sabato 24 novembre 2007

ACTA ANNO XVIII * N°3 SETTEMBRE ‑ NOVEMBRE 2004
Dell’Istituto Storico Repubblica Sociale Italiana


PRIGIONIE D'OLTREMARE SOFFERTE TESTIMONIANZE

Pier Silvio Spadoni ha illustrato a "Italia 1939‑1935, Storia e Memoria" presso l'Università Cattolica di Milano, il 25 maggio 1995 la Sua Tesi di Laurea I PRIGIONIERI ITALIANI NEI CAMPI AMERICANI, INGLESI E FRANCESI, discussa all'Università Statale di Milano ‑ Scienze Politiche.

Della acuta relazione (36 pagine) riassumiamo la parte con le testimonianze del Ten Franco, Cappellano Militare, e di Avanzini, Belli, Beretta, Bersani, Croso, Palermo, Pradelli, Roggiani, Valia ni e Villa e dai campi di Orario (americano e francese) su perquisizioni, propaganda contro le istituzioni italiane, vita nei campi, lavoro e attività ricreative. 1 prigionieri italiani che dall'autunno 1943 divennero ausiliari delle non più nemiche Armate US furono decine di migliaia (19 mila in Italia, 43 mila in Francia). Tra i restanti sotto Gran Bretagna (360 mila), U.S.A. (65 mila) e Degaullisti (25 mila), quel 20% rimasto fedele alla Patria e considerato non cooperatore ostile si ridusse alla metà dopo la resa del Giappone (2 settembre 1945).

Nei soldati combattenti le differenze dei caratteri, gli atteggiamenti disparati e gli stati d'animo dovuti ai differenti motivi della partecipazione al conflitto si uniformano all'unica volontà possibile: vincere! Poiché, nel combattimento, lo spirito di conservazione stesso di confonde con l'impeto necessario a sopraffare il nemico. Anche a battaglia finita, quando diverse sono le reazioni e rispuntano i caratteri di ognuno pur tuttavia quei soldati hanno in comune il senso del dovere e l'idea di servire la Patria.

Ma arrendendosi, diventando prigionieri. Essi sono dei vinti, in preda al disordine e spesso al crollo di ogni disciplina e ritegno.

Psicologicamente il catturato si sente irriconoscibile e sprofonda in uno stato di smarrimento a cui reagisce secondo le proprie riserve morali. La gerarchia militare è spezzata. Alla disciplina precedente succede un periodo caotico con interrogatori, perquisizioni anche umilianti, trasferimenti faticosissimi e a volte inumani per raggiungere la destinazione stabilita dal vincitore.

La reazione della massa a questo tipo di situazione si divide nelle varianti dei depressi, che non parlano più e che si muovono a stento procedendo come robot, e quella degli esaltati, che parlano troppo, non stanno fermi e si abbandonano a una irritabilità rumorosa e pericolosa. A costoro sono da aggiungere poi i casi patologici e i rassegnati. Quest'ultimi, che considerano la cattività come il male minore che possa capitare in guerra, rappresentano un fattore d'ordine sia durante la cattura che durante la prigionia.

I militari subito dopo la cattura venivamo disarmati, perquisiti e, quando il numero ed il tempo lo permettevano, immatricolati con il numero preceduto dalla sigla POW (Prisoner of War). I francesi invece facevano cucire sulle spalle della divisa un rombo di panno rosso, che gli italiani chiamavano la "toppa rossa". Gli italiani catturati dai britannici lamentano nei loro memoriali che gli inglesi, subito dopo la cattura, portavano via frequentemente sia oggetti di valore che capi di vestiario.

Appena disarmati, anche se era stato concesso l'onore delle armi i soldati italiani venivano affidati ad un sottufficiale britannico il quale si serviva dei suoi uomini di colore per la perquisizione e la disciplina. Come primo provvedimento i prigionieri venivano denudati, senza distinzione di età o grado, ed alleggeriti di tutto ciò che possedevano, oggetti, indumenti, ricordi familiari. Tutto veniva loro tolto a titolo di "souvenir", che era una parola di moda. II prigioniero era lasciato senza scarpe, in mutande e dimenticato. (Alfio Beretta).

