venerdì 4 maggio 2007

Giuseppe Badoin


IGINO MENCARELLI




GIUSEPPE BAUDOIN
(13‑8‑1896 ‑ 4‑3‑1963)






UFFICIO STORICO AERONAUTICA MILITARE NOVEMBRE 1971






Non tutti sanno che verso la fine del conflitto mondiale 1914‑1918, il paracadute, sebbene in modo sporadico, venne impiegato su ogni scacchiere bellico per espletare missioni, soprattutto esplorative e informative, nell'entroterra nemico. Anche sul fronte italiano furono paracadutati al di là delle linee austriache, dopo Caporetto, alcuni uffi­ciali capeggiati dal Tenente degli Alpini Barnaba, che fornirono ai nostri comandi informazioni di grande interesse strategico.
Successivamente, come si sa, il paracadute si affermò soprattutto come strumento di salvataggio; rese altresì preziosi servigi (aviorifornimenti di grandi unità terrestri) durante la campagna italo‑etiopica. Venne infine impiegato per lanci spettacolari e sportivi.
Ma nel 1937 le nostre Forze Armate, sull'esempio di quanto si era fatto e si stava facendo oltre confine, specialmente nell'Unione Sovietica, decisero anch'esse di utilizzare altrimenti le prestazioni del paracadute in campo militare, e cioè di costituire la specialità di para­cadutisti cui sarebbero stati affidati, in guerra, compiti di copertura e di distruzione a tergo e nell'interno dello schieramento avversario.
Le prime unità del genere nacquero in Libia nel marzo del 1938: è di quei giorni appunto la circolare del Comando delle Forze Armate in Africa Settentrionale a tutti i Reparti Nazionali e Indigeni, per il reclutamento di ufficiali e di libici volontari, per la costituzione di un Reparto Paracadutisti.
Subito dopo giunse in Libia il Ten. Col. Prospero Freri, per adde­strare gli uomini sul funzionamento e sulla tecnica di lancio col para­cadute « Salvator‑D.37 », lo stesso tipo di paracadute allora in distri­buzione nei reparti d'impiego della R. Aeronautica.
Il comando della nascente Scuola Paracadutisti e del Battaglione in formazione (ufficialmente denominato I° Battaglione Fanti dell'Aria Paracadutisti Libici) fu assunto dal Maggiore dell'Esercito Medaglia d'Oro al V.M. Goffredo Tonini.
Il 16 aprile 1938 venne eseguito il primo esperimento in massa: trecento uomini del I° Battaglione si lanciarono da 24 trimotori Savoia­S.M.81 del 15° Stormo da Bombardamento.
Durante questa fase iniziale (29 marzo‑16 aprile) vi furono purtrop­po delle vittime: persero la vita 8 paracadutisti, e 30 uomini riporta­rono ferite più o meno gravi.
Nonostante ciò il Comando Superiore delle Forze Armate dell'Afri­ca Settentrionale dispose di reclutare e addestrare un altro Battaglione (il 2° Battaglione Paracadutisti) onde costituire, con il 1° Battaglione, il 1° Reggimento Paracadutisti.
Il 18 maggio, a distanza di un solo mese dal primo lancio collettivo, si tuffarono nel vuoto 500 uomini della nuova unità, ma pure questo esperimento ebbe un esito funesto: 7 paracadutisti si sfracellarono al suolo per mancata apertura della calotta e 42 rimasero feriti. Nondi­meno lo stesso 1° Reggimento partecipava alle Grandi Manovre Libiche svoltesi, cinque giorni dopo, alla presenza di S.M. il Re Vittorio Ema­nuele III e del Maresciallo dell'Aria Italo Balbo, Comandante Supe­riore delle Forze Armate dell'Africa Settentrionale. Tutti gli uomini stavolta, eccezion fatta di due di essi che riportarono leggere ferite, toccarono il suolo indenni.
Il bilancio generale tuttavia non fu incoraggiante. Le cause dell'insuccesso vennero, a ragione, attribuite in parte all'affrettato adde­stramento degli uomini, e in parte all'impiego di un paracadute inadatto per i fanti dell'aria. Il « Salvator‑D.37 » quantunque eccellente quale mezzo di salvataggio, come strumento di emergenza per aviatori, non aveva le caratteristiche richieste per equipaggiare reparti di fanti dell'aria. Occorreva per essi un modello di paracadute più semplice, magari più ingombrante e pesante ma dal funzionamento sicuro anche se ripiegato in modo affrettato, e che avesse infine, sempre nei con­fronti del « Salvator‑D.37 », una minore velocità di discesa.
Nell'attesa che venisse realizzato questo nuovo tipo di paracadute ‑ il « paracadute per paracadutisti » ‑ e organizzata una efficiente scuola di paracadutismo, gli uomini del 1° Reggimento furono adde­strati in azioni di sabotaggio.
Mentre in Libia si era in attesa di riprendere l'attïvità lancistica, nel territorio metropolitano si stava approntando una Scuola Nazionale di Paracadutismo, una scuola sul modello di quella tedesca di Stendal e comunque degna di questo nome.
Tale compito, in base al Decreto‑Legge n. 220 del 22 febbraio 1937 sul riordinamento della R. Aeronautica (Art. 34) era di pertinenza di quest'Arma. Come località la scelta cadde sull'aeroporto di Tarquinia, un aeroporto men che modesto, ma situato in zona eccentrica, lontana da sguardi indiscreti e soprattutto pianeggiante, il che fu ritenuto, per i lanci in massa e per le esercitazioni a terra, un requisito di primaria importanza.
Fu poi la volta dell'uomo. A chi affidare il comando del nuovo organismo? Un organismo, ripetiamo, nuovo per l'Italia, complesso e tuttavia idoneo a trasformare in poche settimane (siamo nel 1939, la guerra batteva alle porte) uomini che non avevano mai visto da vicino un paracadute, in discesisti intrepidi, forniti di elevato standard guerresco, allenati ad ogni sorta di fatiche e di disagi.
