I primi brividi li offrono i bersaglieri
Il raduno nazionale dell'Assoarma ha aperto ieri in forma ufficialmente più ampia le manifestazioni celebrative del 90. anniversario della fine della Grande Guerra conclusa con la vittoria di Vittorio Veneto. Sul palco oltre alla giunta quasi al completo, il procuratore Antonio Fojadelli, il presidente della provincia Leonardo Muraro, l'on. Maurizio Castro, il comandante del primo FOD gen. Mario Marioli, il consigliere nazionale dell'Associazione Bersaglieri Vezio Vicini che ha avuto il compito di tenere il discorso celebrativo, numerosi sindaci e altre autorità. Centro cittadino bardato a festa, tricolori quasi ovunque e una partecipazione discretamente numerosa: nel momento clou in piazza del Popolo e dintorni c'erano circa 5 mila presenti mentre le partecipazione dei vittoriesi è sembrata tiepida, ma siamo solo alle battute inziali di questo Novantesimo, che avrà l'appuntamento più importante ai primi di novembre con la presenza del Capo dello Stato. Il via con il lancio coreografico da 1500 metri di sei paracadusti, a seguire il passaggio a bassa quota di aerei d'epoca quindi le sfilate di artiglieri, alpini, bersaglieri e paracadutisti in gran parte provenienti dalle sezioni della Marca, in una cornice davvero splendida di gagliardetti, labari e striscioni tricolori dei gruppi schierati ai bordi della piazza. Intanto con consumata cadenza il cerimoniere pievigino Nicola Stefani scandiva i momenti più significativi del glorioso 1918, quindi i discorsi di protocollo del sindaco Scottà, del generale Marioli comandante del 1°. FOD, del presidente della Provincia Muraro e dell'on. Castro. Il generale bersagliere Vicini ha ricordato anche le figure delle medaglie d'oro vittoriesi Alessandro Tandura e Giacomo Camillo De Carlo. In chiusura applausi scroscianti, commozione e brividi per il concerto della fanfara dei bersaglieri dell'11. Reggimento di stanza a Orceano. Per il Novantesimo sono previste duecento manifestazioni, circa un quarto a Vittorio Veneto.
COMANDO 8^ ARMATA
UFFICIO INFORMAZIONI
Ubbidendo ad uno spontaneo e generoso, slancio dell'animo, spinto unicamente da un sentimento di amor patrio, assalito da un magnanimo desiderio di compiere opera utile alla Patria, sia pure coll'olocausto di sè medesimo, in sui primi del decorso mese di agosto il Tenente TANDURA accettava di sua libera elezione di esperimentare un nuovo sistema di discesa dall'alto, e a mezzo di paracadute si faceva lanciare da un apparecchio in volo nella zona di Vittorio, ove atterrava mettendosi ali' opera alacremente per raccogliere dati e notizie sui movimenti, le dislocazioni, le intenzioni del nemico e per entrare in contatto coi vari nuclei di soldati ed Ufficiali nostri sottrattisi con la fuga alla prigionia e in massima dispersi e sbandati nelle terre invase durante il ripiegamento dell' Ottobre 1917.
Non l' arrestò, nell'audace divisamento, il pensiero delle enormi difficoltà da superare, dei pericoli estremi da vincere; chè anzi di questi ebbe ragione con indomita costanza ed intrepida fede, quelli affrontò con serena baldanza ed ammirevole slancio sfuggendo a ricerche, insidie ed inseguimenti.
Tratto in arresto per ben due volte, si pose in salvo, riacquistò la libertà e perseverando la sua opera riuscì non solo a creare al di là delle linee nemiche un importante centro d' informazioni per le truppe operanti ed inviare a mezzo piccioni viaggiatori notizie precise e preziose sul nemico, ma a porsi in pari tempo, con pronta ed inesauribile arditezza a contatto coi vari nuclei di Ufficiali e soldati nostri dispersi per la regione, a riunirli, a riaccendere la fede e 9' entusiasmo, portando loro la parola di solidarietà della Patria vigile ed amorosa, riorganizzare le file e preparare gli animi ai supremi cimenti.
È da ascrivere in modo particolare a suo merito se l'Armata potè entrare in azione con la piena conoscenza delle Unitá che aveva di fronte e della loro dislocazione.
Tale feconda ed avveduta opera di preparazione egli seppe integrare mercè la più ardita ed oculata delle azioni, unendosi, allorquando il movimento di ritirata delle truppe nemiche si fu delineato ed apparve in vista l'Esercito liberatore, alla testa delle schiere di ,ribelli, con essi insorgendo ed assalendo il nemico per poi offrire, in fine, i suoi servigi ai vari Comandi, fornire tutte le informazioni preziose che possedeva, agevolare ed assecondare le loro azioni.
Le vicende del Tenente TANDURA svoltesi in condizioni di estreme difficoltà, attraverso una lunga serie di sofferenze, di privazioni, di disagi, affrontati serenamente, con virile forza d'animo, senza iattanza, nel tripudio spirituale, che deriva a colui che ha la conoscenza di offrire tutto sè stesso al Paese, ben a ragione possono paragonarsi ad una epopea, in cui la figura dell'eroico Ufficiale trasfigurata dalle stigmate degli stenti patiti, rifulge di vivida luce.
Ritiene pertanto lo scrivente abbia il Tenente TANDURA ben meritato dalla Patria. Questa, impersonata nel più puro dei suoi simboli, l' Esercito, in niun' altra più degna guisa potrebbe onorarlo, che tributandogli la massima, la più ambita delle onorificenze la medaglia d'oro, colla seguente motivazione
« Animato dal più ardente amor di patria, si offriva per compiere una missione estremamente rischiosa: da un aeroplano in volo, si faceva lanciare con un paracadute al di là delle linee nemiche nel Veneto invaso, dove, con alacre intelligenza ed indomito sprezzo di ogni pericolo, raccoglieva nuclei di Ufficiali e soldati nostri dispersi, e, animandoli con il proprio coraggio e con la propria fede, costituiva con essi un servizio d'informazioni che riuscì di preziosissimo ausilio alle operazioni. Due volte arrestato e due volte sfuggito, dopo tre mesi di audacie leggendarie, integrava l'avveduta e feconda opera sua, ponendosi arditamente alla testa delle sue schiere di ribelli e con esse insorgendo nel movimento in cui si delineava la ritirata nemica, ed agevolando così l'avanzata vittoriosa delle nostre truppe. Fulgido esempio di abnegazione, di cosciente coraggio e di generosa intera dedizione di tutto sé stesso alla Patria ».
PIAVE ‑ VITTORIO VENETO, Agosto ‑ Ottobre 1918.
Propone inoltre che l' altissima ricompensa gli venga conferita per concessione immediata sul campo.
IL TENENTE COLONNELLO DI S. M.
CAPO DELL'UFFICIO INFORMAZIONI
F.to DUPONT
MEDAGLIA D'ARGENTO AL V. M.
