venerdì 11 gennaio 2008

Paracadutismo Iniziazione al piacere del lancio

PARACADUTISMO
Iniziazione al piacere del lancio
Dall'addestramento all'agonismo
G.C. ZONGHI SPONTINI

«Prepararsi per il lancio ».
I comandi urlati sovrastano il rombo compatto dei motori, accompagnano gli eloquenti gesti convenzionali che indicano le precise operazioni che precedono il « salto ».
«Alla porta: pronti»
Un tocco deciso della mano aperta del direttore di lancio sulla spalla.
«Via! » .
Poi si vien presi prepotentemente da una ventata fortissima, pochi attimi, uno schiocco e uno strappo, si è fermi, e ci si sente avvolti da improvviso, strano silenzio fatto d'azzurro: si è aperto! Così si comincia a fare il paracadutista e il primo lancio è il più bello di tutti, quello che ricordi sempre anche se non hai capito molto, hai fatto meccanicamente quel che dovevi fare a bordo perché l'avevi ripetuto cento volte nella falsa carlinga, e quella ventata prepotente ti ha fatto chiudere gli occhi, può capitare... e li hai riaperti quando la seta bianca, che in realtà è nailon, si è spalancata sopra di te, ti ha afferra­to alla sommità delle spalle trasformando la caduta verti­ginosa in una lenta discesa. Del primo lancio ti rimarrà per tutta la vita la sorpresa di quel silenzio che ti avvolge, quella sensazione meravigliosa d'esser tenuto su dall'invisibile mano del Dio di chi vola, e quel pensiero, tutt'altro che modesto, indirizzato a quegli omini piccoli piccoli laggiù che si muo­vono, che si agitano inutilmente, ti ha fatto improvvisamente capire che ora sei diverso. Sì, perché il giorno del primo lan­cio hai cominciato a scoprire un mondo nuovo, diverso appun­to, dentro di te. Un mondo fatto di certezza e di poesia insieme.

« Perché fai il paracadutista? »
« Perché nessun.'altra attività potrebbe darmi come questa la sensazione di essere libero ».
Libertà, sì, autentica. Provi, a ogni lancio e dopo, una sensa­zione di libertà conquistata.
Come si comincia
Tre lanci: brevetto civile. Attività addestrativa.
Scuola Militare di Paracadutismo. Sei lanci: brevetto militare. Addestramento specialità militari.
Scuola di paracadutismo sportivo. Attività agonistica. Queste sono le tappe, le discipline del paracadutismo.
II paracadutismo civile può essere fine a se stesso o anche preparazione agli altri due, la migliore raccomandazione per accedere al paracadutismo militare. In ogni regione e pro­vincia italiana esiste l'Associazione Nazionale Paracadutisti d'Italia che organizza i corsi per paracadutisti civili diretti da istruttori abilitati dalla Scuola Militare. I lanci vengono effettuati da aerei Fairchild C‑119 della 46a Aerobrigata, messi a disposizione dall'Aeronautica Militare, e con materiale della Scuola Militare di Paracadutismo, ovvero: con paraca­dute « vincolati », ad apertura automatica. II « salto » avviene normalmente da quattrocento metri, in zona adatta a un atter­raggio senza rischi.
E dal momento che ho parlato di rischi, sarà bene che sfati subito la leggenda della pericolosità del paracadutismo che fa vedere in chi lo pratica un pazzo rompicollo, nemico dell'istinto di conservazione e del buonsenso. Anche senza fare il conto statistico dei morti e dei feriti dell'automobilismo, del motociclismo, del bob, dello sci e altri, posso dire con certezza, per la tranquillità dei quei genitori che vedono male l'inclinazione dei figli a « venir giù da per aria », che le socie­tà d'assicurazione ‑ di cui è noto che non fanno niente per rimetter quattrini ‑ assicurano i paracadutisti (è obbligatorio) con massimali altissimi per solo quattromila lire l'anno!
E l'assicurazione comprende un numero illimitato di lanci, trasporti automobilistici da e per l'aeroporto o la zona di lan­cio, danni a sé e a terzi, e alla proprietà di terzi... Si deve dir altro? Non credo proprio.

