venerdì 11 gennaio 2008

I PARACADUTISTI

I PARACADUTISTI


Un furbo contadino, fatta la conta dei giovani compaesani accorsi volontari ai Battaglioni paracadutisti, decise d'intensificare la coltura del gelso e l'allevamento dei bachi da seta; convinto che di tessuto serico ne sarebbe occorso un centinaio di chilometri a voler dotare ciascuno d'un bel paracadute; onde il vender bozzoli diveniva un affare d'oro.

S'è sbagliato: nel senso che l'equipaggiamento di quei giovani non ha dovuto ‑ la Dio mercè! ‑ attendere i suoi bozzoli e i suoi gelsi; ma è giusto il riconoscergli che, d'ogni paese, l'afflusso di volontari all'ardita specialità ha superato di molte lunghezze le più ampie previsioni.

All'epoca dei primi voli del « più pesante » si usava dire che l'aviazione era scapigliatura dell'eroismo; e l'attributo di « scapigliato » scendeva sul capo degli aviatori dai pulpiti della saggezza che, incuriosita, osservava, restando ben radicata al terreno.

Con maggior convinzione ‑ ma ben mutato animo ‑ oggi si può parafrasare, definendo i paracadutisti: « scapigliatura dell'aeronautica ».

Pei formalisti della disciplina e dell'ordine, che sublimano il militare nell'uniforme geometrica e nel gesto misurato al decimo di millimetro, forse il paracadutista (specie se osservato in libera uscita od in licenza‑premio) ha un qualcosa che « non va »: bracale in abbondanza, porta il basco alla brava, ha un'accollatura di maglione da palombaro da far inorridire i nostalgici del solino all'amido; si pavoneggia spavaldo nell'ampia casacca, tutta fregi, tutta simboli policromi e vistosi, incede con un passo da collaudatore di selciati; e quel pugnale persuasivo, fitto costì di sghimbescio sul davanti del cinturone, par messo li per cavare un « Dio ce la mandi buona! » a più d'un Don Abbondio in vena di ozi arcadici.

S'egli transita per le vie del centro, degustando, disinvolto, un gelato da passeggio, od in ora vespertina, lungo un viale periferico, cinge, col braccio perentorio, la vita d'una delle sue cento fidanzate, subito qualche discendente spirituale del generale Eusebio Bava (1848... e seguenti! ! !) si corruccia, s'avvilisce, brontola e commenta: « che mondo! che tempi! che si vuol fare con simili soldati?! » .

Che si vuol farne ‑ anzi: che se ne fa ‑ l'han detto, ed ancora meglio diranno, i comunicati di guerra; ché « simili soldati » proprio della stessa marca e specialità erano gli Eroi della Folgore che fecero strabiliare ad El Alamein. Ma, procediamo con ordine e preghiamo subordinatamente il sofistico censore di recarsi (gotta permettendo...) in un campo d'addestramento per paracadutisti; avrà agio di rettificare i proprii concetti e di scoprire una meravigliosa palestra, ove, grazie a preparazione e selezione psico‑fisica, morale, si ottengono elementi di altissimo valore, non solo ai fini del combattimento ‑ scopo conclusivo dell'addestramento in senso tecnico ‑ ma agli effetti altresì d'ogni attività costruttiva per la Nazione.

E' una scuola di vita, ancor prima che di guerra, ed attinge i discepoli, da ogni strato sociale, con attitudini congenite al rischio e all'azione.

Le regole d'ammissione sono severissime. Non basta aver diciott'anni, essere piéni d'entusiasmo, di salute. A1 controllo sanitario il medico somatico, l'oculista, 1'otolaringoiatra, eco. formano un complotto di cerberi che sbarra il passo a chi non possiede qualità psico‑fisiologiche eccezionali quindi, un gran numero (due buoni terzi) dei volontari se ne torna sui suoi passi amareggiato e deluso.