Fu scelto il Colonnello pilota dell'Arma Aeronautica Giuseppe Baudoin. Era l'elemento adatto, direi fatto su misura per così arduo compito. Lo vedremo fra poco.
In quel tempo Baudoin aveva 43 anni, di cui 23 trascorsi sotto le armi: egli era nato infatti nel 1896, aveva iniziato la vita militare nel gennaio del 1916.
Inviato al fronte (era allora caporale di Fanteria), in due distinti combattimenti, il 30 giugno e il 2 luglio 1916, riportava ferite da pal­lottole di shrapnels e da schegge, al ginocchio sinistro, alle mani, alla gamba destra.
Nominato il 3 settembre 1917 Aspirante Ufficiale di Fanteria, il 30 dello stesso mese veniva fatto prigioniero nel fatto d'arme di S. Daniele del Friuli. Verso la fine di marzo del 1921, Baudoin, allora Tenente di Complemento di Fanteria, partiva per la Libia, assegnato al 6° Batta­glione del 241° Reggimento Fanteria, di stanza a Homs, quale comandante di una compagnia di mitragliatrici. Rimpatriato nel giugno del 1921, ai primi di agosto dello stesso anno, transitava, per merito di guerra, dal ruolo di complemento al servizio attivo permanente, ma con il grado di sottotenente. Nel marzo del 1922 era di nuovo tenente.
Nel biennio susseguente Giuseppe Baudoin partecipò ad un corso di perfezionamento presso la Scuola Militare di Modena, poi fu di nuovo in Colonia, stavolta a Mogadiscio, « a disposizione del Governo locale, con incarichi speciali ».
Si era intanto maturata in lui la decisione di militare nell'Arma Aeronautica, certamente più congeniale al suo temperamento spregiu­dicato battagliero, ma franco e cavalleresco, da antico moschettiere. Andò ad apprendere l'arte del volo nel marzo 1921 alla Scuola Civile Gabardini, a Cameri (Novara), vecchio e gloriosa fucina di piloti, la cui data di nascita risaliva a 10 anni prima.
A Cameri l'istruzione si svolgeva allora secondo una didattica originale: gli allievi si addestravano soli a bordo, alla manovra di par­tenza (meglio si dirà alla manovra di rullaggio), su aerei incapaci, per insufficiente potenza motrice, di staccarsi dal suolo. Poi, ancora soli a bordo, eseguivano su velivoli in grado di sollevarsi da terra ma di soli 2‑3 metri, dei brevissimi voli rettilinei. Completavano infine l'adde­stramento su macchine più potenti, a doppio comando, con istruttore a bordo, insomma con aeroplani normali.
A Cameri il Tenente Baudoin venne definito, dal Comandante Mi­litare della Scuola, come segue: « Primo fra i primi allievi piloti del suo corso, in quattro mesi ha conseguito il brevetto unico su appa­recchio S.V.A. (brevetto civile e militare), ed agli esami teorici ha ri­portato una media di diciannove‑ventesimi, punti raggiunti da nessun altro Ufficiale del suo corso. Per la sua passione all'arte del volo ed il suo alto spirito militare, è stato a tutti di esempio e d'incitamento a perseverare, proprio in quei giorni in cui si abbatterono sulla Scuola di Cameri luttuosi incidenti di volo. Parla e scrive l'inglese per aver compiuto parte dei suoi studi in Inghilterra, conosce il tedesco. Riten­go che abbia attitudine per coprire qualsiasi carica, anche se superiore al grado che riveste. Nella vita civile è signore nel vero senso della parola. Lo giudico ottimo Ufficiale di Squadriglia in S.A.P. ».
Negli anni seguenti, sin quando fu collocato in ausiliaria, Baudoin non venne mai meno alla qualifica di ufficiale dotato di « alto spirito di sacrificio », e fu sempre « di esempio e d'incitamento » per i propri dipendenti. In più, come vedremo, rivelò non comuni doti di animatore e di organizzatore.
Conseguito dunque il brevetto militare, Giuseppe Baudoin iniziava la vita aeronautica come subalterno nel XX° Stormo Aeroplani da Ricognizione, quindi, in virtù della conoscenza di lingue straniere, della sua cultura e tratto signorile, fu alla Sezione Stranieri dell'Ufficio Se­greteria dello Stato Maggiore dell'Aeronautica (gli verrà più oltre, a intermittenza, affidato lo stesso incarico).
Successivamente l'ufficiale, con la costituzione della R. Aeronautica, venne incorporato nel Ruolo Combattente di quest'Arma, e svolse nel­l'ordine funzioni di comando nelle tre note specialità terrestri: rico­gnizione, poi caccia, infine bombardamento.
Nel 1938, a 42 anni, con il grado di Colonnello, era al comando del­la Scuola di Osservazione Aeroplani Terrestri, e di qui, il 1° novembre dell'anno dopo, veniva trasferito, quale Comandante, alla Scuola Para­cadutisti di Tarquinia.
Appena ricevuto l'incarico egli si recò in volo a Tarquinia, un aero­porto, si badi bene, di fortuna, costituito da una spianata erbosa lunga appena 650 metri e larga 450, da una casetta del custode, da un piccolo hangar e da una caserma disabitata, di modesta cubatura, che in ori­gine avrebbe dovuto alloggiare eventuali forze aeree in caso di mobilitazione.
E' probabile che chiunque altro, nei panni di Baudoin, dopo quel sopralluogo si sarebbe adoperato per ottenere una revoca del trasferimento, o, quanto meno, avrebbe prospettato, sia allo Stato Maggiore dell'Aeronautica come al Comando di « Esercitavia » sotto le cui diret­tive la Scuola avrebbe operato sul piano addestrativo, le enormi e pressoché insuperabili difficoltà di creare celermente, dal nulla, su quel piccolo squallido aeroporto di fortuna, un efficiente centro di paracadutismo.
Baudoin invece, in silenzio, senza batter ciglio si rimboccò le ma­niche e si gettò a corpo morto nell'impresa. Era sicuro di se stesso. Era certo che ce l'avrebbe fatta.