AD EMMA PETTERLE DA VITTORIO VENETO
(Treviso)
« Con elevatissimo sentimento patriottico, rafforzatosi durante l'occupazione nemica, sfidando il pericolo gravissimo d'essere scoperta e quindi esposta a gravi sanzioni, collaborava con un suo congiunto, Ufficiale del R. Esercito, calatosi nottetempo con paracadute, oltre le linee nemiche, per audace impresa di guerra, fornendogli assistenza ed aiuto con fede mai doma, fino al ritorno nella sua terra redenta delle truppe liberatrici.
VITTORIO VENETO, Novembre 1918
MEDAGLIA D'ARGENTO AL V. M.
AD EMMA TANDURA DA VITTORIO VENETO
(Treviso)
« Con elevatissimo sentimento patriottico, rafforzatosi durante l' occupazione nemica, sfidando il pericolo gravissimo di essere scoperta e quindi esposta a gravi sanzioni, collaborava con un suo congiunto, Ufficiale del R. Esercito, calatosi nottetempo con paracadute, oltre le linee nemiche, per audace impresa di guerra, fornendogli assistenza ed aiuto con fede mai doma, fino al ritorno nella sua terra redenta delle truppe liberatrici.
VITTORIO VENETO, Novembre 1918
È morta l'eroica Lina, ultima portatrice carnica
TRIESTE. Alla presenza di parenti e amici, Trieste, città dove viveva dal 1939, ha salutato oggi (5 novembre 2005) l'ultima "portatrice carnica" della prima guerra mondiale, Lina Della Pietra, morta all'età di 104 anni. Nel corso della messa, è stato ricordato il «lungo cammino» compiuto da Lina, cavaliere di Vittorio Veneto e medaglia d'oro, che giovanissima saliva per chilometri sulle montagne del Friuli con la tipica gerla sulle spalle, per portare viveri e medicinali ai soldati in trincea. «Ora ‑ ha detto il parroco don Elio Toffoluti Lina è comparsa davanti a Dio con quella gerla, carica di tutto il bene che ha compiuto in vita, secondo la dinamica propria dei carnici».
Operaie: occupate in fabbriche di armi
Portatrici: di viveri, munizioni, portaferiti (le più note sono le "Portatrici Carniche"), ma erano eroicamente presenti ed attive su tutti i fronti.
Treviso: costruzione di campi trincerati
I 90 ANNI DELLA FINE DELLA GRANDE GUERRA
Sono passati ormai novant’anni da quel famoso 4 novembre in cui fu sancita la fine della Prima Guerra Mondiale, un evento che ha visto il suo epilogo cruento e glorioso proprio nelle nostre terre. Martedì la Provincia di Treviso ha presentato il calendario di eventi che si svolgeranno in tutto il territorio per celebrare la ricorrenza. In questa occasione, inoltre, è stata inaugurata la sezione visitabile della Galleria Vittorio Emanuele: la più grande fortificazione in quota del primo conflitto mondiale (oltre 5 km la galleria completa).
“Tra il 1917 e il 1918 la Marca trevigiana fu teatro di uno dei fronti più importanti della Grande Guerra: lungo il corso del Piave si scontrarono per la battaglia decisiva gli eserciti di Italia ed Austria-Ungheria e dei loro alleati. Numerose sono ancora oggi le tracce sul territorio trevigiano di quei tragici eventi, come mette in evidenzia anche il percorso provinciale “I Luoghi della Grande Guerra”. Un itinerario eco-museale che, oltre ai grandi mausolei, percorre i siti del Grappa, del Montello (luoghi scenario della “Battaglia d’Arresto”) e il corso del fiume Piave, segnalando testimonianze architettoniche come l’Abbazia di Follina o il Castello di San Salvatore a Susegana. La Provincia è da 10 anni che si sta impegnando sul tema della Grande Guerra. Abbiamo censito i circa 600 siti collegati al Primo Conflitto Mondiale: fortificazioni, trincee, sacrari, monumenti, epigrafi e altro. Stiamo portando avanti un progetto importante con il Calvados, proprio per valorizzare i luoghi della memoria bellica europea. E oggi in occasione del 90°, inauguriamo l’opera di pulizia e allestimento del tratto attualmente visitabile (800 m) della galleria Vittorio Emanuele, realizzata in collaborazione con l’Associazione Nazionale Alpini. L’anno scorso il senatore Stiffoni, che ringrazio, ha fatto approvare un emendamento che ha stanziato dei fondi dedicati eventi relativi alla Prima Guerra Mondiale, 9 milioni in 10 anni.” Queste le parole del Presidente della Provincia di Treviso, Leonardo Muraro.“Per entrare nel merito, il palinsesto degli eventi organizzati dal territorio per celebrare i 90 anni della fine della Grande Guerra è nutrito e interessante. Si tratta di oltre 160 iniziative, tra manifestazioni celebrative, rievocazioni, mostre di materiale fotografico e documentario e occasioni d’incontro e di approfondimento, ma anche pubblicazioni a tema, e non solo. Promuovere il pellegrinaggio nei luoghi della Grande Guerra, significa anche rafforzare i valori di una Comunità.” Ha detto il vice presidente della Provincia di Treviso, Floriano Zambon.L’Assessore provinciale ai Beni Culturali, Marzio Favero nel suo intervento incentrato sull’importanza del recupero dei siti d’interesse storico, in questo caso legati alla Grande Guerra, come ad esempio la Galleria di Vittorio Emanuele ha aggiunto che “il Grappa è un luogo sacro. Nella Galleria abbiamo cercato di dare un po’ di decoro. Accompagnano il percorso delle sagome di soldati in policarbonato trasparente. Aperta attualmente è solo una sezione di 800 m che comprende due batterie di 75/13 (da 4 cannoni ciascuna). La parte più alta della Galleria è una parte dell’ossario ipogeo che era stato realizzato, con una zona di loculi con resti dei caduti austriaci”.Il sindaco di Crespano del Grappa, Nico Cunial ha commentato che “Non c’è modo migliore per festeggiare l’imminente adunata nazionale degli Alpini, come inaugurare la Galleria Vittorio Emanuele. E per questo ringrazio la Provincia di Treviso”. Ai saluti si è aggiunto il luogotenente Diego D’Agostino, direttore del Sacrario Militare di Cima Grappa che ha ricordato che “i lavori effettuati in Galleria sono di notevole impatto visivo.” Inoltre il direttore dei lavori e referente A.N.A. del Consiglio Nazionale, Sebastiano Favero ha rammentato che numerosi Alpini hanno lavorato come volontari per preparare al meglio la galleria.Tra gli eventi in calendario spicca in particolare la mostra realizzata alla Gipsoteca di Antonio Canova a Possagno “La Bellezza violata. I danni della Grande Guerra sulle opere del Canova”; lo spettacolo di teatro-canzone regia di M. Artuso, “Il Piave Mormorava. 24 maggio 1918: novant’anni fa, sul Piave. Il sangue. La Grande Guerra”; la mostra fotografica “Il Trevigiano nella Grande Guerra” organizzata dal F.A.S.T. Foto Archivio Storico Trevigiano; la mostra documentaria realizzata dal Comune di Vittorio Veneto e dal Museo della Battaglia “La Vittorio della Vittoria 1917-1918”; “La Linea del Piave”- Concerti della Banda scozzese del London Scottish Regiment “The Pipes and Drums of the London Scottish”; il 90° Anniversario della Battaglia del Solstizio “In Memoria” a Nervesa; il monologo teatrale “Mato de Guera” di Mazzocato con Gigi Mardegan; la rievocazione e simulazione storica a Borgo Malanotte, il concerto della Filarmonia Veneta nell’ambito delle commemorazioni della Parrocchia di Cusignana; “La linea della memoria” a Treviso. Nell’ambito delle iniziative per le celebrazioni della Grande Guerra, la Provincia di Treviso ha realizzato poi, con l’Associazione Nazionale Alpini e l’Onor Caduti, un importante intervento di pulizia e allestimento di una sezione della galleria ‘Vittorio Emanuele’, con pulizia e sistemazione anche dei tratti di trincea a ridosso della stessa e con un restyling dei pezzi di artiglieria presenti.
