mercoledì 3 ottobre 2007

IGINO MENCARELLI




GUIDO KELLER

(6‑2‑1892 ‑ 9‑11‑1929)


UFFICIO STORICO AERONAUTICA MILITARE 1970





Guido Keller nacque a Milano nel febbraio del 1892. Discendeva da un' antica famiglia elvetica, i Conti Keller Von Kellerer, trasferitisi in Lombardia verso la metà del 18° secolo. Il nonno paterno di Guido fu uno dei primi patrizi milanesi che osarono rompere le tradizioni aristocratiche del tempo promuovendo, con l'impiego di cospicui capitali, l'industrializzazione dell'Italia Settentrionale. La madre era di nobile sangue lombardo, una Osnago.

Dopo le scuole elementari Keller fu inviato in un convitto svizzero reputato per la serietà dell'insegnamento e nel quale affluivano i rampolli d'illustri famiglie, in gran parte straniere.

Vi rimase all'incirca due anni. Sebbene incitato dal padre, non riuscì a vincere la repulsione per un sistema educativo razionale, ma pedantesco ‑ tipico dei collegi signorili del tempo ‑ che lui comunque riteneva nocivo alla formazione della sua personalità. Non che non avesse interessi intellettuali. Tutt'altro. Amava la filosofia, la musica, le arti figurative, i classici della letteratura italiana e straniera. Detestava però acquisire la cultura secondo i convenzionali metodi scolastici, cioè mediante una metodica disciplinata applicazione.

Lasciato dunque il convitto, poté liberamente dedicarsi, senza preoccupazioni di carattere economico, alle sue letture e studi preferiti. Coltivava in pari tempo ogni sorta di sports.

Era inevitabile che un giovane come Guido Keller, rivelatosi sin da ragazzo di temperamento irrequieto, mistico, romantico, innamorato dell'avventura per l'avventura, non venisse prima o dopo attirato dalla Aviazione. Nel gennaio del 1915 infatti, quando si costituì il Battaglione Aviatori Civili, a Mirafiori, Keller si iscrisse senza indugio: egli era già allora, quello che sarà in seguito, fino al termine della vita: una figura singolare, originalissima, irripetibile. Di lui ne ha tracciato un fedele efficace ritratto il Generale dell'Aeronautica Mario Fucini, asso della prima guerra mondiale, vivente, che lo conobbe e gli fu amico durante il conflitto. « Keller ‑ racconta Fucini ‑ era piccolo di statura, con una capigliatura sempre troppo abbondante e arruffatissima, con una barba selvaggia ma con baffi fieramente obbligati all'insù come quelli di un moschettiere. Aveva uno sguardo fra l'accigliato e il tenero; era alieno dagli scatti con i quali ognuno reagisce di fronte ad una enormità, contentandosi di una scrollatina di spalle o di un malinconico oscillare della grossa testa. Nessuno lo sentì mai alzare la voce. Sul più bello di una discussione nella quale stava per persuaderti (caso raro, perché di solito non lo capivi) ti lasciava, senza concludere la sua vittoria. Se mai sorrideva, ed era un sorriso che non dimenticavi più: niente ironia, niente superiorità: il bel sorrìso puro di un fanciullo. Ma sorrideva rarissimamente perché tutto ciò che vedeva, anche la più grossa stramberia, era per lui cosa normalissima, e lo lasciava indifferente, o paternamente consenziente. Sorrideva di rado. Una vera risata, poi, non l'ha mai fatta ». E più oltre Fucini dice: « Sempre spiantato e sempre trasandato nel vestire ma con l'indifferenza del gran signore, un giorno ti capitava davanti con un capo di raffinata eleganza: una cravatta, un paio di scarpe indubbiamente provenienti da un ottimo negozio. Ma il giorno dopo la cravatta era lordata da una larga macchia d'olio che lui non si curava di togliere, e le scarpe erano orribilmente scalcagnate. Le aveva adoperate per una gita in montagna dove si era arrampicato di notte per assistere allo splendore dell'alba. E ti raccontava, senza enfasi però, la commozione che ne aveva provato. Ma se gli proponevi di ripetere la gita insieme ti guardava come se tu fossi matto ».

A Mirafiori Guido Keller, stranezze a parte, fu uno dei migliori allievi‑piloti. In poche lezioni fu in grado di volare da solo. Ebbe anche un curioso incidente che poco mancò non gli riuscisse fatale. Al ritorno da un giro di campo compiuto a bordo di un Blériot, prese terra ai limiti del campo col motore fermo. Anziché raggiungere a piedi il lontano hangar per chiamare un motorista, volle rimettere in moto il motore, con le proprie mani. Dopo qualche tentativo, l'elica prese a ruotare, accelerando rapidamente a causa del gas dato in eccesso. Allora Keller afferrò una delle estremità alari e puntando i piedi fece sforzi inauditi per fermare il velivolo: questo invece, fatto perno sull'ala, incominciò a girare su se stesso. Keller non mollò la presa. D'un tratto, perso l'equilibrio, e spinto in avanti dal movimento dell'ala andò a finire con il capo nel disco di rotazione dell'elica. Fu colpito di scorcio: cadde a terra stordito, il volto imbrattato di sangue. Aveva riportato uno squarcio, per fortuna soltanto al cuoio capelluto. Il Blériot intanto, non più trattenuto, percorse qualche metro e si ribaltò.

