sabato 6 ottobre 2007

I ragazzi

UN EROE ROMANTICO E LE SUE LETTERE


Ho udito fare per la prima volta il nome di Fulvio Balisti (il Comandante per i miei amici che hanno combattuto a Bir el Gobi; dove nel mese di dicembre del 1941 è stato ferito ad una gamba che poi gli è stata amputata) da Giovanni Comisso. Erano stati entrambi legionari fiumani, e all'ombra del vate D'Annunzio si erano ripetutamente incontrati. Un uomo tutto d'un pezzo, era l'impressione che ne aveva cavato lo scrittore di Treviso, una sorta di cavaliere medievale sempre in lotta per valori ideali.

Non credo sia andato molto lontano dal vero, pur essendo diametralmente opposto al compagno d'avventura, anzi di "ventura" per dirla alla D'Annunzio, sia per carattere, sia per stile di vita. Purtroppo, non mi è mai capitata l'occasione d'incontrarlo, per cui dopo aver letto un curioso e polemico libro autobiografico di Toni Fante, che ha dei momenti assai belli (la città della giovinezza, la partenza volontario, il ricordo di alcuni amici, uno in particolare, mio compagno di scuola, Piccolo), ho sentito il dovere di recarmi alla "Piccola Caprera". Un luogo dove quasi ogni settimana si radunano combattenti dell'ultima guerra a ricordare i loro commilitoni morti negli scontri sui vari fronti, in particolare quello africano, che prende alla gola per la sua grande suggestione.

A documentare un esempio raro di coraggio, di dedizione e di semplicità, ha fatto la sua apparizione da poco nelle librerie un volume stampato dalla Panda Edizioni, intitolato "Lettere dall'Africa del Comandante Fulvio Balisti alla moglie Antonietta", curato, se non vado errato, da un suo volontario attualmente professionista assai stimato in quel di Rovigo: all'anagrafe Mario Mantero. Il quale, memore della lezione ricevuta da Balisti in giorni di fuoco, ha voluto far conoscere del mitico comandante di una battaglia perduta, l'altro aspetto ignoto ai più. Compresi, forse, molti degli stessi suoi ragazzi di Bir el Gobi, che di Salisti non potevano aver scoperto II Iato romantico. Degno di certi per­sonaggi che s'incontrano nei romanzi del secolo passato, immortalati dall'eleganza della scrittura.

Non per niente sono entrati a pieno diritto nel co­siddetto pantheon della letteratura, che in genere accoglie soltanto i classici che non conoscono il sottile limìo del tempo in fuga. Non per niente, continuano ad essere letti pure ai nostri giorni, che registrano un sempre più diffuso amore per tutto ciò che non induce a riflettere, oppure a coltivare la propria sensibilità. Lasciando perdere il vizio della predica tipico degli intellettuali, e tornando a Fulvio Balisti che pochi dei nostri lettori sicura­mente conoscono, va detto che è nato nell'estate del 1890 a Ponti sul Mincio, dove il padre gestiva l'Osteria dell'Orologio. Combattente nella prima guerra mondiale, decorato con due medaglie d'ar­gento ed una di bronzo, è divenuto capo della se­greteria speciale di D'Annunzio a Fiume.

Fascista alquanto critico, allo scoppio dell'ultima guerra ha assunto li comando del I Battaglione Volontari Giovani Fascisti, dando prove di grande coraggio. Ferito, decorato, senza una gamba, è fi­nito in prigionia sino al 1943, diventando dopo l'avventura di Salò il custode della memoria dei suoi ragazzi, come amava chiamarli, facendo del­la sua casa un monumento alla gioventù che si era sacrificata.