« La Scuola comincia a prender consistenza ‑ racconta in propo­sito il noto storico del paracadutismo italiano Giuseppe Pariset ‑ i teloni per i lanci Baudoin se li procura dai pompieri dell'Urbe; così pure si fa apprestare opere varie da una ditta romana che normalmen­te fabbrica poltrone, senza contare che un'industria perugina costrui­sce 50 tavoli ricoperti di linoleum, necessari per il Reparto Ripiegatori­Paracadute. Come fare diversamente? ». E più oltre Pariset dice: « C'è poi la faccenda della torre di lancio. A Villa Glori esiste una torre me­tallica alta 52 metri, su per giù quanto sono alti i ponti dell'Ariccia e di Spoleto. Essa appartiene ai Vigili del Fuoco del Genio Militare. Un Sergente maggiore e una diecina di genieri vi si esercitano, da qualche tempo, discendendo dall'alto di essa con un paracadute frenato. In cima la gru dispone di un braccio a falcone, orizzontale, di una diecina di metri. Costruita a Pavia presso l'Officina Centrale del Genio Mili­tare, la torre che si trova a Villa Glori viene adocchiata da Ufficiali di Stato Maggiore dell'Esercito, che pensano a Tarquinia. La torre è mu­nita di un motore destinato a far vento e a gonfiare calotte. Essa è stata approvata, costruita e realizzata con una spesa non indifferente, e consente tutte le operazioni di lancio, senza ricorrere all'aeroplano, il cui impiego è costoso. La torre quindi è un risparmio di tempo e di danaro, è una semplificazione ingegnosa. Si incaricherà dello sposta­mento della torre di Villa Glori (per volere del Col. Baudoin) il Mag­giore Lo Bianco, ufficiale di collegamento dell'Esercito presso la Scuola di Tarquinia. Ma esistono altre difficoltà. Il terreno del campo di avia­zione è argilloso. Quando piove s'inonda che è un piacere. S'impongono quindi lavori urgenti di drenaggio, aratura, allargamento e allungamento: vengono requisiti adiacenti appezzamenti di terra incolta o coltivata. Il desiderio ministeriale che la Scuola inizi la sua attività il 15 feb­braio 1940 non potrà comunque essere esaudito ».
Mentre fervevano i lavori di riattamento del campo di volo, Bau­doin dovette risolvere altri impegnativi problemi: alloggiamento degli allievi‑paracadutisti di prossimo arrivo (verranno inizialmente sistemati in Paese presso civili, e nel vecchio ospedale comunale), allestimento dei servizi tecnici per assicurare l'efficienza dei velivoli destinati ai lanci, approntamento dei depositi di carburanti e lubrificanti, dei ma­gazzini per il materiale di ricambio, dei servizi sanitari, di trasporto, di vettovagliamento. C'è altro. Per la preparazione degli allievi‑paracadu­tisti non basta una torre di lancio, e qualche simulacro di fusoliera di aeroplano, ma è indispensabile predisporre un reparto addestramento (istruttori, uffici, materiale didattico) un servizio tecnico per la manu­tenzione del materiale lancistico, una sezione studi ed esperienze. Ma dove sistemare uffici, servizi, materiali?. Poiché a Tarquinia non c'è nulla, nell'attesa che vengano edificati impianti in muratura, occorre, al momento, costruire baraccamenti, rizzare tende.
Possiamo fermarci qui. Abbiamo già un'idea dei complessi multi­formi quesiti da risolvere per creare sul minuscolo aeroporto di Tar­quinia un organismo nuovo, articolato su di un gran numero di servizi taluni dei quali dovevano essere, oserei dire, inventati in quanto non era possibile ispirarsi ad esperienze precedenti nello stesso campo.
Questo formidabile lavoro preparatorio venne portato a termine dal Colonnello Giuseppe Baudoin in soli cinque mesi. I1 28 marzo 1940, con breve ritardo sul calendario stabilito da « Esercitavia » la Scuola di Tarquinia iniziava la sua attività.
In quel momento dipendevano dal Col. Baudoin, oltre il personale addetto ai servizi aeroportuali:
‑ un Ufficiale di collegamento con l'Esercito, nella persona del Maggiore Lo Bianco.
‑ un Comandante del Reparto di volo (Capitano Pilota dell'Arma Aeronautica Dante Salvetat)
‑ cinque ufficiali piloti e sei sottufficiali, addetti, con varie mansioni, al Comando della Scuola.
‑ due Tenenti Medici, responsabili dei servizi sanitari.
‑ cinquantatrè allievi‑paracadutisti provenienti da ogni Arma e Corpo, così suddivisi: 3 Capitani ‑ 13 Tenenti ‑ 1 Sottotenente ‑ 2 Ma­rescialli ‑ 34 Sergenti Maggiori.
Da quel primo contingente di allievi‑paracadutisti doveva essere tratto un nucleo di istruttori, destinati, in breve prosieguo di tempo, ad esercitare una duplice attività: insegnare ad altri allievi‑paracadutisti l'arte e la tecnica del lancio, e nel contempo addestrarli all'impiego di armi leggere d'ogni tipo, alle modalità del combattimento, alle azioni di sabotaggio, e via dicendo. In una parola la mansione degli istruttori consisteva ‑ cioè sarebbe consistita ‑ nel trasformare quegli allievi in fanti dell'aria.
Il tempo stringe. La guerra è nell'aria. L'addestramento degli istrut­tori ‑ le future colonne vertebrali del paracadutismo militare nazionale ‑ procede senza soste. A terra questi allievi vengono sottoposti ad un intenso allenamento ginnico‑sportivo: corse piane dai cento ai die­cimila metri, salti in lungo e in alto, esercizi agli attrezzi, flessioni, torsioni, sospensioni, esercizi respiratori, salita sulla torre a forza di muscoli, salti dalla sommità della torre sul telone sottostante: il tutto sotto costante controllo degli Ufficiali Medici.
Seguono i lanci dall'aeroplano, personalmente controllati dal Col. Baudoin: egli s'intende di paracadutismo pratico per aver compiuto, negli anni precedenti, alcune discese col « Salvator ».
