giovedì 25 ottobre 2007

Da "Dal cielo ci guardano" di Roberto Mieville


Accade in cielo, nel Quartiere degli Eroi Italiani, sempre.

(Tutti gli italiani comunque caduti per la Patria, sono radunati in una immensa illimitata radura.

E' il crepuscolo.

Al crepuscolo a poco a poco succede il buio, ma permane lontano un lieve chiarore rossastro che fa apparire sfumata la moltitudine degli Eroi.

Un brusio lieve e sommesso e delicato si spande per l'aria.

Dal buio per effetto del chiarore rossastro, che sa di tramonto e di alba e di notte insieme, pare che prendano di volta in volta evidenza delle ombre.

Sono ombre di Eroi che parlano fra di loro, e la loro voce pure essendo distintissima ha inflessioni lontane, e pur con questo rimane viva e toccante.

Fra le stelle, una ha preso lentamente evidenza.

Si ha la sensazione che a questa, la moltitudine, fattasi silenziosa, guardi.

La stella pare abbia la forma dell'Italia: una forma anch'essa imprecisa, anch'essa sfumata, lontana anch'essa).



LE NUBI erano basse. Erano nubi grigie e pe­santi con larghe striscie giallastre. Pareva dovessero soffocare la terra. E soffocante come in una giornata di piena estate era l'aria.
L'erba era ancora umida per la pioggia vio­lenta del mattino. Il grano già quasi maturo era piegato a larghi ventagli fin su il pendio di una collina quasi nascosta da un velario di vapori che la luce crepuscolare inspessiva.
Anche una casa, non molto lontana da un filare dove erano allineati dei carri armati, era resa imprecisa nei contorni dal formicolio dei vapori. Imprecisi erano anche i contorni di una chiesa dal campanile affusolato che si infilava nelle nubi.
C'era una quiete strana e pesante; tutto pa­reva immobile.
Attorno ai carri armati c'erano pochi uo­mini, gettati a terra, silenziosi. Guardavano nubi basse.
Da una strada non molto larga, che sbucava da una zona cespugliosa a fianco della chiesa, veniva lentamente una donna.

Un lontano brontolio di tuoni arrivò faticosamente, rotolando tra le nubi.

‑ Non è temporale, disse uno degli uomini gettato a terra a lato di uno dei carri. Riprendono.

Nessuno rispose, contentandosi ognuno di seguire i propri pensieri che erano come quelle nubi pesanti e tristi.

La guerra volgeva ormai alla fine. E da poche ore anche Mateur era caduta.

La donna intanto era arrivata davanti alla chiesa.

Era alta. Era anche giovane. Vestiva una gonna che pareva amaranto ma forse era rossa, con una striscia scura, forse blù, all'orlo. E una camicietta certamente bianca, ricamata, stretta alla vita da una cintura nera. I capelli erano neri. Era bella.

Rimase ferma per qualche istante poi fece l'atto di entrare nella chiesa, la cui porta verde socchiusa lasciava intravedere delle luci fioche. Poi si volse al filare dove stavano i carri armati.

Forse li contò. Erano sei.

Seguì il filare.

Gli uomini che la videro arrivare si alzarono in piedi.

Prima di parlare la donna stette un'istante si­lenziosa quasi cercasse le parole.
Poi disse: ‑ Buona sera.
Uno degli uomini rispose: ‑ Buona sera...
Disse la donna: ‑... il Comandante...
Chiese un' altro degli uomini: ‑ Vuole il tenente?
Lei fece semplicemente un cenno con il capo.
Anche l'uomo fece un cenno con il capo per risposta. Poi indicò con la mano la chiesa.
Un'altro disse: ‑ E' là.
Lei disse: grazie, poi riprese il filare, verso la chiesa.
Gli uomini rimasero fermi a guardarla. Uno mormorò qualche parola.
Un'altro si diresse a un carro. E un'altro si buttò nuovamente a terra.
Dalle nubi aveva cominciato a cadere una pioggia sottile.
La donna rimase ancora ferma davanti alla chiesa prima di entrare.
E quando scostò la porta verde lo fece len­tamente.
Scivolò dentro e rimase ancora immobile per abituarsi alla luce di candele,due sole candele, che rompevano il buio pieno.
Due o tre ombre vagavano per quel chiarore giallastro, ogni tanto inchinandosi, sussurrando parole indistinguibili.
Era certo che non pregavano. E non si inchi­navano davanti all'altare quelle ombre.
Lei fece qualche passo: e i suoi passi risuonarono precisi e netti.
Una delle ombre le venne incontro.
Intanto lei vide che per terra c'erano degli uo­mini. Il viso loro era giallo come la luce delle candele. Molti avevano il viso coperto, forse da una giubba o da una giaccona di cuoio.
Udì anche un respirare affannoso, e un la­mento discontinuo, ora più vicino, ora più di­stante, ma sempre flebile flebile.
Lei chiese, a bassa voce: ‑ Il tenente? Poi impercettibilmente: ‑ Feriti?
L'ombra che le si era avvicinata portava le maniche rimboccate.
‑ Feriti e morti, rispose.
Un'altr'ombra intanto si era alzata da ginoc­chioni. Lei fece altri due o tre passi, ma lieve­mente tanto che non si udì alcun rumore.
Lei guardò gli stivaloni, il cinturone dell'uo­mo che la fissava.
Disse: ‑ Vengo da Saida...
Disse l'uomo: ‑ Saida brucia...
Disse lei: ‑ Brucia. Poi chiese: ‑ Siete il tenente?
Disse l'uomo: ‑ II tenente. Poi domandò. ‑ Che volete?
La donna fece un segno largo con le mani, indicando attorno. ‑ Aiutare. Il tenente sospirò. Poi disse: Dio sa se abbiamo bisogno di aiuto.

