venerdì 11 gennaio 2008

Dal taccuino di Mario Tosone

DAL TACCUINO DI MARIO TOSONE

Pubblichiamo alcuni stralci del volumetto « Dal mio taccuino », di Mario Tosone, maresciallo maggiore paracadutista, già della 5° compagnia del II battaglione « Folgore », sicuri che la prosa efficace del nostro amico riuscirà gradita a paracadutisti anziani, e perchè no, giovani!!

Lontano, a perdita d'occhio, dietro le nostre linee, una tenue striscia luminosa va scomparendo all'orizzonte. Quaggiù, in terra africana, il crepuscolo è breve. La notte subentra improvvisa a cancellare ogni cosa terrena. Ma verrà la luna, più tardi, a rincuorarci con la sua bianca luce.

Un silenzio opprimente ci attornia mentre una pesante coltre scura si adagia su noi serrandoci l'un l'altro. La tiepida umidità notturna sembra ci mozzi il respiro, tanto pesante è l'aria. La pelle suda appicicandosi sotto i nostri panni laceri. I « ragazzi » tacciono. Le scolte vegliano ai margini del capasaldo di quota 125.

E' la sera del 23 ottobre 1942. Ci si attende di essere attaccati ma non si pensa possa accadere proprio stasera. E, fiduciosi nella buona stella ,ci adagiamo nelle buche sperando in un discreto sonno. Speranza vana, ahimè! Improvviso, un terribile frastuono scaccia il silenzio e la sabbia ribolle dappertutto, squassata da una fitta pioggia di granate. Sono le 22 precise. Giù, nella brulla vallata, oltre il campo di mine, solo un denso fumo si scorge inargentato dai freddi raggi della luna nascente. E' nebbia artificiale che occulta l'avanzare del nemico. Più vicino, una leggera evanescente nube di vapori ci avvolge.

Cigola la piccola « R2 » da campo. E' l'ordine di controbattere gli « ottantotto » inglesi. Tentiamo. Deludente prova! Dobbiamo rassegnarci a tacere, per ora. Li attenderemo al varco, più tardi, quando l'artiglieria si accheterà.

Intanto sempre più intenso si fa il tiro degli « ottantotto » e siamo costretti a soggiacere, inerti, al coperto nelle buche. Alcune granate penetrano nei ripari evi seminano la morte. Trascorrono in questa sarabanda apocalittica circa due ore. Poi il fuoco nemico perde d'intensità, s'indebolisce via via fino a cessare del tutto. Una lieve, calda brezza alita giù nella spianata cacciando la riottosa nebbia fumosa. Dal mio riparo guardo e, sbalordito, non oso fiatare. Mi è sembrato come se si fosse levato il sipario sulla boccascena di un immenso teatro: sullo sfondo, appena rischiarati dalla pallida luna, avvolti nella fitta foschia, artificiale, appaiono massice sagome di potenti carri armati. Sono grandi, colossali, tremendi ordigni di guerra, mai veduti prima d'ora. L'occhio, abituato alla elegante figura dei nostri gloriosi « M11 » ed « M13 », ne rimane tristemente sgomento. Questi nostri carri non sono altro che poca cosa al confronto, bei giocattoli di latta, non di più.

Dietro ai giganteschi carri, via via che procedono verso il nostro caposaldo, si rivelano gruppi di uomini. Sono immagini irreali, figure fantomatiche affioranti dalla marea di fumo. Grotteschi, scomparenti segni gareggianti diabolicamente con le ombre dei mezzi corazzati spiaccicate dal terreno. Non abbiamo dubbi, sono le ben note fanterie d'assalto, che presto ci saranno addosso. E' l'inferno che ci appare nella notte, l'inferno che ci si mostra nella sua crudezza.

Ci scuotiamo dall'intontimento momentaneo e, .con muta angoscia, ci guardiamo in volto nella penombra lunare. Gli inconfondibili segni dello scoramento marcano selvaggiamente i nostri lineamenti smagriti. Le barbe incolte, i volti stravolti, le sdruscite vesti appiccicate addosso s'inquadrano perfettamente nella apocalittica scena.

Siamo consci interiormente che ormai il dado è tratto: qualunque pelle vale un'altra pelle e noi lo sappiamo e sappiamo con certezza anche ciò che si vuole da noi, cioè che dobbiamo fare per noi e per i nostri fratelli che in noi hanno riposto la loro fiducia. Come l'eruzione subitanea d'un vulcano, improvvise, le ami anticarro cominciano a vomitare un fuoco rabbioso sui carri nemici. Ma i mostri d'acciaio, pur subendo qualche perdita, avanzano inesorabili senza appariscenti ondeggiamenti. Le inadatte armi di cui siamo dotati non riescono a contenere la tracotante marcia nemica. Ed invano tentiamo di prendere collegamento con ogni mezzo possibile col nostro Comando Tattico, che è il solo dal quale potremmo sperare d'essere sostenuti. Armi pesanti occorrono ma, purtroppo, non ne abbiamo. Anche delle staffette partono, staffette che si perdono nella notte, chè la morte spietata, inesorabile, le coglie lungo la tortuosa via del sacrificio..