Le sue lettere alla moglie Amalia Lucia Fortis, det­ta Antonietta, rimasta sempre vicina al suo uomo nella buona e nella cattiva sorte, sono di una gen­tilezza e di un taglio da uomini di ieri. Scritte in luo­ghi impossibili, in condizioni spaventose, non tra­discono mai la durezza della realtà in cui Salisti si trovava, ma invece rivelano la nostalgia della pre­senza gentile di Antonietta. Inoltre, parlano della casa, della terra natia, di certi riti contadini, come se prima di tutto valessero i ricordi. Per darne un'i­dea credo basti riportare il brano d'una lettera: «II mio pensiero è fresco come quello di un fanciullo, pur nella profondità che l'esperienza gli conferi­sce». Un'esperienza terribile, sia aggiunto, vissuta nel segno del dovere.

di G.A. Cibotto Tratto da: Diario Veneto "Il Gazzettino" del 10.4.96
I RAGAZZI DI BIR EL GOBI

Non un lamento, un grido, non una lacrima ma solo il sorriso su volti bruciati dal sole, su sguardi accecati di sabbia dal soffio del tormentoso ghibli. Maledetto vento del Sahara padrone delle notti gelide, sovrano del caldo infuocato che spandi nei meriggi tropicali, osservi impavido i morti abbandonati nelle «buche». Sono gli spavaldi ragazzi di Bir el Gobi sperduti fra le dune. Nei loro giovanili cuori viveva il deserto dell'amarezza, la gioia, la gloria ed anche l'infinita tristezza. Quel caro vessillo tricolore forato, sdrucito, misero e sbiadito, era il simbolo della Patria e sotto il suo sventolare andavano i giovani oltre l'impossibile. Su quelle giornate infuocate cadde il muto silenzio, il nulla... sorsero tante croci ormai consunte dal tempo che restano a simbolo, a testimonianza di quelli che furono i ragazzi di Bir el Gobi.

Ernesto Giannini
Pescara, 13‑3‑1989
Parole semplici, frasi sgrammaticate, alcune quasi incomprensibili e volutamente lasciate tali, interrotte dal refrain fischiettato, ne fanno un tipico esempio di giovinezza ardita e scanzonata.

Però consapevole del gran passo, e anche allusivamente contestatrice con... "fa una pernacchia e tira via che c'è sempre qualche coglione...".

L'addio alla mamma di gran parte delle canzoni di guerra, è sì, dolcemente malinconico; ma per il dolore provato dalla madre abbandonata dal figlio, non per l'animo ansioso del volontario, che, salutandola alla classica stazione crudamente senza infingimenti preconizza il moschetto e la mitraglia, e insegue il proprio destino con l'immagine liricamente bella... "lascia che l'anima (perché di essa si tratta) vada dove deve andare, e dove l'ansia la trascina".

II dado è oramai tratto, non per fatalità, ma per il volere del volontario, che consuma allegramente i diciott'anni tra la gavetta e le scarpinate di un durissimo addestramento, e che poi finalmente si realizzerà nell'ora buona dello sassate.

Ragazzi Balilla, il GGFF per cui il seme d'Italia si rigenera a dispetto della storia.


E finisce con un richiamo alla loro giovinezza offerta gioiosamente al sacrificio: o BTG. di primavera che nessuno sa dove potrà fermarsi... su, verso i confini, e forse oltre, oltre i confini dello spazio, verso i confini del tempo.

Tutto infine, antiretorico giovanile eroismo, termina a compendio in quella unica attestazione ideologica per la quale la sua forza è presente e futura:

Reggimento Giovani Fascisti

Un reparto disciplinato per vocazione, duro e caparbio. Composto di giovani la cui intemperanza e ribellione propria dell'età, erano volutamente mortificate e represse dall'ansia del combattimento, come dovere finale liberamente scelto. E solo per questo dovere‑diritto, difficile da acquisire, si scrollavano, a volte, da dosso, le remore della disciplina. Fuggivano dal reparto per rompere gli indugi; per andare al fronte in ogni scacchiere di guerra. Russia, Grecia, Africa, pur di essere in primissima linea, a contatto col nemico. Difficilmente nella storia, un reparto militare ha patito di tali forme di "diserzione".

