“ Ricordando su "il Giornale" Durand de La Penne, Giancarlo Lunati riflette su coraggio individuale, viltà e conformismo”
BEATI I POPOLI CHE ANCORA HANNO EROI
E’ superfluo scomodare la mitologia per parlare di eroi e credo poco alle divagazioni poetiche che possono stimolare le loro gesta; tanto più che quelli che noi chiamiamo eroi hanno pensato di sé con pudore e riservatezza. Dice Saverio Vertone che basta questa umiltà coraggiosa, senza retorica, per dar mano oggi al cambio dei costumi e io sono d'accordo con lui, anche se dissento dalla sua visione nichilista del mondo contemporaneo e dalla schizofrenia da lui descritta fra comportamento quotidiano ed evasione serale cinematografica.
Io penso che l'eroismo è ancora utile perché esso rappresenta il coraggio individuale elevato a simbolo collettivo. È l’esempio che tutti possono comprendere. Luigi Durand de La Penne non pensava di fare l'eroe, ma di svolgere semplicemente la propria missione, con coerenza e onestà e di dare anche testimonianza che un officiale deve fare il proprio dovere fino infondo. È perciò bene parlarne, e sarebbe bene che se ne parlasse di più, a cominciare dalle scuole. Salvo D'Acquisto fu un eroe ancor più schivo e senz'alcuna memoria storica o letteraria a conforto del proprio gesto, ma l'esempio suo fu grande, ai confini della santità.
Di eroi e di santi non si parla più. Di esempi per i giovani si ha reticenza a offrirne, nel nostro colloquio continuo, nei luoghi di lavoro e d’incontro. Nel nichilismo contemporaneo, che per fortuna è totale anche se molto diffuso, non c'è spazio per la retorica e questo è bene. Ma c'è diffuso spazio per il cinismo, la scanzonatezza, l'irrisione: e questo è male. Chi scrive, credendo a quel che scrive, se si azzarda ai limiti dell'etica è tacciato di ingenuo moralismo, catalogato fra improbabili deamicisiani, come se "Cuore" fosse un libro esecrando o comunque e definitivamente fuoritempo.
Non sarebbe l'ora di smetterla con l'assolutezza cinica? La prima metà del secolo è stata marinettiana, dannunziana e fascista; predicò valori eccessivi e rumorosi; ma la reazione non è forse, nella nostra seconda metà, parimenti negativa e dannosa? Se non ci fosse realmente più nulla, quale sarebbe lo scopo del comunicare, dello scrivere, del rispondere a chi scrive?
È tempo di rispolverare vecchi concetti: l' indignazione, per esempio, contro tutti gli eccessi di tolleranza, di garantismo, di dissipazione intellettuale. Il senso del dovere, per esempio, contro l' insegnamento quotidiano ai giovani di essere furbi e furbastri, più lesti d’ogni altro lestofante. Il valore del lavoro, per esempio, che va ben oltre il giusto e legittimo desiderio di successo. Vogliamo che di tutto ciò s'occupi solo la Chiesa di Roma? Avere pudore va bene, ma una classe intellettuale che non creda più a nulla innesca processi di auto autodissoluzione senza ripari. Perché mai si deve sfidare il senso del ridicolo per parlare di cose morali? Tra le due guerre mondiali Lukàcs definì il male come distruzione della ragione; oggi il male sta nel raffinato, irridente, cinico gioco intellettuale di chi non crede più a nulla, ma ha la vanità come unico valore e continua a esibirla. Quando verrà ancora il momento in cui si potrà parlare di patria, di dovere, di tradizioni e di impegno morale senza essere sbeffeggiati e vilipesi? Esempi forti e comprensibili servono ancora e perciò, senza alcuna retorica, ricominciamo pure a parlare di eroi.
Giancarlo Lunati
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