Una seconda selezione ‑ minima, stavolta ‑ consegue agli esperimenti d'indole pratica: tuffi pompieristici da rispettabile quota, verso il centro del telone ammortizzatore; corsa in terreno accidentato; prove assortite di elasticità e di resistenza. Qui, il giudizio è demandato all'occhio clinico degli istruttori, i quali

subito si avvedono se il tipo è « in gamba » se ce la fa, ed ha buon fegato.

Agli idonei si spalancano ‑ finalmente! ‑ gli accessi alle caserme ed ai campi di addestramento.

Addestramento scrupoloso sia in attinenza al lato aeronautico quanto all'impiego nel campo sul terreno. Ma qui, al fianco del sofista quarantottesco che riesuma i regolamenti di Lamarmora, può sorgere anche un moderno scolastico della guerra, una di quelle arche di scienza che facevano pioggia o bel tempo dalle cattedre delle scuole « di Guerra » o « d'Applicazione » ; e sottilizzare sul titolo del presente articolo, ponendo quesito se, e fino a qual punto la specialità dei paracadutisti la si possa definire aeronautica.

« Se il paracadutista militare al postutto altro non è che un fante (guastatore, o ardito, o quel che meglio vi pare) il quale si trasferisce sul terreno dell'azione avvalendosi non dei mezzi consueti alle infanterie, bensì verticalmente in funzione di pendolo d'una calotta di seta, sembra ovvio che la sua qualifica di aeronauta abbia a cadere al contempo della imbracatura di cui egli si libera appena giunto al suolo; ma allora tanto vale che l'esercito terrestre affidi momentaneamente ‑ di volta in volta ‑ all'aeronautica, un certo numero di propri soldati affinché essa ne compia il servizio ausiliario d'aviotrasporto e lancio; e tosto li ricuperi ‑ l'esercito ‑ appena hanno effettuata l'inevitabile capriola che segna il ripreso contatto colla terra ».

Ecco, l'errore d'impostazione del quesito è proprio tutto in quel « se altro non è ». Rimorchiamo al nostro seguito anche l'esimio insegnante d'arte militare terrestre: siamo certi che ad ultimata visita d'una scuola per paracadutisti egli modificherà lealmente il proprio concetto.

L'intervento in azione d'un reparto paracadutista, sempre ha carattere d'un audace colpo di mano; è un revulsivo eroico per aiutare a risolvere una situazione tattica, oppure un imprevedibile operare in campo strategico; come sarebbe ‑ nel primo caso ‑ il prendere il nemico d'infilata o alle spalle; e ‑ nel secondo ‑ il guastare viadotti, ferrovie, ponti, incendiare depositi, occupare aeroporti, eco.; audacia, precisione, tempestività e perizia vogliono essere ‑ nell'una e nell'altra ipotesi ‑ le inderogabili modalità d'azione; e s'è pur vero che di tali caratteristiche sarebbe ozioso intitolare il monopolio all'una anziché altra delle Forze Armate, non men vero che, nel caso in esame, esse contrassegnano l'unicità e l'inscindibilità dell'impresa che ha inizio coll'imbarco sul velivolo ed ha termine coll'esaurirsi del compito sul terreno.

Per far cadere un grave non è indispensabile conoscere le esperienze di Galileo: basta privarlo del sostegno; ma se il Rrave è un soldato che deve giungere al suolo in ottime condizioni di spirito e di corpo, oltreché in perfetto assetto guerriero, allora la faccenda si fa un pochino più complessa; è contemplata un'attività che si distingue in tre fasi: uscita dall'aereo ‑ discesa ‑ atterraggio.