Pubblicato da piave in data Giovedì, 08 maggio 2008
Da Rivista Aeronautica n° 6-2002
L’aviazione italiana nella battaglia dell’Ortigara
Estate 1917: il pensiero di chi conosce anche solo sommariamente le vicende di quella che per tutti è ancora la Grande Guerra corre alle rive dell'Isonzo ed alle pietraie del Carso, che proprio in quella lontana stagione videro il massimo sforzo mai prodotto dall'Esercito italiano, la cosiddetta battaglia della Bainsizza o 11^ battaglia dell'Isonzo, ingaggiata e vinta nel mese di agosto. Ma quell'estate è anche l'estate dell'Ortigara, la montagna brulla, arida, inospitale assunta a simbolo del sacrificio della 6° Armata. Questo fu infatti il punto focale di una lotta di proporzioni gigantesche, che nel mese di giugno vide impegnate centinaia di migliaia di uomini su posizioni che si sviluppavano a quote prossime ai 2.000 metri.
Il progetto di far precedere la prevista poderosa offensiva sull'Isonzo da un attacco spinto a fondo nella regione dell'Altopiano dei Sette Comuni era stato da tempo preso in considerazione dal Comando Supremo italiano. Nel novembre 1916, la formazione di una nuova Armata, la 6^, costituita sulla preesistente struttura del Comando Truppe Altopiano, era stata decisa con l'intenzione non solo di sottolineare la specificità e l'importanza strategica di quel settore del fronte, ma anche di creare lo strumento con cui portare a compimento l'azione controffensiva parzialmente fallita tra il giugno e il luglio 1916, e impedita poi in autunno dall'inclemenza della stagione. Con la riconquista del bastione naturale rappresentato dalla dorsale di Cima Portule sarebbe stata allontanata una volta per tutte la minaccia incombente sulla pianura veneta, ripristinando in sostanza la situazione preesistente alla Strafexpedition, la "spedizione punitiva", che nel maggio 1916 aveva fatto correre all'Italia un gravissimo pericolo.
La zona interessata dalle operazioni, limitata a nord dal ciglio settentrionale dell'Altopiano dei Sette Comuni, a ovest e a sud‑ovest dal costone di Portule e dal basso corso dell'Assa, è una regione impervia, povera di acqua, con una vegetazione sempre più rada man mano che si procede verso nord, percorsa all'epoca da poche e malagevoli mulattiere ed ancora oggi lontana dalle grandi vie di comunicazione. Dalla catena di aspre cime strapiombanti sulla Val Sugana si staccano in successione, andando da oriente verso occidente, quattro massicci contrafforti che degradano lentamente verso sud in direzione di Asiago. Sul secondo di questi, identificabile con l'allineamento monte Ortigara‑monte Zebio, correva la prima linea austriaca le cui tracce sono ancora ben evidenti. Si trattava di una serie di robuste trincee scavate nella roccia e scaglionate in profondità, protette da profonde fasce di reticolato e munite di numerosi appostamenti in caverna per mitragliatrice.
Con queste premesse l’”azione difensiva uno", come fu convenzionalmente indicata l'operazione affidata alla 6^ Armata del generale Mambretti, richiese innanzitutto uno sforzo logistico notevolissimo, con la creazione dal nulla di strade, teleferiche, acquedotti, baraccamenti e depositi. Fu poi necessario il concentramento nella regione di truppe ed artiglierie in misura tanto maggiore quanto più il previsto fronte d'attacco si andava estendendo verso sud, arrivando da ultimo ad includere anche il settore di monte Zebio. Nella sua formulazione finale il piano di operazioni prevedeva: ‑ un'azione principale lungo il fronte di quasi 14 chilometri tenuto dal XX e dal XXII Corpo d'Armata tra il corso dell'Assa e Cima Caldiera, con due distinte zone d'irruzione delle fanterie in corrispondenza di monte Zebio a sud e di monte Ortigara a nord;
- un'azione concorrente affidata all'ala destra del XXVI Corpo d'Armata, diretta principalmente verso l'altura di monte Rasta; ‑ un'azione sussidiaria in Val Sugana, con cui il XVIII Corpo d'Armata avrebbe dovuto richiamare l'attenzione dell'avversario e fiancheggiare l'avanzata del XX schierato alla sua sinistra.
Con otto divisioni in prima schiera e tre di riserva la 6a Armata poteva contare su 164 battaglioni e 1.072 pezzi d'artiglieria, ai quali si aggiungevano 569 bombarde e le bocche da fuoco a tiro curvo ed a corta gittata utilizzate per distruggere i reticolati e battere le prime linee. Dal momento che il III Corpo d'Armata austro‑ungarico disponeva in totale di 51 battaglioni e di circa 400 cannoni veniva dunque a concretizzarsi una superiorità di tre a uno. Considerata l'estensione del fronte d'attacco, si aveva una densità teorica di una bocca da fuoco ogni nove metri, la massima mai realizzata sul fronte italiano che alla prova dei fatti si rivelò, però, addirittura inadeguata a risolvere il problema posto dal terreno roccioso e dalla conseguente solidità delle fortificazioni campali.
