venerdì 13 luglio 2007

TRAGEDIA A MONTECELIO

Dal Secolo d'Italia


STORIA DEL PARACADUTISMO

Il 27 aprile 1928 perse la vita in un lancio il capo del Genio Aeronautico e Freri dovette darsi animo e corposo all’azione di proselitismo per far riacquistare fiducia nel suo paracadute. Nel 1941 la geniale invenzione di Lisi. Le temerarie esibizioni di Ivo Viscardi, interrotte a causa di un incidente


TRAGEDIA A MONTECELIO
La morte del generale Guidoni rischiò di interrompere la marcia trionfale del Salvador
ALDO GIORLEO

La marcia trionfale del Salvator rischiò di essere interrotta dal luttuoso incidente capitato al generale Alessandro Guidoni 48 anni, tecnico di grande valore, inventore, insieme con Crocco, della bomba aerea radiocomandata. Guidoni, che era a capo del Genio Aeronautico e conosceva Freri da tempo, volle provare, pur non avendo una preparazione specifica, il lancio col paracadute, in quanto non era convinto del perfetto funzionamento dell’apertura comandata. Ciò è provato da una lettera che il generale lasciò al suo diretto collaboratore, colonnello Amedeo Fiore: «Ho qualche dubbio sul funzionamento di alcuni organi del paracadute Freri, e in particolare del sistema di tranciamento. Perciò ho deciso di provarlo io stesso, domattina. Nel caso di esito sfavorevole, ritengo che si dovrebbe portare il comando dell'apertura più verso il centro, oppure sostituirlo con un anello da tirarsi con la destra, come nel tipo Irving. Nel complesso, il paracadute è buono, ma il suo prezzo, per la nuova serie di mille, dovrebbe essere ridotto a lire 7000».
La sciagura avvenne la mattina dei 27 aprile de l928 sull'aeroporto di Montecelio. Non ci furono testimoni, all'infuori di Freri che era alla guida dell’aereo, un R. 22. Sembra impossibile che un tecnico come Guidoni si sia lasciato prendere dalla precipitazione; eppure ‑ secondo la relazione di Freri ~ il generale, uscito dalla carlinga a 1.200 metri di quota su invito dello stesso Freri a prepararsi per il lancio, “si mise a fare delle mosse come per comandare l'apertura del paracadute”. “Ridussi ancora il motore ‑ continua la relazione ‑ e gli urlai, facendo pure cenno con la mano, di attendere, di avere calma. Il generale non mi guardava: sembrava mal ‑ sopportare il vento che l'investiva completamente e mi parve che volesse, o desiderasse, aprire il paracadute. Con forza e chiaramente, urlai a più riprese di attendere e con la mano sinistra ripetei i segnali caratteristici di non avere fretta, di aver calma. Ebbi l’impressione d'essere compreso; provai un vero sollievo, perché non solo non eravamo sulla verticale del campo ove doveva avvenire il lancio, ma eravamo addirittura ancora fuori dell'aeroporto di circa due chilometri e sopra un terreno che sapevo essere pieno d'ostacoli. Mi tranquillizzai e pensai: fra poco farò il segnale convenuto e il generale si lascerà scivolare via, poi il paracadute, con la sua immancabile precisione e sicurezza, sistemerà il resto”.
Ma non fu affatto cosi. Quando l'aereo stava per giungere sulla verticale dei campo, Freri si voltò a guardare il generale e “come un baleno, vidi che egli impulsivamente comandava l'apertura del paracadute senza gettarsi. Vidi il paracadute‑pilota schizzare a destra della fusoliera e la fuoruscita della calotta presa dal vento. Istintivamente, per evitare che il paracadute investisse i piani di coda o il timone di direzione, picchiai fortemente l'aeroplano e gridai al generale di buttarsi. Fu un attimo. Egli si gettò all’indietro dando una grande spinta all'aeroplano ... “. Lasciando in quel modo l'aereo, Guidoni compì una serie di ruzzoloni all'indietro, e una caduta di quel genere può provocare, specie a chi è al primo lancio, perdita d’orientamento obnubilamento dei sensi, per cui è istintivo aggrapparsi a qualcosa. Sforttuna volle che Il generale afferrasse disperatamente le funi di sospensione, che si sfilavano dalla custodia passandogli sotto il braccio. In tali modo la calotta non riunisci ad aprirsi “fece fiamma”come si dice in gergo, e Guidoni si sfracellò al suolo. Alla sua memoria fu conferita la medaglia d'oro al valore aeronautico e Mussolini volle che Montecelio prendesse il nome di Guidonia.
