giovedì 25 ottobre 2007


CADDERO A DUE GIORNI DI DISTANZA L'UNO DALL'ALTRO
I FRATELLI RUSPOLI
ARISTOCRAZIA DEL VALORE
Ufficiali paracadutisti della divisione "Folgore'; altissima sintesi dell eroismo italiano, furono stroncati tenendo testa alt attacco nemico e vennero decorati entrambi di medaglia doro.
di
ALDO GIORLEO


Tra gli eroi della Folgo­re spiccano le figure di due fratelli apparte­nenti a una delle più note famiglie della nobiltà roma­na, i principi Marescotti e Costan­tino Ruspoli di Poggio Suasa, ca­duti a distanza di due giorni uno dall'altro e decorati di medaglia d'oro, ai quali è intitolata la se­zione di Roma dell'Associazione Nazionale Paracadutisti d'Italia. Un altro fratello, Carlo Maurizio, ufficiale pilota che combatteva in quel torno di tempo in Africa Set­tentrionale, il 26 ottobre del '42, appresa la morte di Marescotti, giunse a El Alamein per rendere l'estremo saluto al fratello e gli venne comunicato che poche ore prima anche Costantino era cadu­to alla testa della sua compagnia.
Degli ufficiali di nobile casato (e la "Folgore" ne conteneva pa­recchi, in gran parte provenienti dalla Cavalleria) i Ruspoli erano tra i più benvoluti per la loro profonda umanità, la loro saldez­za spirituale, l'esempio che sape­vano dare ai loro sottoposti. Tutti sapevano che i due fratelli avava­no voluto a tutti i costi far parte della divisione paracadutisti co­stituita per la conquista di Malta. E quando, sfumata la possibilità d'impiego dal cielo, i paracaduti­sti furono inviati in Africa Settentrionale a fare la guerra dei fan­taccini, i Ruspoli, come tutti gli altri avevano obbedito, pur ren­dendosi conto quanto fosse stupi­do sprecare in quel modo dei ma­gnifici reparti, composti dal fior fiore della gioventù italiana, co­stituiti per un tipo di guerra ben diverso da quello tradizionale.
Spedizione : in Africa
Il tenente colonnello Marescot­ti Ruspoli, 49 anni, bruno, alto, elegante, provetto cavaliere, era il prototipo dell'ufficiale di carrie­ra. Aveva preso parte alla prima guerra mondiale guadagnando una promozione sul campo, una medaglia d'argento e tre di bron­zo. Nel dopoguerra era stato uffi­ciale d'ordinanza del Maresciallo Diaz e dal 1926 al '29 aveva com­piuto una spedizione in Africa, nella regione degli Arussi, tra Su­dan e Etiopia, alla ricerca della salma dello zio, il noto esplorato­re Eugenio Ruspoli, morto 34 an­ni prima. Nel 1935 aveva parteci­pato da volontario all'impresa etiopica come capitano dei Caval­leggeri Alessandria; quindi, all'inizio del secondo conflitto mondiale, aveva combattutto in Jugoslavia con il Genova Cavalle­ria. Nel '41 era stato uno dei primi ufficiali a raggiungere la Scuo­la Paracadutisti di Tarquinia.
Costantino, due anni più di Marescotti, era stato anche lui uf­ficiale di Cavalleria nella prima guerra mondiale, meritando una medaglia d'argento, ma, a diffe­renza del fratello, aveva abban­donato la vita militare e s'era tra­sferito in Belgio. Allo scoppio del secondo conflitto mondiale, era subito tornato in patria chieden­do di essere arruolato "per fare il proprio dovere" ed era stato asse­gnato al suo vecchio reggimento. Ma, saputo che il fratello era en­trato a far parte di un nuovo cor­po d'arditi che si lanciavano dagli aerei affidandosi a un ombrellone di seta, aveva deciso di seguirlo. E cosi un giorno gli istruttori di Tarquinia si erano trovati di fron­te un capitano ultracinquantenne, un tipo austero, con una pipetta tra i denti, che parlava a monosil­labi, e avevano temuto che si spezzasse in due nel fare i vari esercizi culminanti nella famosa capovolta in atterraggio. Invece Costantino, con la sua flemma di gentiluomo annoiato, aveva sbalordito tutti dimostrandosi più agile di un ventenne. A El Ala­mein girava per il fronte fumando tabacco inglese e portando appesa al fianco una mannaia tolta a un prigioniero neozelandese. "Può darsi ‑ spiegava a chi gli chiedeva ragione di quell'arma ‑ che venga il momento d'usarla: non si può mai dire...".