La preparazione dell'aviazione italiana
Il potenziamento della 6^ Armata incluse un consistente rafforzamento della sua componente aerea. Questa era costituita dal VII Gruppo Aeroplani agli ordini del maggiore Costanzi che, dopo la riorganizzazione dell'aviazione italiana attuata in maggio, comprendeva la 79^ Squadriglia da caccia su Nieuport e la 32^ e 49^ Squadriglia da ricognizione e osservazione, cosiddette di corpo d'armata, montate su Farman e Caudron G.3. A queste se ne sarebbe dovuta affiancare una terza, la G - 3, che però stava ancora effettuando la transizione sui nuovi Savoia‑Pomilio S.P.3. Delle due squadriglie di corpo d'armata, specialità tuttofare i cui compiti di ricognizione tattica, direzione del tiro e collegamento con la fanteria erano vitali nella guerra di trincea, la sola 49a, che pure doveva affrontare una difficile situazione per la bassa efficienza dei velivoli Caudron, dava ampie garanzie in termini di preparazione e di esperienza, mentre l'altra aveva solo da poco iniziato l'addestramento specifico. Per portare i mezzi aerei della 6^ Armata ad un livello qualitativo e quantitativo adeguato vennero perciò assegnate al VII Gruppo squadriglie e sezioni esperte del servizio di corpo d'armata e soprattutto già addestrate a operare in favore dell'artiglieria, temporaneamente sottratte alla 1^ ed alla 4^ Armata o richiamate dal fronte dell'Isonzo. Fu poi necessario provvedere al completamento delle reti telefoniche per l'aviazione, canale vitale di comunicazione tra i campi delle squadriglie, le stazioni radiotelegrafiche, i comandi delle grandi unità e dei reparti d'artiglieria, il che poté essere fatto rapidamente grazie all'intelaiatura già esistente. Il 5 giugno il comando della 6^ Armata, mentre si stava completando l'afflusso delle unità di rinforzo, ripartiva così le squadriglie di corpo d'armata tra le grandi unità dipendenti:
‑ 49^ Squadriglia (Nove di Bassano), su tre sezioni, due di G.3 e una di Farman Colombo, rinforzata da una sezione di bimotori Caudron G.4 della 44^, al XX Corpo d'Armata;
‑ 32a Squadriglia (Nove di Bassano), su tre sezioni Farman Colombo al XXII Corpo d'Armata;
‑ 50^ Squadriglia (Trissino), su due sezioni Farman Colombo, al XXVI Corpo d'Armata;
‑ 2^ Sezione della 48^, su G.4, e la Sezione della 113^, su SAML (Feltre), al XVIII Corpo d'Armata;‑ 24^ Squadriglia (Casoni), su tre sezioni S.P.2, a disposizione del Comando d'Armata per ricognizioni in profondità, o d'armata, secondo la terminologia dell'epoca.
Per quanto riguarda le altre specialità alle dirette dipendenze del Comando d'Aeronautica d'Armata, per il servizio di crociera e di caccia, erano poste le squadriglie del X Gruppo e in particolare la 78^ e la 91^ che si trasferivano il 6 giugno a Istrana col comando di gruppo, unendosi alla 79^ già presente su quel campo, mentre agli ordini del Comando Supremo rimanevano i trimotori Caproni dei Gruppi da bombardamento IV ed XI, il che fissava in 145 il totale dei velivoli pronti ad intervenire.
A disposizione della 6^ Armata era infine il VI Gruppo Sezioni Aerostatiche Autocampali del maggiore Barbariti, costituito il 9 maggio con le Sezioni la, 5^ e 6^, equipaggiate ciascuna con un pallone da 1.200 m3 e dislocate rispettivamente a Granezza, a monte Lisser e a monte Faraoro. Agli aerostieri, altra specialità caratteristica della guerra di posizione, era affidato il compito di dirigere l'azione dell'artiglieria, integrando quella dei velivoli e degli osservatori a terra, sorvegliare lo sviluppo dei lavori di fortificazione, segnalare movimenti di truppe in prossimità della prima linea.
Il 7 giugno il comandante dell'aeronautica dell'armata, maggiore De Masellis, provvide a diramare disposizioni dettagliate per l'impiego dei mezzi aerei assegnati ai corpi d'armata. L'accento veniva anzitutto posto sulla necessità di eseguire preventivamente, nei giorni che ancora mancavano all'inizio della battaglia, tiri di inquadramento sui bersagli non visibili dai palloni o dagli osservatori a terra, ciò anche allo scopo di facilitare l'affiatamento con le batterie, puntando ad eliminare gli inconvenienti inevitabili nella cooperazione tra reparti di diversa provenienza. Durante il bombardamento preparatorio d'artiglieria i velivoli avrebbero dovuto seguire l'andamento generale del tiro sugli obiettivi assegnati ai diversi raggruppamenti di batterie, documentandone fotograficamente i risultati nelle pause e all'atto dell'allungamento del tiro, rientrando quindi subito ai loro campi per dar modo di sviluppare le lastre e trasmettere in tempo utile le copie stampate ai comandi interessati. Dopo lo scatto delle fanterie, compito primario diventava, invece, localizzare le batterie nemiche in azione e regolare su di esse il tiro di controbatteria. Per ottimizzare l'impiego dei mezzi di osservazione e non logorare inutilmente i velivoli, sulle carte utilizzate dalle squadriglie dovevano essere chiaramente indicate le zone visibili solo dall'alto e su queste doveva concentrarsi l'attenzione. Tutti gli aeroplani incaricati dell'osservazione e della direzione del tiro avevano poi l'ordine di segnalare tempestivamente, via radio, ogni movimento o concentramento di truppe nemiche.
Per coordinare l' azione dell'artiglieria con quella della fanteria e per aggiornare i comandi sullo sviluppo dell'attacco, De Masellis giudicava della massima importanza rilevare fotograficamente la linea raggiunta dalla fanteria. A tal scopo, ai reparti attaccanti erano state distribuite banderuole a triangoli bianchi e rossi da esporre per segnalare le posizioni successivamente occupate. Ai velivoli del VII Gruppo era infine richiesto di concorrere alla soluzione del problema del collegamento tra unità adiacenti, già manifestatosi con chiarezza nelle offensive carsiche e reso più difficile dalle caratteristiche dell'ambiente alpino. Da ciò il compito di informare i reparti avanzanti della situazione ai loro fianchi con il lancio di messaggi.
Le comunicazioni radiotelegrafiche dei velivoli dovevano essere raccolte dalle stazioni riceventi di Cima di Fonte per il XXVI Corpo d'Armata, di Stenfle per il XXII, di monte Levre per il XVIII, mentre alla ricezione delle trasmissioni degli aeroplani della 49° Squadriglia, sul fronte del XX, erano destinate le tre stazioni di monte Fiara, Spitz Cheserle e Malga Fossetta.
Per facilitare lo smistamento delle comunicazioni, il 4 giugno furono creati due posti di accentramento e raccolta notizie, operanti l'uno per il XX Corpo d'Armata, l'altro per il XXII ed il XXVI. Erano situati a Passo Stretto, presso l' 11° Raggruppamento d'Artiglieria d'Assedio ed a monte Naso, presso il 4°, in considerazione delle comunicazioni telefoniche già esistenti e dell'organizzazione predisposta per il tiro di controbatteria, e affidati a ufficiali osservatori distaccati dalle squadriglie. Ai due centri dovevano affluire sia le segnalazioni dei velivoli sia le notizie di altra fonte (osservatori a terra e palloni) per permettere la costruzione di un quadro generale della situazione in base al quale i comandi potessero orientare le loro decisioni. Ai fini dello sviluppo dell'azione di controbatteria e di quella di interdizione, particolare importanza aveva la tempestiva segnalazione ai raggruppamenti delle batterie nemiche attive e dei movimenti di truppe.
