L'avventura di Airone Bof, soldato della "Folgore" e pugile, catturato a El Alamein e tornato a casa nel dicembre del 1945
Fuga dal campo di prigionia inglese e ritorno a Feltre
"Valeva quanto una divisione media tedesca e la superava nelle operazioni notturne". E' quanto disse a proposito della Divisione paracadutisti Folgore il generale inglese Lucas Phillips, che partecipò con (VIII armata allo scontro di El Alamein. Winston Churchill, dal canto suo, usò toni ancor più accesi di ammirazione nel discorso pronunciato alla Camera dei comuni nel dicembre del '42: "Dobbiamo invero inchinarci a quelli che furono i leoni della Folgore". Ebbene, tra quei leoni c'era anche Airone Angelo Bof di Seren del Grappa, classe 1920, paracadutista della 20^ Zona Compagnia mortai da 81 della Divisione Folgore, decorato con croce al merito di guerra. Un autentico leone di 1metro e 90 per 84 chili di peso, dagli occhi di ghiaccio con due mani da gigante, passato indenne dall'inferno della seconda battaglia di El Alamein, catturato e fuggito dal campo 309 di prigionia inglese di Alessandria d'Egitto. Pugile professionista negli Stati Uniti dell'immediato dopoguerra, dove si batte nella categoria dei massimi per 7 anni. Qualche diretto, per la verità, gli sfugge anche fuori del ring negli States. Nei primi anni '50 rimpatria e si stabilisce a Milano, dove rimane per trent'anni, lavorando dapprima nel settore dei trasporti. Poi, con la moglie, fonda un'impresa di pulizie che arriva ad avere fino ad una trentina di dipendenti.
La vita militare di Airone Angelo Bof inizia nel 1940 con la chiamata alle armi e l'assegnazione al deposito di frontiera di Osoppo (Udine). Da lì parte la sua domanda di arruolamento nei paracadutisti, supera la visita a Ferrara ed il 1° aprile del '41 entra alla Scuola paracadutisti di Tarquinia (Viterbo). Nel giugno del '41 ottiene il brevetto di paracadutista, ed il 12 agosto è in Nordafrica con la divisione Folgore, sezione mortai, al V Battaglione comandato dal maggiore Giuseppe Izzo (futuro generale decorato con medaglia d'oro). Alle 21.30 di venerdì 23 ottobre del '42 scatta l'operazione "Pieleggero" e nei sessanta chilometri di sabbia africana si scatena un inferno di fuoco di 892 pezzi d'artiglieria, che in 12 giorni sparano oltre un milione di colpi. Airone Bof si trova sulle alture di sabbia di Quaret el Himeimat. "In quei giorni avevo lasciato la 20^ Compagnia mortai per andare a sostituire il portaordini del 50. battaglione rimasto ferito" precisa Bof. "Quella notte, fui svegliato bruscamente dall'attendente, che venne a chiamarmi per ordine del maggiore: gli inglesi avevano attaccato. Presi in fretta con me alcune bombe, la pistola Beretta 34 ed il fucile 91. Eravamo imbottigliati tra due fuochi con gli inglesi e i degaullisti di fronte ed alle spalle il resto dei reparti italiani. Gli inglesi, per aprirsi un varco nei campi minati (cosiddetti "giardini del diavolo") mandavano avanti i cammelli con un pezzo di ferro legato alla coda, finché saltavano in aria su qualche mina e i loro pezzi finivano in padella il giorno dopo. "Andiamo avanti che sono in pochi" gridavo ai miei compagni (in realtà gli angloamericani avevano circa il doppio di forze e mezzi disponibili, rispetto all'asse italo‑tedesco, ndr). Ho combattuto ed ho avuto fortuna ‑sottolinea Bof proseguendo il racconto non sono mai stato colpito dal fuoco nemico, che ha decimato i miei commilitoni della compagnia mortai. In una mattina di tregua, un soldato tedesco mi venne incontro e mi consegnò i tesserini dei miei compagni caduti. Portai i documenti al pronto soccorso da campo dove, tra i feriti, riconobbi il tenente Marco Goia, ufficiale della mia compagnia ed anche il comandante, maggiore Giuseppe Izzo. Fu in quell'occasione, che il maggiore mi disse di aver inoltrato anche la mia proposta di decorazione". La notte del 2 novembre scatta l'operazione finale chiamata "Supercarica". Montgomery decide di sferrare l'ultima spallata ammassando 800 carri armati e 360 cannoni. Anche il nostro Airone è catturato prigioniero insieme a quasi ventimila militari italiani. "Dal campo di prigionia di Alessandria d'Egitto ‑racconta Airone ‑ fui trasferito a quello di Suez e poi ancora ad Alessandria. Per il mio temperamento, finii più volte nel campo puniti, benché questo non mi impedisse di mantenere una certa libertà, per frequentare gli allenamenti di boxe che mi lasciavano fare in spiaggia. Una volta successe che per difendere un commilitone, reagii contro dei soldati inglesi. Il maresciallo italiano, responsabile del campo, mi fece capire che questa volta avevo esagerato e che gli inglesi non me l’avrebbero lasciata passare liscia. A quel punto decisi di tentare la fuga. Riuscii ad aprirmi un varco tra i reticolati, ed una volta libero fui aiutato da degli italiani che mi nascosero per una settimana in casa loro. Buttata la camicia con la "W" sulla schiena, che contraddistingueva i prigionieri di guerra del campo, mi fu procurata una divisa da marinaio inglese ed un tesserino falso da furiere col nome di "Nostro Emilio". Nell'ottobre del '45 salpavo con l’incrociatore Duca d'Aosta (passato sotto il controllo inglese dopo l’8 settembre del '43 e nel 1948 ceduto all'Unione Sovietica, insieme alla corazzata Giulio Cesare, come preda bellica, ndr), diretto al porto di Taranto". Nel frattempo, Airone Bof era considerato disperso in Italia. "Nel dicembre del '45 me lo vedo arrivare a Seren del Grappa in pantaloncini corti e con degli zoccoli ai piedi" racconta la moglie. "Non andò esattamente così ‑ replica Airone ‑ le scarpe me le rubarono alla stazione ferroviaria di Padova, dove mi ero addormentato. Ma a casa, sono arrivato con le scarpe nuove, che avevo appena comperato a Feltre"!
Roberto De Nart
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