Kindu, il massacro impunito
Sconcertanti rivelazioni sull’eccidio dei 13 avieri massacrati nel 1961
Sull'ultimo numero della rivista bimestrale “'Storia & e Battaglie” un protagonista di quei giorni racconta che i responsabili della strage, avvenuta nel novembre del ’61, furono individuati ed arrestati dalla gendarmeria katanghese di Thsombè, ma successivamente liberati dalle truppe delle Nazioni Unite di stanza in Congo.
Le recenti critiche che giungono da più parti alle Nazioni Unite per la gestione di alcune questioni internazionali, come ad esempio quella della Somalia, trovano un’ eco profonda nelle caligini della secessione del Katanga dal Congo ex Belga, avvenuta oltre quarant’anni fa.
Il dramma katanghese è ancora vivamente impresso nella memoria occidentale e africana, e più particolarmente in quella italiana a causa dell’orrendo eccidio di Kindu, l’11 novembre del 1961, quando 13 avieri italiani trovarono una morte orrenda per mano della soldataglia comunista congolese.
I fatti sono noti, soprattutto ai meno giovani tra noi, quella di Kindu è una “pentolaccia" che nessuno ha piacere di riaprire anche a causa delle troppe ombre che sono rimaste sull’intera vicenda, che pesano sulle Nazioni Unite, sui governi congolese, americano e soprattutto italiano, che non si dette mai troppo da fare per chiarire i contorni di quella tragedia.
Ma oggi un elemento nuovo si aggiunge alla serie di inettitudini, imprudenze, falsità che circondarono l'episodio di Kindu: a distanza di più di quarant'anni, un protagonista di quell'epoca scrive su una rivista storica italiana che il leader katanghese Moisè Thsombè individuò e fece arrestare dalla sua "gendarmerie" i responsabili di quel massacro, che furono però liberati dai caschi blu dell'Onu, prima che potesse aver luogo il processo, in occasione degli avvenimenti successivi che portarono alla capitolazione del grande statista africano.
Il protagonista di questi fatti è Enzo Generali, giornalista, scrittore, esperto di cose africane, ma soprattutto consigliere politico ed amico personale di Thsombè durante tutti quegli anni nei quali il Congo fu al centro dell'attenzione internazionale. Il tormentato Stato africano, come si ricorderà, fu infatti al centro, degli "appetiti" delle multinazionali dei metalli, delle grandi lobbies americane e non solo, che spesso erano legate a doppio filo con governanti e capi di Stato, africani e occidentali. In quegli anni persino il segretario generale delle Nazioni Unite, lo svedese Dag Hammarskjoeld, perse la vita in un incidente aereo in Rhodesia, mentre si recava a incontrate lo stesso Thsombè, incidente la cui dinamica non è stata a tutt'oggi mai chiarita.
Scrive comunque Generali nel numero attualmente in edicola del bimestrale "Storia & Battaglie" edito dall'Editoriale Lupo: “L’episodio più noto di questo fosco periodo fu il massacro di 13 aviatori che formavano parte del contingente messo a disposizione delle Nazioni Unite dal governo italiano. I piloti avevano trasportato a Kindu, nella provincia del Kivu, alcuni carri malesi e altro materiale (…). Alcuni soldati ubriachi (congolesi del generale Lundula) accusarono gli italiani (che si trovavano alla mensa in compagnia di alcuni caschi blu malesi, ndr) di essere mercenari belgi al servizio di Thsombè; tutto si svolse molto rapidamente: l’uccisione, lo smembramento dei corpi e il macabro banchetto che ne seguì. L’inchiesta dell’Onu - prosegue Generali - fu altrettanto superficiale di quella del governo congolese (che in quei giorni aveva mosso guerra al Katanga secessionista di Thsombè con l'appoggio proprio dell'Onu, ndr) Solo le indagini delle autorità katanghesi, dopo la cattura in combattimento dei veri fomentatori ed esecutori della strage, avrebbero permesso la punizione dei colpevoli. Purtroppo - ricorda ancora il consigliere politico del presidente katanghese - questi furono liberati, prima del processo, dalle truppe dell'Onu, durante gli avvenimenti che portarono alla capitolazione di Thsombè (…)”
Nell’articolo, Enzo Generali si sofferma sulle atrocità commesse dai caschi blu delle Nazioni Unite, in prevalenza indiani, nepalesi, malesi,etiopi e altri. Tra queste atrocità ci furono bombardamenti di ospedali, zone residenziali, cannonate sulle autoambulanze: quest’ultimo particolare, poi, fu ufficializzato dallo stessso comandante generale delle truppe delle Nazioni Unite in Congo, Mc Keown, che in un comunicato annunziò che “tutte le autoambulanze katanghesi sarebbero state mitragliate, perché era possibile che trasportassero mercenari europei”.
Generali ricorda che lo stesso ospedale italiano della Croce Rossa di Elisabethville, capitale del Katanga, fu militarizzato dall'Onu quale posto di combattimento. Proteste si registrarono da parte di tutti i medici, privati e universitari di Elisabethville, ma non sortirono alcun esito.
Leggendo i quotidiani italiani dell'epoca, si ha pressappoco la stessa ricostruzione dell'eccidio a Kindu dei nostri tredici eroici aviatori: l'indignazione del popolo italiano fu enorme, soprattutto in considerazione del fatto che la notizia dell’orribile massacro avvenuto l’11 novembre del 1961, fu pubblicata dai giornali italiani soltanto il giorno 17, sebbene essa fosse trapelata il 15, dopo molte arroganti reticenze da parte del governo congolese del comunista Adoula.