L'uscire da un aereo che si muova ‑ supponiamo‑ a trecento chilometri orari, significa essere proiettati contro l'aria, a pari velocità; poi, precipitare per una cinquantina di metri in attesa che il paracadute si apra automaticamente; è un po' la caduta e la traiettoria d'un sasso che l'uomo deve compiere, pur senza possedere, del sasso, la buona forma aerodinamica. Bisogna, all'inizio del lancio, assumere una particolare positura che potrebbe definirsi di nuoto nell'aria, e mantenervela con simmetria bilaterale, finché lo « strappo » non avverta che il paracadute s'è aperto; altrimenti si producono squilibri di incidenza e di portanza ch egenerano coppie rotanti e l'uomo incomincia le capriole nel vuoto, i giri a trottola, impigliandosi nella fune di vincolo; il che significa proseguire ‑ a paracadute chiuso ‑ fino al suolo, con quali conseguenze voi stessi me lo dite, toccando alla svelta, ferro omogeneo.

Avvenuta l'apertura s'inizia la discesa « regolare »; d'una regolarità che gli effetti pendolari non sempre fanno piacevole; in giornate ventose i moti oscillatori e rotatori sottopongono 1 paracadutista a durissima prova; egli deve allora mettere in pratica tutti gli accorgimenti appresi alla Scuola per giungere a quota zero nelle condizioni più desiderate; deve, all'occor­renza ,graduare la velocità della discesa modificando la portanza della calotta con manovra che rammenta l'arte della navigazione velica.

Intanto il terreno s'avvicina, si particolarizza e ra­ramente ha l'amabilità di presentarsi quale prato fio­rito, ampio, uniforme e sgombro d'ostacoli; il con­tatto può avverarsi in condizioni fortunose, tali da menomare o paralizzare il paracadutista propro quan­do ‑ novello Ercoile ‑ dall'amplesso della madre Terra, egli deve trarre moltiplicate energie per svilup­pare l'azione; è ancora la Scuola che prevede e prov­vede con sapiente preparazione dell'allievo.

Una locuzione elegante di norme d'equitazione, esor­ta il cavaliere a lanciare l'animo oltre l'ostacolo e, subito, balzare a riafferrarlo; qualcosa di analogo (ma in progressione cubica) lo si esige dal paracaduti­sta. Occorre avere un cuore « grande così » (il lettore comprende pur senza la cinematica del gesto), un cuore che si forma e si consolida colla consuetudine al rischio, colla familiarità al volo ed acrobazie rela­tive; requisiti che trascendono alquanto la docile inerzia del vivente « pacco postale » affidato all'aero­nautica per aviotrasporto e lancio da effettuarsi even­tualmente come servizio ausiliario.

Un'idea del come si pervenga a possedere tali re­quisiti, ce l'offre il complesso delle attrezzature che servono alla specialissima istruzione; pare, a prima vista, un compromesso fra la palestra ginnica ed il parco dei divertimenti, ma in realtà è il prodotto originale di esperienze e studi appassionati ,per cui va data amplissima lode ai pionieri ed ai cultori del paracadutismo. Qui sono riprodotte, colla maggior fe­deltà possibile ‑ le condizioni in cui si verificano l'uscita dall'aereo, la discesa e l'atterraggio; qui gli allievi, cameratescamente guidati dagli istruttori e paternamente vigilati dal medico, compiono per cen­tinaia di volte determinati esercizi, finché non li ac­quisiscono all'istinto; il tuffo nell'aria, la discesa in­frenata da un contrasto aerodinamico, le oscillazioni pendolari, il brusco atterraggio, le capriole scientifi­che per non venir malamente rimorchiati dalla ca­lotta veleggiante al suolo, sono il pane quotidiano dellinsegnamento pratico; e, attorno all'istruttore, che sovente è un modesto graduato di truppa, noi vedia­mo aggruppati perfino sottufficiali ed ufficiali si­gnorsì: con qualche binario di nastrini sul petto) al­lievi anch'essi, disciplinati e deferenti come e più del­le giovanissime reclute; poiché qui si formano (me­glio, si ri‑formano ,in senso di superamento e perfe­zionamento) quadri dei reparti adeguandoli alle esi­genze della specialità.