Prontamente soccorso, suturata la ferita all'ospedale, in circa due settimane fu perfettamente ristabìlito. Nel frattempo il personale di volo di Mirafiori, con goliardico spirito burlesco, di cui erano allora animati un po' tutti gli aviatori, aveva creato una sorta di leggenda: quella del pilota dalla testa così dura da mandare in frantumi un'elica. Subito, con gran prontezza di spirito, Keller reagì e convocati i « detrattori », costituì, seduta stante, una Società degli Amìci del Pelo e da ognuno dei presenti si fece consegnare una ciocca di capelli. Poi dettò le norme sociali della Società. Terminata la cerimonia, serio e solenne come un sacerdote che compie una cerimonia liturgica, seguito dai «soci» in processione, raggiunse l'hangar e partì in volo recando, in una busta, i capelli degli stessi soci e arrivato su Torino li sparse nel cielo della città « in segno di promessa e di protezione dei piloti di Mirafiori ».

Ottenuto il brevetto civile su apparecchio Blériot Keller si arruolò nell'Aeronautica. Il 1° giugno 1915 era nominato pilota militare su Aviatik, e il 15 di novembre dello stesso anno era in zona operativa, quale comandante di una Sezione della 3^ Squadriglia Aviatik. Questo aereo di tipo biplano, biposto, ideato e costruito in Germania, veniva riprodotto su licenza in Italia. Sul nostro fronte fu dapprima usato come ricognitore, successivamente per la difesa di Brescia e di Verona, ma nell'una e nell'altra forma d'impiego, date le sue modeste prestazioni, non ebbe lunga vita. Era poco manovriero, sviluppava una massiva velocità oscillante, a seconda dei modelli, fra i 115 e i 130 chilometri orari, saliva lentamente raggiungendo, a pieno carico, una quota non superiore ai 3.000 metri. Essendo però di robusta struttura, stabile e di facile governo, venne proficuamente utilizzato nelle scuole di pilotaggio. Rese grandi servigi in tal senso, per l'intera durata del conflitto e per gli anni seguenti. Sopravvisse fino al 1930. Keller, dicevamo, venne inviato in zona operativa, al comando di una Sezione di Aviatik. Rivestiva in quei giorni il grado di Sottotenente del Genio (aveva militato appunto nell'Arma del Genio, prima di frequentare il Corso di Pilotaggio a Mirafiori).

Incurante della vulnerabilità del velivolo, il cui armamento difensivo consisteva in un fucile a ripetizione brandeggiato dall'osservatore, effettuò parecchie missioni belliche, in breve distinguendosi, nonostante la scarsa esperienza, pilota abilissimo e coraggioso. Il suo coraggio era a volte ragionato, a volte inutilmente pazzesco, come se avesse deciso di trovar morte gloriosa in combattimento. Altre volte invece, tutto preso dall'ebrezza del volo, dall'incanto del panorama, eseguiva le sue missioni dimenticando le artiglierie contraeree, gli scoppi degli shrapnels, le insidie dei caccia austriaci.

Verso la fine del 1915 il Comando del Corpo Militare Aeronautico, preoccupato dei continui, bombardamenti nemici su Verona, decise di costituire un reparto, il primo del genere, per la difesa della città. Furono scelti piloti di provata audacia e bravura. Fra essi Keller.

Qualche giorno dopo una sera, verso il tramonto, suonava la sirena di allarme. Il neo‑cacciatore, sebbene sconsigliato dai colleghi, decisamente si levava in volo col suo Aviatik, (che disponeva nella versione caccia di una mitragliatrice Fiat e di una pistola‑mitragliatrice) e raggiunta la presumibile quota cui volavano i nemici, un po' aiutato dal chiarore lunare. e un po' dalla fortuna riuscì a individuare un velivolo. Serrate le distanze, era in procinto di far fuoco, quando si avvide trattarsi, nientemeno, che di un idrovolante italiano. (Come poi gli fu spiegato a terra, l'allarme era stato trasmesso, oltreché al campo d'aviazione di Verona, alla Stazione Idrovolanti di Desenzano: quest'ultima però, non avendo ricevuto la segnalazione della partenza degli apparecchi terrestri, aveva disposto il decollo di un proprio aereo). Keller non lasciò partire neppure un colpo, il pilota dell'idro, per converso, scambiato l'Aviatik per un aeroplano nemico, gli scaricò addosso un paio diraffiche, che per buona sorte non furono micidiali; nondimeno Keller rientrò al campo con la sua macchina danneggiata in più parti.

Come s'è visto all'inizio trascrivendo il profilo tracciato dal Generale Fucini,Guido Keller fu un precursore, un ante litteram della contestazione. Del contestatore tipo ne aveva perlomeno gli attributi formali: un gran barbone nero, capelli prolissi e scomposti, trasandatezza nel vestire. Sul piano intellettuale la sua contestazione, se possiamo ancora usare un tale termine, s'ispirava ad una filosofia della vita così come l'avevano concepita gli antichi elleni: culto della bellezza in ogni forma, dell'eroismo, dell'atletismo, dell'affermazione individuale, dell'esistenza spartana. Ciò spiega, in certo senso, il suo slancio spavaldo e talora dissennato come combattente dell'aria, spiega il suo bizzarro modo di comportarsi, il dispregio per le formalità e le convenzioni sociali. Viveva in maniera disordinata, libera, prodiga fino alla dissipazione, censurava senza tanti peli sulla lingua l'operato dei superiori. « I nostri comandi non funzionano, dobbiamo muoverci, far sentire la nostra voce»! era solito dire in tono vibrante ai compagni di squadriglia. In effetti lui più d'ogni altro soffriva dell'incomprensione degli alti comandi terrestri per l'opera svolta dagli aviatori; imprecava contro coloro che non provvedevano a rimpiazzare i velivoli di, mano in mano che andavano perduti; non ammetteva le restrizioni di volo imposte dalle avverse condizioni meteorologiche. E via di questo passo.

