore l'aviatore Giuseppe Palamenghi e il 13 maggio dello stesso anno la signorina Alba Russo, prima donna paracadutista in Italia, scese con disinvoltura da 400 metri sul campo di Capodichino giunse a Freri l’invito a presentare, il paracadute a una commissione tecnica militare. Cosi, il 12 giugno 1923 egli compii il suo primo lancio dinanzi ai commissari entusiasti. Ormai cominciava a farsi strada l'idea che i piloti potessero usare il paracadute in situazioni d'emergenza, ma Freri non dormiva sugli allori: voleva costruire un paracadute di minor peso e ingombro. Per la realizzazione del nuovo paracadute non ebbe più la collaborazione di Maddaluno: tra i due erano sorte divergenze di vedute sugli scopi del loro lavoro, e così ciascuno continuò per la propria strada. A Freri si affiancò un giovane appassionato di aviazione, Giuseppe Furmanik, oriundo polacco nato in‑Svizzera nel 1903, divenuto poi cittadino italiano. I due misero a punto un paracadute, il Salvator, che ottenne un grande successo e convinse l'industriale Calabi a finanziame la produzione: nascerà quindi la Società Anonima Brevetti Aeronautici Salvator, di cui Freri e Furmanik saranno tra !,.principali azionisti. I due a turno, presentarono in quasi tutti i Paesi europei la loro invenzione, riscuotendo un mucchio di elogi ma ben poche ordinazioni. Finalmente, nel 1925, l’Aeronautica,italiana bandì un concorso per la fornitura di 460 paracadute. Vi parteciparono, oltre ai realizzatori dei Salvator, altri cinque italiani ‑Maddaluno, Turri, Venturi, Zezzi, Guglielmetti ‑, i francesi Robert, Blanquier, Ors, l’americano Irvin. Il salvator sbaragliò tutti. Mancava ancora, per cosi dire, il suggello ufficiale. Ciò avvenne il 15 novembre 1925, in una manifestazione svoltasi a Centocelle al cospetto della famiglia reale. Freri si lanciò da 400 metri e durante la discesa tirò fuori dalla taisca una fiamma tricolore e, dopo averla agitata, la fissò alle corde del paracadute. Fu un trionfo, il re volle complimentarsi con lui e con Furmanik
Sull'efficacia del nuovo paracadute non c'erano ormai più dubbi tuttavia i due soci si rendevano conto che la sistemazione dei Salvator all'esterno della, fusoliera non era delle più razionali, in caso d’emergenza, soprattutto perché poteva essere usato solo, dal pilota mentre non mancavano velivoli con più persone d’equipaggio. Bisognava realizzare un, tipo di paracadute a zaino. assicurato alle spalle di ciascun membro dell'equipaggio. Nel 1926 nacque, così il, Salvator-B, che oltre a questa fondamentale caratteristica, ne presentava un’altra: il doppio dispositivo di apertura, sia automatico, mediante fune di vincolo, sia manuale,comandato dal paracadutista per mezzo di una maniglia. La calotta, avente una superficie di 48 metri quadrati era formata da 24 fusi, ciascuno dei quali tagliato e cucito in diagonale per accrescerne l'elasficità. All'apice della calotta c'era un foro, munito di corona elastica, che ammortizzava l'apertura, mentre un cerchietto di legno, che andava: perduto dopo il lancio, facilitava l'introduzione dell'aria dopo lo sfilamento della calotta stessa dalla custodia a zaino costruitá in tela impermeabile. Alla corona elastica della calotta, inoltre, era collegato un calottino estrattore che si apriva per mezzo d'una molla e facilitava lo spiegamento della grande calotta. Il fascio funicolare, formato da 24 funi, ciascuna delle quali capace di sopportare una trazione di 130 chili, terminava con un occhiello al quale veniva agganciaio il cinturone del paracadutista corredato di una sola bretella. Il tutto pesava circa 6 chili: la velocità di discesa era di 5‑5 e mezzo metri il secondo.
