mercoledì 10 ottobre 2007

Italo Balbo aviatore Film
Dal Secolo d’Italia – Martedì 9 giugno 1998



I fanti dell’aria

BRUNO GATTA



BALBO s'inventò nel 35 le squadriglie della morte, che avrebbero dovuto affondare nel Mediterraneo la Home Fleet, se questa fosse calata nel mare nostro a far guerra all'Italia. Nel '39-'40 altra invenzione dell'avventuroso e immaginoso Maresciallo, i fanti dell’ aria, che avrebbero dovuto essere l'asso nella manica, dal cielo, per conquistare l'Egitto. Se la morte non avesse tolto Balbo dalla scena della vita e della guerra, quel tramonto di fine giugno a Tobruk, certo le vicende del Nord Africa avrebbero avuto un corso bellico diverso. Lo disse Mussolini ai federali dell'Emilia, approvando la loro proposta di intitolare all'intrepido Quadrumviro l'università di Ferrara Anche mussoliniana è la conferma del progetto dei bombardieri‑suicidi contro le navi inglesi. Disse il duce fascista, in quel suo discorso del Lirico ‑16 dicembre '44 ‑ che fu una lunga confessione che ricordava un po' tutto il passato: “Nel 1935, quando l'Inghilterra voleva soffocarci nel nostro mare e io raccolsi il suo guanto di sfida e feci passare ben quattrocentomila legionari sotto le navi di Sua Maestà britannica, ancorate nei porli del Mediterraneo, allora si costituirono in Italia, a Roma, le squadriglie della morte. Vi devo dire, per la verità, che il primo della lista era il comandante delle Forze aeree”.

A fine maggio '40 Mussolini così rispondeva a un telegramma di Balbo, Governatore Generale della Libia e Comandante Superiore di quel fronte, che gli annunziava la creazione di un battaglione paracadutisti nazionali forza di 300 uomini raddoppiando la quota: “Approvo aumento numero paracadutisti. Alt. Puoi costituire due battaglioni dei quali uno composto di nazionali. Alt. Germanici non hanno inventato nulla di assolutamente nuovo, segreto et similia. Alt. Hanno soltanto applicato su vasta scala con serietà alcuni principi nostri”. Trovo il telegramma mussoliniano in un buon libro su I paracadutisti italiani, volontari, miti e memoria, scritto dallo storico Marco Di Giovanni, studioso dell'Itália in guerra. Vi è pure citato un telegramma di Balbo al Ministero dell'Aeronautica, del 23 febbraio 1938, che recita testualmente: “In considerazione delle grandi possibilità che, nei vasti scacchieri coloniali, possono avere nuclei di uomini accuratamente scelti, potentemente armati e soprattutto decisi, specie se la loro azione possa portarsi a tergo degli schieramenti principali avversaria s. e. il Maresciallo dell'Aria... è vènuto nella determinazione di crear sia presso le unità indigene che in quelle metropolitane, degli speciali "reparti paracadutisti". Tali reparti, perfettamente addestrati fin dal tempo di pace, verrebbero, in caso di ostilità, tempestivamente lanciati dà: grossi apparecchi alle spalle delle° truppe nemiche ed in zone di particolare sensibilità agli effetti della loro resistenza, in modo che la loro azione perturbatrice possa riuscire la più efficace possibile. Ciò premesso, si reputa necessario istituire... una speciale scuola che dovrebbe iniziare al più presto il suo funzionamento in modo da preparare tempestivamente un primo nucleo di paracadutisti da far agire durante le grandi manovre in Gefara in occasione della venuta di Sua Maestà il Re Imperatore”.

La «Scuola» paracadutisti di Balbo fu installata, con pochi mezzi, presso l'aeroporto di Castel Benito, nell'entroterra tripolino. Terminata una fase di sommaria istruzione, iniziarono i lanci individuali e di reparto, conclusisi con un lancio collettivo del battaglione, posto al comando del maggiore del genio Tonini, intorno alla metà del mese di aprile. A quel punto, e nonostante gravi incidenti verificatisi nel corso dell'addestramento, Balbo dispose la costituzione di un secondo battaglione di paracadutisti e l'inquadramento dei reparti in un “reggimento”.