…la prima notte di cattività non dovevamo dormire a lungo. Ci svegliammo sotto il raggio di una torcia che lì per lì sembrò della scorta. Erano invece due uficiali che stavano perquisendo tutto il gruppo, un elmetto tra le mani. Quando fummo all'impiedi vedemmo nell'elmetto soldi, orologi, anelli. Anche il nostro orologio finì nell'elmetto. Erano orologi che avevano fatto l'Africa orientale, la licenza in Italia, i mesi di guerra:" (Ferdinando Bersani)

...fin dall'inizio si vide subito che piega prendeva la perquisizione. Coperte, lenzuola, lamette da barba, sapone, lapis, specchi, medicinali, accendisigari, tutto quanto poteva far comodo ai vincitori era silenziosamente confiscato. Chi osava protestare si sentiva esplodere sotto il naso il grido di "come on"; e a non filare subito si rischiava di assaporare la più formidabile delle pedate (Piero Belli. Corrispondente di guerra).

Particolarmente drammatiche furono le vicende dei prigionieri in mano francese. Viene raccontato da più reduci che le forze militari francesi in Africa, le truppe degaulliste, erano costituite dalla Legione Straniera e da truppe di colore ‑ goumiers, spahis, senegalesi: un esercito raffazzonato, misto di razze carico di miseria. Ricorda un reduce dai campi "non era la vera Francia che avevamo innanzi, ma bande raccogliticce ... ...si mescolavano in un mosaico a mala pena tenuto insieme da interessi ed ambizioni personali, più che dall'ideale della grande Francia".

Uno dei maggiori centri di raccolta dei prigionieri fu quello di Megez‑el‑Bab in Tunisia. Da qui partirono lunghe colonne dirette a diversi campi nei quali i prigionieri vennero smistati successivamente verso il Sud Africa, l'India, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Ad alcune migliaia di italiani in mano francese toccò, nel giugno del 1943, la sventura di compiere a piedi in 20 giorni un marcia forzata di oltre 500 chilometri attraverso la Tunisia fino a Costantina in Algeria ....si facevano avanzare i primi plotoni e si tenevano fermi gli altri per poi farli correre zoppicanti fino a raggiungere la testa. I più desolati erano quelli di coda che vedevano sempre una interminabile fila serpeggiare innanzi a loro come un'allucinazione ....ufficiali francesi, a cavallo,a sommo dispregio talvolta investivano i pellegrini, calpestandoli ...percosse, minacce, insulti ...un unico camion autoambulanza che funzionava per l'immensa colonna. (Ten. Cappellano don Giacomo Franco)

...durante il percorso non solo gli italiani furono scherniti dalle popolazioni, ma vennero maltrattati anche dalle scatenate truppe di colore che avrebbero dovuto proteggerli. Si parla di un numero di morti imprecisato poichè i prigionieri non erano stati ancora immatricolati: essi figureranno poi fra i Dispersi o i Caduti in combattimento. (Giovanni Roggiani) .

....in molte occasioni avvenne che i prigionieri ricevettero dalla folla sputi, insulti minacce. Particolarmente pietoso fu lo spettacolo offerto da alcuni gruppi di italiani stremati, scalzi, seminudi addirittura alcuni avvolti solo in una coperta, che, provenienti dal campo Mechra Benabbou, attraversarono le vie di Casablanca sotto gli occhi della popolazione che inveiva. Analogo comportamento lo ebbero gli inglesi sia in Egitto che in Africa orientale ...durante i trasferimenti si obbligò per scopi propagandistici i prigionieri a percorrere in pieno giorno le vie dei centri abitati, e qui gli italiani sporchi laceri, affamati, furono esposti agli insulti delle popolazioni locali (Giovanni Palermo) . ....i principali centri di raccolta e transito nell'ex AOI furono quelli situati all'Asmara ed ad Adis Abeba. Nel corso di una lunghissima marcia per arrivare al campo di raccolta di Addis Abeba i prigionieri inermi furono gravemente esposti a pericoli dai quali non ebbero sufficiente protezione ...Fu ordinato agli italiani di rendere omaggio al Negus sfilando davanti a lui, e l'ordine inglese aveva precisato che chi si fosse rifiutato sarebbe stato passato per le armi. La rivisita durò tre lunghe ore. II commento a questa sfilata: "l'umiliazione più grave c'è stata inflitta" (Alfio Beretta).