Keller era solito volare in abiti succinti, senza giacca, calzando in capo, in luogo del caschetto di cuoio, un fez da bersagliere munito di un lunghissimo cordone terminante in un grande fiocco: il cordone, come lui desiderava, si distendeva in aria, a guisa di una tremula manica a vento. E in volo talvolta leggeva tenendo il volume assicurato al ginocchio a mezzo di una funicella: leggeva l'Orlando Furioso, oppure liriche del Leopardi, del Petrarca, o tragedie di Shakespeare. Leggeva davvero perché, dopo l'atterraggio, più che riferire della missione compiuta, si preoccupava di commentare il libro. A terra, nelle giornate serene, trascorreva le ore libere da impegni di servizio e di volo, nelle campagne circostanti: si denudava, prendeva bagni di sole, faceva lunghe marce, corse, esercizi ginnastici. Ad eccezione dei mesi invernali, dormiva sotto la tenda. Una volta, in un campo di guerra, si fece costruire, come sua dimora, una grotta.

Questo eteroclito modo di comportarsi gli veniva facilmente perdonato anche dai superiori più esigenti e severi, in quanto lui, in fondo, dal punto di vista morale, aveva le carte in regola, e come pilota era sempre il primo a levarsi in volo.

Ma nonostante le sue strampalerie, impennate, insofferenze, mostrava all'occorrenza di possedere lo spirito pratico dell'uomo comune. Valga un esempio.

I reparti di volo dislocati nella vallata dell'Adige, sovente fermavano l'attività aerea per la formazione di nebbie. La questione fu studiata anche da Keller, il quale senza tanti calcoli, ma guidato dal buon senso, si mise a cercare dall'alto, con l'aeroplano, un'area di terreno sufficiente per consentire decolli e atterraggi e sopraelevata di quel tanto da emergere sulla formazione di eventuali banchi nebbiosi. E riuscì a trovarla. Prese terra là sopra, esaminò la natura del suolo, ripartì, e tornato alla base presentò al comando un'esauriente persuasiva relazione. Approvato che fu il progetto s'incominciò ad approntare quello che doveva poi divenire il Campo d'Aviazione di Sant'Anna di Alfaedo (Verona) a circa mille metri sul livello del mare. I lavori furono condotti sin nei dettagli secondo i piani elaborati da Keller, che nell'occasione si rivelò dotato di talento costruttivo. Egli si occupò altresì, di persona, della esecuzione dei lavori, della realizzazione della strada studiata in modo da riuscire transitabile agli autocarri pesanti nonostante il forte dislivelIn fra il campo e la sottostante vallata. Fece costruire condutture sotterranee, e per appagare la sua natura di artista dispose, a monte, fontane e laghetti. Non tralasciò infine le sue tendenze naturistiche, approntando una sorta di « sala da bagno elioterapica », in un avvallamento del terreno. E colà, con grande beatitudine, fra volo e volo di guerra, faceva, completamente nudo, cure solari.

Il campo di Sant'Anna di Alfaedo, così come aveva previsto Keller, consentì di svolgere attività aerea quando i campi in pianura non erano operativi perché coperti di nebbia.

***

Guido Keller fu pilota di guerra su apparecchio Aviatik per circa un anno, durante il quale effettuò un gran numero di voli di ricognizione. Più di una volta rientrò alla base con l'apparecchio colpito dall'artiglieria contraerea. Ma la sua aspirazione era di transitare alla specialità caccia. Venne alla fine accontentato, e il 22 dicembre 1916 otteneva l'abilitazione al pilotaggio del Nieuport.

Allora la specialità caccia aveva poco più di un anno di vita: era nata infatti ai primi di settembre del 1915, con la costituzione di una squadriglia dì Nieuport biposto (il cosi detto Nieuport - 18 mq.) addetta alla difesa di Udine. Inizialmente armato di moschetto, poi di una mitragliera a due canne, l'aereo non rispose alle aspettative in quanto, in assetto bellico, non riusciva a raggiungere in quota l'avversario in tempo utile. Rinunciato all'osservatore e apportato qualche miglioramento alla struttura del velivolo, non si ottennero prestazioni gran che superiori. Anche le armi avevano dìfetti di vario genere, e primitivo era il sistema di puntamento. Soltanto fra la primavera e l'estate del 1916 il problema della specialità venne felicemente risolto adottando un modello di Nieuport, monoposto, derivato dal precedente: il Nieuport‑13 mq, usualmente chiamato Nieuport‑Bèbè. Questo, assai più manovriero dell'altro, sviluppava una velocità di 170 chilometrì all'ora (15 chilometri in più del 18.mq) aveva un plafond pratico di 5.000 metri, una buona potenza ascensionale e un'autonomia di 300 chilometri.

Conseguita l'abilitazione al Nieuport‑Bèbè, Keller fu assegnato (28 febbraio 1917) all'80a Squadriglia da Caccia, e nella specialità omonima rimase fino al termine della guerra.