II capitolo sui fanti dell'aria, ideati da Balbo, si inserisce militarmente nella storia del paracadutismo italiano: dall'impiego di piccoli gruppi di guastatori lanciati dietro le linee nemiche nella campagna etiopica allo studio‑progetto del comandante Bordini, che proponeva nel 1937 Sbarchi aerei ad ampio rilievo strategico; ma va storicamente collocato in quel piano Balbo‑Pariani che, alla vigilia della seconda guerra mondiale, cercò di capovolgere la strategia tradizionale del nostro Stato Maggiore. Balbo era un sostenitore del comando interforze; Pariani, sottosegretario alla Guerra (con funzione di Ministro) e capo di Stato Maggiore dell'Esercito, credeva ad una guerra non difensiva, non statica, ma dinamica, di movimento. Per quanto riguardava l'Africa Settentrionale egli pensava di “operare decisamente verso l'Egitto; parando verso la Tunisia”, sia per l'importanza politico‑strategica del controllo del canale di Suez, sia perché considerava l'Egitto “una preda relativamente facile: 10.000 inglesi e 22.000 egiziani” (dal verbale della riunione dei Capi di Stato Maggiore del 2 dicembre 1937). Dopo un colloquio con il generale, Ciano scriveva nel suo diario del 14 febbraio 1938: “Pariani è convinto della inevitabilità del conflitto con le potenze occidentali. Considera l'epoca più favorevole a noi la primavera del 1939. Avremo ultimata la preparazione delle scorte di munizioni, oggi scarse per i piccoli calibri, mentre Francia e Inghilterra traverseranno il periodo più acuto di crisi. Pariani crede al successo di una guerra fulminea e di sorpresa; attacco all'Egitto, attacco alle flotte, invasione della Francia. La guerra si vincerà a Suez ed a Parigi”.

Scrive Giorgio Rochat, nella sua biografia di Balbo (ma vedere anche quelle di Guerri e di Segré), che sulla stessa linea di dinamico ottimismo si muoveva Balbo. Egli Balbo intendeva mantenere la difensiva in Tripolitania e sferrare invece in Egitto una “offensiva per travolgere, con azione celerissima e violenta, le forze avversarie”, avendo come obiettivo Alessandria Ecco il riassunto che l'Ufficio storico dell'Esercito (della cui relazione largamente si serve Rochat) fa del piano di Balbo: “Nello scacchiere libico‑egiziano, l'azione principale doveva essere svolta da una massa di sette divisioni lungo la direttrice costiera, su Marsa Matruch e Alessandria. Un'azione concomitante con 2.000 libici doveva pronunziarsi da Giarabub, per Siwa, su Marsa Matruch. Il successo dell'offensiva ad oriente era subordinato alla sorpresa, alla tempestività dell'inizio, alla rapidità di esecuzione e alla supremazia aerea. Le force destinate all'azione dovevano essere interamente autoportate (comprese le divisioni libiche) e dotate di mobilità anche fuori strada”.

Anche se un giudizio preciso su questo piano non è possibile, perché conosciuto solo in riassunto ‑ e del resto si trattava di un piano di massima, non di un piano operativo sembra a Rochat che la “travolgente” offensiva di sette divisioni autocarrate (una massa di circa 70.000 uomini) fosse molto al di sopra della disponibilità di mezzi e più ancora della capacità di organizzazione e manovra dell'esercito italiano, che proprio in quel tempo costituiva le sue prime grandi unità motorizzate. C'è da chiedersi inoltre se la massa prevista per l'offensiva non fosse eccessiva: fino a EI Alamein, le forze mobili contrapposte in Africa settentrionale furono sempre minori, ante se provviste di carri armati. Comunque Pariani accettò l'impostazione del piano di Balbo, aumentando le forze destinate all'invasione dell'Egitto e però diminuendone la mobilità: il piano predisposto dallo Stato Maggiore dell'Esercito prevedeva infatti l'impiego per l'offensiva di 12 divisioni autotrasportabili (e non interamente autoportate come chiedeva Balbo), più altre sei divisioni per la difesa di Tripoli e il trasporto in Libia prima dell'inizio delle operazioni di 180.000 uomini, 10.000 automezzi, 5.000 quadrupedi e 60.000 tonnellate di materiali, più un rifornimento mensile di oltre centomila tonnellate di materiali. Tutto ciò rivelava uno scarso collegamento con la Marina, che non riteneva di poter assicurare i trasporti con la Libia, dopo la dichiarazione di guerra, per la superiorità delle forze navali franco‑britanniche e una preoccupante tendenza ad avallare ed aggravare l'errore di Balbo addensando nel deserto masse di combattenti superiori alle possibilità logistiche ed alle necessità operative.