Si aggiungano le lezioni di anatomia, fisiologia, igiene. Le istruzioni sull'impiego degli esplosivi, delle mine, delle armi; quindi un corso-­guastatori presso la Scuola del Genio di Civitavecchia, un corso‑nuota­tori, un corso‑camionisti, ed altro ancora.
Il 10 giugno 1940, a distanza di 74 giorni dall'inaugurazione della Scuola di Tarquinia, l'Italia scendeva nel conflitto mondiale. « Che cosa accadde presso la Scuola di Tarquinia (scrisse anni dopo Baudoin) al­lorché l'Italia entrò in guerra?. Si fu costretti ad abbreviare il corso indetto per ufficiali e sottufficiali allievi‑istruttori della specialità por­tandone la durata da otto a soli due mesi; di conseguenza dei 53 allie­vi‑istruttori, non più di 36 potettero essere abilitati ad esplicare le mansioni loro demandate. Gli eventi precipitarono. Qualche Solone si sarebbe accontentato, e si cercò di dar vita unicamente a due Batta­glioni di Fanti dell'Aria; in via del tutto eccezionale se ne poteva tolle­rare la costituzione di un terzo, formato esclusivamente di Carabinieri. I1 Comandante della Scuola, sul quale in quel tempo gravava anche la responsabilità operativa, inoltrò alle supreme gerarchie militari un rap­porto sulla situazione che terminava con queste parole: « Non aver pronti per l'impiego entro novembre otto Battaglioni, significa tradire la Patria ». Nulla da fare. Allorché giunse quel mese di novembre del 1940, esistevano in Italia un Battaglione impiegabile, uno metà adde­strato, uno che era agli albori dell'addestramento. Avendo avuto a quel­l'epoca conoscenza completa del problema logistico ed operativo, e del­la situazione nostra e del nemico, ho la possibilità, e quindi il diritto e il dovere di affermare categoricamente, che se nel novembre 1940 avessimo avuto otto Battaglioni Paracadutisti pronti all'impiego, il tricolore d'Italia, in quel mese, avrebbe sventolato su Malta, e forse l'esito della guerra ‑ certamente di quella condotta nel Mediterraneo ‑sarebbe stato diverso da quello che fu ».
Con quei 36 istruttori il Colonnello Baudoin iniziava, il 10 luglio 1940, a realizzare il programma fissatogli dallo Stato Maggiore dell'Ae­ronautica, un programma comprendente:
1) L'addestramento dei militari della R. Aeronautica e del R. Esercito al lancio con paracadute frenato e con paracadute dall'aero­plano, allo scopo di preparare speciali reparti d'impiego.
2) Lo studio di quei perfezionamenti alla tecnica dei lanci, e al materiale impiegato che si rendessero necessari.
3) L'eventuale progettazione di nuovi mezzi d'impiego.
Nelle prime due settimane l'addestramento dei candidati‑paracadutisti ‑ che provenivano da ogni parte d'Italia e da ogni Corpo e Specialità delle Forze Armate ‑ si svolse secondo i piani stabiliti, senza lamentare incidenti. Ma fra il 25 e il 27 luglio quattro allievi si schiantavano al suolo per mancata apertura della calotta. Le cause di questi impressionanti sinistri erano certamente quelle dei mortali incidenti avvenuti in Libia alla vigilia della guerra: il « Salvator », come abbiamo precisato all'inizio, sebbene avesse dato ottima prova come strumento di salvataggio per aviatori, non possedeva le pre­stazioni di un paracadute da scuola, cioè sottoposto, per forza di cose ad un impiego sistematico, persistente, logorante, ai limiti della tolleranza.
Immantinente lo Stato Maggiore dell'Aeronautica ordinò la so­spensione dell'attività lancistica; in pari tempo dispose ‑ dietro sug­gerimento dello stesso Baudoin ‑ che fosse il Comando della Scuola di Tarquinia a curare la progettazione e la costruzione di un modello di paracadute adatto ai lanci addestrativi, come a quelli operativi per fanti dell'aria.
Il Colonnello Baudoin si era, come si dice, fatto avanti (assumendosi comunque una grande responsabilità) in quanto aveva organizzato a Tarquinia un efficiente Reparto Studi ed Esperienze alla cui direzione aveva posto l'elemento adatto: il Tenente Colonnello del Genio, Ing. Giuseppe Bettica.
Richiamato in servizio allo scoppio delle ostilità Bettica era un tecnico e un inventore di raro talento. Aveva fra l'altro ideato uno speciale lanciabombe denominato appunto « Bettica », e una pistola­mitragliatrice; più oltre, durante il servizio prestato alle dipendenze di Baudoin, escogiterà un nuovo tipo di bombe a mano adatto per fanterie dell'aria, un semplice ma efficace modello di bazooka (1), pur esso per fanti dell'aria e, infine, come diremo, il « paracadute per paracadutisti ».
Bettica era stato « scoperto » per caso dal Colonnello Baudoin: questi infatti un giorno, mentre si aggirava fra i Monti della Tolfa (situati a 12‑15 chilometri a nord‑est di Civitavecchia) in cerca di una zona adatta per esercitazioni di lancio collettivo di paracadutisti in assetto bellico, s'imbatteva nel Tenente Colonnello Bettica che si era momentaneamente stabilito colà per effettuare, coadiuvato da un gruppo di genieri, esperimenti pratici di lancio dall'apice di un pi­lone, di un suo modello di paracadute a « discesa controllata ».
Baudoin, uomo di fine intelligenza e di acuta sensibilità, intuito da quel, sia pure breve, incontro, quale prezioso collaboratore sa­rebbe stato quell'ufficiale per la sua Scuola, lo persuase a chiedere il trasferimento a Tarquinia. Nel contempo lui, Baudoin, avrebbe esercitato le necessarie pressioni nelle alte sfere di « Esercitavia » affinché il movimento si compisse ipso‑facto e senza difficoltà. E così fu. Bettica andò a Tarquinia e qualche tempo dopo, con la pro­mozione a Colonnello, fu nominato Direttore del Reparto Studi ed esperienze. (Bettica verrà ucciso dai tedeschi in Val d'Aosta, nell'ago­sto del 1942, in circostanze non mai chiarite).