In veste di cacciatore egli mise ben presto in evidenza la sua perizia di pilota, e il suo coraggio superbo. Ricorderemo alcuni dei suoi duelli aerei, scelti fra quelli più singolari o drammatici. Disposizioni impartite dagli Alti Comandi d'Aeronautica, prescrivevano di effettuare voli di crociera in pattuglie di almeno due apparecchi. Ciò mirava ad evitare il rischio di scontri aerei con forze nemiche soverchianti; mirava inoltre a impedire ai giovani e inesperti pìloti di cimentarsi, sotto la spinta dell'entusiasmo, in azioni superiori alle loro forze. Ma il nostro barbuto aviatore, insofferente d'ogni restrizione, più volte riuscì a strappare, con dei pretesti, la concessione di partire da solo. In una di queste azioni isolate, compiuta qualche tempo dopo l'assegnazione all'80a da Caccia, si spinse in direzione del mare, e sorvolate le foci dell'Isonzo, proseguì verso oriente con l'intento, come poi disse al ritorno, di ammirare il tramonto. D'un tratto tre caccia nemici, certamente partiti su allarme dal munito campo di Prosecco (Trieste) gli furono addosso e lo presero in mezzo bersagliandolo di raffiche. Ad essi poco dopo si aggiunse un veloce idrocaccia della base di Trieste.

Keller accettò l'impari lotta e con una foga così impetuosa e insistente da convincere i nemici a desistere e a rientrare alle loro basi. Riprese allora la via del campo, e vi giunse ch'era già buio. Vi giunse indenne sebbene l'apparecchio fosse stato crivellato di colpi.

Qualche tempo dopo, il 24 aprile 1917, durante un volo di crociera, affrontava con pari slancio due velivoli austriaci, ne costringeva uno a discendere, e obbligava l'altro alla fuga. Altro duro combattimento sosteneva il 26 maggio dello stesso anno contro un caccia nemico, e quantunque il suo aereo fosse seriamente colpito, continuava a combattere sino a costringere l'antagonista a battere in ritirata.

Verso la metà del mese seguente Keller fu il volontario protagonista di una vicenda singolarissima, degna di lui, forse unica nella storia dell'aviazione militare italiana.

Un mattino dunque, poco dopo l'alba si levò in aria, valicò le linee, e raggiunto un campo d'aviazione nemico, con una temeraria picchiata lanciò un astuccio metallico collegato ad una lunga fiamma tricolore: conteneva un messaggio in cui in termini cortesi e ridondanti (Keller scriveva in stile dannunziano) sfidava gli aviatori nemici a misurarsi con lui, il dì seguente, nel loro cielo. Le condizioni del combattimento erano queste: non si doveva far uso delle armi, e sarebbe risultato vincitore il pilota che fosse riuscito a portarsi in coda all'avversario. Colui infine che doveva battersi con l'italiano, sarebbe stato scelto dai colleghi, ma questi erano invitati a levarsi in volo per assistere all'incontro. Nel messaggio era detto inoltre « ... una vostra fumata bianca mi dirà che avete aderito alla mia proposta ».

E così fu. Quelli accettarono. Avvenne il duello. Il cacciatore austriaco, valentissimo, fu tuttavia superato dal nostro pilota. Il quale venne poi cavallerescamente scortato da una pattuglia di aerei nemici, raggiunse il cielo di Trieste, si abbassò, e compiuto un giro sulla città, volse la prua verso le linee italiane. Al momento del commiato Keller e i piloti avversari si salutarono con vistosi, amichevoli gesti delle mani.

Passando da un campo all'altro Keller venne di nuovo a trovarsi con altri piloti a Verona, di rinforzo ad un gruppo di squadriglie da caccia. Qui si svolgeva un'intensa attività aerea: voli di scorta agli apparecchi da bombardamento e da ricognizione, voli d'interdizione ai bombardieri nemici, voli di crociera lungo la linea del fronte. Nel compiere una di queste ultime missioni Keller ne combinò un'altra delle sue. Lui e un altro cacciatore stavano incrociando in profondità nelle linee nemiche, a nord del Lago di Garda, allorquando, di sorpresa, sbucati da un leggero strato di nubi, gli piombarono addosso tre velocissimi caccia nemici. Prontamente Keller sottrattosi all'attacco con una violenta impennata, si lanciò sopra l'assalitore più arretrato, lo annaffiò di colpi e lo costrinse ad una precipitosa fuga.

Nel frattempo il suo compagno, dopo aver obbligato un altro velivolo austriaco a rientrare nelle proprie linee, subito s'impegnava col terzo apparecchio e riusciva a centrarlo e ad abbatterlo. I due combattimenti si erano susseguiti in tempi così brevi da impedire a Keller di accorrere in aiuto al suo compagno.

Poi l'uno e l'altro iniziarono il volo di ritorno, ma trascorso qualche minuto, poiché il cielo era cosparso di nubi, si persero di vista. Soltanto il compagno di Keller rientrò regolarmente al campo di Verona. Di « Frate Francesco » come veniva affettuosamente chiamato dai colleghi il Nostro, nessuna notizia. Passano ore angosciose. Niente. Allarmato il comandante del campo dispone di cercarlo presso i campi d'aviazione ove presumeva potesse aver atterrato. Nulla ancora. Così per l'intero pomeriggio.

Verso il tramonto un improvviso rombo di motore ruppe la quiete del campo. Un biplano apparve, evoluendo pazzamente. Poi discese. E quando si fermò dinanzi agli hangars, ne venne fuori una figura ben nota: Guido Kcller con in braccio un gran mazzo di fiori. Non ebbe però il tempo di aprir bocca ché il suo compagno di volo del mattino, già gli era addosso tempestandolo di pugni e gridando insolenze. Alfine, quando gli fu possibile parlare, Keller disse:

‑ Debbo anzìtutto congratularmi con te per il combattimento di stamani. Sei stato veramente in gamba.

‑ Lascia perdere il combattimento... perché non sei tornato subito a Verona?

‑ Beh! prima sono andato a sfiorare le acque del Lago di Garda col mio velivolo rombante. Voi non conoscete il lirismo del volo, l'ebbrezza della velocìtà...

‑ E poi? Dove sei andato a cacciarti?