Disse la donna: ‑ Comincio, allora.
Il tenente la guardò più a lungo. Poi scosse il capo. ‑ Ma non è posto per voi.
La donna ripetè: ‑ Comincio.
‑ Grazie, disse il tenente. Poi a voce bassa: ‑ Farò portare fuori i morti... Poi ancora ag­giunse: ‑ Gli altri sono tutti gravi... E' stato oggi...
Lei disse: ‑ Ho sentito. E' durata a lungo, oggi...
Disse il tenente: ‑ Morti, molti, a Saida...
Lei fece un cenno con il capo. Poi chiese: ‑ Caduta Mateur, vero?
Rispose il tenente: ‑ Caduta Mateur.
La donna si diresse verso l'altare maggiore do­ve c'era una delle candele, e dove un soldato ta­gliava un lenzuolo a strisce.
II tenente uscì dalla chiesa e si diresse per il fi­lare ai carri armati.
Pioveva ancora. E ancora durava il brontolio lontano del cannone.
Otto volte erano venuti su Saida, gli ameri­cani. Otto volte nel mattino. Nel pomeriggio tante altre volte. Ormai non c'era più niente di Saida. Trenta case. Case povere. Tutte di italiani.
C'era un pilone d'acciaio in mezzo al paese.

Vicino, una strada larga asfaltata che veniva da Djedejda e portava a Tunisi.
C'era un bandierone bianco fatto con un Ienzuolo sul pilone d'acciaio. Ma erano venuti e rivenuti lo stesso. Poi il pilone si era piegato. Qualcosa bruciava ancora, a Saida.
Lei disse queste cose a parole brevi, senza darle importanza.
Rotolava le strisce di tela che faceva il sol­dato, sveltamente.
Non disse come si chiamava.
Poi principiò a cambiare le bende ai feriti.
Uno si accorse che era una donna quella che fasciava. Disse: ‑ Sei una donna...
Una delle candele si era spenta e un soldato venne con l'unica candela rimasta.
Poi vennero quattro soldati con dei teli e del­le coperte. Fecero fatica a portare via i morti. per il buio quasi pieno che c'era nella chiesa.
Lei uscì dalla chiesa verso mezzanotte, dopo avere cambiato le bende a tutti.
Aveva smesso di piovere.
C'era il tenente con un soldato seduto sul gradino più basso della porta.
Disse il tenente: ‑ Sedetevi. Poi si tolse il giubbone di cuoio e glielo buttò sulle spalle per­chè faceva umido.
Lei chiese: ‑ Dove li avete portati?

Rispose il tenente: ‑ Dietro. C'è il cimitero..‑

Poi soggiunse: ‑Quando ce ne saremo andati verrete a vederli, no?
Disse il soldato: ‑ Dovete dire: « ci » ver­rete a vedere... E rise come avesse detto la cosa più certa e più buffa.
Stettero silenziosi poi il tenente disse: ‑ Ita liana...
Lei rispose: ‑ Che volete?
Riprese il tenente, parlando adagio: ‑ Do­mani all'alba dovete essere lontana... Qui ci sarà l'inferno... Vi farò portare dove volete... Dai vo­stri... A Tunisi... Dove volete...
‑ Non ho nessuno... più, mormorò lei. Nessuno...
Vi fu ancora silenzio. Le nubi si erano dira­date là, verso la collina che ora si profilava su uno sfondo chiaro. Doveva essere sorta la luna.
‑ I miei fratelli, a Keirouan... Tutti e due... Diciotto e sedici anni... Volontari... Morti bene... L'ho saputo... Sepolti là... Mio padre è a Mai Ceu... Era con Diamanti... Volontario... Nessu­no, più... Io resto...
Il tenente le mise una mano sulla spalla.
Il soldato dette un calcio a un barattolo che rotolò lontano tintinnando.