Lavorando giorno e notte Bettica e i suoi tecnici, incitati dal Colonnello Baudoin, che pur dette un sensibile apporto alla progettazione del paracadute, nacque a tempo di record un modello siglato IF.41‑SP (IF era l'abbreviazione di « imbracatura fanteria » ‑ 41, per 1941, era la data di nascita (2) ‑ SP significava Scuola Para­cadutismo).
Questo prototipo differiva sostanzialmente dal « Salvator. D‑39 »: la sua imbracatura era costituita da due bretelle, un alto cinturone e due cosciali. La superficie della velatura era stata aumentata, nei confronti del « Salvator » di circa 8 metri quadrati, il che modificava la velocità di discesa, che da 6 metri al secondo, diminuiva, a circa 5 metri. La calotta, infine, anziché essere espulsa dal suo conteni­tore con processo meccanico, veniva sfilata di forza, a trazione, da una fune di vincolo; precisando: una delle estremità della fune era assicurata all'apice della calotta, l'altra al velivolo.
Sottoposto ad ogni prova tecnologica a terra, poi collaudato in volo dal Capo‑Istruttore di Tarquinia Capitano Leonida Turrini, il nuovo paracadute pienamente rispose alle aspettative. Pertanto ne fu di urgenza ordinata la costruzione in serie. E il 27 settembre ripre­sero a ritmo sostenuto le esercitazioni lancistiche. Non si verifica­rono più incidenti mortali dovuti alla mancata apertura della calotta; se ne ebbe qualcuno causato da motivi estranei al funzionamento vero e proprio del paracadute, come, ad esempio, lo sganciamento fortuito del moschettone della fune di vincolo, dal cavo statico di acciaio applicato nell'interno della fusoliera. Come percentuale, in ogni modo, gl'incidenti si ridussero a valori trascurabili.
Un incidente incredibile, emozionante, a lieto fine, degno di un romanzo o di un film di avventure, fu quello che ebbe come prota­gonista l'Istruttore Sottotenente Biaggioni.
Lo ha rievocato uno degli allievi‑paracadutisti del tempo, Gaetano Argento, nel n. 7 del « Corriere Militare » del 1‑15 aprile 1960. « Biag­gioni ebbe un giorno il compito di dimostrare agli allievi, in volo con lui, la nuova tecnica di uscita dall'aereo, detta « ad angelo » (corpo orizzontale leggermente inarcato in su, braccia aperte, gambe diva­ricate). Egli effettuò la dimostrazione di uscita dandosi una spinta troppo energica e troppo verso l'alto, tanto che il suo paracadute rimase impigliato nei piani di coda dell'aereo. II Sergente Dall'Ara, che pilotava l'apparecchio, se ne accorse immediatamente e prese perciò a circuitare l'aeroporto, sperando che l'ufficiale riuscisse a staccarsi. Però quando egli riduceva la manetta dei gas ‑ e quindi la velocità del velivolo ‑ l'ufficiale andava giù, penzolando in basso; se invece aumentava il regime dei motori, l'ufficiale ritornava oriz­zontale, ma non si staccava.
« Il Colonnello Baudoin, che seguiva quel dramma da terra, si alzò subito in volo di guida e soccorso, si portò immediatamente da­vanti all'altro velivolo e lo diresse verso il mare. Colà fece iniziare opportune manovre a bassissima quota, mantenendo entrambi i veli­voli davanti al pontile del vecchio Porto Clementino, di dove, imbar­cazioni già approntate, avrebbero potuto soccorrere l'ufficiale non ap­pena avesse toccato l'acqua. Il Sottotenente Biaggioni intuì quanto gli restava da fare, e giunto che fu l'aereo, al quale era appeso, a circa 5 metri dall'acqua, si sganciò l'imbracatura del paracadute e tentò il tuffo.
Data la velocità del corpo all'impatto con l'acqua, l'urto fu violento tanto che egli rimbalzò più volte, ricadendo alla fine in acqua ove rimase svenuto e inerte. Solo un atleta della sua fibra (era stato istruttore di educazione fisica alla Farnesina) poteva resistere e guarire delle lesioni riportate nell'impatto. Per alcuni giorni giacque al­l'ospedale privo di conoscenza, poi, lentamente, si riprese sino a rimet­tersi completamente ». E' evidente che se il Colonnello Baudoin, con intelligente e pronta iniziativa, non fosse intervenuto in suo aiuto, l'avventura non sarebbe stata a lieto fine.
Fra gli episodi che ebbero come « actor primarum partium » il Colonnello Giuseppe Baudoin ne ricorderemo due significativi per con­figurare la sua personalità, per certi aspetti assai diversa da quella del comandante convenzionale.
Un giorno un gruppo di paracadutisti, durante le ore di libera uscita trascorse a Roma, ebbero, in un caffé di Piazza Esedra, una vivace discussione con alcuni giovani in « giacchetta borghese ». Ad un certo momento i parà di Tarquinia circondarono quei giovani (fra essi c'era il figlio di un generale che rivestiva un'alta carica nelle Forze Armate), li immobilizzarono, e, ad un ad uno, a mezzo di piccole forbici tascabili, recisero loro le cravatte.
« Il mattino seguente ‑ raccontò poi in un suo articolo Baudoin ‑ trovai sul tavolo del mio ufficio una scatola contenente alcuni lembi di cravatta, e un biglietto che diceva: « Al loro Comandante alcuni allievi che hanno scovato a Roma una serie d'imboscati. Con viva preghiera che non siano presi provvedimenti disciplinari verso i paracadutisti, allorché scoppierà l'inevitabile grana » ‑.
La grana scoppiò. Due giorni dopo il Ministro della Guerra (cioè Mussolini) sul cui tavolo era giunto un dettagliato rapporto dell'incidente, convocò a Palazzo Venezia Baudoin, con l'evidente intenzione di rimproverarlo aspramente e fors'anco d'infliggergli una dura punizione.