Un ordine di operazioni del Comando d'Aeronautica d'Armata (n. 69 del 9 giugno) dettava anche le linee guida per la 24^ Squadriglia, cui veniva richiesto di "conoscere i movimenti che si compiono nelle immediate retrovie del fronte di attacco (Caldiera‑monte Colombara‑monte Rasta)" tenendo sotto controllo "le vie che da Val d'Assa conducono ad esso". Il giorno prima, con l'ordine di operazioni n. 62, De Masellis aveva invece diramato le direttive per un'azione di bombardamento da compiersi a cura delle squadriglie Caproni con il concorso dei velivoli dei reparti da ricognizione e da caccia. Veniva previsto l'intervento di tre diverse formazioni in una data indicata come "giorno X"*e ad orari non ancora precisati. Della prima avrebbero dovuto far parte i trimotori Caproni Ca.450 dell'8a, IOa, 13a e 14a Squadriglia, cinque Farman della 32aa e tre SAML
della 1134; della seconda i Caproni della 5a e 9a Squadriglia del III Gruppo e tre Farman della 50a; della terza i Caproni della la, 2a, 4a e 15a Squadriglia, sei velivoli della 241 e cinque della 49°. Gli obiettivi indicati erano la sella di monte Rovere, importante nodo stradale e centro di raccolta e smistamento per uomini e materiali, le stazioni ferroviarie ed i depositi di Levico e di Caldonazzo, le strade di Val Galmarara e Val Portule, le batterie di monte Erio e Campolongo. Si intendeva così proseguire sulla strada aperta dagli attacchi sulle immediate retrovie e sulle artiglierie del nemico eseguiti in maggio sull'Isonzo. E' da sottolineare in proposito che se questa forma di intervento nelle operazioni terrestri poteva ancora essere considerata innovativa sul fronte italiano, così non era nel più vasto quadro del conflitto, dal momento che era stata inaugurata dai britannici sulla Somme già nel luglio 1916.
La giornata del IQ giugno
In accordo alle direttive, nei primi giorni di giugno furono eseguiti tiri di inquadramento con il concorso dell'aero‑
plano, in particolare nel settore
della 49a Squadriglia, ma il maltempo, che imperversò sull'Altopiano al punto da impedire del tutto l'attività di volo il 5 e il 9 giugno, non permise ai Farman ed ai Caudron di dare lo sviluppo desiderato alla loro azione. Non meno penalizzate furono le altre squadriglie di corpo d'armata, impegnate in ricognizioni fotografiche e a vista, e le sezioni aerostatiche, impossibilitate a far alzare i palloni. Sarà questa una caratteristica dominante delle operazioni che i diari storici delle unità registrano con puntualità, raccontando quasi quotidianamente di sortite infruttuose per l'impossibilità di raggiungere il settore assegnato o per la difficoltà di individuare obiettivi
nascosti dalla nebbia e dalle nuvole.
Dopo un rinvio di 24 ore imposto dalle pessime condizioni atmosferiche, alle ore 5.15 del 10 giugno il simultaneo tuonare delle artiglierie schierate in un immenso arco dal monte Cengio alla Val Sugana dava inizio alla battaglia. La visibilità, discreta al mattino, andò progressivamente peggiorando, fino a diventare quasi nulla nel pomeriggio. La pioggia ed un violento temporale scatenatosi verso mezzogiorno, rendendo difficile l'osservazione del tiro, ostacolarono l'azione dell'artiglieria, che fu quindi prolungata fino alle 15.00, quando le truppe mossero all'attacco su tutto il fronte, inerpicandosi con decisione sulle ripide pendici dei monti, urtando quasi ovunque invano contro le ancor salde difese austro‑ungariche. 1 risultati del (in apertura) Il Ca.3, biplano trimotore con il quale vennero formate le più famose squadriglie da bombardamento. (nella pag. a fianco) «Per non dimenticare, così recita la colonna eretta a quota 2.105 m di monte Ortigara. (sotto) Un Farman F.5b da ricognizione armato di mitragliatrice brandeggiabile posta sulla prua della carlinga manovrata dall'osservatore. Fu usato anche in azioni da bombardamento. (in basso) Un Caudron G.3, accuratamente restaurato, vola con i colori dell'aviazione francese.
bombardamento erano stati infatti di gran lunga inferiori al previsto: in molti punti i reticolati erano rimasti intatti o quasi e pochi danni avevano subito le trincee scavate nella roccia. L'avversario, a conoscenza del piano e del giorno dell'azione, non tardò ad iniziare un violento tiro di sbarramento che contribuì ad arrestare l'attacco, impedendo l'afflusso dei rincalzi e ricacciando gli attaccanti sulle linee di partenza. Nel complesso la giornata si chiuse con un modesto vantaggio all'estrema destra del XX Corpo d'Armata, dove gli alpini della 52a Divisione erano riusciti a caro prezzo a prendere e a mantenere le importanti posizioni del Passo dell'Agnella, di quota 2.003 e 2.101 metri. Quel giorno sul fronte degli altopiani entrarono in azione 141 velivoli: 32 Caproni, 53 ricognitori, 56 caccia.
Per quanto riguarda le squadriglie di corpo d'armata, la 49a, nell'intento di garantire con continuità il servizio di osservazione e sorveglianza, si era preparata per lanciare i propri velivoli ad intervalli regolari di due ore, ma questo fu possibile solo per i primi tre in quanto alle ore 11.00 l'attività di volo dovette essere sospesa. Più a sud, non diverse furono le vicende della 32a e della 50° Squadriglia. Quest'ultima, operante nel settore monte Erio‑monte SpitMonte Rasta, riuscì a seguire l'andamento generale del tiro, con particolare attenzione per la sua efficacia in corrispondenza dei punti stabiliti per l'apertura dei varchi. Sceso a qualche centinaio di metri sulle posizioni avversarie, uno dei suoi velivoli riuscì anche a
richiedere via radio un nuovo concentramento di fuoco su trincee e camminamenti ancora intatti nel tratto di linea prescelto per 1' attacco su monte Rasta. Una lodevole eccezione, dal momento che altri osservatori, invece che affidarsi alla radiotelegrafia, preferirono rientrare e comunicare le loro informazioni per telefono, con i ritardi che questa scelta inevitabilmente comportava.
Come previsto, aeroplani della 6a Armata, fiancheggiati da quelli dei gruppi da bombardamento e da velivoli del III e IX Gruppo, e protetti dai cacciatori del X e delle Squadriglie 71 ° e 75", attaccarono ripetutamente le retrovie avversarie. Furono lanciate oltre quattro tonnellate di esplosivo, nonostante gli abituali problemi
di efficienza dei motori e che nebbia, nubi e pioggia avessero obbligato ben 20 Caproni a rientrare prima di aver raggiunto l'obiettivo. Fu comunque impossibile ottenere l'auspicata concentrazione degli attacchi e gli effetti non furono perciò pari alle attese. Alle 9.15, 1'X1 Gruppo lanciò da Aviano dodici Caproni, ai quali si unirono sei SAML della 73° Squadriglia del IX Gruppo,
con obiettivo la stazione ferroviaria di Caldonazzo ed il nodo stradale di monte Rovere. Due trimotori dovettero subito rientrare per il cattivo funzionamento dei motori ed altri due li seguirono ben presto, non essendo riusciti ad individuare alcun bersaglio nella fitta coltre di nuvole che copriva l'Altopiano. I restanti, operando isolatamente, riuscirono a sganciare il loro carico di 12 granate‑torpedini da
(in basso) La prua di un biplano Ca.36. L'arrivo di questi velivoli al fronte, nella primavera del 1917, consentì di effettuare numerose missioni di grande impatto bellico. (.sotto) Primo piano di un Ca.3 modificato, noto anche come Ca.450. (nella pag. a fianco) Rara immagine di un Ca.300 in volo. Gli abitacoli completamente scoperti rendevano necessaria un'accurata protezione degli equipaggi con pesanti indumenti di lana e tute di volo in pelle.