‑ Ho atterrato in un piccolo campo di fortuna ai piedi dei monti bresciani. Ho dormito per l'intero pomeriggio. Poi sono ripartito con questo mazzo di fiori. Son per te. Te li sei meritati.

***

Durante le dolorose giornate di Caporetto (23 ottobre‑17 novembre 1917) la nostra aviazione, chiamata a operare contro forze aeree soverchianti, si gettò nella lotta con uno slancio così ardente da suscitare ammirazione fra gli stessi comandi avversari. Mentre gl' infaticabili aviatori duellavano nel cielo, e mitragliavano e spezzavano a volo radente, e sganciavano tonnellate di esplosivo sugli obbiettivi nemici, i reparti a terra, sotto la spinta delle armate austro‑tedesche, erano duramente impegnati a salvare il salvabile dei materiali bellici dislocati nei campi avanzati, a distruggere hangars, depositi e quanto altro non poteva essere trasportato al di qua del Piave, e, infine, ad allestire nuovi campi di volo in zone arretrate.

Anche la 91^ Squadriglia da Caccia, comandata da Francesco Baracca, è costretta a ripiegare. Raggiunge in volo Padova in data 1° novembre, in piena offensiva di Caporetto. Lo stesso giorno vengono assegnati al leggendario reparto, altri cinque piloti di sperimentato valore: Adriano Bacula, Edoardo Oliviero, Cesare Magistrini, Franco Macchi e Guido Keller.

Compaiono per la prima volta nel cielo del Piave i rapidi aggressivi aerocaccia germanici: giungono sempre in formazioni compatte, ma i piloti di Baracca si buttano allo sbaraglio colmando l'inferiorità numerica con la destrezza manovriera, l'ottima tecnica nel condurre il combattimento, lo sprezzo del pericolo.

E con l'aiuto di altri ben addestrati reparti da caccia riescono pian piano a rimontare lo svantaggio. Trasferita a Nove di Bassano, la 91^ viene impiegata alle dipendenze della 1^ Armata. E' in questo periodo (siamo alla fine di novembre del 1917) che Guido Keller, in pattuglia con altro cacciatore, affronta una formazione di aerei nemici. Grande è la sperequazione delle forze. Il compagno di Keller riesce finalmente a soverchiare uno dei più accaniti avversari e con una lunga raffica lo abbatte. Keller intanto, destramente evoluendo fra sei apparecchi nemici, col suo Spad gravemente colpito, riesce alla fine ad accodarsi all'apparecchio capo‑pattuglia e con alcune ben aggiustate scariche colpisce a morte il pilota: l'ala nemica bruscamente si piega in avanti, precipita a perpendicolo a vertiginosa velocità, le ali si staccano.

Nel giugno del 1918, per la prima volta nella Storia dell'Aeronautica, venne creata una massa da caccia, forte di 120 velivoli, agli ordini dell'Asso Ten. Col. Pier Ruggero Piccio.

Questo dispiego di forze, imponente per l'epoca, svolgeva un trìplice compito: sorvegliava a mezzo di ben guarnite pattuglie il cielo della battaglia, realizzando un invalicabile sbarramento aereo; interveniva, spesso in concorso con la ricognizione, nel mitragliare e spezzonare a bassa quota truppe nemiche in movimento nelle retrovie e nelle prime linee; scortava le formazioni di Caproni che rovesciavano il loro carico di bombe sui bersagli dell'entroterra nemico.

Dei tre compiti, quello del mitragliamento, fu da più parti criticato specie dopo la morte di Baracca, avvenuta appunto durante un volo d'assalto sul Montello, il 19 giugno 1918. Il fatto che tali missioni ordinate dagli Alti Comandi Terrestri, producessero un sensibile effetto morale nelle file nemiche ‑ sostenevano i critici ‑ non era compensato dai modesti risultati raggiunti in senso offensivo‑distruttivo, ma soprattutto dall'altissimo rischio cui si esponevano i nostri cacciatori, ossia degli elementi specializzati nel combattimento aereo, e come tali sempre preziosi e talvolta (vedi il caso di Baracca) insostituibili.

Non pochi piloti da caccia comunque corsero l'alea di perdere la vita in azioni del genere: fra questi Keller. Ciò avvenne poco prima della fine del conflitto nel cielo di Codega. Aveva ripetutamente mitragliato da pochi metri dal suolo truppe austriache allorché vide più oltre dei reparti accampati, e su di essi indirizzò ancora la prua del velivolo. Azionati gli ultimi nastri della mitragliatrice e ripresa quota con una decisa cabrata, avvertì un sordo dolore alla coscia sinistra: un proiettile gliela aveva forata da parte a parte. Nello stesso tempo si accorse che i cavi del timone di direzione erano stati tranciati da una raffica. Che fare? Impossibile raggiungere le linee italiane; erano troppo lontane. Eppoi il sangue sgorgava a fiotti. Arduo infine era dirigere l'apparecchio con la pedaliera in folle. Si decìse, spense il motore, planò, scese sopra un terreno accidentato e cosparso di buche. Appena toccato il suolo, con gran violenza, lo Spad si rovesciò. Stordito, contuso, indebolito dall'emorragia, ebbe nondimeno la forza di sfibbiare la cintura dì sicurezza e di levarsi in piedi. Accorrono alcuni soldati austriaci.

‑ Mettetevi sull'attenti ‑ ordina Keller che parlava bene il tedesco ‑ sono un ufficiale italiano. Ho diritto al vostro rispetto! Sono ferito, portatemi di urgenza all'ospedale!

Intimoriti dal fiero aspetto dell'aviatore, i soldati obbediscono, e senza por tempo in mezzo lo trasportano al più vicino ospedale da campo, indi a quello di Sacile (Pordenone).