Le mitragliere cantano ancora ma è un canto rabbioso, impotente, che, in questa notte di plenilunio, ha assunto un tono tremendamente tragico. Il ringhio dei nostri piccoli pezzi d'artiglieria somiglia al lamentoso latrare di un cane costretto a catena.

I campi di mine son ben presto superati dal nemico con minime perdite e questo ci piomba addosso irruente, rabbioso, urlante. Mettiamo mano alle bottiglie anticarro e vivide fiamme scacciano il pallore lunare. Ecco, alcuni uomini riescono ad issarsi sulle torrete dei carri. L'esplosivo introdotto attraverso le feritoie morde, dilania, rompe, incendia, sconquassa i primi carri nemici. E' un successo, ma non c'illudiamo: ben altro ci vuole chè, passata la sorpresa, diventeranno più cau­ti e ci falceranno a distanza, prima di entrare nell'angolo morto del carro. Intanto eroici, generosi « ragazzi », tutt'intorno mordono l'a­rida sabbia del deserto! ...Nell'area più conte­sa, carri contorti, sventrati, giacciono in fiam­me.

La notte non ha requie. Grida imperiose, lamenti agghiaccianti di spasimo, tonfi sordi di corpi che si abbattano, esplosioni di armi automatiche, fragore di bombe, frastuono di motori e di ferraglia in movimento, vampe rossastre d'incendi, fumo spesso e graveolen­te, tutto l'insieme, insomma, dà alla tremenda scena 1'apocallitico colore reale di un'inferna­le battaglia.

Si è in piena notte, ormai, e si combatte ancora con rabbia più crescente. Un cerchio di ferro e fuoco ci limita ogni movimento. Mal­grado la veemenza, lo slancio e la generosità dei « ragazzi », la superiorità numerica e di mezzi del nemico dovrà ben presto farsi vale­re. Tentiamo una sortita disperata ma venia­mo ricacciati e stretti più dappresso. E, nel tentativo, altri giovani figli immolano alla Pa­tria la loro vita.

Già albeggia su quest'inospitale terra e le ombre, impaurite dal primo lucore, si dile­guano lontano. Lo scorrere del tempo non si turba per le nostre azioni umane e procede ineluttabile oltre quei confini che noi non co­nosciamo, che forse non conosceremo mai.

Una fredda pallida luce rischiara ora i no­stri volti anneriti: facciamo un rapido calcolo, nell'angusto spazio, per vedere con le nostre

forze quanto potremmo ancora durare: poche facce stanche, ma altrettante anime bramose di riscossa. Le armi bruciano nelle mani ed il nemico preme maggiormente contro le nostre file assottigliate. Ci aggrappiamo disperata­mente agli sfrangiati bordi delle nostre buche, stringiamo i denti per ricacciare ogni dolore in corpo e continuiamo furiosamente il fuoco nel vano tentativo di arrestare la tracotanza di un avversario più numeroso e potentemente armato.

Purtroppo, già segnato è il destino. Infat­ti, non ancora il sole si accenna all'orizzonte che dei tonfi soffocati, lontani, alle nostre spalle, ci fanno comprendere il rapido preci­pitare degli eventi. Ogni illusione cade. Quei rumori di lontana battaglia ci danno la certez­za che anche i reparti di seconda schiera sono stati agganciati tenacemente dal nemico. Un senso tremendo di sfiducia si sta impardro­nendo del nostro spirito. E' la fine!... Allo stremo delle nostre possibilità fisiche, com­pletamente isolati in quest'oceano tempestoso del campo di battaglia, siamo facile preda di un avversario più forte, reso bestiale dalla no­stra strenua resistenza e dalle improvvise per­dite subite nella mischia della lotta ravvici­nata. Duramente provati nel furioso travaglio del combattimento, abbiamo piena coscienza della tragica fine che ci attende. Una carica rabbiosa ci travolge tutti in un infernale vor­tice di polvere e fumo.

Così, sull'arida sabbia di quel deserto osti­le, cadono i migliori.

Mario Tosone

2 commenti:

  1. Questo era mio nonno, Mario Tosone, autore di queste vibranti pagine. Si è spento un mese fa, dopo una lunga vita accanto ai suoi cari e il vuoto si sente.
    Arrivederci nonno !

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  2. Mario Tosone Presente!Riposa in "quell'angolo di cielo riservatao a Santi Martiri ed Eroi".
    Recita la prghiera dei Paracdutisti e tutte le preghiere dei Militari.
    Grazie per il commento ma soprattutto ringraziamo Mario Tosone per averci lasciato la sua testimonianza.
    Condoglianze a Famigliari, Amici e Commilitoni
    Folgoré
    Basco Grigioverde

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