I militari italiani radunati al forte Baldissera dell'Asmara, venivano smistati in parte verso il Sudan, in parte verso l'interno, mentre la maggioranza era inviata verso i porti di imbarco di Massaua, di Assab, di Berbera e di Mogadiscio per essere poi trasferita ai campi situati principalmente in Kenia, in Sud Africa, in India ed in Australia oppure in Gran Bretagna.
Quelli portati ad Addis Abeba venivano allontanati dall'Etiopia seguendo come direttrice principale dell'evacuazione la linea Auasc, Dire‑Daua, Harrar, Giggica, Hargeisa, fino al porto di imbarco di Berbera .
....la diversità di trattamento dei prigionieri a seconda del detentore, non va ricercata solo nella maggiore durezza dei francesi ma, soprattutto, si deve evidenziare che la sorte degli italiani con tale detentore fu solo esclusivamente di prigionie­ri: "noi siamo stati prigionieri e null'altro. Trattati sempre male, questo si". (Enrico Pradelli).

Con ì detentori anglo americani invece gli italiani vissero un'espe­rienza diversa, vale a dire la trasformazione di buona parte di prigionieri in cooperatori.

Gli inglesi, in particolare, permisero che si verificasse nei loro campi, una situazione diversa e ben più scottante di quella che vissero i prigionieri in mano francese, perfino quelli tenuti nelle peggiori condizioni. Crearono infatti una situazione che vide ita­liani scatenati contro altri italiani per scelte politiche, come se essi avessero realmente vissuto fatti ed avvenenti che non pote­vano ne conoscere obiettivamente ne capire, dato che erano segregati, lontano dall'Italia, senza notizie, sostanzialmente fer­mi agli avvenimenti precedenti alla loro cattura . ....il 13 maggio 1943 dopo la cattura, da parte degli americani provenienti da Nord, di italiani sulla postazione di Enfidaville, avvenne un fatto quantomeno straordinario. Infatti dopo aver trasferito alcuni loro prigionieri con autocarri a Pont du Fash gli americani li conse­gnarono alle truppe degaulliste. (Ettore Villa)

....le stesse autorità americane però finsero d'ignorare, più tardi, dei numerosi italiani che, evadendo dai campi francesi, trova­vano rifugio nei loro campi di prigionia. Essi presero atto del­l'evidente situazione solo quando il Comando francese prote­sto. (Renzo Valiani).

Così come molti militari catturati furono consegnati dagli ameri­cani ai francesi, anche diversi prigionieri, già in mano francese, risultarono essere passati agli americani. Non si sa se ciò sia avvenuto in base ad accordi particolari.
Quanto al comportamento dei soldati americani, dai ricordi dei reduci emerge che furono vari gli interventi in aiuto ai prigionieri italiani, spesso come reazione ai maltrattamenti dei francesi .
....significativo è quanto avvenne a "Maison Carrèe", Algeri, Quando nella stazione si incendiò un treno americano carico di bombe, proprio mentre era presente un altro che trasporta­va prigionieri italiani, stipati 40 per vagone, una parte del tre­no venne allontanata. Nei vagoni rimasti fermi vi furono diversi morti sia fra i guardiani che fra i prigionieri. ma sarebbero stati molti di più se alcuni americani, con pericolo per la loro vita, non avessero aperto parte dei vagoni permettendo che i pri­gionieri uscissero. (Enrico Pradelli).

Nella memorialistica consultata risulta che gli italiani in mano americana furono quasi sempre trattati dal punto di vista ma­teriale, in osservanza alla Convenzione di Ginevra. In complesso le violazioni commesse sono da considerarsi, almeno negli effetti, pari a quelle della Gran Bretagna. II numero dei prigio­nieri italiani che rimasero in mano americana fu di 123.000. Essi furono poi smistati con destinazioni varie: Stati Uniti e nelle isole Hawai, 51.000 compresi i combattenti RSI; in Italia al seguito della V armata 19.000; in Francia e Germania al se­guito delle armate americane oltre 43,000; nel Marocco (zona Casablanca) circa 10.000. Quasi subito iniziò nei campi quel­la propaganda diretta ad intaccare la fiducia del soldato italia­no verso i superiori e le istituzioni.
L'attività di propaganda anglo‑americana verrà sfruttata in se­guito, non più per colpire le figure dei superiori ma per com­battere il fascismo ed il suo massimo rappresentante. Questi sono i principali motivi per cui in tutti i campi si ebbe, in un primo tempo, una grave anarchia contraria agli interessi deiprigionieri stessi, tanto da aggravare la loro vita . ....Temo che se ognuno non riprenderà il controllo dei propri nervi (logorati dalla nostra odissea) andremo al peggio: alle adunate si perde tempo in attesa dei ritardatari; le tavole per i pasti vengono prese d'assalto, e ne soffre chi non ama an­dare all'arrembaggio o è meno prepotente, o meno lesto a trovare un posto; di frequente si inaspriscono le discussioni all'aperto o sotto le tende. (Ettore Villa).