Ma già da qualche giorno le nostre armate avevano sfondato il fronte a Vittorio Veneto. E poco dopo Keller veniva liberato.

Rientrato in squadriglia, ecco quanto raccontò ai colleghi del periodo di prigionia: « Benché sapessi dell'imminente arrivo dei nostri, decisi di combinare una fuga: sarebbe stata una fuga sensazionale, unica nella storia delle evasioni. Come prima mossa cercai di diventare buon amico del colonnello medico, cosa che, data la mia conoscenza del tedesco, mi riuscì facilmente. Egli mi concesse, fra l'altro, la facoltà di muovermi liberamente per ogni reparto ospedaliero. Era quanto volevo. Ne approfittai per impossessarmi, con la connivenza di un giovane aspirante medico, alcuni flaconi di cloroformio. Ed ecco ora il mio piano. Nottetempo avrei narcotizzato l'intero personale, dal colonnello all'ultimo infermiere, e sarei tranquillamente uscito, così, come per fare una passeggiata.

- Ma come avresti potuto raggiungere le nostre linee ‑ obiettarono i colleghi ‑ dal momento che la ferita t'impediva di camminare?

- Avrei marciato pian piano, con le stampelle.

Keller era inarrivabile nell'inventare storie stravaganti, paradossali, e nell'esporle con tale serietà e convinzione da indurre gli ascoltatori a prenderle per vere. Ma questa volta fallì. Aveva esagerato.

Con questo episodio si chiuse la vita di guerra di Guido Keller. Si chiuse con il seguente bilancio: 116 voli di scorta e caccia, 137 voli di crociera, innumerevoli voli di ricognizione parte dei quali eseguiti alla specialità da caccia. Distrusse in combattimenti aerei 7 velivoli austriaci, di cui 3 ufficialmente convalidati, partecipò all'abbattimento di parecchi altri. Fu decorato di tre Medaglie d'Argento al Valor Militare.

***

Circa un anno dopo la fine delle ostilità, nei giorni della così detta « passione fiumana e dalmatica » la popolarità di Keller dilagò all'improvviso oltre gli ambienti aeronautici, in seguito ad un'impresa aerea non eccezionale dal punto di vista tecnico, ma spettacolare e di notevole valore sul piano politico, un'impresa che possiamo definire tipicamente kelleriana.

Fiume era stata occupata dalle truppe italiane, il 5 novembre 1918, cioè due giorni dopo la firma del patto di armistizio fra l'Italia e l'Austria. Nell'aprile dell'anno seguente, gli Stati Uniti, per volere del loro Presidente, imposero il veto di annessione di Fiume all'Italia, poi, nel maggio, la Jugoslavia respinse un compromesso proposto dalla Francia di fare della città uno Stato Indipendente. Il trattato di pace con l'Austria, del 10 settembre 1919, lasciò la questione insoluta.

E' a questo punto che scatta l'impresa di Gabriele d'Annunzio. Trascorsi infatti appena due giorni, al comando di un manipolo di volontari (legionari) occupò la « Città Olocausta ». Immediatamente, in virtù dell'enorme prestigio del Poeta‑Soldato le cui leggendarie gesta compiute durante il recente conflitto erano vivissime negli animi di tutti gl'italiani, affluirono a Fiume migliaia di uomini, nella quasi totalità ex‑combattenti. Fra essi una settantina di aviatori, fra i quali quattro Medaglie d'oro, sei Assi, alcuni dei volatori di Vienna ed altre eminenti figure di piloti.

L'8 settembre 1920 D'Annunzio proclamava la Reggenza del Carnaro, e il 13 settembre occupava Veglia, Arbe, Albona, che il Trattato di Rapallo, concluso nel frattempo fra il Governo Italiano e quello Jugoslavo, avevano assegnate all'Italia.

Responsabili di non aver annesso Fiume all'Italia nell'immediato dopoguerra senza attendere le decisioni dei consessi internazionali, erano, secondo D'Annunzio, i governanti, in particolar modo Francesco Saverio Nitti, allora Presidente del Consiglio. Il Poeta lo battezzò Cagoia. (« Cagoia ‑ disse in un discorso ‑ è il nome di un basso crapulone senza patria, ne sloveno, ne croato, ne italianizzante, ne austriacante, che fece qualche chiasso a Trieste nei moti del 3 e del 4 agosto 1898 »).

Dell'identico parere ovviamente erano i legionari fiumani, all'unanimità. Vi fu anche un tentativo, peraltro disapprovato dal Comandante (così voleva esser chiamato D'Annunzio), di sopprimere l'intero consesso politico, ma la poca discrezione degli organizzatori mise in allarme la polizia, e i mandatari vennero tratti in arresto prima che potessero raggiungere la Capitale.

E' in questo clima rovente che Guido Keller, fervente legionario della prima ora, legato al Comandante da profonda reciproca stima e amicizia, escogita quella che fu certamente la sua più originale trovata: raggiungere in volo Roma per lanciarvi tre « messaggi », uno sul Vaticano, uno sul Quirinale, il terzo su Montecitorio, allo scopo di scuotere l'opinione pubblica e di polarizzarla a favore della causa dannunziana.

Partì il mattino del 14 novembre 1920 dal campo di Grobnico (Fiume) a bordo di uno SVA monoposto. Attraversato con volo diretto l'Adriatíco, alle ore 11 era nel cielo della Capitale.