La maggior parte, tuttavia, stringeva i denti e soffriva anche scalpitando, poiché era consapevole che il volontarismo del GGFF. non poteva esaurirsi in un isolato eroico, anche sublime. La loro ansia e la loro passione dovevano trovare pieno appagamento solo attraverso l'unità e la comunione della più bella giovinezza d'Italia, vibrante di virtù sopite, evocate e rivitalizzate dal clima di tensione fisica e morale, nel quale erano nati e cresciuti.

Era ed è il Rgt. Volontari GGFF

Un reparto dell'Esercito Italiano emblematicamente composto di giovani volontari diciottenni, che non potevano avere altro nome che quello di "fascisti". Espressione unica e tragica di un momento storico. E per quello che il RGT, ha fatto, quel momento non poteva avere testimonianza più probante e luminosa.

Prigionia

Anche la prigionia, la umiliante prigionia, fu un'occasione per dimostrare la "stoffa" dei Volontari GGFF Ovunque si rifiutarono di collaborare col nemico, e passarono attraverso i Il criminal fascist camps" ‑ Ma il loro compor­tamento fu sempre esemplare, tanto da avere l'incondizionata stima del vincitore. AI 211 POW Camp di Algeri, ogni sera al calar del so­le, i GGFF si adunavano spontaneamente nel piazzale, indossando le loro migliori divise, e con la fronte al sole morente, intonavano la Preghiera del Legionario, tra il silenzio degli altri campi vicini, e l'affluire attonito dei sorve­glianti inglesi.
I Volontari cantavano con il volto rigato di la­crime.
E così per tre anni. Tutte le sere.

Frammenti da un diario

Ecco finalmente l'ordine di partenza. Sem­bra che gli inglesi abbiano, attaccato su di­versi punti. Gialo è stata presa. Si parte sui camions da Berta. Tutti se ne vanno: il I° BTG. verso Barce, e il nostro, il Il' verso To­bruk. La ]VI e la Va Comp. rimangono a piedi ad aspettare gli autocarri. Si passa una notte all'addiaccio, poi quando eravamo per parti­re siamo chiamati d'urgenza al fortino di Berta: sono state segnalate infiltrazioni ne­miche nelle vicinanze. Siamo tutta la giornata in allarme in mezzo a dei soldati e Uff. pieni di fifa.
Finalmente viene anche la nostra volta. Arri­viamo a Derna. Ci fermiamo circa 2 ore: si mangia. Poi ad Aimen Gazala. Sostiamo per la notte. Passiamo Tobruk durante un bombar­damento e due granate scoppiano vicino alle macchine. Poi ci inoltriamo nel deserto e il 23 novembre di mattina scendiamo in piena bat­taglia. L'Ariete e i Tedeschi hanno fermato gli inglesi. Non facciamo in tempo a scendere che sopraggiungono aerei nemici che ci spez­zonano pesantemente. I primi feriti: Corbelli alla testa. Perderà un occhio, Non è ancora fi­nito l'eco degli spezzoni che ecco due carri armati ci sparano addosso. Lì per lì siamo spaesati, ma poi facciamo subito un fuoco d'inferno. II battesimo è arrivato. II 24 e il 25 continui spostamenti con i camions nella zona di Bir el Gobi, sotto frequenti bombardamenti aerei. Finalmente si fa un caposaldo assieme a tutto il RECO. Poi improvvisamente il RECO parte e rimaniamo soli; ma... "non abbiate paura, al vostro fianco c'è la Pavia..."
La mattina del 4 dicembre comincia un bom­bardamento furioso, più intenso dalla parte della ]VI Comp. Bisognava solamente aspetta­re. Poi d'un tratto si ode un rumore di motori, ma non familiare. Si fa sempre più intenso: fin­ché sbuca dall'orizzonte una marea di carri ar­mati. Li lasciammo avvicinare e poi aprimmo un fuoco arrabbiato, tanto che gli inglesi fece­ro subito dietro‑front.
Ma rivennero. Tre carri ci sbucarono improv­visamente alle spalle ed entrarono nelle no­stre file. Ma ebbero la peggio. Verso mezzo­giorno sembrava che ci fosse un po' di cal­ma. A un paio di Km. bruciavano mezzi nemici e c'erano anche molti nostri autocarri abbandonati.
Nel caposaldo c'erano 3 carri M13, ma in cattive condizioni. Uno aveva il cannone quasi inservibile: gli mancava il semiautoma­tico. I carristi erano due bravi sergenti uni­versitari: Loffredi (puntatore) e Malaspina (Pilota) dei quali ero diventato amico. Sicco­me mancava il resto dell'equipaggio io mi offrivo come mitragliere e Salvini e La Bella aiutanti al pezzo.