260 o 162 mm ciascuno, sia sugli obiettivi previsti, sia soprattutto su bersagli di opportunità a Caldonazzo, Luserna e Vigolo Vattaro, individuati di sfuggita negli squarci tra le nuvole, senza poter verificare gli effetti dei loro attacchi. Nella tarda mattinata, approfittando di un momentaneo miglioramento della situazione meteorologica, fu la volta delle squadriglie Caproni 5a e 9, che, rispettivamente con due e tre velivoli, scortati da tre Nieuport della 711 e tre della 751, bombardarono l'una le testate della Val Galmarara e della Val Portule, l'altra le postazioni d'artiglieria ed i baraccamenti di monte Erio e monte Campolongo. Ad esse si accompagnarono sette S.P. della 31a Squadriglia, pure del III Gruppo, che lanciarono nella zona Galmarara‑Portule 28 bombe da 90 mm, sei SAML della 112° e sei Nieuport della 71 1 che incrociarono sulle linee, portandosi a mitragliare colonne di truppe e carreggio in movimento sulle strade della Val d'Assa e della Val Galmarara. Più sfortunata l'azione dei Caproni del IV Gruppo, decollati dai campi di La Comina e Campoformido a partire dalle 15.40. I 15 velivoli furono sorpresi da una violenta pioggia non appena raggiunto il Piave e si videro quindi la strada sbarrata da una parete compatta di dense e nere formazioni temporalesche alta non meno di 5.000 metri, trovandosi così costretti a invertire la rotta prima ancora di raggiungere la zona degli obiettivi. Delle squadriglie di corpo d'armata del VII Gruppo solo la 50a, oltre a svolgere i propri specifici compiti, fu in grado di concorrere con qualche efficacia all'azione offensiva: nel primo pomeriggio tre dei suoi Farman, armati ognuno con tre granate torpedini da 130 mm, bombardarono i baraccamenti alla confluenza tra la Val Galmarara e la Val d'Assa. A1 rientro, nell'atterrare fuori campo per un guasto al motore, uno dei velivoli rompeva il carrello. A un atterraggio di fortuna presso Arsiero fu costretto, peraltro senza gravi conseguenze, anche un Ca.450 della 2aa Squadriglia, mentre non si ebbero più notizie di un Caproni della 51 (equipaggio ten. osservatore Federico Caneva, piloti s.ten. Max Arici e s.ten. Emilio Lodesani, mitragliere caporale Romeo Betteghella), la cui sorte non poté essere chiarita neppure a seguito dei messaggi di richiesta che il giorno 15, secondo una prassi diffusa tra gli aviatori, furono lanciati sui campi d'aviazione austro‑ungarici di Gardolo e di Pergine da un aeroplano della 31a Squadriglia. E' probabile che la sua missione si sia conclusa tragicamente per un incidente di volo, forse dovuto al maltempo, dal momento che l'aviazione avversaria fu pressocchè assente, e i rapporti riferiscono di un tiro antiaereo scarso e male aggiustato.
Si tenta ancora
Le pessime condizioni atmosferiche impedirono qualunque attività aerea nei due giorni successivi, e anche a terra, esauritosi il giorno 11 un nuovo tentativo del XX Corpo d'Armata, l'azione venne temporaneamente sospesa. Riprese le operazioni, la giornata più intensa per le ali tricolori fu quella del 14 giugno, anche per l'insolita attività dell'aviazione austro‑ungarica, ormai da tempo costretta alla
difensiva su tutto il fronte dal rapido potenziamento di quella italiana. Per i cacciatori del X Gruppo si interruppe così la monotonia del servizio di sbarramento. Le pattuglie in crociera tra Borgo e Tresch, sostennero sette combattimenti aerei, riuscendo a intercettare e a ricacciare la quasi totalità dei velivoli crociati di nero che tentarono di passare le linee. Due di questi furono abbattuti dal sergente Nardini della 78a nella regione di Portule ed in prossimità della dorsale dell'Armentera, un terzo visto scendere in picchiata dietro il monte Verena, fu considerato una probabile vittoria del caporale Nicelli della 79°. Altri due vennero danneggiati in misura tale da essere costretti a precipitosi atterraggi entro le loro linee. Così protetti, i reparti del VII Gruppo portarono a termine nove sortite di ricognizione in campo tattico e cinque in campo strategico, queste ultime a opera degli S.P. della 24a Squadriglia. Un SAML della 113x, pilotato dall'aspirante Filippo Rossi con osservatore il tenente Ugo Negri, fu abbattuto dal tiro antiaereo sul fronte del XXVI Corpo d'Armata. Era questo il terzo velivolo caduto oltre le linee durante la battaglia dell'Ortigara: prima del Caproni della 5a Squadriglia non rientrato dall'azione del 10, era andato perduto il SAML n. 2436 (osservatore s.ten. Vitale Blasi, pilota serg. magg. Carlo Balbo), costretto ad atterrare in territorio nemico il 5 giugno durante una ricognizione su Levico e Caldonazzo.
Superate le incertezze iniziali, il servizio di osservazione aerea venne svolto dalle squadriglie di corpo d'armata con largo impiego della radiotelegrafia, concorrendo efficacemente alla preparazione della seconda fase della battaglia, che ebbe inizio alle ore 8.00 del 18 giugno. Questa volta il bombardamento dura 25 ore ed è il preludio che consente alla 521 Divisione di impadronirsi di slancio della sommità dell'Ortigara (quota 2.105 m). Sul resto del fronte l'attacco fu, però, ancora una volta inesorabilmente bloccato, ed anche il tentativo di allargare la breccia aperta dalla 521 Divisione venne frustrato dall'esistenza di una seconda, altrettanto munita, linea di trincee sul rovescio dell'Ortigara, dal peggiorare del tempo, che impedì all'artiglieria di sostenere un'ulteriore avanzata e dalla stanchezza delle truppe. Gli aerei delle squadriglie di corpo d'armata, e soprattutto quelli della 4T', parteciparono
alla battaglia sorvegliando le linee di comunicazione e provvedendo, nei limiti del possibile, all'osservazione del tiro. Prima dell'inevitabile e consueto peggioramento pomeridiano, quasi tutta 1' aeronautica del Trentino è comunque in volo per accompagnare l'attacco degli alpini e della fanteria.