Franco, risoluto ma anche dotato di astuzia e di fine arte diplomatica, il nostro Colonnello, riuscì abilmente a parare il colpo. Alla fine del colloquio anzi, approfittando che il Capo del Governo era ormai del tutto rabbonito, riuscì a strappargli una concessione: quella di disporre che alcuni convogli ferroviari si fermassero alla Stazione di Tarquinia, onde agevolare i paracadutisti della Scuola che desideravano raggiungere, nelle ore di libertà, la Capitale.
L'altro episodio è questo: durante un lancio collettivo, uno degli allievi andò a cadere in malo modo ai margini del campo di volo, laddove era in sosta l'autoambulanza del pronto soccorso. Il primo ad accorrere, in auto, fu il Colonnello Baudoin. Quando giunse sul posto rilevò che l'autista dell'autoambulanza stava, come si dice in gergo da caserma, sfottendo e con parole un po' troppo pesanti quel­l'inesperto paracadutista per il suo maldestro atterraggio.
Irritato Baudoin fece salire sulla propria vettura l'autista portandosi sulla linea di volo, vicino ad un gruppo di allievi che atten­deva il proprio turno. Poco dopo prese terra uno dei trimotori Caproni‑Ca 133, allora impiegati a Tarquinia. I1 Colonnello chiamò l'istruttore, gl'ingiunse di mettere addosso all'autista un paracadute, di portarlo in volo e di lanciarlo. Mai salto nel vuoto venne seguito dal suolo con tanta attenzione ed emozione. Per fortuna l'uomo prese terra regolarmente.
Nell'inverno del 1940 la Scuola Nazionale di Paracadutismo (co­sì era ufficialmente denominata) funzionava regolarmente, per quanto non poche fossero le difficoltà di ordine soprattutto operativo e logi­stico, come vedremo in dettaglio fra poco. I giovani che affluivano a Tarquinia, già selezionati presso i reparti di provenienza, subivano tuttavia un rigoroso esame fisico e psichico personalmente control­lato dal Colonello Baudoin; la percentuale degli elementi scartati era infatti molto alta, di oltre il 58 per cento.
Gli allievi venivano addestrati secondo l'iter seguito per i candidati ­istruttori, ma perfezionato e ampliato nei modi suggeriti dall'esperienza, sì da formare un combattente‑paracadutista di elevata preparazione tecni­co‑tattica. I1 successo dell'impiego delle fanterie dell'aria è infatti condi­zionato, in misura determinante, dalla capacità di condurre, una volta posto piede a terra, azioni rapide, aggressive, spregiudicate; azioni collet­tive, dapprima a livello di squadra e di plotone, quindi a livello di com­pagnia e di battaglione.
Nelle prime settimane del 1941 le forze paracadutiste già addestrate a Tarquinia consistevano in tre Battaglioni, di cui uno esclusivamente formato di Carabinieri. Un quarto Battaglione era in via di costituzione.
In raffronto ai mezzi disponibili si erano indubbiamente conseguiti dei risultati più che notevoli, ma a giudizio di alcuni alti ufficiali delle nostre Forze Armate, esperti di tecnologia militare, l'esame dell'attuale situazione strategica ed i presumibili nuovi scacchieri bellici ove l'Italia si sarebbe prima o poi impegnata, esigevano di moltiplicare gli sforzi, di potenziare al massimo il paracadutismo militare. Sulla stessa linea era, toto corde, il Colonnello Giuseppe Baudoin. Secondo lui i fulminei cla­morosi risultati conseguiti dal Flieger Korps tedesco nei primi mesi di guerra parlavano chiaro. Bando agl'indugi dunque. Preparare subito di­verse divisioni di paracadutisti in modo da poter costituire, entro un an­no, un Corpo d'Armata di Fanti dell'Aria. « Anche in Inghilterra e negli Stati Uniti ‑ diceva Baudoin, bene informato di quanto si faceva nei due Paesi ‑ si lavora sodo nel campo del paracadutismo militare per riguadagnare il tempo perduto. E noi che aspettiamo per fare altrettan­to? Che ci cadano sul capo migliaia e migliaia di uomini, più fitti di una nevicata? ».
Proprio in quel periodo (10 febbraio 1941) un commando di parà britannici scendeva nottetempo in Campania con l'ordine di sabotare l'ac­quedotto pugliese, immobilizzandone la centrale di Caposele (Avellino).
L'azione fallì. Trascurabili furono i danni arrecati all'acquedotto. Quando la notizia giunse a Tarquinia, subito Baudoin inviò sul posto, per condurre un'inchiesta e stilare una relazione, un suo Ufficiale di fiducia: il Maggiore Bechi Luserna.
Nell'inviare a Mussolini la relazione il Colonnello mise in rilievo la necessità di forgiare un corpo di paracadutisti assai più poderoso di quello programmato, non senza aver prima accresciuto le possibilità addestrative di Tarquinia, o creato una seconda scuola di paracadutismo militare.
L'appello non venne formulato invano. Poco tempo dopo il Generale Cavallero, Capo di Stato Maggiore Generale, disponeva d'incrementare le formazioni di Fanti dell'Aria. Così nel marzo 1941 fu costituito il 1° Reggi­mento Paracadutisti, composto di tre Battaglioni: fu battezzato « Fol­gore ». Inoltre Cavallero s'impegnò di approntare, entro cinque‑sei mesi, un secondo Reggimento.
Questo tardivo ma vivace risveglio viene accolto dal Colonnello Bau­doin con grande soddisfazione, non disgiunta però da un senso d'inquie­tudine. La Scuola di Tarquinia infatti, col suo campo di atterraggio poco più grande, si può dire, di un lenzuolo, con i suoi impianti di fortuna gli uni addossati agli altri, con la sua penuria di mezzi tecnici e logistici non è più in grado di soddisfare le crescenti richieste dello Stato Mag­giore Generale. La situazione è già difficile, sta per divenire drammatica. Di ciò Baudoin, che non ha timore di esporsi, non ha peli sulla lingua, informa direttamente Mussolini; questi lo chiama e quello ripete parola per parola quanto ha detto qualche giorno prima. Mussolini ascolta, an­nuisce, tace.