Difatti Loffredi aveva chiesto di fare una scrit­ta, solo fino agli automezzi nell'intento di ricu­perare qualcosa e qualche mezzo. Partiamo. lo fremevo dall'impazienza di far fuoco contro qualche autoblindo che in precedenza aveva­mo visto rimorchiare alcuni dei nostri mezzi abbandonati.
Quando siamo nelle vicinanze dei mezzi nemi­ci ancora fumanti, scendiamo in perlustrazio­ne: Loffredi rimane di vedetta sulla torretta. Improvvisamente ci richiama. Fuori da una du­na escono una decina di grossi carri che ci prendono subito a cannonate. Subito ci preci­pitiamo nel nostro carro e facciamo un rapido voltafaccia dopo aver sparato un colpo di cannone e una raffica di mitraglia. Si inizia la corsa sotto una grandine di proiettili che bat­tevano e si schiacciavano sulla corazza.
Loffredi ad un tratto dice "ferma" e Malaspina ferma. Rapidamente Loffredi spara un colpo di cannone e.."corri!" e Malaspina ridai di corsa.
Ogni tanto Loffredi gridava "accelera accelera che arrivano..." E Malaspina "Porca miseria, più di così non va..." La corsa durò un po' e poi buuum! un gran colpo e un nugolo di schegge infuocate dentro il carro. Era entrato un perforante. II carrista non si perdè d'animo e continuò la sua corsa benchè sanguinasse da una mano. Ci guardammo in faccia per ve­dere se eravamo ancora vivi. Credevo ferma­mente di essere stato colpito perché avevo ri­cevuto una botta tremenda da dietro, tra ca­po e collo e mi doleva la testa. Invece ero illeso. Mi era cascata addosso una cassetta di munizioni schiantata dal proiettile. Loffredi era incolume. Degli altri due, uno ferito leg­germente alla testa e l'altro alla spalla e al go­mito: ma roba da poco.
"I NOSTRI DICIOTT'ANNI AFRICANI"

Chi non ci conosce capirà, dopo questo scritto, il continuo, incessante reclamo dei nostri stornaci in perenne agitazione da un rancio insufficiente per la nostra giovinezza che reclamava ben altro che le due gallette e la solita scatoletta giornaliera. Gli Inglesi, i rischi, i pericoli di fronte a queste nostre necessità passavano in... seconda linea!

Riprendiamo il filo del racconto precedente.

Dopo il "colpo" alla sussistenza di EI Agheila mentre stavamo sgranocchiando il frutto del nostro... prelevamento, circolò la voce che ci portavano di nuovo in avanti a Marsa el Brega a formare una linea di resistenza dalla Balbia al mare estremo tentativo per fermare i Britannici!