E' stato possibile rintracciare un quadro riassuntivo dell'attività aerea del 19 giugno, che con lo scarno ma efficace linguaggio dei numeri è di per sé sufficiente a evidenziare l'entità dello sforzo compiuto. Le relazioni dei gruppi e delle squadriglie permettono poi di aggiungere qualche significativo dettaglio e di correggere alcuni errori della tabella. All'azione presero parte in tempi successivi 30
Caproni, 54 velivoli da ricognizione e 61 da caccia, rovesciando sulle retrovie avversarie più di cinque tonnellate di esplosivo: 315 granate‑torpedini da 162 mm e 85 da 130 e 90 mm, le prime da parte dei Caproni, le seconde a opera delle squadriglie d'armata e di corpo d'armata. Nella prima mattinata il lII Gruppo inviò cinque Caproni (due della 5a, uno dei quali subito rientrato per un guasto a un motore, e tre della 9a Squadriglia), scortati da otto Nieuport della 71a e della 75a Squadriglia, sei SY.3 della 31 a e tre Farman della 50a, a bombardare la zona Portule‑Galmarara‑Ghertele, dove furono lanciate 48 bombe‑torpedini da 162 mm, 20
da 90 mm e nove da 130 mm. Contemporaneamente sei SAML della 112a si portarono a bassa quota sulla strada della Val d'Assa per mitragliarvi colonne in marcia.
1 13 Ca.450, lanciati dal IV Gruppo alle 9.20, attaccarono la zona logistica di Campo Gallina, pur parzialmente nascosta da nubi basse e vaganti, sganciando un totale di 156 granate‑torpedini sui suoi baraccamenti e su altri bersagli similari in Val Portule ed in Val Sugana. La formazione dell'XI Gruppo, composta da dodici Caproni, decollata alle 10.45, persi subito due velivoli costretti a ritornare alla base per noie ai motori, attaccò con nove macchine la località Albergo del Ghertele in Val d'Assa, sede di comandi e depositi, e baraccamenti presso Casare Larici, lanciando 99 granate‑torpedini, mentre un decimo trimotore, non riuscendo a trovare l'obiettivo, sganciò i suoi dodici ordigni su monte Rovere. All'azione dei Caproni parteciparono sette SAML della 73a Squadriglia, uno dei quali, n. 2447, pilotato dal ten. Giorelli con l'allievo osservatore ten. Udine, al rientro dalla missione fu costretto ad atterrare presso Forte Procolo, a Verona, per un improvviso arresto del motore, sfasciandosi nella manovra ma senza danni per l'equipaggio. Le condizioni atmosferiche e la visibilità, ancora una volta poco favorevoli per la presenza di foschia e nubi, non permisero ai Caproni di portarsi in formazione compatta sugli obiettivi, ma i risultati furono comunque giudicati soddisfacenti dagli equipaggi che riferirono di aver potuto vedere numerose bombe colpire i bersagli. Buono il servizio di scorta fornito dal X Gruppo, con tredici apparecchi alla prima formazione e dieci alla seconda, poco intenso ma ben aggiustato il tiro controaereo, che danneggiò leggermente quattro Caproni del IV e tre dell'XI Gruppo.
A1 termine della giornata, che aveva visto impegnati in azioni di bombardamento anche altri 15 velivoli delle squadriglie del VII Gruppo, erano stati sostenuti in tutto 16 combattimenti aerei, e la 24a Squadriglia poteva dichiarare un probabile abbattimento. Di contro, un Savoia‑Pomilio della 31 d, intervenuto a sostegno di un SAML della 112x, attaccato da un caccia avversario, fu danneggiato tanto gravemente da dover poi essere dichiarato fuori uso. Sempre in combattimento aereo, il Farman della 50d Squadriglia pilotato dall'aspirante Amedeo Mecozzi, con osservatore il sottotenente Mazzocchini, impegnato con altri due velivoli del reparto nel bombardamento della strada della Val d'Assa, viene attaccato presso Ghertele da due caccia nemici. Disimpegnatosi a fatica, con l'aeroplano colpito da 19 proiettili di mitragliatrice, l'equipaggio riesce a ripassare le linee, ma a causa dell'arresto improvviso del motore è costretto a un rovinoso atterraggio fuori campo a Santorso, presso Schio.
Nei giorni seguenti, mentre sul terreno si tenta di consolidare l'occupazione dell'Ortigara, l'attività aerea diminuisce d'intensità. Sospese le azioni di bombardamento, continuano le crociere di protezione dei cacciatori e si susseguono regolari le sortite dei velivoli delle squadriglie di corpo d'armata. In questo scenario di calma apparente, il 24 giugno è un Farman della 32V Squadriglia a vivere una brutta avventura. Mentre l'osservatore, tenente Ugo Caldart, è sul punto di iniziare la ripresa fotografica della zona monte Zingarella‑Bocchetta Portule, l'aereo è investito in pieno dall'esplosione di un proiettile a shrapnels. Colpito il timone destro, asportata una pala dell'elica, rotto l'alettone superiore destro e con la pedaliera resa inservibile, il pilota, caporale Antonio Caudullo, riesce a mantenere il controllo della macchina e a dirigersi in qualche modo verso Asiago, effettuando un atterraggio di fortuna in località Capitello Pennar. E' il secondo velivolo perso dalla squadriglia al rientro da una missione di ricognizione e direzione tiro, un altro Farman, vittima questa volta di un guasto al motore, aveva dovuto atterrare in emergenza presso Bertigo, sfasciandosi sul terreno accidentato.
Conclusioni e bilanci
La conquista dell'Ortigara avrebbe potuto consegnare alla 61 Armata il grimaldello con cui scardinare l'intera organizzazione della difesa e sul momento i comandi austro‑ungarici temettero davvero di aver perso la partita e di dover sgombrare l'Altopiano per ripiegare sulle posizioni da dove aveva preso le mosse la Strafexpedition. Da parte italiana vennero però a mancare lo slancio e l'iniziativa necessari, forse anche per la stanchezza ed il naturale esaurimento causati dai reiterati sforzi dei giorni precedenti. Falliti, per la forte resistenza incontrata, i tentativi di spingersi in profondità, le truppe della 52a Divisione ebbero l'ordine di rafforzarsi sulle posizioni raggiunte, una nuda pietraia battuta dai tiri concentrici dell'artiglieria avversaria. Vi sarebbero rimaste per cinque giorni finché, nelle prime ore del 25 giugno, un improvviso attacco, abilmente condotto da truppe scelte e preceduto da un breve ma violentissimo bombardamento, permise al nemico di impadronirsi di nuovo della quota contesa. A nulla valsero i ripetuti contrattacchi effettuati con una tenacia ed uno spirito di sacrificio divenuti leggendari da reparti già duramente provati. L'Ortigara era perduta ed il giorno 29, quando era stata presa la decisione di sospendere definitivamente l'azione, dovettero essere abbandonati anche gli ultimi appigli tattici di quota 2.003 e Passo dell'Agnella, ripiegando ovunque sulle posizioni di partenza.
Le perdite italiane nell'arco della battaglia ammontarono a più di 25.000 uomini, dei quali oltre la metà tra i ranghi della 52a Divisione, a riprova della durezza della lotta e di un senso del dovere spinto agli estremi limiti. Il 111 Corpo d'Armata austro‑ungarico doveva dal canto suo lamentare la perdita di circa 9.000 uomini, per la maggior parte appartenenti alla 6a Divisione impegnata sull'Ortigara.