Non succede niente. Le cose non accennano a cambiare. Allora il coraggioso dinamico Comandante di Tarquinia, invia direttamente al Capo del Governo e Ministro della Guerra, una lunga relazione che meriterebbe essere qui interamente trascritta. Ne ricorderemo i punti essenziali:
« 1 mezzi di volo della Scuola ‑ dice Baudoin ‑ sono costituiti da pochi aeroplani vecchi, logori, non sostituibili, non conservabili in piena efficienza per mancanza di personale specializzato, di officine adeguate, di mezzi per i lavori di revisione e di riparazione.
« Quanto agl'impianti fissi, esiste una sola piccola aviorimessa, tra­sformata per necessità in palestra. L'unico fabbricato stabile è costituito da una casermetta per cento uomini, nella quale trova posto solo una pic­cola frazione delle quasi mille persone presenti, indispensabili per il fun­zionamento della Scuola. La massa del personale è alloggiata alla rinfusa in cascinali, baraccamenti e tende messe a disposizione dal R. Esercito.
« Nel campo di volo non vi sono impianti per il volo notturno, ne officine, ne laboratori. L'ampliamento chiesto è stato ora deciso e appaltato. Nessun inizio dei lavori, però, perché la Ditta appaltatrice non trova manodopera.
« Occorre dunque affrontare in pieno e con urgenza la sistemazione radicale di Tarquinia, o trasferire la Scuola in altra sede adatta e già pronta: tale potrebbe essere Viterbo, ottimo, bene attrezzato, con buoni terreni di lancio circostanti. A 300 metri di distanza vi è, pronta e disa­bitata, una caserma funzionale per oltre tremila uomini, eccetera.
« Trattamento allievi paracadutisti: sufficiente quello economico, insufficiente il vitto.
« Reclutamento: in genere giungono Ufficiali, individualmente ottimi e valorosi combattenti, ma che non sono gli animatori e amalgamatori necessari per inquadrare soldati provenienti da tutti i corpi.
« Problema del materiale di volo: il nuovo tipo di velivolo Fiat‑G. 12 sarà pronto, in 50 esemplari, nella primavera del 1943. Anche per l'altro aereo per paracadutisti, il Caproni‑Ca. 148, ci vorrà tempo prima di aver­lo. In sostanza e per parecchi mesi avremo in tutto una sessantina di Savoia‑Marchetti. S. 82 (capacità di trasporto, circa 1700 uomini) con cui si dovrebbe far fronte all'impiego della Divisione Paracadutisti (seimila uomini), della Divisione Aviotrasportata, dei vari trasporti bellici per l'Africa Settentrionale, eccetera.
« I ripieghi adottati (dice alla fine la relazione di cui abbiamo qui riportato solo alcuni passi) sono pur sempre ripieghi, che vanno a sca­pito dell'efficienza complessiva dei reparti e della condotta della guerra paracadutistica ».
Sollecitato da un inflessibile senso del dovere Baudoin nulla aveva taciuto. Nessun altro, al suo posto, avrebbe osato tanto con Mussolini, la cui suscettibilità e asprezza di carattere erano a tutti note.
Contrariamente alle aspettative Mussolini questa volta non s'irritò. Ritenne valide le critiche del Colonnello e senza por tempo in mezzo ema­nò le disposizioni affinché si provvedesse a migliorare l'aeroporto e la Scuola di Tarquinia, si accelerassero gli addestramenti degli allievi, si inviassero all'aeroporto di Viterbo degli esperti per studiarne l'adatta­mento per una nuova scuola di paracadutismo militare.
Il primo frutto del suo intenso, diuturno e talora concitato lavoro, Baudoin lo raccolse con l'impresa di Cefalonia.
Verso la fine metà di aprile 1941 Superesercito *(3) visto che sotto la pressione delle forze italiane, la resistenza greco‑albanese stava ormai crollando, ritenne giunto il momento di occupare le Isole Ioniche.
Il 26 dello stesso mese giungeva al Comando del 1° Reggimento paracadutisti, allora nelle mani del Colonnello Bignani, l'ordine di approntare « due Compagnie di paracadutisti per azione di aviolancio in territorio ne­mico ».
La mattina del 30 aprile il Colonnello Giuseppe Baudoin, sul campo d'aviazione di Galatina (Lecce) ov'erano state nel frattempo trasferite le due compagnie agli ordini del Maggiore Zanninovich, consegnava a questi al cospetto dei paracadutisti schierati una bandiera tricolore con l'augurio che potesse sventolare sulla principale località di Cefalonia.
L'augurio divenne ben presto realtà. Il giorno dopo, con ardita brillante azione, gli uomini di Zanninovich, s'impadronirono di quest'Iso­la, poi dell'Isola di Zante.
L'impresa di Cefalonia costituì l'esordio in guerra dei paracadutisti di Tar­quinia; nei tempi seguenti essi furono impiegati su vari fronti: fra le operazioni cui parteciparono, va, per prima, ricordata la battaglia di El Alamein, durante la quale gl'indomiti Battaglioni della « Folgore » scris­sero le più belle pagine del valore e delle virtù del soldato italiano *(4).
Nel triennale periodo di comando esercitato dal Colonnello Baudoin a Tarquinia (ove rimase infatti fino ai primi di novembre 1942) presso la Scuola Nazionale di Paracadutismo vennero compiuti 56.170 lanci umani, 5.134 lanci di materiali bellici., 5.871 lanci sperimentali. La Scuola brevettò 11.000 allievi.