Le famiglie delle vittime vissero l'incredibile stillicidio di notizie provocato dall'imbarazzo del governo di Leopoldville e dalla “prudenza” dell'Onu, sino alla beffa atroce del "colonnello" congolese Pakassa, il quale, prendendosi gioco di tutto il mondo, visse il suo momento di celebrità rispondendo alle pressanti richieste dell'Onu di far luce sui fatti e sulla sorte dei 13 aviatori con queste parole: «Godono di buona salute».
La domanda alla quale nessuno sinora ha dato una risposta e probabilmente destinata a rimanere tale, è la seguente; Mc Keown e Sturo Linner, quest'ultimo capo delle operazioni Onu in Congo, conoscevano già dall'11 novembre la sorte degli italiani?
E un altro incredibile particolare ci sbigottisce, rileggendo le cronache di Kindu: a quanto pare, i soldati congolesi, a centinaia, avendo scambiato gli italiani per mercenari al servizio di Thsombè, circondarono la base dell'Onu tenuta dai caschi blu malesi e, dopo averli percossi selvaggiamente, imprigionarono per alcune ore i malcapitati aviatori, senza che le truppe dell’Onu facessero assolutamente nulla per opporsi. Non un solo colpo di fucile venne sparato dagli oltre duecento soldati malesi. Il resto è storia di ieri: dopo la fucilazione, i corpi subirono quella sorte atroce che non vogliamo qui ricordare per rispetto alle famiglie.
A quell’epoca, e negli anni successivi, fu solo la Destra italiana che ricordò in ogni anniversario i 13 eroici aviatori morti in Africa al servizio del loro Paese e che incalzò i governi affinchè facessero luce sulle responsabilità, che indubbiamente vi furono, che portarono a quel tragico epilogo. Poteva la tragedia essere evitata? Si sarebbe potuto intervenire, da parte delle truppe dell’Onu, con una maggiore energia? Potevano quelle vite essere salvate? E’ difficile dirlo ma ricordiamo che in occasione di un episodio dai contorni analoghi, quando la soldataglia congolese sequestrò un gruppo di soldati irlandesi, il governo dell'Eire intimò alle Nazioni Unite di intervenire immediatamente, preparando al contempo un contingente di paracadutisti da inviare in Congo.
La verità, per quanto scomoda e brutta, va sempre portata a galla, soprattutto quando essa può contribuire ad evitare che in futuro le forze sovranazionali di pace siano inviate nuovamente in difesa di interessi politici ed economici e non a protezione dei popoli oppressi da dittature quanto mai feroci e determinate solo ad arricchirsi. La prova di ciò è che da quelle lontane vicende sorse “l’astro” di Mobutu Sese Seko, sergente ai tempi di Thsombè, che approfittò del cataclisma congolese per mettersi in luce e conquistare il potere a forza di massacri e di pulizie etniche, per poi tenere il Congo sotto un giogo durissimo per quasi quarant'anni: il tutto sotto gli occhi benevoli dell'Occidente, i cui "cartelli" potevano ora liberamente rifornirsi di tantalite, uranio, oro, diamanti e quant'altro, col solo incomodo di dover riempire le tasche di Mobutu e della sua cricca; ciò che permise al dittatore africano, quando vi fu la rivolta, guidata da Laurent Desirée Kabila, di fuggire nella sua reggia in Costa Azzurra dove poi morì nel lusso più sfrenato.
Ha imparato qualcosa l'Occidente dalla lezione di Kindu quarant'anni dopo? A voi la valutazione, ma ci auguriamo che anche queste ultime, non esaustive ma importanti rivelazioni su quei giorni drammatici, contribuiscano alla riflessione, oltre che naturalmente al ricordo, alla memoria e al rispetto dei nostri Caduti, morti nel tentativo di portare la pace in una nazione che oggi è ben lungi dall'essere pacificata e dove tra poche settimane un nuovo contingente delle Nazioni Unite, composto anche da italiani, sarà inviato.
Tino sei sempre così puntuale nel ricordare quello che tanti vorrebbero sempre far tacere.
RispondiEliminacontinua così, un dolce pensiero a tutti i nostri martiri di atti vili e infami.
Onore ai caduti di Kundu e a quelli di Nassirya
buogiorno,
RispondiEliminami chiamo gaetano arcidiacono e sono il figlio di alfio arcidiacono , colui che insieme al fratello benito sono state le persone che hanno ritrovato i cadaveri trucidati a colpi di macete dalle truppe insurrezionali. La mia vuole essere di monito al non mensionamento di quello che mio padre e mio zio hanno fatto mettendo a repentaglio la propria vita per gli avieri dell' aereonautica militare italiana. Ci sono tante altre notizie in merito che sono state non menzionate e modificate . per chiarimenti vi lascio i miei recapiti. gaio66@virgilio.it
338- 6845523. distinti saluti gaetano arcidiacono.
Buongiorno sig Arcidiacono,
RispondiEliminaNel merito ho diversi riscontri e testi.
Quello che lei scrive purtroppo non è un mistero, i fatti di Kindu sono uno delle tante pagine di Storia Italiana più ricche di omissioni che di verità.
Sono pagine di Eroismi di una Nazione immemore che gratificata da uomini non comuni ma sempre spesso evita di ricordare questa ricchezza quasi se ne vergognasse.
Il sentimento della Identita nazionale passa per la cruna dell'ago del saper convivere, acettare tutte le pagine della storia di un popolo.
Ma la realtà vera e cruda la si evince in sintesi da questo (La verità è solo quella che fa l'interesse del partito) Lenin, La stessa frase fu ripresa e fatta propria da Antonio Gramsci