A questo punto il nostro dotto precettore della Scuola di Guerra, che, incredulo aveva accolto l'in­vito d'un sopraluogo, ha già ripiegata gran parte della propria tesi; un dubbio residuo, ma di grande impor­tanza, ancora lo trattiene dall'aderire alla nostra; è curioso di vedere come il nostro aeronauta se la, cavi in combattimento (od in azione guastatrice) a terra.

Accontentiamolo all'istante, conducendolo al cam­po di esercitazioni (un campo predisposto, al cospet­to del quale il classico « percorso di guerra » è d'una banalità alfabeteggiante).

Qui si può assistere ad azioni di movimento e fuoco che sono il corollario armonico del balzo da cielo in terra; immutato lo stile e l'impeto; qui ci si rende conto della elasticità, duttilità, prontezza d'intuizione di questi assalitori di fortilizi, distruttori di carri ar­mati, morditori all'arma bianca; si può sondare il grado di preparazione teorica di tutti e di ciascuno, per collocare, innescare, far brillare una mina, o vi­ceversa neutralizzarla tranciando un... « positivo »; come si approfitti d'ogni appiglio tattico e si scelga l'istante per assalire, travolgere, sfruttare il successo.
Quietato, finalmente, lo scolastico, ci rimane a sod­disfare il sofista quarantottesco, arrabbiato mnemonico del regolamento di . disciplina. Borbotta come gia­culatoria il « pronta ‑ rispettosa ed assoluta » ignaro che senza gli aggettivi « spontanea e sentita » la di­sciplina fa del soldato un automa a 'carica limitata. A sentir lui questi ragazzi, venuti volontari con due o tre anni di anticipo sulla chiamata di leva, sono fantasiosi sconsiderati, il cui entusiasmo è destina­to a sbollire alla prima « stretta di freni », testé che si sono scaldate alla vista delle illustrazioni a colori degli episodi di guerra. Veniamo al sodo: avvicinia­mo uno di cotesti adolescenti, l'allievo Pini, per esempio; questo romagnolo quindicenne, biondo ric­ciuto, dalla corporatura precocemente atletica e dal volto serafico, che Luca Signorelli ‑ nei suoi dipin­ti ‑ avrebbe collocato parimenti nella milizia cele­ste, salvo a sorreggerlo, nell'aria, con ali candide, di autentiche penne, applicate al posto della imbraga­tura di canape.

Confrontiamolo un istante agli efebi oziosi che onorano di lor presenza i «locali » di lusso: ne sca­turisce un abisso.
Il Pini, figlio di lavoratori dalle mani callose, fre­quentava in inverno la scuola industriale; e, in estate « si godeva » le vacanze lavorando in officina. S'è ar­ruolato paracadutista colla semplicità di chi fa la cosa più naturale del mondo.

Proviamoci a indurlo in tentazione, quest'ingenuo ragazzo; domandiamogli in confidenza, ben discosti dai superiori, se la disciplina militare (la « naja », via, come si diceva in vecchio gergo di caserma) non gli riesca a volte pesantuccia, fastidiosa.

Ti concederà un « va bene... » più reverenziale che ccnvinto; ma, subito, con un « d'altronde » ti osserva che se togli la disciplina ‑‑ o sotto le armi; o da bor­ghese ‑ tutto va a rotoli.

E poi lui, il Pini, ha un conticino personale da li­quidare coi « liberatori » che in ripetute incursioni han semidistrutta la sua bella Rimini; se al suo reparto non vi fosse ordine e disciplina, quella per­sonale sodisfanzioncella, forse, non se la potrebbe cavare.

Paracadutisti, scapigliatura dell'aeronautica, spe­ranza della Patria, giovinezza di eroi,. orgoglio dei padri, tenera ansia delle madri, sogno dei fanciulli, amore di tutto il popolo, testimonianza vitale di virtù latine: marciate sicuri, sotto l'azzurro del cielo, nella luce del sole; il vento di primavera ingagliardisce il vostro canto e dissipa il velo di tristezza nel cuore dei veterani.
TAMBORNINO
da « AR‑44 »
Rivista dell'Aviazione Repubblicana

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