Il corso
Prima di tutto una accuratissima visita medica effettuata dai sanitari militari.
La spesa di un corso completo, compreso l'« abbigliamento », non supera le trentamila lire. Poi in palestra; è una sgobbata che non vi dico, necessaria e piacevole, allenamento atletico ed esercizi specifici, capovolte per imparare l'atterraggio ‑ per­ché l'impatto con il terreno sia praticamente neutralizzato, eser­citazioni di uscita dal velivolo, teoria sul paracadute ‑ quello « vincolato », novanta metri quadrati di superficie, che ti porta giù a cinque o sei metri ,al secondo al massimo, e quello
« ventrale » o d'« emergenza », come si usa chiamarlo, che non è di nailon ma di seta pura, più piccolo, molto più piccolo, ma con portanza sufficiente a non procurar danni nel caso lo si debba adoperare. Alla fine del corso un esame pratico e teorico. Finalmente il primo lancio. Poi brevetto e si continua, ma non tutti, perché avviene una selezione naturale, se già non è bastata quella severa durante il corso, nel senso che coloro i quali non hanno attitudine o entusiasmo in misura sufficiente abbandonano. Prima ho detto che il brevetto e l'addestramento lancistico civili rappresentano .il miglior pas­saporto d'entrata alla Scuola Militare di Paracadutismo di Pisa. E' un ambiente dove ogni paracadutista si sente ,á suo agio. Camminiamo per i cortili e i viali alberati, andiamo al campo sportivo, entriamo nelle palestre, nella sala di scherma, in quella di judo e karaté, nelle aule di studio. Centinaia di allie­vi e paracadutisti passano davanti ai nostri occhi in un fer­vore di attività.
Comandi rapidi e decisi degli istruttori. Di corsa, al passo. Tute mimetiche, tute da ginnastica. Corsa sciolta, mezzo fondo. Esercizi a corpo libero, agli attrezzi. Uscite dalla falsa carlin­ga, capovolte d'atterraggio, salto nel telo. Percorso di guerra, salto dalla torre in lancio simulato. Ripiegamento dei para­cadute, preparazione del materiale per aviolancio. Istruzione sulle armi, istruzione in aula, proiezione di film didattici.
La disciplina e l'organizzazione perfetta non respingono l'aspetto umano della vita della Scuola, anzi: mettono in rilievo ed esaltano la personalità dei paracadutisti.
Qui alla Scuola di Pisa si brevetta tutto il personale dei reparti dipendenti, si addestrano i contingenti di leva che vengono poi avviati alle unità di impiego: i paracadutisti della Brigata « Folgore », gli arditi incursori della Marina, i paracadutisti dell'Aeronautica, della « San Marco », degli Alpini. E poi anco­ra addestramento diurno e notturno con equipaggiamento di guerra, preparazione tecnico‑tattica al combattimento, alla dife­sa antinucleare, chimica, biologica, al sabotaggio nel territorio nemico, al tempestivo, fulmineo intervento nei punti di mag­gior interesse per annientare e paralizzare i centri nervosi del sistema difensivo‑offensivo dell'avversario.
Il paracadute è un mezzo per giungere a terra incolumi ed efficienti.
I lanci addestrativi avvengono da circa quattrocento me­tri, quelli cosiddetti « di guerra » da quote di molto inferiori. Sono previsti lanci notturni e, per certe specialità, anche in mare con mute e bombole, con completa attrezzatura subac­quea insomma. Gli alpini atterrano sulla neve, indossano gli sci e sfrecciano giù per i pendii nevosi.
I velivoli usati per i lanci sono i Fairchild C‑119 (poi verranno i G.222) e i Lockheed C‑130 H.
Tra equipaggi e paracadutisti c'è il massimo spirito di collaborazione e i rapporti sono caratterizzati da grande stima reciproca.