La sciagura si abbatté sul capo di Freri come una mazzata. Autorizzato dal ministero, si mise in giro per l'Italia per spiegare che s’era trattato d'una fatalità ma i piloti erano restii, non volevano più sentir parlare dì paracadute. Finché, il 18 giugno 1928, il maggiore pilota Francesco Cutrì, che era a bordo di un A. 120 investito dalle fiamme, si salvò gettandosi col paracadute; il suo secondo, sergente Carlo Garavaglia, che aveva tentato di riportare il velivolo a terra perse la vita. Il salvataggio di Cutrì riportò il Salvator sulla cresta dell'onda. Da quel giorno, numerosi altri piloti si salvarono grazie al paracadute. Tra di essi, Mario De Bernardi, il «calligrafo dei cielo», il cui aereo, l'8 maggio del 1930, era venuto a collisione con un altro velivolo.
Freri, costituita la nuova società Aerostatica Avorio, si ridiede anima e corpo all’azione di proselitisimo che trovo tereno fertile nelle giornate dell’ala. Intanto, aveva messo a punto. con l’ingegner Avorio, il Salvator.D. con unica calotta di 46 metri quadrati a deformazione elastica e perciò resistentissima; velocità di discesa. circa 6metri il secondo; duplice apertura: automatica e comandata.
1’8 giugno 1930 si svolse all’aeroporto di Centocelle la prima Giornata dell’ala (la seconda ebbe luogo il 27 maggio del, 32) alla presenza del re, di Mussolini, di autorità poltitiche e militari e d'una gran folla. Piatto forte della manifestazione, il lancio di sedici paracadutisti da due Ca. 73. Uno dei sedici era un giovane spoletino, motorista dell’Aeronautica sul punto di congedarsi. Si chiamava Ivo Viscardi, ed era destinato a far parlare di sé nel mondo del paracadutismo. Ingaggiato da Freri per recarsi all’estero a continuare il giro di divulgazione del Salvator, egli fece una serie di lanci in Germania, Belgio, Francia, Turchia, Romania e Lettonia. Al ritorno in Italia. continuò a esibirsi per conto dell’Aero Club, spesso in coppia con paracadutisti stranieri. In breve diede inizio a una tradizione di virtuosismo paracadutistico, compiendo tra l'altro un esercizio assolutamente temerario che consisteva nel lanciarsi con due paracadute, nell'aprirne uno, quindi nell’abbandonarlo per percorrere un altro tratto in caduta libera, aprendo alla fine il secondo paracadute a pochi metri dal suolo. Nel 1935, durante la campagna etiopica, l'audace spoletino, che aveva trovato anche il tempo per prendere il brevetto di pilota, fu ingaggiato da una grossa ditta milanese che stava costruendo un tronco dell'autostrada Assab‑Addis Abeba: trasportava con un Caproni viveri e medicinali. Nel 1937, tornato in patria, riprese l'attività lancistica.