Erano diversi giorni che lavoravamo alacremente alla costruzione di capisaldi e camminamenti con centri di fuoco incrociati; mentre eravamo intenti a questi importanti lavori di difesa, circolò la notizia che il Ten. Camici (uomo di grande appetito) aveva mangiato i viveri di riserva. La voce era attendibile provenendo dal suo attendente. Fu un attimo e noi del secondo plotone ci sentimmo autorizzati a dar fondo ai tre giorni di viveri di riserva. La notizia volò da postazione in postazione coinvolgendo tutta la Compagnia. Ma la voce del Fante si propagò anche alle altre Compagnie così l'intero secondo Battaglione rimase senza viveri di riserva senza che i nostri Ufficiali ne avessero sentore! Avevamo dopo diversi giorni completato la linea di fortificazioni e gli Inglesi, secondo notizie che ci erano giunte, si erano fermati nei pressi di Agedabia per riorganizzarsi per riprendere la loro avanzata. In attesa del loro arrivo la nostra mente lavorava spinta dal nostro dannato appetito che reclamava in modo imperioso, di conseguenza ad alcuni di noi venne l'idea di approfittare della stasi per formare un nucleo che doveva operare alla ricerca viveri fra Marsa el Brega e EI Alagheila. II nucleo era composto da me, Ugolini, Scarpelli, Carboni e Bardazzi. Da Marsa el Brega con mezzi di fortuna si raggiungeva EI Alagheila e studiando attentamente le entrate delle sussistenze sia Italiane che Tedesche, l'ubicazione dei posti di guardia e le possibilità di "azione". Aspettavamo tranquillamente la notte con l'ausilio dei soliti bombardamenti notturni tra uno sgancio e l'altro ci permettevano di penetrare nelle sussistenze e con una certa calma "prelevare" viveri necessari al nostro sostentamento. Questo tipo di azione fu ripetuta da noi varie volte ma desistemmo in seguito considerando i pericoli che correvamo. Ma per convinzione e per necessità ritenevamo giusto e sacrosanto prendere ove c'era abbondanza. Decidemmo di cambiare tattica recandoci a EI Alagheila al "posto blocco" e lì restare aspettando il momento favorevole del passaggio delle colonne di rifornimenti e salire sui due ultimi autocarri avendo cura che uno di noi salisse davanti per poter ricevere al momento opportuno la nostra segnalazione dopo che avevamo riempiti i nostri sacchetti da postazione che destramente gettati ai bordi della Balbia venivano da noi raccolti per rientrare silenziosamente al nostro Caposaldo. Per onore di cronaca queste puntate furono ripetute con esito positivo sino al giorno precedente in cui il fronte di Marsa el Brega divenne attivo. Per 10 giorni le artiglierie Inglesi ci martellarono costantemente salvo le brevi pause nelle quali consumavano i loro famosi cinque pasti. Ricordo che nel perimetro dei nostri Capisaldi si era sistemata una batteria antiaerea Tedesca che non faceva complimenti per sparare a chi si presentasse davanti, sui fianchi o dietro le loro micidiali bordate; ma una mattina si presentarono quattro aerei da bombardamento sopra le nostre teste mala batteria non sparò un colpo. La spiegazione ci venne dopo che i Tedeschi ci dissero che erano senza viveri da due giorni e ci fecero capire che "niente mangiare niente sparare", di comune accordo dividemmo con loro i nostri viveri, nello stesso tempo il loro Comandante di Batteria si era dato da fare nelle retrovie alla ricerca viveri per la sua batteria. I camerati Tedeschi apprezzarono il nostro gesto e ci ricambiarono con generosità, rimanemmo così legati da amicizia sino al giorno in cui le nostre iniziarono finalmente ad avanzare. Lo stesso giorno venne l'ordine dal Comando Battaglione di intaccare un giorno dei viveri di riserva, dei tre in dotazione. Saputo che questi non esistevano più il Maggior Benedetti andò su tutte le furie, parlò di insubordinazione, di scarso senso del dovere ma poi... venne a miti consigli e mandò a prelevare altri viveri... si era reso conto dei nostri diciott'anni. Oggi cari camerati mi rendo conto dei tremendi sacrifici fatti, purtroppo queste poche righe di ricordi sintetizzano gli stati di pericolo ma anche di necessità in cui andammo incontro con i nostri spensierati diciott'anni. Questi stralci della nostra "avventura" Africana non hanno pretese letterarie ne sfiorano il lato più vero e duro della guerra ma hanno voluto un po' riportare l'atmosfera e il sorriso che ci ha sempre accompagnato in quegl'anni.

Lecconi Oberdan

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