I « magnifici sette »
I « magnifici sette » italiani sono a Pisa e compongono la Squadra Militare di Paracadutismo Sportivo. Li comanda il Tenente Colonnello Piero Goffis, e hanno effettuato fino a ora più di tremila lanci a testa ad apertura ritardata. Elencare tutte le loro vittorie è impossibile per ragioni di spazio. Sono tra i 'migliori del mondo. Hanno conquistato recentemente la medaglia di bronzo, sono terzi, ai campionati mondiali di para­cadutismo sportivo.
Al paracadutismo sportivo dedicherò, per i lettori di « Alata », una conversazione a parte. Per ora dirò che esistono paraca­dute che si aprono a comando, tirando una maniglia, che hanno delle « fenditure » nella velatura per potersi dirigere in aria dove si vuole centrare con precisione assoluta il bersaglio disegnato a terra. Dirò che il paracadute serve per poter tornare sani e salvi sul prato, dopo aver « nuotato » nell'aria, da soli o in gruppo, prima di aprirlo, allontanandosi, riavvici­nandosi, scambiandosi un oggetto chiamato « testimone N», come quello della staffetta di atletica, dopo aver ricamato nel cielo diecine di « figure » acrobatiche, filmandosi a vicenda con le cineprese e le macchine fotografiche applicate al casco. Tutto ciò, giova ripeterlo, i « magnifici sette » della Scuola Militare di Paracadutismo lo fanno in « caduta libera » scen­dendo da duemila, tremila, cinquemila metri di quota e oltre. Nel 1966 a Pisa si lanciarono, dalla porta assiale del C‑119, quattordici paracadutisti, fra i quali era il famoso Colonnello Comandante Giuseppe Palumbo, ora Generale, tenendosi per mano, da tremilacinquecento metri. Scesero fino a trecento­cinquanta metri di quota, poi sciolsero il cerchio perfetto lasciandosi e aprirono simultaneamente i paracadute. E' un record mondiale non ancora eguagliato.
Pensate per un attimo quanto può affascinare un essere umano il poter volare nel cielo, a paracadute chiuso, usando come ali, alettoni e timone di direzione e di profondità, braccia gambe e testa. Sembra strano a chi non l'ha provato, ma non si ha la sensazione di precipitare, bensì di volare, di « nuotare » nell'aria.
L'unico pericolo che corre un paracadutista è quello di por­tare all'occhiello della giacca un piccolo paracadute d'oro, e non per esibizionismo, ma per farsi riconoscere dagli altri « fratelli dello spazio » di tutto il mondo. Mi spiego: tu hai il distintivo, sali a bordo di un aeromobile di linea e trovi lo scocciatore di turno che ti chiede se sei paracadutista. Non puoi dire di no... E le domande ti arrivano addosso a ritmo di raffica di mitragliatrice. E ti tocca spiegare che negli aerei di linea il paracadute non serve a niente, che è impossibile tenere cento persone e più « imbragate », che è assurdo pen­sare di, lanciarle, che a diecimila metri ci sono settanta gradi sotto zero, che non c'è ossigeno sufficiente, che da quel tipo di velivolo non ci si può lanciare, che gli eventuali incidenti, rarissimi, grazie a Dio! avvengono per lo più in decollo o in atterraggio quando il paracadute non avrebbe neppure il tempo di aprirsi... II peggio viene quando il seccatore ti domanda all'improvviso: « Senta: se quando lei si lancia, il paracadute non si aprisse? »
Eviti di spiegargli che c'è anche quello d'« emergenza ». E lui insiste:
« Ma se per caso?!... Gli rispondi con un sogghigno:
« Quando arrivo a terra me lo cambiano ».

2 commenti:

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