Ad ogni buon conto, i piani offensivi furono annullati da Badoglio, che nella riunione dei Capi di Stato Maggiore del 26 gennaio 1939, comunicò gli ordini di Mussolini nella situazione politica del momento, in cui pareva possibile un conflitto isolato franco‑italiano: “Assoluta difensiva tanto sul fonte alpino quanto sul fronte libico. I’azione studiata verso l'Egitto non ha più ragione di essere: in Libia tutto deve essere rivolto a ovest... Per potenziare il fronte libico noi abbiamo soltanto la via del mare, e la regia Marina ha studiato molto attentamente il problema: sta di fatto che i grandi trasporti di truppe in tempo di guerra sono delle operazioni molto aleatorie. Dobbiamo quindi considerare che le truppe della Libia, in caso di conflitto, avranno la forza cui riusciremo a portarle prima dell'apertura delle ostilità”.

Badoglio ordinò quindi che gli sforzi fossero concentrati nella preparazione della mobilitazione tempestiva delle divisioni destinate in Libia e nell'approntamento di un sistema di fortificazioni verso la Tunisia Il 2 settembre anche Pariani emanava istruzioni che prevedevano la sola ipotesi difensiva, con una diecina di divisioni in Tripolitania e sei in Cirenaica, ma Balbo continuò ad insistere per l'offensiva, anche perché le migliori truppe francesi del Nordafrica erano ormai destinale a fronteggiare le armate tedesche sul Reno, e si alleggeriva così sostanzialmente la posizione italiana in Tripolitania: “Premetto che, malgrado il prevedibile rapporto delle forze in questo teatro di operazioni non si annunzi favorevole per noi, non intendo affatto rinunziare al mio disegno offensivo ad oriente, per tante ragioni, ma soprattutto per mettere la mano su zone ben più righe della Libia dal punto di vista delle risorse di ogni genere.

L’intenzione di Balbo di .passare appena possibile all'offensiva verso l'Egitto, fu ripetuta in vari documenti dell'autunno, in particolare nel «piano di copertura e di radunata del 25 ottobre. 11 30 ottobre Pariani, rilanciava il piano di Balbo, stimando la forza necessaria in tredici divisioni, di cui due corazzate e due aviotrasportate (che ancora non esistevano Questo piano fu subito respinto da Badoglio e da Graziani, il quale, succeduto intanto a Pariani come Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, rimise allo studio l'intera questione, concludendo che un'offensiva verso il Nilo e il Canale di Suez non era possibile, a prescindere dalle grosse difficoltà logistiche, perché avrebbe assorbito una parte troppo grande delle risorse italiane albo non se ne dette per inteso e, in una riunione a Roma a fine novembre con tutti i comandanti interessati, ribadì la “possibilità di una offensiva a fondo verso oriente” ed anzi, affermò “di avere pronto il relativo piano, studiato da anni”.

La situazione fu risolta con un compromesso, ossia l'autorizzazione di Graziani a Balbo per la preparazione di “un piano offensivo diverso da quello già presentato dal generale Pariani”, ossia meno impegnativo. Balbo replicò il 13 gennaio 1940 con questa lettera a Graziani: “Concordo in tutto con le idee espresse nel foglio 8282 di vostra eccellenza, tranne in un punto solo, in quello cioè che in caso di conflitto contro i franco‑britannici non si debba in Libia pensare ad operazioni offensive.

“Interrotto od ostacolato gravemente il traffico fra la madrepatria e la Libia, questo paese, povero di risorse come è, non potrebbe alimentare per lungo tempo né le truppe né la popolazione, di molto accresciuta negli ultimi anni. I mezzi di vita dovremo conquistarceli, ed altro non v'è, a questo scopo, che puntare sull'Egitto. Arrestato il nemico ad occidente prima di tutto, è giuoco forza portare il peso delle nostre armi, con animo estremamente deciso, su Alessandria d'Egitto e sul Delta. Da anni sto maturando questa idea; l’operazione è meno difficile di quanto non sembri, ed a tempo debito formulerò il piano”.

La lettera è un documento vivo della guerra perduta, e che forse si poteva non perdere, se si fosse avuto più coraggio, più fantasia, ascoltando anche la voce dei sogni di Balbo, che rimasero invece nel cassetto.

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