« Giunto a destinazione ‑ come scrisse più tardi ‑ offro al Vaticano delle rose rosse per Frate Francesco, sul Quirinale lancio altre rose rosse alla Regina e al Popolo, in pegno d'amore. Su Montecitorio scaglio invece un arenese di ferro smaltato, con un striscione di stoffa rossa, delle rape legate al manico e un messaggio: Guido Keller ‑ Ala Azione nello splendore ‑ dona al Parlamento e al Governo che si regge col tempo, la menzogna e la paura, la tangibilità allegorica del Loro Valore ».

La « tangibilità allegorica » si riferiva naturalmente all'« arnese di ferro smaltato », un oggetto di uso intimo, come ognuno ha capito, oggi non più di moda.

Ripresa la via del ritorno, volse la prua non già su Fiume, ma in direzione di Spalato, al fine (sono ancora sue parole) « ... di provocare colà i Vespri Spalatini, approfittando ancora della presenza della nave Puglia, alla quale i serbi avevano ucciso il comandante e l'ufficiale in pnma ».

Sorvolate le coste adriatiche, colto da una bufera, dirottava verso nord, ove però mare e terra erano coperti da un'ampia distesa di nebbia. Non riuscendo ad orientarsi, e calcolando che la benzina residua non gli avrebbe consentito di giungere a destinazione, decideva di effettuare un atterraggio di fortuna. Forato alla minima velocità di sostentamento il banco di nebbia, le ali andarono a cozzare contro un albero, l'aereo girò con violenza su se stesso e lui venne catapultato qualche metro più in là, sul fango. La fortuna gli era ancora buona amica: rimase difatti incolume. Riavutosi dall'emozione e nulla vedendo a motivo della nebbia, mosse in una direzione qualunque, e poco dopo incontrò alcuni contadini.

‑ In che terra sono? ‑ chiese.

‑ Siete nella Repubblica di San Marino.

‑ Ne sono felicissimo.

E dopo aver raccontato, a suo modo, le ragioni del volo e la forzata discesa, aggiunse:

‑ E ora accompagnatemi dal Reggente, debbo vederlo subito. E' importante.

Cordiali e calorose furono le occoglienze del Reggente, dei Notabili della Repubblica, del popolo sanmarinese. Del suo volo Keller dette una versione addomesticata: disse di essere andato a Roma per « portare un messaggio di Gabriele d'Annunzio ». Tacque, si capisce, sulla faccenda dell'« arnese di ferro smaltato ». Il giorno dopo si seppe dai giornali la verità, tuttavia l'aviatore convinse il Reggente di rilasciargli le credenziali d'inviato straordinario di San Marino presso il Governo di Fiume. E trascorse altre ventiquattr'ore partì.

In territorio italiano, carabinieri e polizia, informati di quanto sappiamo, cercarono di fermarlo, ma Keller si fece ogni volta rispettare: i documenti diplomatici parlavano chiaro. Nessuno poteva impedirgli di proseguire alla volta di Fiume.
Di altri romanzeschi episodi è intessuta la vita di questa estrosa, singolarissima figura di uomo e di soldato dell'aria. Ne ricorderemo ancora uno, avvenuto nel 1925. Il 27 febbraio di quell'anno il maggiore Ferruccio Capuzzo, Comandante dell'Aviazione della Cirenaica, mentre a bordo di un Caproni si spingeva nell'Oasi di Giarabub, costretto ad atterrare per avaria ai motori, veniva assalito da forze ribelli e, assieme all'equipaggio, barbaramente trucidato. Un fremito di commozione e di sdegno, corse per la Colonia e in Patria. Occorre vendicare il martire. Keller (che alcuni mesi prima era stato assegnato ad una squadriglia di ricognizione a Bengasi) si offre di partire. Viene accontentato. Sale a bordo di uno SVA avvolto in un baracano bianco, e via! s'inoltra nel deserto in profondità, avvista un gruppo di ribelli, si tuffa sino a sfiorare le sabbie e più volte li mitraglia. Capuzzo è vendicato. Circa mezz'ora dopo, sulla via del ritorno, di colpo il motore cessa di funzionare, e Keller atterra, balza al suolo imbracciando il moschetto, deciso a vender cara la pelle. Gli si accostano infatti, sbucati non si sa da dove, gruppi di arabi armati. Avanzano a lenti passi, guardinghi, stupiti di di vedere quell'uomo dal volto bruno, incorniciato da una gran barba nera: pensano che sia uno di loro, forse un santone sceso dal cielo. La fortuna lo aiuta ancora una volta. Fra i ribelli ve n'è uno che parla perfettamente l'italiano: il quale rivolge la parola al pilota, e questi con grande presenza di spirito getta il moschetto gli muove incontro con la mano tesa, lo abbraccia, poi gli racconta una serie di storie una più inverosimile dell'altra. Riesce insomma a conquistarlo al punto da essere invitato, quale ospite di onore, nella tenda del capo.

Lo stesso pomeriggio il Comando dell'Aviazione di Bengasi, ordinava d'iniziare le ricerche dello scomparso, e altri voli venivano compiuti nei giorni seguenti. Nulla. Nessuna traccia del velivolo. Si era ormai persuasi che il pilota avesse fatto la stessa orribile fine del Maggiore Capuzzo, allorquando un mattino ecco arrivare al campo d'aviazione in arcioni ad un cavallo sauro, avvolto nel baracano, Guido Keller, seguito, come scorta di onore, da una pattuglia di ribelli mansueti, sottomessi. Il cavallo glielo aveva ceduto il capo.