Quella era la chiesa di EI Marine. Su una stra­da che porta a Tebourba, caduta anch'essa nelle mani degli americani il giorno avanti. Ora veni­vano da tutte le parti gli americani e gli inglesi.

Le posizioni della Distillerie Franfaise le ave­vano lasciate verso mezzogiorno. I feriti erano stati portati fino lì proprio da quelle posizioni e da quelle di Massicoult. Era stato un battaglia­re disperato sotto la pioggia, fra campi di grano, colline, filari di alberi e cespugli. Poi verso sera i combattimenti erano cessati, improvvisamente.
Un'ultimo motociclista aveva detto che il fronte era rotto anche a Pont du Fass e che avan­zavano anche di là, gli americani.
Il tenente sapeva che le ore erano contate.
Di là dalla casa bianca, c'erano alcuni carri tedeschi. Dietro un paio di cannoni. Poi via li­bera, fino a Tunisi.
Sarebbero venuti decisi gli americani, all'alba. Decisi, con un centinaio di quei grossi carri che tiravano da tre chilometri, dopo una buona in­naffiata dal cielo.
Il tenente si alzò. Disse: ‑ Entrate, italiana. Riposate... Grazie...
La donna rimase seduta come non avesse sentito.
Disse: ‑ Muoverete presto domani...
Disse il tenente: ‑ Fra qualche ora...
Lei si alzò e si tolse il giubbone di cuoio da sulle spalle e lo porse al tenente.

Disse il tenente: ‑ Tenetelo. Farà freddo, li dentro... Grazie... e addio...
Lei disse: ‑ Ci vedremo domani all'alba...
Il tenente si diresse ai carri armati.
Lei entrò nella chiesa seguita dal soldato.
Anche l'ultima candela si era spenta.

L'inferno cominciò molto presto.
Cominciarono le artiglierie. Quelle americane. naturalmente. Un fuoco fitto che cadeva dietro i filari verso la casa. Qualche colpo cadde anche sulla collina sollevando uno spruzzo alto e fu­moso che parve il segnale per l'arrivo degli aerei. E con l'arrivo degli aerei fu giorno. Sarebbe sta­to un giorno sereno. Le nubi erano rade e lon­tane. I tedeschi portarono avanti i due cannoni e li puntarono divaricati alle pendici più basse della collina, proprio dove riprendeva una bre­ve pianura limitata da un'altra collina.
Poi i carri armati italiani lasciarono il filare e si diressero aperti su uno dei fianchi della collina.
I tedeschi si piazzarono sull'altro lato.
II tenente italiano e il tenente tedesco si ven­nero incontro attraverso il grano.
Si salutarono. Prima militarmente. Poi si strinsero la mano. Erano vecchi amici. Già sotto Tobruch erano stati insieme, poi a Sidi Oma:. poi da Maknassj sino lì.

‑ Vengono sotto, disse il tenente tedesco. Sono molti.
‑ Li ho visti. Più di settanta.
Poi il tenente italiano disse: ‑ Cento colpi, per carro, io.
‑ Forse cento anch'io. Non di più.
In quel momento altre due cannonate esplo­sero sulla collina.
‑ Vengono. Addio.
‑ Addio.
Attraverso il campo di grano, dal filare, se­guendo il corridoio aperto dai carri, veniva una figura. Veniva dritta, impassibile alle cannonate che avevano principiato a cadere anche al di qua del filare.
Il tenente italiano la riconobbe. Era l'italiana. Le fece dei segni.
Se ne andasse.
Le urlò: ‑ Andate via...
Lei disse, quando fu vicina: ‑ Resto... Li hanno portati via, i feriti. Non c'è più nessuno nella chiesa... Resto... Posso fare...
La gonna era amaranto. Il viso era pallido. Gli occhi grandi.
In quell'istante da uno dei carri un soldato ur­lò qualcosa al tenente. Disse il tenente: ‑ Ven­gono... Andatevene, ragazza...
Poi corse al suo carro, vi si arrampicò, e prima di entrare nella torretta le fece ancora un se­gno. Se ne andasse.