La sera del 23 ottobre 1942 un uragano di fuoco d'artiglieria s'abbatté sulle linee italiane. Durò parecchie ore, poi davanti alla postazione della Folgore comparvero i carri armati inglesi. I primi a essere investiti furono i posti avanzati del Raggruppa­mento Ruspoli, formato dal VII battaglione e dall'VIII paracadu­tisti‑guastatori. La 6a e la 19a compagnia furono travolte dalla marea dei carri e soltanto pochi uomini riuscirono a ripiegare. Il nemico era penetrato nella zona di sicurezza, soltanto duecento metri lo separavano dalle nostre linee. Il mattino del 24, mentre gli inglesi si riorganizzavano per ri­prendere l'attacco, il tenente co­lonnello Marescotti, appena tor­nato dall'ospedaletto da campo dove gli avevano curato le ferite procurategli dallo scoppio d'una mina, raggiunse il VII battaglione per concordare con il capitano Mautino il contrattacco. Poi, no­nostante il fuoco nemico fosse ri­preso con violenza, volle prose­guire fino alle postazioni dell'VIII guastatori del maggiore Burzi. "Non era possibile ‑ raccontò poi Mautino ‑ ergersi in piedi, biso­gnava strisciare per non essere col­piti. Ma un Ruspoli non poteva strisciare di fronte agli inglesi. Lo vedemmo avanzare, in piedi, fino alla camionetta che lo stava at­tendendo in posizione più arre­trata; poi l'automezzo partì verso il nord. Dalle nostre buche lo se­guimmo con lo sguardo mentre fi­lava nella zona già presidiata dai fanti della Pavia, fatto segno al ti­ro d'innumerevoli bocche da fuo­co e dalle armi automatiche dei carri che scorrazzavano per il campo minato. Tutt'intorno era un ribollire di scoppi e di vampe, i fanti inglesi delle truppe d'assal­to erano poco lontani e, al riparo dei loro mezzi corazzati, stavano avanzando. Improvvisamente, qualcuno fu visto balzare a terra dalla camionetta bruscamente ar­restatasi e vedemmo confusamen­te delle figure agitarsi. Poi il fra­gore e il fumo della battaglia tut­to avvolsero e non distinguemmo più nulla. La sera, dal generale Bignami, avemmo le prime fram­mentarie notizie: schiantato in pieno da una granata...".
Quando comunicarono a Co­stantino la morte del fratello, egli non fece commenti. Si limitò a stringere la mascella e rifiutò sec­camente la licenza che gli veniva offerta. Due giorni dopo, il 26 ot­tobre, cadeva anche lui in com­battimento. La sua compagnia, la 11a era stata assalita da forze enormemente superiori. Nell'ulti­ma comunicazione telefonica con il comando del IV battaglione, co­sì riferì la situazione con la sua abituale laconicità: "Sono tanti... arrivano da tutte le parti... ci di­fendiamo". Poi chiese ad un paracadutista di passargli il mo­schetto e si mise a sparare da una buca. Calmissimo, prendeva bene la mira prima di premere il gril­letto, come se fosse in un poligo­no. Osservava attentamente gli uomini in cachi con l'elmetto a scodella a balzelloni dietro ai car­ri e a ogni colpo mormorava: "Ah, questi inglesi...". Gli uomini in cachi continuavano ad avanzare, urlavano agli italiani di arrender­si, e Costantino Ruspoli, il princi­pe flemmatico che non alzava mai la voce, questa volta si mise a gri­dare: "Non ci arrenderemo mai..." e, rivolto ai suoi paraca­dutisti: "Attenti, ragazzi, fate economia di colpi, tirate drit­to...". Poi, vedendo che gli inglesi continuavano ad arrivare da tutte le parti, pensò che fosse venuto il momento di dargli addosso all'ar­ma bianca, magari con la famosa mannaia, e saltò fuori dalla buca. Ma, fatti pochi passi, fu colpito e cadde riverso. I suoi ragazzi si fe­cero decimare, ma non cedettero la posizione al nemico.

1 commento:

  1. La miglior gioventù dell' epoca, uomini con ideali altissimi.
    Che dio li accolga nelle sue braccia.
    W la FOLGORE.

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