Più oltre, lasciata l'Aeronautica Militare, fu per qualche tempo in Germania, ove si occupò dello studio del volo a vela. Tornato in Italia venne inviato in missione commerciale nell'America Latina. Trascorse l'inverno nel Venezuela e con l’ ebrezza del pioniere risalì l'Orinoco sin quasi alle sorgenti, attraversò con avventuroso viaggio la Guaiana, raggiunse il Mare Caraibico. Affascinato da quelle terre selvagge e inesplorate, rimpatriato che fu elaborò progetti di traffici commerciali da esercitare, con idrovolanti, lungo i fiumi e le coste brasiliane, colombiane, venezuelane.

Nel 1928 ebbe un altro grave incidente di volo. Era stato incaricato da Mario de Bernardi, che dirigeva allora un'organizzazione per il turismo aereo, di trasportare un idrovolante da Orbetello a San Remo: i due erano ottimi amici. Si conoscevano dai tempi di guerra quando militavano entrambi nella squadriglia di Baracca. Assieme a Keller partì un altro idrovolante, anch'esso diretto a San Remo.

Contrastato da pessime condizioni atmosferiche Keller interruppe il volo a Spezia. Ripartito tre giorni dopo, di nuovo avversato da un tempo ancor peggiore, volle ad ogni costo arrivare a San Remo. Vi riuscì, ma durante l'ammaraggio, col motore in avaria, un gigantesco cavallone si rovesciò sull'idrovolante, schiantandolo. Una lancia del porto, velocemente accorsa, trasse in salvo Keller e il suo compagno di viaggio, certo Bertozzi, legionario fiumano, casualmente incontrato e imbarcato a Spezia. Keller venne dichiarato guaribile in pochi giorni, l'altro in tre mesi. Fu l'ultima avventura di volo di Guido Keller.

Il 9 novembre dell'anno seguente, perdeva la vita in un incidente d'auto assieme a due compagni di viaggio, suoi amici: Vittorio Montiglio (la più giovane Medaglia d'Oro della prima guerra mondiale) e il capitano pilota Giovanni Battista Salina.

I tre erano partiti a sera inoltrata da Roma, sotto la pioggia, diretti a Vallombrosa. La sciagura avvenne nei pressi di Otricoli (Terni). In curva la macchina, per ragioni che non furono mai chiarite, probabilmente a causa delle tenebre, della strada sdrucciolevole andò a cozzare a gran velocità contro la spalletta di un ponte. Keller e Montiglio morirono sul colpo, Salina si spense all'Ospedale di Magliano Sabina ventiquattr'ore dopo.


APPENDICE

Motivazioni delle Medaglie d'Argento al Valor Militare
concesse a Guido Keller

I. ‑ Medaglia d'Argento ‑ D.L. 12 giugno 1919.

Tenente 1° Gruppo Aeroplani, 73^ Squadriglia.

« Pilota addetto ad una squadriglia da caccia, compì numerosi e importanti voli di guerra, distinguendosi sempre per ardimento e perizia. Il 24 aprile 1917 con grande audacia e sangue freddo affrontò arditamente due velivoli nemici e col fuoco della sua mitragliatrice ne costrinse uno a discendere, obbligando l'altro a rientrare nel proprio territorio. Il 26 maggio 1917, avvistato un velivolo nemico, lo assalì e, quantunque con l'apparecchìo colpito, continuò a combattere finché lo costrinse alla fuga ».

Cielo del Carso, 24 aprile‑26 aprile‑26 maggio 1917.

2. ‑ Medaglia d'Argento conferitagli sul campo e sanzionata con R.D. 1° settembre 1920.

Tenente del Genio, 91^ Squadriglia « Baracca ».

« Costantemente ammirevole per coraggio, fermezza e tenacia, in pochi giorni dodici volte si abbassava a pochi metri sopra le trincee nemiche mitragliandole efficacemente. il 23 novembre 1917, assieme ad un compagno di squadriglia, abbatteva un apparecchio avversario e nel combattimento il suo apparecchio veniva ripetutamente e gravemente colpito. Il 26 maggio 1918, essendo in pattuglia con altri della squadriglia, partecipava efficacemente all'abbattimento di un caccia nemico, che precipitava in fiamme ».

Cielo del Carso, 17 settembre‑27 ottobre 1917. Cielo di Monte Franchini, 23 novembre 1917. Cielo del Piave, 26 maggio 1918.


3. ‑ Medaglia d'Argento, R.D. 2 giugno 1921.

Tenente dì complemento, 91^ Squadriglia aeroplani « Baracca ». « Pilota audacissimo e di impareggiabile slancio, il 12, il 30 luglio e il 30 agosto 1918 abbatté tre velivoli nemici. In altri combattimenti fugò intere pattuglie avversarie ed incendiò un pallone alla deriva. Si espose più volte a seri pericoli, e rimase più volte colpito in combattimento. Nella nostra vittoriosa offensiva dell' ottobre 1918 prodigò infaticabilmente se stesso, mitragliando campi di aviazione e ammassamenti di truppe avversarie fino a che, avuto l'apparecchio colpito, coi comandi tagliati e ferito egli stesso ad una coscia, precipitava nei pressi di Codega. Rimase qualche tempo prigioniero ».

Cielo del Piave, luglio‑agosto‑ottobre 1918.


3 commenti:

  1. uomini come Guido Keller non ne nascono più...

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  2. Beh! proprio così è difficile che nascano ancora.
    Ma qualcuno che dell'asso di Cuori ha preso il testimone c'è stato visto che è stato emulato il gesto del pitale da un generale qualche tempo dopo.
    Comunque avercene di Guido Keller

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  3. Ho trovato dei disegni di Catulo Frapeli, chi oltre Keller, partecipó alla impresa fiumana.Ci sono 2 ritratti di Keller e tanti di D´Annunzio. Se vuoi te gli faccio arrivare.

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