Subito dopo i carri armati si mossero. Fecero un centinaio di metri in avanti e presero a spa­rare furiosamente. E subito scomparvero alla vi­sta da una salve di esplosioni precise che solle­varono al cielo colonne alte di terra e di grano.
Anche i tedeschi sparavano.
La collina era tutto uno spruzzo di esplosioni.
La donna rimase ferma per qualche istante dove si trovava poi corse più sotto la collina.
Dal velario delle esplosioni emerse un carro italiano: muoveva indietro. Si vedeva che era stato colpito.
Venne indietro finchè fu proprio sotto la col­lina. Poi lo sportello si aperse.
La donna si buttò verso l'uomo che ne era uscito. Era tutto pieno di sangue.
Lei disse: ‑Ferito...
L'uomo disse: ‑ No, io... Morto Gio...
Tirarono fuori un caporale. Aveva il petto fra­cassato. Aveva ancora gli occhi aperti. Poi tira­rono fuori un'altro, ferito. Questo perdeva sangue dalla testa e da una spalla. Non era svenuto.
Poi uscì un'altro, anch'esso spruzzato di san­gue. Disse: ‑ In torretta... II ferito guardò il compagno morto, e disse: ‑ Povero Gio...
Il ferito svenne. E lei si chinò su di lui. Gli prese la testa in grembo. Chiese: ‑ Bende?
Uno degli uomini, che si puliva il viso spor­co di sangue con una pezzuola, frugò dentro al carro, poi le gettò un pacchetto.
Lei cominciò a pulire la ferita.
Uno dei carristi si coricò a chiudere gli occhi al morto. Poi disse: ‑ Torniamo in azione...
L'altro disse: ‑Non funziona più il canno­ne... Colpito dentro...
Il sole cominciava ad essere alto.
I carri armati italiani e tedeschi erano andati ancor più avanti. Poi venne indietro un'altro carro. Scaricò un ferito, e ripartì subito. Uno degli uomini del primo carro colpito era salito a prendere il posto del ferito.
II ferito vide la donna, che li a ridosso del carro sfilacciava una benda, disse: ‑ Una don­na... Poi dopo soggiunse: ‑ Andate via...
L'italiana venne anche da lui. E sorrise.
Aerei ed aerei passavano e ripassavano nel cielo. Tutto attorno, dalla chiesa a un silos che luccicava lontano, era un susseguirsi di esplosioni.
I carri tedeschi erano andati avanti anch'essi.
II fragore della battaglia che si combatteva al di là della collina era divenuto più intenso.
Non passò molto tempo.
I carri italiani. Tre solamente, venivano in­dietro. Vennero indietro fin sotto la collina. Sem­pre sparando.
I colpi presero a cadere anche dietro la collina.
Anche i tedeschi venivano indietro.
Poi i carri italiani e tedeschi si fermarono.
Apparvero due carri. Due grossi carri americani.
Furono fulminati subito. Due colpi. Solo due colpi dai cannoni tedeschi. E ci fu un'attimo di tregua.
Il tenente uscì dalla torretta: ‑Andatevene. urlò alla donna. Essa scosse il capo. E riprese a bendare uno dei feriti.
La tregua finì subito.
Altri carri americani apparvero ai bordi della collina.
Altri colpi di cannone precisi.
Poi uri altro carro italiano colpito.
Poi carri americani colpiti. Poi da un carro americano due colpi di cannone verso il carro immobile. dove stavano riparati i feriti. Vi fu un debole urlo.

Il tenente vide che l'italiana era stata colpita. E vide che forse i feriti non erano più feriti.

Da un'altro carro videro che l'italiana si era rialzata e si era messa di nuovo, come nulla fosse stato, a carezzare la fronte di uno di quegli uomini là riversi.

Poi tutto fu fumo e fuoco. E i carri italiani. due solamente, tornarono avanti. E così i carri tedeschi.

Vi fu un'altra breve tregua. Intanto altri aerei erano venuti, e il campanile della chiesa non si vedeva più. Era smozzicato e il tetto della chie­sa fracassato. E la casa bianca era spenta, e lon­tano la cupola del silos non luccicava più.
AI tramonto tutto fu tranquillo. Ma era pro­prio la fine.
Dai carri rimasti italiani e tedeschi gli uomini vennero a scavare delle fosse.
L'italiana era riversa su uno dei morti. Pare­va non fosse stata colpita. Il tenente italiano la rigirò. Aveva un fiore rosso sotto un'orecchio. E le labbra aperte, quasi sorridessero ancora.
Fecero le fosse a ridosso della collina, verso l'alto.
Fecero a tempo a mettere le ultime croci.
Nella sua non misero che questa scritta : « Ita­liana di Tunisia ».
Non aveva detto il suo nome. Italiana. Il te­nente aggiunse alla scritta: « Caduta per la patria ».
Fosse vicine: italiani e tedeschi.
Quando in cielo si accesero i bengala i carri si ritirarono e presero la strada di Sidi Tabet.
Ora quella collina si chiama « de l'italienne ».
Le croci forse sono sommerse dall'erba nuova chiazzata di papaveri e margherite. Forse c'è ancora il campo di grano alto e dorato. L'hanno battezzata così: « de I'italienne » , quella colli­na, i francesi delle fattorie.

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