Il Salvator‑B fu presentato dapprima all'estero, in Cecoslovacchia, riscuotendo un grande successo, poi Freri fu richiamato a Roma, perché l'Aeronautica militare, interessata al nuovo paracadute, esigeva una dimostrazione tecnica. Questa avvenne all’aeroporto di Montecelio, comandato dal maggiore De Bernardi. Vi assistettero il capo di S. M. dell'Aeronatica generale Piccio, il duca delle Puglie e l’asso Arturo Ferrarin. Tutto andò per il meglio e al Saivator‑B si affiancò poco dopo un modello, il Salvator‑C, costruito appositamente per gli aerei della caccia. Da quel momento, mentre Furmanik si dedicava alla produzione dei paracadute, Freri partecipava a numerose manifestazioni aeree, in Italia e all'estero, lanciandosi dalle quote più svariate per dimostrare il perfetto funzionamento del Salvator. Ormai il «paracadute italiano» viaggiava col vento in poppa.
Nel 1927 Freri ottenne due grosse soddisfazioni: i piloti furono obbligati a indossare il paracadute ed egli fu autorizzato a effettuare corsi d'istruzione tra il personale navigante. Lo aiutavano, nell'attività d'istruttore, due piloti che avevano già sperimentato il lancio, il capitano Angelo Banchieri e il maresciallo Vittorio Moretto. Tra i sistemi di lancio, prese piede in quel periodo quello «a strapparnento»: il paracadutista si disponeva sull'ala inferiore di un biplano, s'aggrappava a un montante di sostegno, apriva il paracadute e si lasciava strappare dall'aereo.
Numerosi piIoti compresi i migliori «assi», vollero cimentarsi nel salto dall'aereo. Tra i più famosi, Guido Keller ‑ quello che aveva lanciato il pitale di m... su Montecitorio ‑ e Arturo Ferrarin. lI primo, barba al vento, si buttò da 350 metri sul campo di Montecelio. La sua impressione: «Meraviglioso, semplicissimo, tutti dovrebbero provare ... » e, nel dire così, cavava da una tasca della tuta un mazzolino di fiori da offrire alla moglie del comandante De Bernardi come «unico omaggio sceso dal regno di Zefiro». Dal canto suo Ferrarin, detto il «moro di Venezia», prima dei lancio aveva avvertito l'amico Freri: «Varda che se l'ombrelo non se verze mi te copo». Ma l'ombrello si era aperto, e Ferrarin si era detto entusiasta di quel «gioco da ragazzi».
Il 6 novembre del'27 si ebbe il primo lancio simultaneo di nove paracadutisti appartenenti tutti allo stormo del maggiore Lordi, durante una grandiosa manifestazione aviatoria a Cinisello. Poiché un sottufficiale era stato colto da malore, Freri lo sostituì con il sottotenente Ferraro, offertosi volontario. Durante la discesa, lo sguardo di Freri era incollato a Ferraro, e proprio questi, maledizione, veniva giù a candela, col paracadute chiuso, Pallido in volto, Freri non riusciva a capacitarsi che cosa potesse essere accaduto; poi, di colpo, ecco la bianca calotta spalancarsi e Ferraro prendere terra prima degli altri. E l’improvvisato paracadutista si era semplicemente dimenticato di agganciare il moschettone della fune di vincolo che provoca l'apertura del paracadute. Accortosi dell'«inconveniente», si era ricordato delle affrettate raccomandazioni fattegli da Freri e aveva tirato la maniglia per l'apertura comandata. Tutto bene quel che finisce bene. Come, del resto, era finita bene allo stesso Freri, allorché, durante un lancio propagandistico a Madrid, il 17 ottobre di quell'anno, si era potuto salvare grazie alla prontezza di riflessi che gli aveva permesso di tirar fuori con le mani la calotta rimasta incastrata nel sacco‑custodia del paracadute.

1 commento:

  1. giorgionepremoli@libero.it primo scaglione classe 1937 basco grigoverde tuttora resta appeso al attaccapani nell'ingresso............parac. del 1937 scrivetemi.

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