La battaglia si concluse dunque con un sanguinoso insuccesso le cui ragioni, al di là dell'impossibilità o dell'incapacità di sfruttare il momento favorevole presentatosi il 19 giugno, possono essere ricercate nelle sfavorevoli condizioni atmosferiche, che influirono in modo negativo sull'efficacia del tiro delle artiglierie ed ostacolarono l'orientamento ed il collegamento dei reparti attaccanti, nelle difficoltà frapposte dal terreno, sfruttate con 1' abituale maestria dall'avversario, ed in una preparazione d'artiglieria che, per quanto massiccia, non fu sufficiente. Le formidabili posizioni dell'Ortigara avrebbero infatti richiesto un bombardamento più prolungato e soprattutto più preciso, come prova il parziale successo dell'attacco del giorno 19, per il quale la preparazione ebbe una durata più che doppia rispetto al 10 giugno. L"`azione difensiva uno" venne così ad essere altro momento di quella tragica e terribile guerra di logoramento che, facendo del conflitto una sorta di gigantesco assedio, costellato di episodi tanto sanguinosi quanto privi di risultati sostanziali, avrebbe comunque finito col determinare il crollo degli Imperi Centrali.
Per quanto riguarda le operazioni aeree, la battaglia del1'Ortigara confermò la superiorità dell'aviazione italiana, la cui attività fu ostacolata più dal maltempo che dall'avversario. Non si può però dimenticare che ciò fu possibile anche grazie all'impegno delle squadriglie da caccia, soprattutto di quelle del X Gruppo che, oltre a scortare le formazioni dei bombardieri e ad assicurare il servizio di allarme, effettuarono con regolarità crociere di protezione e
sbarramento sul fronte dell'armata, riuscendo a dare sicurezza ai velivoli da ricognizione e ad impedire il passo a quelli avversari. Questo compito, certo non amato dai piloti per i rigidi vincoli che poneva alla loro iniziativa, fu svolto da pattuglie di due apparecchi ciascuna che si alternavano ad orari prestabiliti, affidando agli Spad della 913 i settori più delicati. In 17 giorni, tra il 6 ed il 24 giugno, il X Gruppo effettuò 395 sortite, per circa 700 ore di volo, e sostenne senza perdite 32 combattimenti aerei, con almeno due vittorie aeree accertate. Com'è lecito attendersi, l'attività delle squadriglie di corpo d'armata, ed in particolare della 49a, della 321 e della 50aa, si concretizzò soprattutto in ricognizioni fotografiche ed a vista mirate a fornire alle batterie in azione indicazioni sulla precisione e sugli effetti del tiro ed a segnalare nuovi bersagli da colpire. Dalla documentazione disponibile risulta ad esempio che, tra il 4 e il 27 giugno, la sola 49,1 effettuò un totale di 144 ore di volo, portando a termine 39 ricognizioni, quattro missioni di direzione del tiro e due bombardamenti, mentre ben 31 sortite furono vanificate dalle condizioni atmosferiche. L'organizzazione dei collegamenti rimosse le difficoltà iniziali, si dimostrò razionale ed efficiente, in grado di permettere la pronta ricezione delle segnalazioni dei velivoli e la loro trasmissione ai comandi interessati lungo linee telefoniche dedicate. Nel complesso il servizio d'artiglieria venne svolto da tutti i reparti in modo soddisfacente anche se con un'inevitabile mancanza di continuità. A causa del mancato sviluppo in profondità dell'azione, nessuna delle squadriglie fu chiamata a svolgere un servizio di collegamento con la fanteria e non poté quindi essere sperimentata la validità delle direttive in merito. Il vivace tiro controaereo avversario danneggiò in varia misura due velivoli della 49a, cinque della 32a, uno della 50a ed uno della 48a, mentre poche furono le occasioni in cui i ricognitori si trovarono a fronteggiare aeroplani nemici. Le relazioni delle squadriglie di corpo d'armata del VII Gruppo, oltre al combattimento aereo che ebbe come protagonista il Farman dell'aspirante Mecozzi, segnalano solo altri due incontri: il 17 giugno un velivolo della 32a sostenne un breve ed inconcludente scontro nella zona di monte Zebio e lo stesso giorno un G.4 della 48a attaccò e mise in fuga un ricognitore avversario nel cielo dell'Ortigara.
Per quanto riguarda le azioni offensive, sia il 10 che il 19 giugno, nonostante il numero di velivoli impiegati, l'intervento dell'aviazione non potè avere le caratteristiche di azione concentrata ed a massa proprie degli attacchi di maggio sul Carso, riuscendo sensibilmente meno efficace. Le squadriglie avevano però acquisito un'ulteriore, preziosa esperienza che non avrebbero tardato a mettere a frutto.
Qualche parola infine sull'operato degli aerostieri, per i quali tra il 4 ed il 24 giugno vi furono solo dieci giorni con condizioni atmosferiche tali da permettere di far alzare i palloni, con gravi difficoltà ad operare proprio nelle cruciali giornate del 10, del 18 e del 19 giugno. Il concorso delle sezioni aerostatiche, ritenuto nonostante tutto soddisfacente dai comandi, si riassume in 10 direzioni tiro su obiettivi non visibili da terra, 19 segnalazioni di postazioni d'artiglieria, 60 avvistamenti di bersagli di altro tipo, quali movimenti di truppe o lavori campali. Di particolare rilievo l'attività della la Sezione di Granezza che, in collaborazione con gli aeroplani in servizio d'artiglieria, nel pomeriggio del 15 diresse validamente il tiro di una batteria da 305 mm prima su Casare Larici, poi su Ghertele, mentre scarso fu il rendimento del pallone di monte Lisser, situato in posizione infelice e troppo distante dal fronte.
Nel complesso, per l'aviazione italiana, la battaglia dell' Ortigara rappresentò un ulteriore banco di prova che consentì di consolidare, in un ambiente tutt'altro che favorevole, procedure e modalità d'impiego delle diverse componenti. Il fatto che anche in quest'occasione il rendimento delle squadriglie fosse stato soddisfacente e le predisposizioni a terra delle reti di collegamento con l'artiglieria avessero ben funzionato, era un indice della maturità e del livello di sviluppo raggiunto dal dispositivo aeronautico.
Forti di queste certezze, e con la consapevolezza di una sicura superiorità quantitativa e qualitativa sull'avversario, gli aviatori italiani si prepararono ad affrontare una nuova prova.
Mentre con la fine delle operazioni sull'Altopiano dei Sette Comuni la 62 Armata assumeva un atteggiamento strettamente difensivo, per molte squadriglie era infatti arrivato il momento di tornare sul fronte dell'Isonzo. Le attendevano il Carso e la Bainsizza per l'ultima offensiva del
1917. o
A Vittorio Venetol'alza Bandiera mi da il massimo dell'emozione, quei quattro immensi tricolori che salgono insieme su pennoni di piazza del Popolo sono na cos unica.
RispondiEliminaAlla fine dell'evento del mattino è stato chiesto un minuto di silenzio per tutti i Caduti per la Patria.
Quel minuto èsato lungo interminabile grazie ad una risposta che è stata rispettata da tutti in un silenzio assoluto.