Si avvicinava, intanto, la seconda guerra mondiale e Viscardi veniva richiamato in servizio e assegnato all’aeroporto di Guidonia. Qui un giorno ricevette una lettera di un autonoleggiatore di Spoleto un,certo Lisi, il quale annunciava di aver inventato qualcosa in fatto di paracadute.che valeva la pena di provare: un dispositivo che permetteva di regolare la velocità in qualsiasi momento della discesa, aprendo e chiudendo la calotta. “Capirà ‑ diceva la lettera ‑ che un conto è venir giù con Il paracadute aperto, quindi in balìa del vento, e per di più soggetti al tiro nemico; un altro conto è poter ridurre la calotta, aumentare la velocità di discesa e, soprattutto, poter dirigere il paracadute molto meglio di quanto sia possibile fare con i tipi a calotta fissa. Ora chiedo se lei è disposto a provarlo? Viscardi non era certo tipo da tirarsi indietro, e accettò con entusiasmo. I due trovarono un finanziatore nella persona dei banchiere Ugo Natali e, ottenuta l'autorizzazione delle autorità militari, cominciarono le prove con i manichini al Centro sperimentale di Guidonia. Poi il 21 novembre del 1941 ‑ l'Italia era in guerra da oltre un anno ‑ Viscardi collaudò di persona il paracadute. Risultato ottimo, il Lisi, con la calotta rovesciata a tulipano, permetteva una discesa non più alla mercè delle condizioni atmosferiche, ed era manovrabile al punto di raggiungere la zona d'atterraggio prestabilita.
Dopo altri riusciti lanci fu deciso che le prescritte dieci prove ufficiali d'omologazione dovessero svolgersi a Tarquinia (dove, dopo anni di polemiche, era sorta la scuola militare di paracadutismo) e Viscardi, ottenuta una licenza illimitata dall’Aeronautica, si mise a disposizione del Reparto studi ed esperienze della scuola. Le prove d'omologazione ebbero inizio nel gennaio 1942. A una di esse, svoltasi con un tempo pessimo, assistette Mussolini, capitato in visita alla scuola. Fattosi portare a mille metri d'altezza con un Ro.1, Viscardi si lanciò e, nonostante il vento furioso, apri e chiuse tre volte il paracadute. Mussolini lo guardava venir giù e teneva il labbro inferiore serrato tra i denti. Poi volle conoscere l'audace paracadutista, gli batté una mano sulla spalla e l'invitò ad andare a Palazzo Venezia. Al posto di Viscardi ci andò un dirigente della ditta costruttrice e in tale occasione fu deciso che il nuovo paracadute si sarebbe chiamato «Aprile».
Proseguivano intanto i lanci d'omologazione e tutto sembrava andar bene, quando al penultimo lancio, il 21 marzo dei 1942, avvenne un incidente gravissimo che costrinse Viscardi a cessare l'attività paracadutistica dopo 185 discese. Buttatosi da duemila metri, doveva cercare di atterrare al centro di un telone. Venne giù lentamente per qualche centinaio di metri e, con movimenti delle braccia e delle gambe, si diresse verso il telone; quando fu sopra di esso tirò l'apposita fune e la calotta si rovesciò facendo aumentare la velocità a 80 chilometri l'ora. A circa 150 metri dal suolo, allentò la fune per provocare la riapertura totale del paracadute, ma il dispositivo non funzionò, la calotta restò a tulipano ed egli piombò giù come un sasso. Credevano di trovarlo morto, invece lo raccolsero che respirava. Fu ingessato dal collo ai piedi, stette mesi e mesi con un busto di ferro, poi passò alle grucce, poi al bastone, infine fece a meno anche di quello, pur rimanendo minorato al piede destro. La sua indomita volontà gli permise di tornare a volare. Riportò altre ferite in un atterraggio fuori campo presso Latina, poi si iscrisse a un corso di volo a vela. il 16 luglio del'53, a Dobbiaco, durante una prova di traino a doppio comando, per un errore di manovra dell'istruttore l'aliante precipitò, l'istruttore perse la vita, Viscardi riuscì a cavarsela ancora una volta, riportando una serie di fratture.
Il paracadute Lisi, ripudiati) nel dopoguerra il nome di «Aprile», migliorato nel funzionamento, venne usato di tanto in tanto da paracadutisti sia militari sia civili, finché l'avvento dei paracadute con fenditure e poi di quelli ad ala non lo rese anacronistico

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