Con il passare del tempo nei campi si svolsero attività dirette al miglioramento delle condizioni materiali; I prigionieri si in­gegnarono in tutti i modi: ....a fare la sintesi di tutti gli accorgi­menti, le astuzie, gli stratagemmi usati dagli italiani per so­pravvivere, trovo adatto un motto quello del generale Nasi, co­mandante degli italiani in Kenia, "acqua dai sassi e sangue dalle rape". (Noé Croso)
..le opere d'artigianato furono di diverso tipo, dalle più sem­plici alle più complesse e qualche prigioniero, riuscì con le sue realizzazioni a stupire le autorità di custodia per l'inventi­va e la capacità creativa (Luigi Avanzini) .

....straordinaria fu anche la costruzione di un violino funzio­nante composto da migliaia e migliaia di stecchini di fiammi­feri usati. "Lo sport fu davvero un reagente energetico di gran­de valore, uno scampo all'ozio" (Alfio Beretta).

Quando furono disponibili, tramite gli Enti assistenziali, dei li­bri si scatenò una vera bramosia per la lettura. Gran parte nella vita dei campi la ebbe anche il teatro. I prigionieri si industria­rono per organizzare lavori teatrali veri e propri. Raramente agli spettacoli assistettero le autorità ed i civili. In molti campi si organizzarono anche concerti strumentali e vocali.

....da dove venissero fuori gli strumenti a fiato non si sa, ma cornetto, sassofoni, trombe, fagotti, clarinetti e flauti sbucaro­no come per evocazione spiritica; strumenti a corda, violini, viole, contrabbassi, chitarre e mandolini furono costruiti nel campo ...in tal modo nacquero orchestre, orchestrine (campo americano di Orano):

In ogni campo si organizzò un giornale murale. Quando le con­dizioni lo permisero, per soddisfare meglio l'esigenza di infor­mazione dei prigionieri e con il beneplacito dei detentori nei diversi campi, vennero stampati periodici tirati in più copie. L'autorità di custodia conservò sempre il rigido controllo sulle notizie che venivano diffuse .
...viene anche stampato, impresa che dapprima sembrava im­possibile data la mancanza d'inchiostro e persino di una ma­tita, un giornale del campo. II primo numero fu manoscritto ed affisso al fianco di una baracca (campo francese di Orano).

Avere notizie sull'andamento della guerra e inerenti alla Patria lontana era per tutti i prigionieri di estrema importanza. Le in­formazioni trasmesse erano ovviamente solo quelle conformi alla logica ed agli interessi del detentore.
.gli inglesi, che sono degli innati psicologi, manovravano con raffinata maestria i moti del nostro animo tramite radioreticolato, propagavano ad arte le notizie più disparate e disperate: un giorno ci mandavano in visibilio con notizie di fulgide vittorie italiane, che qualche giorno dopo venivano smentite od addi­rittura capovolte , con l'effetto che ognuno potrà immaginare. Questi alti e bassi che il nostro stato d'animo seguiva e subiva quasi passivamente, unitamente alla super‑denutrizione, ci debilitavano, lasciandoci in uno strato di prostrazione vera­mente preoccupante; i deboli venivano così stroncati ed i for­ti, ridotti a cenci umani. (Luigi Avanzini)

....da quando l'apparecchio cominciò a funzionare.. stetti in ascolto ogni notte con al cuffia alle orecchie per cinque anni consecu­tivi, in modo che al mattino ogni baracca avesse una copia del notiziario. (Alfio Beretta).

Entravano così nei campi le notizie sulle fasi della guerra ed i prigionieri italiani vivevano nei campi momenti di gran­de gioia o di scoramento, secondo il susseguirsi degli av­venimenti.

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