« Chi furono questi uomini, questi allievi ‑ scrisse lo stesso Baudoin nel n. 24 di « Ali Nuove », del Dicembre 1960 ‑ dal grande cuore e dalla ferrea volontà?. Essi furono i paracadutisti d'Italia: ufficiali, appuntati, scelti e carabinieri del I° Battaglione; i cinque generali, i colonnelli, gli ufficiali superiori e inferiori, i sottufficiali, i graduati e soldati delle Divi­sioni « Folgore » e « Nembo »; i militari d'ogni grado delle Compagnie 101^ e III^ del X° Reggimento Arditi; i sottufficiali e i graduati del Ser­vizio Informazioni delle Forze Armate; gli ufficiali di Vascello e delle Armi Navali, i sottufficiali, i capi, sottocapi e comuni del Battaglione « San Marco » della Marina; gli ufficiali, graduati e avieri del 1° Battaglione e del Battaglione ADRA
Che cosa fece per questi uomini la Scuola di Tarquinia? ‑ continua Baudoin nel suo articolo ‑ essa ebbe l'onore di addestrarli di prepararli e soprattutto d'infondere loro lo spirito paracadutistico, simbolo della volontà e dell'audacia spinte ai massimi valori. Tarquinia fece di ognuno di essi un prode su tutti i campi di battaglia: *(5) *(6)
Per il periodo trascorso dal Colonnello Giuseppe Baudoin al Coman­do della Scuola Paracadutisti di Tarquinia, gli furono tributati due en­comi: il primo dal Sottosegretario di Stato per l'Aeronautica, l'altro dal Sottocapo di Stato Maggiore dell'Aeronautica.
Il primo dice:
« Incaricato del Comando della Scuola Nazionale di paracadutismo di nuova costituzione, con opera appassionata e infatica­bile di studioso, di animatore, di organizzatore, e con chiara e realizza­trice visione degl'importanti nuovi problemi, in breve tempo creava un organismo vitale e capace di rispondere, in difficili circostanze di guer­ra, a tutte le incalzanti necessità contingenti. Realizzava inoltre, con ori­ginali concetti e rifiutando ogni vantaggio personale, numerose attrezza­ture e un nuovo tipo di paracadute, che in oltre 55.000 lanci umani dimostrava assoluta sicurezza e perfetta rispondenza a tutte le esigenze del paracadutismo militare ».
L'altro dice:
« Vi esprimo il più vivo elogio per gli ottimi risultati con­seguiti nella preparazione del personale e nello studio dei problemi ine­renti l'impiego del I° Battaglione Paracadutisti della R. Aeronautica. Tale risultato dimostra l'interessamento che avete portato allo svolgimento del Corso e la Vostra competenza nei particolari difficili problemi alla cui risoluzione avete presieduto ».
Ai primi di novembre del 1942 Baudoin lasciava Tarquinia, ed il 14 di quel mese era nominato Comandante delle Forze Aeree della Corsica.
Nel corso del nuovo incarico non ebbe modo d'impiegare le ben modeste unità aeree alle sue dipendenze, tuttavia pur venuto a trovarsi in una situazione difficile, nel momento in cui l'Italia si avviava verso la disfatta, non venne meno la sua energia ne le sue ottime doti di organiz­zatore .Dimostrò altresì molto tatto nei rapporti con il Comando del­l'Esercito, da cui dipendeva, e con la popolazione e le autorità locali.
L'8 settembre 1943 (giorno in cui Badoglio annunciava l'armistizio, e le Forze Armate Italiane si dissolvevano) il nostro era a Roma, per con­ferire con il Ministro e il Capo di Stato Maggiore della R. Aeronautica.
Rientrato in volo in sede il successivo mattino, riprese con fermezza il posto di comando, e, in accordo con le Superiori Autorità Militari, diramò ordini adeguati alle circostanze, ottenendo dai propri reparti ri­sultati che furono elogiati dalle Autorità Regie e Alleate.
In un momento particolarmente grave per il personale di un aeroporto, il Colonnello Baudoin, rifiutandosi di aderire alla richiesta di col­laborazione rivoltagli da un parlamentare tedesco, emanò le opportune disposizioni per risolvere la critica situazione. Venuto poi a sapere dello sbarco di truppe francesi nell'Isola, dispose che l'attrezzatura aeronautica di Ajaccio venisse messa a disposizione dei nuovi Alleati. E nei giorni se­guenti prese gli opportuni accordi con alti Ufficiali Alleati per stabilire le modalità di consegna del materiale della R. Aeronautica, e fissare la nuova destinazione del personale dislocato nell'Isola.
In Corsica si chiuse praticamente la vita aeronautica del Colonnello Pilota Giuseppe Baudoin. Nel gennaio 1947 veniva collocato in ausiliaria, il 26 marzo 1953 era nominato, ad anzianità, Generale di Brigata Aerea, e collocato nella riserva alla fine del 1958.

Baudoin si spense a Roma, per malattia, il 4 marzo 1963. Il suo nome resterà legato alla creazione della prima scuola italiana di paracadutismo militare.


*(1) Il bazooka di Bettica verrà, più oltre, imitato dagli americani.

*(2) In effetti il paracadute nacque nell'autunno del 1940.

*(3) Cioè del comando Superiore dell'Esercito.

*(4) della Aeronautica; i giovani della GIL »

. *(5) In Africa Settentrionale i prodi della a Folgore » non vennero mai impie­gati come parà: combatterono sempre a terra.

*(6) Il Battaglione ADRA (Arditi Distruttori Regia Aeronautica), costituito dallo Stato Maggiore dell'Aeronautica nell'Ottobre 1942 con il compito di distruggere ap­postamenti militari nemici, con particolare riferimento ai campi d'aviazione. Suddi­visi in 4 pattuglie gli uomini dell'ADRA furono paracadutati nel giugno del 1943 nei pressi di vari aeroporti dell'Algeria, Tunisia e Libia. Alcuni di questi nuclei riportarono notevoli successi.


‑ a Cefalonia e fra le infernali dune di El Alamein;
‑ nella disperata difesa di Derna;
‑ nella Sirtica e in Tripolitania;
‑ in Tunisia ove più speranza di vittoria non v'era;
‑ nel vicino Oriente;
‑ nuovamente in Cirenaica, Tunisia e Algeri;
‑ in Corsica;
‑ in Sicilia;
‑ pei monti, nelle valli e sulle pianure del Patrio Continente ».

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